1 Torquato Tasso Il duello di Tancredi e Clorinda

April 1, 2018 | Author: Anonymous | Category: N/A
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T [Gerusalemme liberata, XII, 48-70]

Torquato Tasso Il duello di Tancredi e Clorinda

• guerra e fede • amore idealizzato

Argante e Clorinda stanno per rientrare a Gerusalemme dopo aver fatto strage di cristiani. La guerriera pagana indossa un’armatura nera al posto della consueta armatura bianca che le è stata sottratta da Erminia. Mentre la Porta Aurea della città si apre per accoglierli, i soldati cristiani accorrono, e solo Argante riesce ad entrare, mentre Clorinda resta fuori. Tancredi la individuerà come nemico ma, non riconoscendola come propria amata, la ucciderà in duello per poi battezzarla dietro sua richiesta. Per comprendere appieno l’episodio occorre sapere che, per dissuaderla dalla missione troppo pericolosa, l’eunuco Arsete aveva rivelato a Clorinda la sua origine cristiana, disobbedendo alla madre di lei che gli aveva affidato la figlia ordinandogli di farla battezzare. Arsete e la stessa Clorinda avevano inoltre avuto lo stesso sogno premonitore la notte precedente (Clorinda sconfitta e battezzata in punto di morte), ma ciononostante la guerriera decide di tentare la sortita notturna col fido Argante.

48 da T. Tasso, Rime, Gerusalemme liberata, Aperta è l’Aurea porta, e quivi tratto a cura di L. Caretti, Mondadori, Milano 1976. è il re, ch’armato il popol suo circonda, per raccòrre i guerrier da sì gran fatto, quando al tornar fortuna abbian seconda. Saltano i due su ’l limitare, e ratto diretro ad essi il franco stuol v’inonda, ma l’urta e scaccia Solimano; e chiusa è poi la porta, e sol Clorinda esclusa. 49 Sola esclusa ne fu perché in quell’ora ch’altri serrò le porte ella si mosse, e corse ardente e incrudelita fora a punir Arimon che la percosse. Punillo; e ’l fero Argante avisto ancora non s’era ch’ella sì trascorsa fosse, ché la pugna e la calca e l’aer denso a i cor togliea la cura, a gli occhi il senso. 50 Ma poi che intepidì la mente irata nel sangue del nemico e in sé rivenne, vide chiuse le porte e intorniata sé da’ nemici, e morta allor si tenne. Pur veggendo ch’alcuno in lei non guata, nov’arte di salvarsi le sovenne. Di lor gente s’infinge, e fra gli ignoti cheta s’avolge; e non è chi la noti.

metrica  ottava rima. 48  La Porta Aurea [di Gerusalemme] è aperta, e lì (quivi) si è recato (tratto è) il re [: Solimano], che fa disporre in cerchio la sua gente armata per accogliere (raccòrre) i guerrieri dopo un’impresa (fatto) così audace, quando abbiano l’occasione favorevole (fortuna…seconda) a tornare. I due [: Argante e Clorinda] saltano sulla soglia (su ’l limitare) e rapidamente (ratto) i soldati (stuol) franchi irrompono in grande quantità (v’inonda) dietro essi, ma Solimano si scontra con loro (l’urta) e li ricaccia indietro; e poi la porta viene (è) chiusa, e solamente Clorinda resta fuori. L’Aurea porta di Ge-

rusalemme è quella che guarda a Oriente. Di qui sarebbe passato Cristo la domenica della Palme, ed è possibile che Tasso le attribuisca un valore simbolico. 49  Solo lei rimase fuori perché nel momento in cui qualcuno chiuse (serrò) le porte, lei si mosse e corse fuori (fora), furiosa (ardente) e vendicativa (incrudelita) per punire Armone che l’aveva colpita [alle spalle]. Lo punì, e il fiero Argante non si era ancora accorto (avisto) che lei si era allontanata a tal punto (sì trascorsa fosse), dato che (ché) la mischia (pugna), la folla (calca) e l’aria scura (aer denso) toglievano ai cuori la considerazione (cura) e agli occhi la percezione (senso). Clorinda re-

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sta fuori dalla Porta che si sta chiudendo perché un guerriero franco, Armone, la colpisce alle spalle e lei decide di tornare indietro per ucciderlo. Il suo fedele compagno Argante non se ne è ancora accorto, perché la notte e la battaglia lo hanno distratto. 50  Ma dopo che [Clorinda] ebbe placata (intepidì) la mente irata nel sangue del nemico e ritornò in sé, vide la porta chiusa e si vide circondata da nemici, e allora si considerò (si tenne) morta. Tuttavia (Pur), vedendo che nessuno guarda (guata) verso lei, le venne in mente un nuovo modo (arte) di salvarsi. Finge di essere uno di loro [: dei Franchi], e silenziosa (cheta) si mescola (s’avolge) tra quegli sconosciuti (ignoti).

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51 Poi, come lupo tacito s’imbosca dopo occulto misfatto, e si desvia, da la confusion, da l’aura fosca favorita e nascosa, ella se ’n gìa. Solo Tancredi avien che lei conosca; egli quivi è sorgiunto alquanto pria; vi giunse allor ch’essa Arimon uccise: vide e segnolla, e dietro a lei si mise. 52 Vuol ne l’armi provarla: un uom la stima degno a cui sua virtù si paragone. Va girando colei l’alpestre cima verso altra porta, ove d’entrar dispone. Segue egli impetuoso, onde assai prima che giunga, in guisa avien che d’armi suone, ch’ella si volge e grida: “O tu, che porte, che corri sì?” Risponde: “E guerra e morte”. 53 “Guerra e morte avrai”; disse “io non rifiuto darlati, se la cerchi”, e ferma attende. Non vuol Tancredi, che pedon veduto ha il suo nemico, usar cavallo, e scende. E impugna l’uno e l’altro il ferro acuto, ed aguzza l’orgoglio e l’ire accende; e vansi a ritrovar non altrimenti che duo tori gelosi e d’ira ardenti. 54 Degne d’un chiaro sol, degne d’un pieno teatro, opre sarian sì memorande. Notte, che nel profondo oscuro seno chiudesti e ne l’oblio fatto sì grande, piacciati ch’io ne ’l tragga e ’n bel sereno a le future età lo spieghi e mande. Viva la fama loro; e tra lor gloria splenda del fosco tuo l’alta memoria. 55 Non schivar, non parar, non ritirarsi voglion costor, né qui destrezza ha parte.

51  Poi, come un lupo torna nel bosco (s’imbosca) silenziosamente (tacito) dopo un delitto (misfatto) senza essere visto (occulto), e si allontana dalle vie battute (si desvia), ella se ne andava (se ’n gìa) favorita e nascosta dalla confusione e dall’aria scura (fosca). Solo Tancredi si accorge di lei (avien che lei conosca): egli è sopraggiunto qui molto prima: vi è giunto quando lei aveva ucciso Arimone. La vide e la tenne d’occhio (segnolla) e la seguì. 52  Vuole sfidarla a duello (ne l’armi provarla): crede che sia un uomo (un uom la stima) degno di confrontarsi col suo valore. Lei (colei) sta aggirando la collina montuosa (alpestre cima) verso un’altra porta, dove ha intenzione (dispone) di entrare. Lui la segue fremente (impetuo-

so), perciò molto prima del suo arrivo accade che (avien) si sentano risuonare (suone) le sue armi, così che (in guisa…ch’) lei si volta e grida: «O tu, che cosa porti (porte), che corri così (sì)?». [Tancredi] Risponde: «[Porto] guerra e morte». Tancredi è a cavallo e segue a distanza Clorinda. Freme perché vuole misurarsi col cavaliere sconosciuto. Il rumore dell’armatura lo precede, e Clorinda si volta. 53  «Avrai sia la guerra che la morte: io non rifiuto di dartela (darlati), se la cerchi» dice [Clorinda] e si ferma ad aspettarlo. Tancredi, che ha visto il nemico a piedi (pedon) non vuole usare il cavallo, e scende. Ed entrambi impugnano la spada (ferro, per metonimia) appuntita (acuto), accrescono il proprio onore cavalleresco (orgoglio) e s’infervo-

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rano (l’ire accende); e si vanno a scontrare (vansi a ritrovar) come due tori gelosi e pieni d’ira. Da notare l’ultima metafora (i tori gelosi), che allude all’elemento erotico presente in tutto l’episodio. 54  Gesta (opre) così memorabili sarebbero degne di un sole luminoso, di un teatro pieno [di spettatori]. O notte, che hai nascosto nel tuo profondo e scuro grembo e nell’oblio un fatto così grande, lascia che io lo tragga fuori da lì (ne ’l tragga), e lo esponga (spieghi) e tramandi (mande) in piena luce (’n bel sereno) alle epoche future. Viva la loro fama, e risplenda insieme alla loro gloria [anche] la nobile (alta) memoria del tua tenebra (fosco). 55  Nessuno di loro vuole schivare né parare [i colpi] né ritirarsi, e qui non c’è posto per la destrez-

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Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi: toglie l’ombra e ’l furor l’uso de l’arte. Odi le spade orribilmente urtarsi a mezzo il ferro, il piè d’orma non parte; sempre è il piè fermo e la man sempre ’n moto, né scende taglio in van, né punta a vòto.

56 L’onta irrita lo sdegno a la vendetta, e la vendetta poi l’onta rinova; onde sempre al ferir, sempre a la fretta stimol novo s’aggiunge e cagion nova. D’or in or più si mesce e più ristretta si fa la pugna, e spada oprar non giova: dansi co’ pomi, e infelloniti e crudi cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi. 57 Tre volte il cavalier la donna stringe con le robuste braccia, ed altrettante da que’ nodi tenaci ella si scinge, nodi di fer nemico e non d’amante. Tornano al ferro, e l’uno e l’altro il tinge con molte piaghe; e stanco ed anelante e questi e quegli al fin pur si ritira, e dopo lungo faticar respira. 58 L’un l’altro guarda, e del suo corpo essangue su ’l pomo de la spada appoggia il peso. Già de l’ultima stella il raggio langue al primo albor ch’è in oriente acceso. Vede Tancredi in maggior copia il sangue del suo nemico, e sé non tanto offeso. Ne gode e superbisce. Oh nostra folle mente ch’ogn’aura di fortuna estolle! 59 Misero, di che godi? oh quanto mesti fiano i trionfi ed infelice il vanto! Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti) di quel sangue ogni stilla un mar di pianto. za. Non fanno finte, né affondi (colpi…pieni), né colpi di assaggio (scarsi): l’oscurità e il furore escludono (toglie) l’uso della tecnica (arte). Si sentono le spade che si urtano a metà lama con suono raccapricciante (orribilmente), e il piede non si stacca (non parte) dalla sua orma; il piede sta sempre fermo e la mano sempre in movimento, né scende inutilmente un colpo dato di taglio o a vuoto un colpo dato di punta. I colpi non vanno a vuoto ma feriscono l’avversario, provocandone la reazione e aumentandone l’aggressività. Le regole della cavalleria si vanno man mano perdendo e prevalgono l’ira e l’orgoglio: come l’amore, la guerra dimentica presto di essere un’arte e diventa pura passione distruttiva, come si vedrà bene nei versi seguenti. 56  La vergogna (onta) eccita (irrita) l’orgoglio (sdegno) alla vendetta, e la vendetta a sua volta

rinnova [nell’avversario] la vergogna [di essere stato colpito]; per cui (onde) un nuovo stimolo e una nuova ragione (cagion) si aggiungono sempre alla volontà di ferire e alla fretta [di farlo]. Di ora in ora il combattimento (pugna) si fa confuso (si mesce) e diviene più serrato (ristretta) ed è inutile (non giova) adoperare la spada: si danno addosso (dansi) con le else (co’ pomi) e inferociti (infelloniti) e crudeli cozzano insieme con gli elmi e con gli scudi. 57  Il cavaliere stringe per tre volte la donna con le braccia robuste, e altrettante volte lei si divincola da quelle strette (nodi) tenaci, che sono strette di un nemico feroce (fer) e non di un amante. Ritornano alla spada, e la spada colora di sangue (tinge) l’uno e dell’altro, con molte ferite (piaghe); e stanco e sfinito l’uno e l’altro tuttavia (pur) finalmente si ritira, e riprende fiato dopo la lunga fatica. Il narratore

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avverte che gli abbracci di Tancredi e Clorinda non sono quelli di due amanti, ma di guerrieri. In questo modo la metafora sessuale sottesa a tutto il duello viene dichiarata nel momento stesso in cui è esplicitamente negata 58  L’uno guarda l’altro, e appoggia il peso del proprio corpo dissanguato (essangue) sul pomo della spada. La luce del pianeta Venere (ultima stella) si sta già spegnendo alle prime luci dell’alba che si sono accese ad oriente. Tancredi vede che il nemico sanguina più di lui, mentre lui si vede non eccessivamente ferito. Ne gode e insuperbisce. Oh nostri sciocchi pensieri che basta un minimo soffio di fortuna ad illudere (estolle, letteralmente ‘innalza’)! 59  Povero [Tancredi]! Di cosa ti rallegri? Oh quanto saranno (fiano) tristi (mesti) i tuoi trionfi ed infelice il tuo vantarti! I tuoi occhi [se resti in vita] pagheranno un mare di pianto per ogni goccia (stilla) di

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Torquato Tasso ~ Il duello di Tancredi e Clorinda





Così tacendo e rimirando, questi sanguinosi guerrier cessaro alquanto. Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse, perché il suo nome a lui l’altro scoprisse:

60 “Nostra sventura è ben che qui s’impieghi tanto valor, dove silenzio il copra. Ma poi che sorte rea vien che ci neghi e lode e testimon degno de l’opra, pregoti (se fra l’arme han loco i preghi) che ’l tuo nome e ’l tuo stato a me tu scopra, acciò ch’io sappia, o vinto o vincitore, chi la mia morte o la vittoria onore”. 61 Risponde la feroce: “Indarno chiedi quel c’ho per uso di non far palese. Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi un di quei due che la gran torre accese”. Arse di sdegno a quel parlar Tancredi, e: “In mal punto il dicesti”; indi riprese “il tuo dir e ’l tacer di par m’alletta, barbaro discortese, a la vendetta”. 62 Torna l’ira ne’ cori, e li trasporta, benché debili in guerra. Oh fera pugna, u’ l’arte in bando, u’ già la forza è morta, ove, in vece, d’entrambi il furor pugna! Oh che sanguigna e spaziosa porta fa l’una e l’altra spada, ovunque giugna, ne l’arme e ne le carni! e se la vita non esce, sdegno tienla al petto unita. 63 Qual l’alto Egeo, perché Aquilone o Noto cessi, che tutto prima il volse e scosse, non s’accheta ei però, ma ’l suono e ’l moto ritien de l’onde anco agitate e grosse, tal, se ben manca in lor co ’l sangue vòto quel vigor che le braccia a i colpi mosse, serbano ancor l’impeto primo, e vanno da quel sospinti a giunger danno a danno. quel sangue. Così, tacendo e guardando (rimirando), questi guerrieri sanguinanti si fermarono un poco (cessaro alquanto). Infine Tancredi ruppe il silenzio e disse, affinché l’altro gli rivelasse il suo nome. Il narratore onnisciente sa che Tancredi si pentirà di aver ferito (e poi ucciso) Clorinda, e per ogni goccia di sangue dell’amata verserà cento lacrime (è un’iperbole, cioè un’esagerazione retorica). 60  «È davvero (è ben) una sfortuna per entrambi che s’impieghi tanto valore in questo duello (qui) circondato dal silenzio. Ma poiché accade (vien) che la sorte malvagia (rea) ci nega sia lodi sia testimonianze degne dell’impresa, ti prego (se in battaglia c’è posto per le preghiere) di rivelarmi il tuo nome e il tuo rango (stato), affinché io sappia, a seconda che io sia sconfitto o vincitore, chi onorerà (onore) la mia morte o la mia vittoria.

61  «Chiedi invano (Indarno) ciò che io uso a nascondere (non far palese). Ma chiunque io sia, tu vedi davanti a te uno di quei due che hanno incendiato la grande torre d’assedio». A quelle parole Tancredi avvampò di rabbia (sdegno) e [disse]: «Lo hai detto nel momento sbagliato (In mal punto)» e quindi riprese: «sia ciò che dici sia ciò che non vuoi dire, o pagano irrispettoso della legge della cortesia, mi invoglia (alletta) alla vendetta. Clorinda avrebbe violato le regole della cavalleria: prima perché non ha voluto dichiarare il proprio nome, e poi perché si è vantata di un atto che Tancredi considera grave (ha incendiato con Argante la torre d’assalto dei Franchi). 62  La rabbia ritorna nei cuori e li trascina, benché deboli, a combattere. Oh feroce combattimento (pugna), dal quale (u’ = ‘dove’) le regole (l’arte)

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sono bandite, dove la forza è già venuta meno, dove, invece [di essi], combatte il furore dei due contendenti! Oh che apertura larga e piena di sangue fanno entrambe le spade, ovunque arrivino: nell’armatura (arme) o nella carne! E se la vita non esce [da quei corpi] è perché la rabbia la tiene (tienla) attaccata al petto. 63  Come (Qual) il profondo (alto) mare Egeo non si calma (non s’accheta) per il solo fatto che cessino il vento Aquilone o il Noto, che prima lo sconvolsero e mossero (scosse) tutto, ma conserva (ritien) il suono e il movimento delle onde ancora agitate e grosse, così (tal), sebbene in loro manca insieme al (co ’l) sangue versato (vòto = ‘svuotato’) quel vigore che aveva mosso le braccia a colpire, conservano ancora lo slancio iniziale (primo), e spinti da esso continuano ad aggiungere (a giunger) danno a danno.

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64 Ma ecco omai l’ora fatale è giunta che ’l viver di Clorinda al suo fin deve. Spinge egli il ferro nel bel sen di punta che vi s’immerge e ’l sangue avido beve; e la veste, che d’or vago trapunta le mammelle stringea tenera e leve, l’empie d’un caldo fiume. Ella già sente morirsi, e ’l piè le manca egro e languente. 65 Segue egli la vittoria, e la trafitta vergine minacciando incalza e preme. Ella, mentre cadea, la voce afflitta movendo, disse le parole estreme; parole ch’a lei novo un spirto ditta, spirto di fé, di carità, di speme: virtù ch’or Dio le infonde, e se rubella in vita fu, la vuole in morte ancella. 66 “Amico, hai vinto: io ti perdon… perdona tu ancora, al corpo no, che nulla pave, a l’alma sì; deh! per lei prega, e dona battesmo a me ch’ogni mia colpa lave”. In queste voci languide risuona un non so che di flebile e soave ch’al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza, e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza. 67 Poco quindi lontan nel sen del monte scaturia mormorando un picciol rio. Egli v’accorse e l’elmo empié nel fonte, e tornò mesto al grande ufficio e pio. Tremar sentì la man, mentre la fronte non conosciuta ancor sciolse e scoprio. La vide, la conobbe, e restò senza e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza! 68 Non morì già, ché sue virtuti accolse tutte in quel punto e in guardia al cor le mise, 64  Ma ecco che ormai (omai) è giunta l’ora fatale in cui la vita di Clorinda deve [giungere] alla sua fine. Egli spinge nel bel seno la spada (ferro) di punta, che vi si conficca e beve avidamente il sangue; e le riempie di un caldo fiume [di sangue] la veste, che, trapunta di bell’oro, le cingeva in modo tenero e lieve le mammelle. Lei si sente già morire, e il piede le vacilla, debole e sfinito (egro e languente). È l’ottava decisiva, del colpo fatale dato da Tancredi a Clorinda. Ancora allusioni erotiche, e una straordinaria mescolanza di crudeltà e tenerezza in questa descrizione. Vediamo la veste di Clorinda riempirsi di sangue sotto la corazza, con gli occhi del narratore, non con quelli di Tancredi, che ancora non sa di avere ucciso una donna. 65  Egli persegue la vittoria, e incalza e sottomette (preme) la vergine trafitta, minacciandola. Lei, mentre cadeva, muovendo la bocca sofferente per

parlare (la voce afflitta movendo: è uno zeugma, perché “muovere” è riferito alla “voce” e non alla bocca da cui esce). Disse le ultime parole: parole che le detta un nuovo spirito, uno spirito di fede, di amore, di speranza: una virtù che ora Dio le infonde, e se fu ribelle in vita, [Lui] la vuole fedele servitrice (ancella) in morte. Clorinda è stata rubella a Dio in vita (come il Virgilio dantesco, «ribellante a la sua legge» in Inf. I, 125), ma ora nella morte, cioè nella vita eterna, gli sarà devota. 66  «Amico mio, hai vinto: io ti perdono…perdonami anche tu: non il mio corpo, che non ha più nulla da temere, ma l’anima. Orsù (deh)! Prega per lei, e dammi il battesimo che purifichi (lave) ogni mia colpa.» In queste parole (voci) deboli (languide) risuona qualcosa di delicato (flebile) e soave, che scende fino al cuore dell’uomo e spegne (ammorza) ogni rabbia, e lo induce e sforza a piangere. La

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conversione di Clorinda non suona inattesa al lettore: prima della sortita, l’eunuco Arsete le aveva rivelato le sue origini cristiane e la volontà della madre di lei di farla battezzare. Si noti che Tancredi non ha ancora scoperto l’identità del suo avversario. 67  Poco lontano da lì (quindi), nel fianco (sen) della collina, zampillava un ruscelletto mormorante. Tancredi vi corse per riempire l’elmo alla fonte, e tornò serio (mesto) al compito (ufficio) grande e santo [: al battesimo]. Si sentì tremare la mano, mentre liberò [dall’elmo] e scoprì la fronte ancora sconosciuta. La vide, la riconobbe (conobbe) e restò senza parole e paralizzato (senza…moto). Ah, che vista, ah, che conoscenza! Altro momento ricco di pathos: per battezzarla con l’acqua del ruscello, Tancredi deve sollevare l’elmo e finalmente riconosce l’amata. 68  [Tancredi] non morì perché in quell’istante (punto) raccolse tutte le sue forze (virtuti) e le mise a

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e premendo il suo affanno a dar si volse vita con l’acqua a chi co ’l ferro uccise. Mentre egli il suon de’ sacri detti sciolse, colei di gioia trasmutossi, e rise; e in atto di morir lieto e vivace, dir parea: “S’apre il cielo; io vado in pace”.

69 D’un bel pallore ha il bianco volto asperso, come a’ gigli sarian miste viole, e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso sembra per la pietate il cielo e ’l sole; e la man nuda e fredda alzando verso il cavaliero in vece di parole gli dà pegno di pace. In questa forma passa la bella donna, e par che dorma. 70 Come l’alma gentile uscita ei vede, rallenta quel vigor ch’avea raccolto; e l’imperio di sé libero cede al duol già fatto impetuoso e stolto, ch’al cor si stringe e, chiusa in breve sede la vita, empie di morte i sensi e ’l volto. Già simile a l’estinto il vivo langue al colore, al silenzio, a gli atti, al sangue. protezione del cuore, e reprimendo (premendo) la sua angoscia si rivolse a dare vita con l’acqua a colei che la spada aveva ucciso. Mentre lui pronunciò (il suon…sciolse) la sacra formula [del battesimo], lei si trasformò, assumendo un’espressione di felicità, e sorrise; e nell’atteggiamento di una morte lieta e vivificatrice (vivace) sembrava che dicesse: «Il paradiso si sta aprendo, io vado in pace». Ricevuto il battesimo, Clorinda può finalmente vivere, perché nella concezione cristiana la morte non è la fine della vita, se si ha fede e amore per Dio. Da notare che mentre la Porta Aurea si era chiusa prima che Clorinda potesse entrarvi, le porte del paradi-

so invece si aprono per la sua anima che, felice, ha finalmente trovato la pace che cercava. 69  [Clorinda] ha il volto bianco sparso (asperso) di un bel pallore, come sarebbero (sarian) i gigli misto alle viole [cioè: il rosa delle guance si mescola al pallore della morte], e fissa (affisa) gli occhi verso il cielo, e il cielo e il sole sembrano rivolti (converso: riferito ad entrambi i sogg., cielo e sole), per la pietà; e alzando la mano nuda [cioè senza guanto] e fredda verso il cavaliere gli rivolge invece delle parole un segno di pace [: gli tende la mano]. In questo atteggiamento (forma) trapassa (passa) la bella donna, e sembra che si sia addormentata.

70  Non appena (Come) egli (ei) vede l’anima nobile (gentile) uscita [dal corpo], lascia andare (rallenta) quelle forze (vigor) che aveva concentrato; e abbandona (cede) il libero controllo (imperio) di sé al dolore già divenuto (fatto) violentissimo (impetuoso) e folle (stolto), che (ch’) si stringe al cuore e, mentre [il dolore] rinchiude la vita in un piccolo spazio (in breve sede), riempie il volto e i sensi di morte. Il vivo [: Tancredi] è abbandonato (langue) ormai (Già) come (simile a) il morto [: Clorinda] quanto al colore, al silenzio, all’atteggiamento (a gli atti), al sangue [: che ricopre il suo corpo come quello di Clorinda].

Analisi e interpretazione le forme

Unità e varietà Il canto XII è esemplare di come lavora Tasso perché unisce episodi molto diversi tra loro in un insieme coerente e drammatico. Il centro del canto è infatti la morte di Clorinda: a questo evento fanno riferimento tutti i momenti della narrazione, dalla profezia di Arsete (che qui per motivi di sintesi non possiamo riportare) fino al colpo inferto dall’ignaro Tancredi alla donna amata. L’unità, per Tasso, è molto più importante della varietà: da sola quest’ultima non basta per la buona riuscita del poema, anzi deve essere decisamente subordinata alla prima. In questo, Tasso è fedele alla concezione aristotelica, che esclude la varietà e la discontinuità strutturale e il moltiplicarsi di scene ed episodi e impone all’azione una forte unità drammatica. Da questo punto di vista, Tasso si pone in netto contrasto rispetto al suo predecessore Ariosto, e del resto mentre la trama della Gerusalemme liberata è lineare e si concentra intorno a pochi nuclei tematici, l’Orlando furioso appare al

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confronto un grande labirinto dove è molto facile perdersi (torneremo a parlare di tutto questo più avanti). i temi e i motivi

Amore e morte  Il duello di Tancredi e Clorinda e la morte della donna rilanciano la centralità dell’opposizione amore/ morte, che è uno dei temi portanti della Gerusalemme liberata. In questo duello i due ambiti, che fino a questo momento erano stati separati, si fondono. Ad una lettura attenta, infatti, il combattimento viene presentato come un incontro erotico dalle conseguenze tragiche. La conclusione tragica  Il duello ha un esito tragico, perché come in molte tragedie classiche accade che il protagonista scopre di aver ucciso una persona amata (nella celebre tragedia di Sofocle, ad esempio, Edipo scopre di aver ucciso il padre Laio). Qui Tancredi uccide Clorinda ma si accorge solo alla fine che si tratta della donna amata, perché l’armatura nera lo ha ingannato. Rispetto alla tra-

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gedia greca, però, in Tasso c’è un elemento tipicamente cristiano. Quando Clorinda chiede a Rinaldo di darle il battesimo, avviene infatti una riconciliazione, non sotto l’insegna dell’amore terreno, ma sotto quella della fede cristiana. Tancredi e Clorinda possono finalmente riconoscersi solo quando diventano simili, fratelli dello stesso credo religioso, e quando riconoscono che esiste qualcosa più grande e più importante delle loro vite. La simbologia cristiana  Tutto l’episodio è ricco di simbologie religiose. L’armatura scelta da Clorinda per la sortita notturna è nera e nero è il colore del lutto. Quando Clorinda resta chiusa fuori dalle mura di Gerusalemme, possiamo già presagire il suo allontanamento dalla comunità degli “infedeli” e la sua conversione alla “vera” fede. Clorinda sale poi verso una «alpestre cima» (52, 3), e anche a questo movimento verso l’alto può essere attribuito un significato religioso. Anche la contrapposizione notte/alba ha un valore simbolico: la sortita e il duello con Tancredi avvengono durante la notte, ma Clorinda viene uccisa all’alba (quando tra l’altro l’«ultima stella», cioè il pianeta Venere, simbolo dell’amore pagano, si spegne): la sua morte è così presen-

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tata come un progressivo uscire dalle tenebre del peccato verso la nuova alba della conversione. Il sole (Dio) illumina pietosamente il momento della morte (69,3-4) e della rinascita in Paradiso. tasso e noi

Il “bifrontismo” di Tasso  L’episodio del duello fra Tancredi e Clorinda è profondamente ambiguo. Da una parte, come abbiamo visto, Tasso compie un’operazione ideologica, presenta cioè la conversione di Clorinda come un modello di virtù e celebra il trionfo della fede cristiana. Dall’altra però dissemina la descrizione di piccoli dettagli e allusioni erotiche che suggeriscono che il duello sia una metafora dell’atto sessuale: Tancredi infatti «Spinge la spada nel ben sen di punta, / … / e la veste, che d’or vago trapunta / le mammelle stringea tenera e leve, / l’empie d’un caldo fiume», 64, 3, 5-7). E quando Clorinda muore il suo volto sembra più bello («D’un bel pallore ha il bianco volto asperso», 69, 1). Questa ambiguità, o, come è stato chiamato dal critico Lanfranco Caretti, questo «bifrontismo» di Tasso, è molto moderna.

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