appunti di istologia ed embriologia

April 6, 2018 | Author: Anonymous | Category: Scienza, Medicina, Immunologia
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APPUNTI DI ISTOLOGIA ED EMBRIOLOGIA A Cura di 103010002

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1-Esame Istologico L'istologia è la disciplina scientifica che studia i tessuti vegetali e animali. È una importante branca della medicina, della chirurgia, essenziale per le analisi pre e post operatorie, e della biologia. I tessuti sono tipi cellulari differenziati per forma e funzione che sono presenti solo negli animali e nelle piante. L'istologia studia la morfologia dei tessuti, e le cellule che li compongono, sia da un punto di vista morfologico che funzionale. Strumento essenziale per l'istologia è il microscopio ottico, che permette l'osservazione diretta dei tessuti che si vogliono studiare. Perché tale osservazione sia possibile, tuttavia, i campioni di tessuto devono essere lavorati e trattati in vari modi: devono essere tagliati in strisce sottilissime, così da poter essere osservati in controluce, devono essere colorati in vari modi, così da poter essere più facilmente riconoscibili e distinguibili, e devono infine essere trattati in modo da prevenirne la decomposizione e permetterne la conservazione per analisi successive. Un tessuto che sia stato in questo modo trattato prende il nome di preparato istologico. Per prevenirne la decomposizione, i tessuti destinati all'analisi microscopica vengono trattati tramite un processo chiamato fissazione. La fissazione è resa necessaria dal fatto che, una volta asportati dall'organismo di appartenenza, i tessuti perdono rapidamente le loro proprietà chimiche e fisiche, sia a causa della variazione di temperatura e di PH, sia per l'azione dei microrganismi che immediatamente attaccano ed invadono il materiale biologico. Tramite la fissazione si riesce a ritardare, quando non ad impedire, questi processi, e a questo scopo i tessuti appena prelevati vengono trattati con composti chimici quali alcoli e aldeidi, i quali, appunto, fissano le molecole presenti nel tessuto nello stato chimico e nella posizione in cui si trovano in vivo. Un altro processo molto importante ai fini dello studio cellulare è l'inclusione: i tessuti biologici infatti, una volta tagliati nello spessore adatto all'osservazione microscopica perdono della consistenza necessaria al loro mantenimento. Vengono perciò inseriti (inclusi) in materiali più resistenti, che possano fungere da sostegno. Esistono diversi materiali adatti allo scopo, ma il più usato nei laboratori è la paraffina, un composto ceroso di natura lipidica. Un tessuto al microscopio non può essere guardato così come è stato prelevato. Infatti a causa del suo spessore, il microscopio non sarebbe in grado di indagare la sua struttura cellulare. Il primo ostacolo da superare è quello di rendere il campione molto sottile. Il macchinario atto a ciò è il microtomo. Ma per ottenere fette abbastanza sottili bisogna rendere meno molle il campione prelevato. Inoltre bisogna anche evitare di danneggiare le cellule e gli eventuali organuli. Nel suo complesso la cellula (racchiusa da una membrana plasmatica, al cui interno sono presenti vari organelli, tutti immersi nel citoplasma) è abbastanza delicata. Con il processo della fissazione si evita il deteriorarsi della cellula stabilizzando definitivamente le

strutture proteiche presenti al suo interno. È ovvio che una cellula fissata non è più viva. La fissazione è effettuata con l’uso di formalina. Risolto il problema della stabilità dei vari componenti della cellula bisogna rendere questa più dura, in modo da poter essere affettata dal microtomo. Una sostanza molto utile, sotto questo punto di vista, è la paraffina, un composto apolare e quindi non immiscibile in acqua. Nella cellula fissata è ancora presente tutta l’acqua che essa conteneva, quindi per poter fare in modo che la paraffina entri all’interno, bisogna disidratare la cellula. La disidratazione avviene con immersioni del campione fissato in alcol a gradazione decrescente. Terminato il processo di disidratazione, l’interno della cellula viene riempito con un composto apolare, lo xilolo. Tale fase, detta infiltrazione, è seguita dall’inclusione della paraffina. La paraffina a 60° è liquida, ed è a questa temperatura che viene inserita nella cellula. Il campione immerso nella paraffina liquida, viene messo in un congelatore, che abbassa la temperatura a 0° e la paraffina solidifica. A questo punto il campione può subire la successiva fase di taglio in strisce di spessore pari ai 7µm, che potranno poi essere osservate al microscopio. Un altro passaggio fondamentale per permettere lo studio dei tessuti al microscopio è la colorazione; i tessuti animali, infatti, sono nella maggior parte dei casi incolori, perché costituite in gran parte di acqua e prive di pigmenti, e trasparenti, tanto da risultare pressoché invisibili al microscopio ottico. Sono state perciò scoperte o realizzate, fin dalla nascita dell'istologia scientifica, una serie di sostanze coloranti, capaci appunto di colorare le cellule, o le diverse parti di una cellula, in modo da renderle immediatamente visibili e distinguibili. Al giorno d'oggi sono note moltissime sostanze di questo tipo, che possono essere divise in due grandi gruppi in base ai meccanismi con cui si legano ai diversi componenti cellulari, meccanismi che dipendono dal pH: -

i coloranti basici, che si legano alle molecole con pH inferiore a 7 (acide), come il DNA;

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i coloranti acidi, che si legano alle molecole con pH superiore a 7 (basiche), come gran parte delle proteine citoplasmatiche.

Nelle analisi istologiche vengono normalmente utilizzate coppie di coloranti basici/acidi, che colorano in modo diverso le diverse parti cellulari: un classico esempio è la colorazione con ematossilina/eosina, una delle più comuni in laboratorio: l'ematossilina, basica, colora il nucleo in blu, l'eosina, acida, colora il citoplasma in rosa. Esistono comunque molti altri composti, in grado di colorare organelli cellulari anche molto specifici. Oltre ai coloranti tradizionali, negli ultimi anni hanno preso piede anche le tecniche della immunochimica per individuare e distinguere i diversi componenti cellulari: queste tecniche, che risultano molto utili per evidenziare singole classi di molecole all'interno della cellula, prevedono l'uso di anticorpi opportunamente trattati, in grado di legare e visualizzare specifiche proteine, lipidi o carboidrati. Tutti i coloranti, che normalmente vengono utilizzati, sono idrosolubili, cioè si sciolgono in acqua, quindi bisogna reidratare il campione. La paraffina viene sciolta nello xilolo, e il processo di reidratazione avviene

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con bagni in alcol a gradazione crescente. Ora è possibile sciogliere i coloranti è osservare il preparato istologico. Ripetiamo la fasi per la preparazione di un preparato istologico: -

prelievo;

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fissazione;

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disidratazione;

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infiltrazione;

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inclusione;

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microtomia;

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reidratazione;

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colorazione.

Tra i coloranti ricordiamo il viola-ematossilina, che si lega al DNA rendendo di color viola il nucleo, e il rosaeosina che colora di rosa il citoplasma. Dopo aver aggiunto i coloranti, il campione viene di nuovo disidratato e poi infiltrato con xilolo. Alla fine la striscia si liuta sul vetrino, cioè si incolla sul vetrino per evitare che vada persa. Ora il preparato istologico è pronto per l’osservazione. Mediamente tutto il processo di preparazione del campione dura 16 ore. In casi estremi, in cui l’esito dell’esame deve essere repentino, il campione viene congelato con azoto liquido e tagliato con un particolare microtomo, detto criostato. Le sezioni criostatate, piene di acqua, vengono colorate direttamente e possono essere subito osservate al microscopio. Da notare che con questa tecnica il tessuto è vivo al contrario della precedente, nella quale la fissazione segnava la morte di tutte le cellule del tessuto. Con opportune tecniche è anche possibile esaminare l’attività cellulare di una determinata cellula. Gli enzimi risultano essere le molecole markers più utili. Siccome ogni enzima è specifico per un determinato substrato, anche il prodotto sarà legato alla presenza o meno dell’enzima. Quindi dalla presenza o assenza di un prodotto si può risalire all’attività di uno specifico enzima. Uno degli enzimi più utilizzato in questo ambito è la 5’-Nucleotidasi, la cui presenza massiva, a seguito di marcatura, spesso mette a nudo la natura cancerosa di una cellula. Altre tecniche di osservazione istologica si basano sulla metallizzazione, cioè la superficie della cellula viene ricoperta da un particolare metallo e bombardata da un fascio di luce. L’immagine riflessa viene catturata su una particolare superficie è analizzata, ottenendo l’immagine reale della cellula. È possibile ottenere fette più sottili utilizzando resina epossidica con una durezza pari a quella del vetro. Con questo metodo si ottengono strisce dello spessore di 200 Å. Utilizzando piombo e acetato di uranile la cellula viene colorata e bombardata da un fascio di elettroni, ottenendo così un’immagine della sezione. Per quanto concerne i microscopi, la risoluzione e qualità variano in base al modello. I vari tipi di microscopi sono: -

ottico;

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a fluorescenza;

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elettronico a scansione;

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elettronico a trasmissione.

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2-Citoanalisi La citoanalisi è la corretta descrizione di una cellula, identificando quelle che sono le sue principali strutture e da lì risalendo alla sua funzione. Per prima cosà si cerca di ricondurre la forma della cellula ad una particolare figura geometrica. Possiamo identificare come probabile forma di una cellula quella: -

sferica;

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ovoidale;

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cubica;

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fusata;

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polimorfa.

Successivamente si passa all’osservazione della superficie della membrana cellulare, rilevando opportune irregolarità (villi o blebs, prolungamenti citoplasmatici). Con l’indice nucleo/citoplasma si valuta la grandezza del nucleo rispetto al citoplasma cellulare. Fatto ciò si passa ad osservare il livello di compattamento del DNA all’interno del nucleo della cellula. Se la cromatina prevalente è di tipo eucromatico (chiara) vuol dire che numerosi geni sono espressi e che la cellula è in una fase di intensa sintesi proteica. Se invece il tipo prevalente è quello eterocromatico (scuro), allora la maggior parte dei geni sono spenti è ciò vuol dire che la cellula è “a riposo”, relativamente la produzione di proteine. Sempre nel nucleo, è possibile osservare delle particolari zone, i nucleoli. Il nucleolo è la fabbrica di produzione dei ribosomi, quindi la presenza del nucleolo è indice di attività di sintesi proteica. Tuttavia, la presenza eccessiva di nucleoli fa presagire che il tipo di cellula che si sta analizzando sia una cellula tumorale. Terminata l’osservazione del nucleo, si analizzano eventuali organelli cellulari. Un forte presenza di REG, ovvero reticolo endoplasmatico rugoso, fa intuire che la cellula sia impegnata nella secrezione extra-cellulare attraverso vescicole di trasporto, che dal REG, passando per il Golgi, arrivano sulla membrana plasmatica e liberano all’esterno il loro contenuto. Dalla presenza o meno del REL, reticolo endoplasmatico liscio, si comprende come la cellula sia implicata nella steroido-sintesi (sintesi di ormoni steroidei). La presenza massiva di mitocondri nella cellula è indice di intensa attività “cinetica”, ciò di intensa attività secretoria, o contrattile o di riassorbimento. Nel citoplasma è possibile rintracciare la presenza di granuli di glicogeno, la riserva di energia a breve termine. Da ciò si può intuire di come la cellula abbia un continuo bisogno di energia per poter svolgere tranquillamente le sue funzioni. Sempre nel citoplasma è possibile rinvenire delle strutture a forma di virgola, i poliribosomi o polisomi. L’aspetto a virgola è dovuto al fatto che più ribosomi citoplasmatici sono interessati nel tradurre contemporaneamente lo stesso m-RNA. Si possono rinvenire anche goccioline lipidiche, altra fonte di energia per la cellula, ma anche fonte di materia prima per la steroido-sintesi. I lisosomi sono lo stomaco delle cellule. Col passare del tempo, nei lisosomi si accumula materiale indigerito, creando dei caratteristici inclusi cellulari detti lipofuscine. La presenza delle lipofuscine è indice della senilità di una cellula. Infatti le cellule giovani hanno la capacità di evacuare all’esterno tutto ciò che i lisosomi non riescono a digerire. Ma col passare del

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tempo si perde tale capacità e si formano le lipofuscine. Altra struttura da analizzare è il citoscheletro, che in alcune popolazioni cellulari ha una importanza rilevante.

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3-Matrice Extracellulare I fosfolipidi di membrana a 37 °C sono mobili. A prova di ciò, marcando la testa dei fosfolipidi con l’ANS (Anilino-8-Naftalene-Sulfonato), una sostanza fluorescente, è possibile seguire lo spostamento lungo il doppio strato del fosfolipide marcato. L’ANS si lega alla testa del fosfolipide, che è idrofila, al contrario delle due code di acidi grassi che sono idrofobe. Le sostanze idrosolubili, per potere attraversare il doppio strato, hanno bisogno di opportuni canali che ne facilitino il passaggio. Questi canali sono costituiti da proteine transmembrana che formano una regione idrofila all’interno del doppio strato. Tra le proteine canale transmembrana ricordiamo le acquaporine, proteine canale che facilitano l’ingresso, all’interno della cellula, dell’acqua. Le acquaporine, sono una famiglia di proteine intrinseche, che si trovano nel mezzo del doppio strato lipidico di membrana e che consentono il flusso dell'acqua bidirezionalmente. Il loro peso molecolare si aggira intorno ai 36 – 78 Kd. Sono state identificate due famiglie di acquaporine: -

Acquaporine specifiche: consentono solo il trasporto dell'acqua. Il canale è costituito esclusivamente da amminoacidi, i quali legano solo molecole d'acqua e gli altri ioni e molecole non passano attraverso questo canale;

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Acquagliceroporine: anche queste consentono il passaggio dell'acqua, a differenza delle precedenti, consentono il passaggio di glicerolo e di altre molecole neutre.

La differenza sostanziale tra queste due classi di acquaporine, sta nella loro configurazione amminoacidica interna del canale. Infatti, sono presenti cinque porzioni all'interno del canale, note con il nome di P1, P2, P3, P4, P5. Ciascuna di queste porzioni, è costituita da una sequenza specifica di amminoacidi (configurazione specifica del canale proteico). A seconda della sequenza, potrà passare o solo acqua o acqua ed altre molecole. Sia le acquaporine che le acquagliceroporine, sono proteine, formate da dei domini transmembrana, che attraversano lo strato dei fosfolipidi. Affinché ci sia affinità tra la porzione di acquaporine che attraversa la membrana (dominio transmembrana) e la porzione lipidica della membrana, gli amminoacidi apolari che sono presenti in questa porzione, formano dei legami deboli con i lipidi. Le molecole d'acqua, attraversano l'acquaporina, per mezzo di un canale, chiamato porocanale. Il porocanale per l'acqua è una struttura, formata dall'associazione di 4 subunità proteiche, unite per formare appunto il porocanale. Ogni subunità, è formata da 6 dei domini transmembrana, che attraversano il doppio strato lipidico della membrana cellulare. Questi 6 domini transmembrana, sono orientati in modo particolare, cioè hanno un orientamento bidirezionale e sono speculari. Nel porocanale, sono presenti degli amminoacidi che presentano dei gruppi carichi (ad esempio, come il gruppo NH3+ della catena laterale dell'asparagina), a ciascuno dei quali può andare a legarsi la molecola d'acqua. Ciascuna ansa, è costituita da amminoacidi che le consentono di assumere una conformazione elicoidale. Le acquaporine, sono presenti in tutti gli organi, ma il

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numero maggiore di acquaporine è riscontrato nel rene. Il rene, oltre ad altre funzioni, è l'organo deputato alla regolazione dell'osmolarità dei liquidi del corpo umano, ed è per questo motivo che le acquaporine sono espresse maggiormente in questo organo. I tratti del rene deputati al riassorbimento dell'acqua sono: tubulo contorto prossimale e il tratto discendente dell'ansa di Hanle. Il tratto ascendente dell'ansa di Hanle e in parte il dotto collettore, sono impermeabili all'acqua. Prelevando un campione di linfonodo, si congela con azoto liquido per osservarlo in freeze-etching. Al microscopio il campione è un sistema a due fasi: -

la sostanza fondamentale;

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il collagene.

La sostanza fondamentale, come la malta, assorbe le forze di compressione, mentre il collagene come il ferro, scarica le forze di trazione. La sostanza fondamentale è apparentemente disorganizzata ma in realtà è possibile rinvenire una precisa disposizione spaziale. La sostanza fondamentale è costituita da proteoglicani, costituiti a loro volta da: -

GAGs, ovvero glicosamminoglicani;

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Core protein, una proteina centrale che forma l’asse su cui si legano i vari GAGs.

Il sistema core protein-GAGs forma un proteoglicano. Un GAGs è la ripetizione di un zucchero disaccaride di cui almeno uno è sulfonato, al contrario invece di altri polisaccaridi, come il glicogeno, che sono la ripetizione di un singolo monosaccaride. I GAGs sono: -

Acido Ialuronico formato da acido glicuronico e glucosamina, è l’unico GAGs che non è sulfonato;

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Condroitin Solfato 4, formato da acido glicuronico e galattosamina;

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Dermatan Solfato, formato da iduronico e galattosamina;

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Condroitin Solfato 6, che ha gli stessi costituenti del CS4 solo che è sulfonato in posizione 6;

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Eparan Solfato, formato da glicuronico e glucosamina;

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Keratan Solafato, galattosio e glucosamina.

Tutti i proteoglicani, attraverso una link protein, sono collegati ad un filo centrale di acido ialuronico. Questa ultrastruttura ha il compito di ottimizzare la resistenza alle forze di compressione, dando un certo grado di deformabilità alla superficie senza alterarne la forma una volta che la forza di compressione ha smesso di agire. La natura “a spugna” dei proteoglicani è da ricondurre alla presenza di ioni nelle loro subunità. Tali ioni portano con sé una grande quantità di acqua, che a seguito di una compressione viene eliminata all’esterno, ma viene richiamata nella sua posizione iniziale una volta terminata la compressione. Il collagene è la proteina più abbondante del nostro corpo. La fibra di collagene, visibile a occhio nudo, è formata da tante fibrille. La fibrilla è l’unità di base e ogni fibrilla è costituita da più microfibrille. Ogni singola microfibrilla è formata da nanofibrille. Una nanofibrilla è costituita dall’unione di tre subunità di

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tropocollagene. La sintesi del collagene avviene sul RER, dove vengono fabbricate le singole catene α/β. Successivamente tre catene elementari vengono assemblate insieme a formare la tripla elica del collagene. Il collagene è insolubile in acqua quindi le estremità terminali contengono dei peptidi di registro, che oltre ad indirizzare la tripla elica all’esocitosi, impediscono anche la formazione di forze idrofobiche che potrebbero creare inclusioni cellulari. La rimozione dei peptidi di registro avviene sul lato esterno della membrana plasmatica e a questo punto si forma la molecola di tropocollagene. Nel processo di formazione della tripla elica, i residui degli amminoacidi lisina e prolina vengono idrossilati. L’idrossilazione di tali residui ha come fine quello di rendere più stabile e forte la tripla elica di collageno. La formazione di idrossilisina e di idrossiprolina è supportata da coenzimi quali l’α-chetoglutarato, la Vitamina C, l’Ossigeno e il Ferro. Una volta che la tripla elica di collageno è esocitata, enzimi specifici rimuovono i peptidi di registro, e tre triple eliche di tropocollagene si uniscono a formare una nanofibrilla di collageno, costituita da circa 1000 amminoacidi. L’organizzazione, la costruzione e la demolizione della matrice e sotto il controllo dei fibroblasti, cellule specializzate nel sintetizzare, ordinare nello spazio e demolire i vari componenti della matrice extracellulare. Col passare del tempo la nanofibrilla di collageno tende ad invecchiare, così esistono collageni “giovani” e “anziani”. La presunta “età” del collageno è da mettere in relazione con la presenza o meno di legami covalenti all’interno della tripla elica. Tali legami covalenti destabilizzano la struttura totale rendendola meno elastica e più fragile. Il processo di formazione di legami covalenti incrociati, all’interno della tripla elica, è detto cross linking. La probabilità che si verifichi un cross linking cresce con il passare del tempo, ma anche altri fattori, come periodi intensi di esposizione ai raggi solari, favoriscono la formazione di legami covalenti crociati e quindi portano il collageno ad invecchiare. I fibroblasti sono le cellule fondamentali del tessuto connettivo propriamente detto; la loro funzione è quella di produrre le fibre e gli altri componenti della matrice extracellulare, che costituisce l'elemento di gran lunga più abbondante del tessuto, e dalla quale dipendono le funzioni di sostegno proprie del connettivo. I fibroblasti sono generalmente di aspetto fusiforme, sebbene ne esistano varietà che presentano morfologie anche molto diverse, come un aspetto stellato o tentacolare. Si trovano generalmente dispersi nella matrice da loro stessi creata, ed in molti casi sono disposti lungo le fibre. Gli autori della disposizione ordinata nello spazio dei componenti della matrice extracellulare appartengono al cosiddetto team fibroblastico, formato da: -

Fibroblasto, cellula che sintetizza i vari componenti della matrice;

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Fibrocita, cellula che monitora la situazione attuale della matrice;

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Fibroclasta, cellula che attiva le metalloproteasi, demolendo e rinnovando la matrice;

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Miofibroblasta, cellula che dispone e orienta nello spazio le varie componenti per ottimizzare al meglio le loro funzioni.

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Il telaio formato dal team fibroblastico può andare incontro a delle progressive trasformazioni, diventando in un primo momento cartilagine e poi tessuto osseo. Cellule di funzione analoga sono presenti nei diversi sottotipi di tessuto connettivo, anche se presentano in alcuni casi peculiarità funzionali. In particolare: -

I condroblasti producono la matrice del tessuto cartilagineo;

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Gli osteoblasti producono la matrice del tessuto osseo, caratterizzata dal fatto di essere calcificata;

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I cementoblasti e gli odontoblasti producono la matrice nei denti.

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4-Il Tendine I tendini sono strutture di tessuto connettivo denso che legano i muscoli alle ossa, a differenza dei legamenti che sono strutture fibrose che legano tra loro due ossa. Dal punto di vista biomeccanico vengono divisi in tendini di ancoraggio e tendini di scorrimento. Questi ultimi sono provvisti di una guaina (guaina tendinea o sinoviale) che li protegge durante la loro attività. Il tendine è un potente cavo che lavora scorrendo all’interno di una guaina di protezione: il paratenion. Il paratenion, al suo interno, è rivestito dalla sinovia. Il tendine è un composito, cioè è costituito da matrice proteoglicanica, collagene ed elastina. Tale miscela permette al tendine di resistere sia a forze di compressione che di trazione. Il tendine risulta essere compartimentalizzato. Se si osserva la sezione di un tendine si possono notare le seguenti zone: -

Epitenio, la zona più esterna che avvolge l’intero tendine;

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Peritenio, zona intermedia, interna all’epitenio;

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Endotenio, la zona costituita dal raggruppamento di più fibrille di collageno.

Quindi, partendo dall’interno, avremo che il peritenio circonda ogni singolo endotenio, e tutto ciò è compreso dall’epitenio. L’unità di base del tendine è la fibrilla e il peritenio raggruppa più fibrille di collageno. Le popolazioni cellulari del tendine prendono il nome di tenociti. Il team di tenociti è formato da: -

Epitenociti OUT, addetti alla lubrificazione del tendine, tramite la produzione di lubrificanti per ridurre al minimo l’attrito tra epitenio e paratenion;

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Epitenociti IN, cellule addette alla demarcazione, ovvero stabiliscono i corretti confini delle varie zone del tendine, evitando crescite anormali e disastrose, al fine della corretta funzione del tendine;

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Peritenociti, addetti alla costruzione del tendine;

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Endotenociti, addetti alla manutenzione del tendine.

Al microscopio è possibile notare la presenza dei tenociti nel tendine. Il numero di tenociti diminuisce con l’età, quindi un tendine giovane avrà un numero maggiore di tenociti rispetto ad un tendine più anziano. La densità cellulare per mm3 decresce con l’età, divenendo circa un quarto intorno ai 25 anni e continuando a diminuire ancora. Al contrario, invece, l’area della sezione trasversale, in mm2, del tendine aumenta di circa 8 volte nei primi 25 anni di vita, per poi stabilizzarsi e decrescere in età tarda. I tendini invecchiano precocemente a causa della stabilizzazione molecolare. Sia la sintesi di collageno, che la produzione di proteoglicani, sono strettamente correlati. L’interazione matrice-collageno è di grande importanza al fine del corretto funzionamento del sistema. Eventuali squilibri nella miscela di composizione possono causare dei seri danni a livello strutturale e funzionale. Il tendine lega un muscolo all’osso, e la struttura del tendine è resa

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ancora più elastica dalla presenza della proteina elastina. L'elastina è una proteina costituente il tessuto connettivo che è elastica e permette a molti tessuti dell'organismo di tornare alla loro forma originaria dopo essere stati sottoposti a forze di stiramento o di contrazione. L'elastina è un costituente fondamentale della pelle, conferendole la caratteristica risposta elastica quando il tessuto è sottoposto a tensioni meccaniche. L'elastina è principalmente composta dagli amminoacidi glicina, valina, alanina e prolina. Strutturalmente è formata da molte molecole di tropoelastina, idrosolubile e con massa molecolare di circa 70.000 dalton, legate da legame covalente formatosi in seguito a reazione catalizzata da lisil ossidasi. Il prodotto finale consiste in un voluminoso composto insolubile con resistenti legami cross-linked. In percentuale un tendine è costituito da: -

80% collagene, tipo I, II, V, VI;

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3% elastina;

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1% proteoglicani, Keratan Solfato (KS), Dermatan Solfato (DS), Condroitin Solafato (CS).

Per evitare attriti che possano rovinare le superfici di contatto, il tendine è immerso in un fluido. Il tendine si ancora all’ossa tramite giunzioni muscolo-tendinee e all’osso tramite giunzioni osteo-tendinee. Nelle giunzioni e lungo il tendine è possibile rinvenire alcune peculiari popolazioni cellulari, atte a supervisionare l’integrità del tendine e intervenendo, con opportuni segnali, ad evitarne la rottura. Le cellule atte a tale compito sono: -

Cellule del Golgi, presenti nella giunzione muscolo-tendinea, misurano l’intensità dello sforzo onde prevenire la separazione del tendine dal muscolo;

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Cellule di Ruffini, presenti in ambo le giunzioni e misurano il grado di allungamento del tendine onde evitarne la rottura;

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Cellule del Pacini, presenti nella giunzione osteotendinea, misurano l’accelerazione in loco e controllano che il tendine non si stacchi dall’osso;

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Cellule Pain o del dolore, presenti lungo tutto il tendine, atte a segnalare eventuali malfunzionamenti onde prevenire la totale compromissione del tendine.

Tutte queste cellule monitorano contemporaneamente la situazione interagendo tra di loro. Solo in casi estremi si attivano le cellule del dolore causando sensazioni spiacevoli, onde evitare la totale compromissione della struttura. Un tendine può allungarsi, ma l’allungamento eccessivo potrebbe indebolire la struttura e causarne la rottura. Infatti raggiunto un punto di stiramento limite, detto set-point, il tendine non è più in grado di sopportare la forza di trazione e può strapparsi. Il punto di set-point è definito geneticamente, ma può essere modificato con l’allenamento, droghe, etc… Un continuo allenamento porta alla sintesi di maggiori quantità di proteoglicani e collagene e di conseguenza la sezione trasversale del tendine aumenta. Un periodo di disuso, al contrario, fa diminuire la sezione trasversale.

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Normalmente lungo la catena respiratoria “viaggiano” 4 elettroni, che alla fine saranno accettati dall’ossigeno e si avrà la formazione di due molecole di H2O. Questo continuo trasferimento di elettroni ha come fine ultimo la sintesi di ATP, la moneta energetica della cellula. Tuttavia se viene trasferito un solo elettrone, questi è in grado di unirsi a qualunque molecola, inducendo la formazione di legami forti intermolecolari, come il legame covalente. Tali legami possono alterare la funzione di una proteina causando dei seri danni. L’enzima superossido dismutasi (SOD) cattura l’elettrone è lo “intrappola” costruendo una molecola di perossido di idrogeno, H2O2, altamente instabile alle condizioni cellulari. Il perossido di idrogeno viene trasformato, ad opera della Perossidasi GSH, in acqua. Se lungo la catena degli elettroni viaggiano 3 elettroni, alla fine può crearsi un composto altamente instabile che subito si scinde in acqua e ione idrossile (OH-). Il radicale ossidrile R-OH è molto reattivo e micidiale, ma non è l’unico radicale a formarsi. Gli organismi aerobici, scegliendo come accettore finale della catena respiratoria l’ossigeno, vanno incontro ad una graduale formazione di radicali liberi come: -

RO, alcossi radicali;

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ROO, perossi radicali;

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ROOH, idroperossidi.

I ROS, cioè i radicali dell’ossigeno, sono molto reattivi, ovvero possono legarsi a qualunque proteina, destabilizzandola. Il punto di set-point di un tendine si abbassa in seguito all’aumento della concentrazione di ROS. Sono i ROS i maggiori responsabili dell’invecchiamento del collageno, e della destabilizzazione della tripla elica, rendendo la struttura meno deformabile e più fragile. Per contrastare l’azione distruttiva dei ROS, in natura esistono delle sostanze in grado di neutralizzarli. Tali sostanze prendono il nome di scavanger, ovvero anti-ossidanti. Gli antiossidanti sono molecole che rallentano o prevengono l'ossidazione di altre molecole. L'ossidazione è una reazione chimica che trasferisce elettroni da una sostanza ad un ossidante. Le reazioni di ossidazione possono produrre radicali liberi, responsabili dell'avvio di una reazione a catena che danneggia le cellule; gli antiossidanti terminano queste reazioni a catena intervenendo sui radicali intermedi ed inibendo altre reazioni di ossidazione facendo ossidare se stessi. Come risultato, gli antiossidanti sono spesso agenti riducenti come tioli o polifenoli. Anche se le reazioni di ossidazione sono fondamentali per la vita, possono essere altrettanto dannose; perciò, piante ed animali mantengono complessi sistemi di molteplici tipi di antiossidanti, come glutatione, vitamina C e vitamina E, così come enzimi quali catalasi, superossido dismutasi e varie perossidasi. Livelli troppo bassi di antiossidanti o di inibizione degli enzimi antiossidanti causano stress ossidativo e possono danneggiare o uccidere le cellule. Così come lo stress ossidativo è stato associato alla patogenesi di molte malattie umane, così l'uso degli antiossidanti in farmacologia è stato intensamente studiato, in particolare nei trattamenti dell'ictus e delle malattie neurodegenerative; ma non si sa se lo stress ossidativo sia la causa o la conseguenza di queste malattie. Gli antiossidanti sono largamente usati come ingredienti negli integratori alimentari con la speranza di mantenere il benessere fisico e prevenire

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malattie come cancro e cardiopatie coronariche. Anche se alcuni studi hanno suggerito che l'integrazione di antiossidanti ha benefici sulla salute, molti altri studi di ricerca medica non hanno rilevato alcun beneficio per le formulazione testate, mentre un eccesso di integrazione può occasionalmente risultare dannoso. Le patologie associate al tendine sono collegate ad una cattiva organizzazione della matrice extracellulare, oppure ad una errata composizione della matrice, oppure ancora dalla mancata collaborazione del team tenocitico. Il tendine è in grado di autoripararsi. A seguito di un danno, i detriti presenti nella zona lesionata vengono rimossi. Migrazioni di nuove cellule e neosintesi di matrice portano alla guarigione. Gli epitenociti migrano e raggiungono la zona lesionata, dove fagocitando detriti e cellule morte, determinano un’area da riempire. L’area viene colonizzata da peritenociti e endotenociti che sintetizzano collagene e matrice. I tenociti, in caso di un danno del tendine, da resting diventano activated. In base al paradigma dell’intrinsic repair di Gelbermann, il tendine possiede tutti i meccanismi per una autoriparazione, tuttavia, un tendine riparato recupera solo parzialmente le sue principali caratteristiche fisico chimiche, quindi è meno resistente. Un tendine riparato possiede più collagene, ma soprattutto possiede collageno con numerosi crosslinks, quindi molto più rigido. Gli obbiettivi di una tendo-integrazione sono: -

Ridurre il danno;

-

Regolare la riparazione;

-

Ripristinare la funzione;

-

Ottimizzare la funzione.

Ritornando agli scavanger, la Vitamina C è uno di questi. L'acido ascorbico o vitamina C è un monosaccaride antiossidante che si trova sia negli animali che nelle piante. Negli umani non può essere sintetizzato e deve essere introdotto con la dieta. Molti altri animali sono in grado di produrre questo composto nei loro corpi e non ne hanno bisogno nella loro dieta. Nelle cellule, viene mantenuto nella sua forma ridotta per reazione con glutatione, che può essere catalizzata da proteina disulfide isomerasi e glutaredossine. L'acido ascorbico è un agente riducente e può ridurre e di conseguenza neutralizzare le specie reattive dell'ossigeno come il perossido di idrogeno. Tale vitamina, oltre a svolgere la funzione di stabilizzare la tripla elica di collagene, ho una duplice funzione anti-ROS: -

funzione anti-ROS diretta, ovvero la Vitamina C elimina direttamente i ROS;

-

funzione anti-ROS indiretta, ovvero la Vitamina C stimola la sintesi di Perossiderossina (PRDX5), un agente anti-ossidante.

Esistono tre tipi di cartilagine: -

Cartilagine Ialina, ovvero la cartilagine articolare, che riveste le superfici ossee o capi articolari, per evitarne il consumo per attrito. Se la cartilagine ialina si consuma, il capo articolare va incontro a processi di artrosi. La popolazione cellulare della cartilagine è il condrocita, che risiede in appositi loculi, detti lacune. Il sistema lacuna-condrocita prende il nome di condrone;

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-

Cartilagine Elastica, è la cartilagine che forma i padiglioni auricolari. Componente presente in quantità massiva in questo tipo di cartilagine è l’elastina, che dona maggiore elasticità e resistenza alle trazioni;

-

Cartilagine Fibrosa, che costituisce la parte cartilaginea del naso e i dischi intervertebrali.

Il disco intervertebrale è formato da un nucleo polposo avvolto da una fascia continua di collagene, chiamato anello fibroso, a mò di cassino. Le fibre di collageno hanno orientamento diverso per potere scaricare nel migliore dei modi eventuali forze di trazione provenienti da direzioni diverse. Nella fascia di collageno vi sono i condrociti. I gruppi isogeni sono gruppi di condrociti che hanno avuto origine da una stesso condrocita capostipite. In base alla loro disposizione nello spazio i gruppi isogeni possono essere: -

Assiale, se si dispongono uno in fila all’altro;

-

Radiale, se si dispongono circolarmente.

Visto al microscopio, il condrocita ha una forma circolare, con blebs. Particolare caratteristica è la presenza di granuli di glicogeno, PAS + (Acido Periodico di Schift), nel citoplasma. La reazione PAS (acido periodico - reattivo di Schiff) è una reazione istochimica che evidenzia colorando in rosso magenta componenti tessutali contraddistinti da gruppi glicolici o aminoidrossilici adiacenti. I componenti maggiormente evidenziati da questa tecnica sono quelli glucidici del glicocalice, della membrana basale, della mucina e dell'eparina. Tuttavia alcuni glucidi (in particolare alcuni GAG acidi o solforati) non vengono evidenziati poiché la presenza di gruppi carbossilici o solforici può bloccare la reattività dei gruppi glicolici nella reazione PAS (per evidenziare questi composti è in genere utilizzato l'Alcian Blu al posto della reazione PAS). La colorazione PAS + dei condrociti avviene perché la cartilagine non è vascolarizzata, quindi i condrociti hanno la necessità di conservare grandi quantità di glicogeno per poterlo poi utilizzare per la produzione di metaboliti. Il disco intervertebrale è in grado di far compiere a due vertebre particolari movimenti, come la flessione, l’estensione e l’inclinazione. I dischi intervertebrali durante il giorno vengono schiacciati dal peso corporeo assottigliandosi, così al mattino si è leggermente più alti rispetto a tutto l’arco della giornata. Quando il disco intervertebrale tende ad uscire dalla proprio sito di alloggiamento, si ha un’ernia discale. Il dolore è causato dall’incontro del disco erniante con la radice di un nervo. L’origine dell’ernia è anche dovuto al cambiamento dei costituenti del nucleo polposo. Tale sostituzione porta ad una perdita di elasticità del nucleo diminuendo anche il fattore di compressibilità. Così per poter bilanciare forze di compressione, il disco, che non può più deformarsi, slitta dalla sua posizione originale e ernia.

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5-La Cartilagine I capi articolari sono rivestisti da cartilagine ialina, la quale ha il compito di evitarne l’eccessiva usura. Tuttavia tali cartilagini vanno incontro ad un precoce processo di deterioramento che prende il nome di artrosi. L'artrosi (o osteoartrosi) è una malattia a carico delle articolazioni, soprattutto della colonna vertebrale e delle ginocchia, che colpisce la cartilagine, provocando lesioni degenerative della stessa (osteofiti). A differenza dell'artrite (che è un processo infiammatorio), l'artrosi è un processo degenerativo. Si manifesta inizialmente con lesioni involutive delle articolazioni (perdita della cartilagine che riveste i capi articolari): causate o da sovraccarico o dall'attività di enzimi che attaccano la cartilagine. I condrociti (cellule che producono il tessuto cartilagineo) diminuiscono e i detriti che si formano per la degenerazione del tessuto vengono fagocitati dai macrofagi. L'opera di questi ultimi avviene con il rilascio di sostanze che producono un'infiammazione locale che danneggia ulteriormente la cartilagine fino alla totale scomparsa. Si hanno quindi modificazioni del tessuto osseo circostante, osteofitosi periarticolari (generazione di osteofiti, escrescenze ossee anomale), distrofie, sclerolipomatosi periarticolari. L'artrosi può essere localizzata e generalizzata. Nel primo caso dipende da fattori specifici della zona colpita, come traumi e malformazioni, mentre nel secondo caso è causata da un complesso di fattori non tutti perfettamente identificati: senescenza dei tessuti, alterazioni endocrine, fattori di sovraccarico articolare come l'obesità e disturbi metabolici di vario tipo. È propria dell'età avanzata (colpisce l'80% delle persone con più di sessantacinque anni), ma può interessare anche soggetti relativamente più giovani, e si manifesta con una notevole riduzione della funzionalità dell'articolazione. L'artrosi è inizialmente caratterizzata da dolori lievi, più frequenti nelle ore che seguono il risveglio e in quelle che precedono il riposo. Il dolore non deriva dall'articolazione (che è priva di terminazioni nervose), ma dall'infiammazione della membrana sinoviale, da stiramenti dei legamenti e della capsula, da microfratture ossee ecc. I sintomi si acuiscono con il progredire della malattia, provocando sofferenza ininterrotta e riduzione o inibizione delle capacità motorie. Il trattamento varia in relazione all'articolazione interessata e allo stadio raggiunto dalla patologia. A occhio nudo la superficie articolare appare liscia come una palla da biliardo. Ma successivi ingrandimenti rilevano l’esistenza di una superficie scabra, piena di irregolarità. Ingrandimenti successivi marcano l’esistenza di vere e proprie montagne, valli, insenature. La superficie ingrandita della cartilagine ricorda molto quella lunare con i suoi mari e crateri, tanto è vero che si parla di paesaggi ialini, proprio per sottolinearne la peculiarità. Facendo una sezione trasversale di un capo articolare, si possono notare tre zone distinte: -

La lamina splendens, lo strato che non c’è;

-

La cartilagine vera e propria;

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-

L’osso sub-condrale.

La lamina splendens è il frutto della precipitazione dei vari componenti del liquido sinoviale. Questi detriti si addensano sulla cartilagine formando una pellicola irregolare atta a proteggere la cartilagine sottostante. La cartilagine è un composito, cioè resiste bene alle forze di compressione, trazione e taglio. Analizzando nei dettagli la struttura della cartilagine, si nota che è formata in gran parte da matrice extracellulare, quindi proteoglicani e collageno. La peculiarità è la disposizione ordinata nello spazio del collageno, che forma delle arcate, molto utili per lo scarico delle forze. Tali arcate prendono il nome di isostatiche di Benninghoff. A tutto ciò, dal punto di vista cellulare, presiede il condrocita. La struttura del condrocita ha per anni affascinato studiosi e ricercatori. Il condrocita è avvolto da una serie di strati di collageno impermeabili, che lo isolano dall’ambiente esterno, quindi dalla matrice. Tali strati formano una sorta di gabbia in cui il condrocita è intrappolato dentro. Il sistema strati-condrocita, prende il nome di condrone. Ogni condrone risiede in una lacuna. I condroni si possono disporre singolarmente, oppure in coppia, oppure multipli, uno in fila all’altro lungo le isostatiche. I condrociti sono i produttori della matrice extracellulare. Ma siccome ogni condrocita è circondato da una “gabbia” di collagene impermeabile a lungo ci si è interrogati sulle modalità di scambio di prodotti e metaboliti. Recenti studi, hanno messo in evidenza l’esistenza di pori sulla gabbia. Questi pori, in fase di riposo sono chiusi. Durante periodi di attività, questi posi si aprono, facendo uscire all’esterno tutto ciò che viene sintetizzato dal condrocita. Tale fase prende il nome di “sistole” secretoria. Il ritorno allo stato di riposo genera una corrente di risucchio che porta all’interno del condrone eventuali sostanze nutritive. Tale fase è detta “diastole” secretoria. Come accennato prima, è il movimento a far aprire la gabbia. Il condrocita si sposta all’interno della gabbia e durante questo spostamento è in grado di regolare l’espressione di particolari geni. Lo spostamento nello spazio è ammortizzato da una serie di “molle proteiche” che sostengono in condrocita all’interno della gabbia. A seguito dello spostamento, il condrocita è in grado di capire quando è il momento di esocitare i propri prodotti all’esterno, a seguito di una sistole, quando assorbire metaboliti dall’esterno nella fase di diastole, oppure quando fermarsi nella propria attività (fase di resting). Infine il condrone è dotato di un ciglio, che funziona a mò di sensore meccanico e informa la cellula sul suo stato posizionale nello spazio. Per matrisoma si intende il sistema formato da condrocita e molecole correlate. Il matrisoma è sottoposto ad una costante revisione. Tale revisione è possibile grazie alla presenza, in matrice, delle metalloproteasi. Ogni 20 giorni vengono rinnovati proteoglicani, glicoproteine e acido ialuronico, mentre ogni 3 anni viene rinnovato il collagene. Le metalloproteasi (MMP) sono già presenti nella matrice unite al TIMP, l’inibitore delle MMP. In questo modo le MMP sono innocue. All’arrivo di una particolare tipo di molecola segnale, il TIMP viene rimosso dalle MMP, che vengono attivate. La riunione di TIMP con MMP blocca di nuovo l’azione demolitrice delle MMP. I capi articolari sono avvolti da una borsa, detta borsa sinoviale. La sinovia è formata da due popolazioni cellulari:

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-

Il Sinoviocita A, o analizzatore, il cui compito è quello di monitorare costantemente l’ambiente presente all’interno della borsa;

-

Il Sinoviocita B, o sintetizzatore, che sotto il controllo del sinoviocita A, produce acido ialuronica a densità variabile.

La Barriera Emato-Sinoviale (BES), evita che il sangue possa raggiungere l’interno della borsa, ma allo stesso tempo favorisce la diffusione dei metaboliti utili alle cellule. La BES è costituita da 3 livelli di protezione: -

I livello, formato dal capillare stesso;

-

II livello, formato dal collageno;

-

III livello, formato da acido ialuronico ad alta densità.

Nella BES vi sono molte giunzioni nervose, la maggior parte delle quali sono nocicettive. Infatti si ritiene che oltre l’80% di terminazioni nervose siano terminazioni nocicettive. Il liquido sinoviale è un liquido pseudoplastico non newtoniano, ovvero la densità di tale liquido varia in funzione della temperatura. Il liquido sinoviale è una miscela di lubrificazione, costituita da: -

Surfactanti;

-

Acido ialuronico;

-

Lubricine.

Un modello di come tali componenti possano essere organizzati è il modello a SAPL film, ovvero Surface Active Phospho-Lipid. Il biofilm elasto-idro-dinamico è formato da lubricine collegate insieme da acido ialuronico. Tale sistema forma una pellicola biologica ripiegata su se stessa, in questo modo si evita che i capi articolari entrino in contatto al momento dell’azione. I processi artrosici sono degenerazioni naturali della cartilagine ialina. Al microscopio, la superficie di una cartilagine artrosica manca di condrociti, ovvero questi sono tutti morti. L’origine di un processo artrosico può essere di varia natura: -

Collasso strutturale della tensostruttura;

-

Forza non neutralizzata;

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Cedimento strutturale;

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Insufficienza condrocitaria.

La prima componente a venir meno è la matrice. A seguito di ciò la lamina splendens prima si addensa, poi si scheggia, e infine si dissolve. Alla scomparsa della lamina splendens si aggiunge la graduale diminuzione del numero di condrociti presenti. Sui layers superficiali si notano dapprima delle fessurazioni, che con l’andare del tempo diventano sempre più grandi, formando così fenditure. Lo stadio successivo è la comparsa di macrofenditure o faglie, che si addensano, disallineano e alla fine si staccano dalla superficie (Spreading) formando dei frammenti che vagano nella capsula sinoviale. Le isostatiche di Benninghoff tendono mano a mano a rovinarsi. I condrociti sotto stress vanno incontro a processi apoptotici lasciando vuote le lacune. I Debris

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sono frammenti di cartilagine che si è staccata dalla superficie e che vaga all’interno del liquido sinoviale. Sono i debris a generare il processo infiammatorio che porta al dolore. Il sinoviocita A nota la presenza di frammenti all’interno della borsa, una situazione del tutto fuori dalla normalità. Tale cellula induce il sinoviocita di tipo B a secernere altro liquido sinoviale. Tale azione innesca una cascata di processi che ha come risultato unico quello di dare origine alla flogosi e al dolore. Il tessuto osseo è una modificazione del tessuto cartilagineo. Il tessuto osseo è un tessuto caratterizzato da una notevole durezza e resistenza. Istologicamente, è un tipo particolare di tessuto connettivo, costituito da cellule disperse in una abbondante matrice extracellulare, costituita da fibre e da sostanza amorfa di origine glicoproteica; questa ha la peculiarità di essere inoltre calcificata, ovvero formata anche da minerali. Il tessuto osseo forma le ossa, che concorrono a costituire lo scheletro dei vertebrati, svolgendo una funzione di sostegno del corpo, di protezione degli organi vitali (come nel caso della cassa toracica) e permettendo, insieme ai muscoli, il movimento. L’osso è costituito da: -

Osso compatto, organizzato in lamelle;

-

Osso spugnoso, presente all’interno dell’osso compatto e sede del midollo osseo.

La prima sostanziale differenza tra l’osso e la cartilagine risiede nella composizione della matrice extracellulare. Nell’osso, alla componente organica (proteoglicani e collagene), è affiancata una certa quantità di minerali inorganici. In percentuale la parte inorganica dell’osso è costituita da: -

85%, Idrossiapatite (Fosfato Tricalcico Basico);

-

10%, Carbonato di Calcio;

-

5%, Floruro di Calcio, Fosfato di Magnesio, Citrato, Sodio, Potassio, Magnesio, Zinco, Rame, Terre Rare.

L'idrossiapatite è un minerale raro avente composizione chimica Ca5(PO4)3(OH), fa parte del gruppo degli apatiti e contiene un gruppo OH. I cristalli di idrossiapatite hanno la forma di un prisma molto sottile dalla forma esagonale, il colore del minerale è variabile e nelle forme più comuni si trova in giallo pallido. L'idrossiapatite è anche prodotta e riassorbita da tessuti organici, questa infatti è uno dei componenti principali delle ossa trovandosi sottoforma di sali di Calcio: CaCO3 (carbonato di calcio), Ca3(PO4)2 (fosfato di calcio) e CaF2 (fluoruro di calcio). L'idrossiapatite ha durezza 5 e peso specifico che varia da 2,9 a 3,2. L'idrossiapatite è il principale costituente minerale del tessuto osseo. Infatti, il 99% del calcio presente nell'organismo umano è immagazzinato nel tessuto osseo sotto forma di idrossiapatite. L'idrossiapatite può essere usata come riempitivo per sostituire ossa amputate, oppure come rivestimento per stimolare la crescita ossea all'interno di impianti protesici. Alcuni impianti dentari moderni sono rivestiti di idrossiapatite allo scopo di stimolare l'osteointegrazione (ma questa è solo un'ipotesi ancora non confermata da sufficienti evidenze sperimentali). Di recente è stato introdotto in Italia il primo dentifricio al mondo con cristalli di idrossiapatite. Frutto della collaborazione tra l'azienda Guaber e l'università di Bologna, questo dentifricio

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promette (da verificarsi in futuro) una progressiva riparazione delle microfratture presenti sullo smalto dentale. Nonostante la sua durezza, processi di rimozione di calcio incontrollati portano l’osso a diventare friabile come il talco. Ciò avviene a seguito di un mancato bilanciamento tra deposito e perdita della componente mineraria dell’osso. Infatti il tessuto osseo è la principale riserva di calcio dell’organismo. Sul piano citologico, nell’osso risiedono: -

L'osteoblasto, il costruttore, una cellula ricca di RER e apparato di Golgi, ha perciò un citoplasma basofilo, la superficie cellulare è provvista di corti e sottili prolungamenti; si trova nel tessuto osseo in formazione. La sua funzione è quella di produrre la matrice organica del tessuto osseo stesso, costituita di fibre collagene di tipo I, proteoglicani e glicoproteine; la matrice ossea precoce prodotta dagli osteoblasti, non cristallizzata, è detta tessuto osteoide. All’interno della matrice sono presenti numerose vescicole di secrezione ricche di un enzima caratteristico, la fosfatasi alcalina, e di ioni Ca2+ e (PO4)2-: queste vescicole costituiscono i primi nuclei di mineralizzazione della matrice. La membrana cellulare aderisce alla matrice pericellulare per mezzo di integrine specifiche. Quando la funzione biosintetica cessa gli osteoblasti diventano osteociti, le cellule del tessuto osseo adulto, che occupano le lacune ossee;

-

L’Osteocita, il controllore;

-

L’ Osteoclasta, il demolitore, è un tipo di cellula molto grande, polinucleata e ricca di lisosomi. Appartiene

alla

linea

monocito-macrofagica,

deriva

cioè

dai

monociti.

Presenta

molte

estroflessioni ed increspature nella membrana plasmatica, in posizione basale, chiamate orletto a spazzola. Gli osteoclasti vanno a contatto con la matrice ossea e hanno la funzione di riassorbire l’osso erodendolo mediante enzimi di esocitosi e pH acido, collaborano cioè all'omeostasi calcica. Di queste tre categorie solo le prime due sono “autoctone”, mentre gli osteoclasti originano dalla fusione di più monociti del sangue, che, raggiunto l’osso, si fondono tra di loro per dar vita ad un osteoclasta. Gli osteociti si trovano all’interno di lacune, circondati da lamelle circolari di minerale. L’osso, al contrario della cartilagine è vascolarizzato. Un arteriola e una venula transitano nei canali di Havers, dei condotti presenti all’interno dell’osso. I canali di Havers sono canali vascolari che percorrono il tessuto osseo compatto della diafisi delle ossa lunghe. Essi differiscono dai canali di Wolkmann a causa del diverso orientamento rispetto all'asse maggiore dell'osso, i primi infatti hanno un andamento parallelo mentre i secondi seguono un decorso trasversale. Il canale di Havers è la parte più interna dell'osteone ed è circondato da lamelle concentriche in numero variabile fra 8 e 15, con un minimo di 4 e un massimo di 24. Dai canali si dipartono i vari rami trasversali che portano nutrimento a tutto l’osso. Gli osteociti sono ricchi di prolungamenti citoplasmatici e ciò permette a più osteociti di essere in comunicazione tra di loro. Gli osteoclasti si formano a seguito della fusione di più monociti del sangue. L’osteoclasta, attraverso delle

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particolari integrine, l’osteopontina e la trombospondina, si aggancia alla superficie dell’osso e inizia a demolirla. La solubilizzazione della matrice avviene grazie all’azione delle pompe protoniche. All’arrivo di un particolare segnale, l’osteoclasta si attiva. L’anidrasi carbonica presente al suo interno, combina CO2 e H2O per formare ioni H+ e HCO3-. Gli ioni H+ vengono pompati all’esterno da pompe protoniche. Gli ioni accumulandosi in una precisa zona abbassano il pH è inizia la demolizione della componente inorganica dell’osso, così vengono liberati ioni Ca e immessi nella circolazione sanguigna. Per la demolizione della componente organica vengono secreti enzimi litici. I prodotti ottenuti da questa “digestione” vengono poi assorbiti dall’osteoclasta per poter essere riutilizzati. Una volta che l’osteoclasta ha terminato il suo compito si arresta. Per il processo contrario, ovvero la fissazione del calcio a livello delle ossa, intervengono gli osteoblasti che depositano, nella lacuna lasciata dagli osteclasti, il calcio. Se tale equilibrio viene a mancare si ha un osteoporosi, ovvero l’azione demolitrice degli osteclasti non viene neutralizzata dall’azione costruttrice degli osteoblasti. L’osso perde la sua resistenza e diventa friabile come il talco. Quindi riassumendo: -

L’osteoclasta demolisce sia componente organica che inorganica dell’osso formando una lacuna;

-

La lacuna viene invasa dagli osteoblasti che rifissano il calcio e producono nuova componente organica;

-

Terminata la costruzione, gli osteoblasti si disattivano, diventando osteociti che presiedono all’integrità dell’osso.

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6-L’Epitelio Oltre al tessuto connettivo, un altro tipo è quello epiteliale. Il tessuto epiteliale è un particolare tipo di tessuto costituito da cellule di forma regolare e quasi geometrica, che aderiscono le une alle altre. Le cellule che costituiscono il tessuto epiteliale svolgono funzioni di rivestimento, di trasporto, di secrezione e di assorbimento. Nei vertebrati questo tessuto costituisce, in particolare, il rivestimento interno ed esterno della maggior parte delle superfici corporee. In qualunque posto si trovino, i tessuti epiteliali sono separati dai sottostanti mediante una membrana basale non cellulare, di natura fibrosa. Un tipo particolare di tessuto epiteliale è l'epidermide, o pelle; altri esempi sono i rivestimenti della bocca, della cavità nasale, dell'apparato respiratorio, dei canali dell'apparato riproduttore, dell'intestino e dei vasi sanguigni. Le cellule di un tessuto epiteliale, per poter essere considerate tali, devono avere alcune caratteristiche: -

Devono essere fornite di sistemi di connessione;

-

Devono possedere sistemi di comunicazione;

-

Deve essere presente una membrana basale o detta anche lamina basale.

Negli epiteli le cellule presentano una forma geometrica ben definita e sono a stretto contatto fra loro, risultando scarsa o assente la sostanza intercellulare. Le cellule sono inoltre strettamente legate le une alle altre per mezzo di numerose giunzioni cellulari, che rendono il tessuto compatto e resistente a traumi o strappi. Un altro aspetto caratteristico delle cellule epiteliali è quello di essere polarizzate: sono cioè provviste di due superfici distinte, una che guarda verso la membrana basale sottostante, detta superficie o versante basale, e l'altra che guarda invece verso il lato superiore dell'epitelio, detta superficie o versante apicale; quest'ultima presenta spesso specializzazioni funzionali distintive, come la presenza di invaginazioni e protuberanze come microvilli o ciglia. Un'altra specializzazione funzionale, tipica fondamentalmente delle cellule dello strato più esterno della cute, è la cheratinizzazione; cellule cheratinizzate contengono cheratina, una molecola organica che, tramite la creazione di ponti disolfuro le rende maggiormente resistenti ai traumi ed impermeabili ai liquidi. Gli epiteli, in genere, non sono percorsi da capillari sanguigni e le sostanze utili per il loro mantenimento sono veicolate mediante liquidi interstiziali: in questi ultimi gli elementi nutritivi passano per diffusione dai capillari sanguigni dei tessuti sottostanti. Le strutture preposte al sistema di connessione sono le Tight e le Leaky junctions. Le tight, rispetto alle leaky, sono impermeabili e ciò risulta anche da esperimenti effettuati col nitrato di lantanio. Si è visto che in presenza di tight junctions il nitrato non diffondeva. Le tights saldano tra loro le cellule. Tali giunzioni sono formate da proteine chiamate Claudine e Occludine. Le tight formano la zonula occludens. La zonula occludens è conformata in modo tale che per tutta la sua estensione le membrane delle cellule coinvolte nella giunzione si affrontino e si fondano tra loro grazie a proteine intrinseche di membrana che passano “a ponte” da un doppio strato lipidico a quello contiguo saldando indissolubilmente le due membrane. Queste proteine hanno

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cioè una porzione idrofoba spessa quanto entrambi i doppi strati lipidici delle cellule affrontate e due calotte apicali idrofile che sporgono nel citoplasma delle due cellule. Queste proteine intrinseche non sono disposte sporadicamente ma sono organizzate in filiere intersecate fra sé ed orientate diversamente nello spazio in modo da annullare lo spazio fra cellula e cellula. Al microscopio elettronico quindi la zonula occludens appare come una struttura a tre binari elettrondensi: i due più esterni sono rappresentati dagli strati fosfolipidici più interni delle due cellule coinvolte nella giunzione, quello più interno è dato dalla fusione dei due strati fosfolipidici esterni delle due cellule. Di conseguenza la membrana cellulare nel suo insieme, a livello della giunzione occludente, assume un aspetto pentalaminare in quanto le tre bande elettrondense sono intercalate a bande elettrontrasparenti. Questo tipo di giunzioni sono localizzate generalmente all’apice di cellule polarizzate come quelle dell’epitelio intestinale e sono impermeabili. Nelle cellule polarizzate si trovano generalmente subito sotto le zonulae occludentes. In questo caso le cellule contigue sono separate da uno spazio di 15-20 nm occupato da un materiale a medio arresto elettronico. Questo materiale extracellulare è rappresentato dalla porzione extracellulare di particolari caderine, le caderine E, che sono estremamente concentrate sulla membrana della porzione intorno alla zonula adhaerens. La porzione intracellulare di queste caderine prende contatto con una serie di proteine intracellulari che formano un rivestimento elettrondenso nella zona sottostante la macula adhaerens, definito placca di adesione. Sulle proteine della placca di adesione convergono dei fasci di microfilamenti che, essendo composti da actina, hanno la proprietà di scorrere gli uni sugli altri. La zonula adhaerens viene così ad essere un dispositivo tramite cui le forze applicate alla cellula si scompongono secondo tante direttrici e scompaiono. Inoltre i microfilamenti che si legano alla placca di adesione trovano proprio nella zonula adhaerens un punto di forza per poter esercitare un movimento all’interno della cellula. Oltre alle tight, come strutture preposte alla connessione vi sono i Desmosomi che formano una sorta di clips molecolari. Un desmosoma è una giunzione di natura proteica tra cellule adiacenti che salda i rispettivi citoscheletri (in particolare i filamenti intermedi) donando al tessuto di cui le cellule fanno parte resistenza alla trazione ed altri traumi fisici. Il desmosoma si lega ai filamenti intermedi, fatti di cheratina, tramite una placca citoplasmatica composta da due proteine chiamate desmoplachina e placoglobina, che legano anche le proteine integrali di membrana desmocollina e desmogleina, alle quali spetta il compito di legarsi a proteine analoghe su di un desmosoma della cellula adiacente. Altre proteine di cui sono formate i desmosomi sono le Caderine, proteine calcio-dipendenti, mentre la placca di ancoraggio delle caderine è formata da Desmoplachina e Plakoglobina. La caderina è una molecola (una glicoproteina integrale) che media l'adesione cellulare in presenza di Ca2+. Il nome deriva dalla contrazione dell'inglese cell aderine (cellule di adesione appunto). Le caderine rivestono la superficie della cellula dotandola di cariche negative (grazie alla presenza di residui oligosaccaridici), mentre il Ca2+ funge da "collante": con le 2 cariche positive, infatti, lo ione si interpone fra 2 caderine presenti su cellule diverse e ne permette l'adesione. Il Ca2+ è essenziale perché se mancasse, le cariche negative (non schermate) delle caderine delle due cellule impedirebbero il processo per

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repulsione elettrostatica. L'adesione promossa dalle caderine è un'adesione omotipica o omofila, ovvero fra cellule uguali. Esistono circa 30 caderine diverse, classificate in 4 gruppi: -

caderine E (epiteliali) dette uromoduline;

-

caderine P (placentari);

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caderine N (nervose);

-

caderine desmosomiche, le quali a loro volta sono identificate in 2 diverse classi, le desmogleine e le desmocolline e che intervengono nella formazione dei desmosomi.

I vari tipi di caderine sono codificate da geni diversi ma hanno simile sequenza amminoacidica. I desmosomi regolano l’espressione di determinati geni. Infatti la separazione della cellula da un’altra induce la produzione di determinate proteine. Se il sistema costituito da Tight-Junctions, Zonula Adherens e Macula Adherens ha il compito di mantenere unite saldamente tra loro le cellule, il sistema di comunicazione è affidato alle Gap-Junctions. Le giunzioni gap permettono a piccoli metaboliti e molecole di poter diffondere liberamente dal citoplasma di una cellula all’altra. Una gap è formata proteine che prendono il nome di connessine che legandosi tra loro formano un connessone. La membrana basale è quella membrana su cui poggiano tutte le cellule della base dell’epitelio. La membrana basale è un sottile strato di matrice extracellulare di uno spessore compreso tra 70 e 300 nm che separa gli epiteli dal tessuto connettivale. Essa viene prodotta sia dalle cellule epiteliali che dai fibroblasti del connettivo in una forma di cooperazione. Per metterla in evidenza è comunemente utilizzata la microscopia elettronica a trasmissione anche se utilizzando la reazione PAS è possibile evidenziarne la presenza (senza che però ne siano distinguibili i vari strati) anche al microscopio ottico. La membrana basale ha la due funzioni principali: -

fornire supporto fisico agli epiteli;

-

regolare il microambiente degli epiteli funzionando da filtro.

Gli epiteli non essendo vascolarizzati scambiano le molecole per diffusione con il connettivo, che invece è vascolarizzato e questo scambio è regolato proprio dal filtro che è costituito dalla membrana basale e in particolare dai GAGs sia liberi (eparansolfato) sia associati in proteoglicani grazie alle sfere di idratazione dei numerosi gruppi acidi e solforati. Essa è formata da tre strati: -

lamina lucida (o lamina rara) che è occupata principalmente da glicoproteine di adesione come la laminina (che lega da un lato i recettori integrinici presenti sul versante basale delle cellule epiteliali e dall'altro i proteoglicani e il collagene di tipo IV della lamina densa, tale legame e mediato da un'altra glicoproteina di adesione l'entactina);

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lamina densa che è formata da proteoglicani, GAGs liberi (eparansolfato) e da collagene di tipo IV che non forma fibre ma una sottile e resistente rete (poiché ad esso non vengono tagliati i peptidi terminali in sede extracellulare come accade agli altri tipi di collagene);

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lamina fibroreticolare, costituita da fibre reticolari di collagene di tipo III, non contiene proteoglicani, fibrille di collagene di tipo VII connettono invece il collagene di tipo IV della lamina densa alla lamina fibroreticolare.

In alcuni casi, quando due foglietti epiteliali si continuano senza alcun connettivo frapposto (come a livello degli alveoli polmonari e dei corpuscoli renali), la membrana basale risulta costituita da due lamine lucide e una lamina densa tra esse frapposte (motivo per cui questa struttura è nota anche come sandwich). Compiti della lamina basale sono, quindi: -

Adesione;

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Filtro/barriera;

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Isolamento;

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Assorbimento;

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Catalizzatrice.

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7-L’Apparato Circolatorio L’apparato circolatorio è la rete idraulica dell’organismo. Tale apparato ha il compito di trasportare i metaboliti e rimuovere i prodotti di rifiuto. Per poter fare ciò esistono due reti di circolo: -

La prima, quella delle Arterie ha il compito di portare i metaboliti alle cellule;

-

La seconda, quella delle Vene ha il compito di trasportare i prodotti di rifiuto.

Con questa classificazione, distinguiamo due tipi diversi di fluido che circola nei due sistemi. Il fluido circolante nelle arterie è ricco di ossigeno, al contrario quello circolante nelle vene che è ricco di anidride carbonica. Accanto a queste due linee vi è una terza rete ad alimentazione autonoma, la rete linfatica, che ha il compito di recuperare eventuali perdite delle due reti. Il sangue raggiunge il cuore e da qui viene mandato ai polmoni. Dai polmoni ritorna al cuore e poi, dal ventricolo sinistro, si diparte per raggiungere tutte le zone dell’organismo. La parete di un’arteria risulta essere formata da tre tonache. Dalla più interna all’esterna, queste sono: -

Tonaca Intima, che si rinnova ogni 20 anni. La tonaca intima delle arterie e delle vene è piuttosto simile, sebbene nelle arterie sia presente una maggiore percentuale di fibre elastiche, sostituita nelle vene da fibre di collagene. A contatto con il sangue è presente un epitelio specializzato, l'endotelio, sorretto dalla propria lamina basale. Superficialmente a questo si trova una copertura di robuste fibre di collagene e proteoglicani ed elastina, ricoperta dalla lamina elastica interna, costituita da fibre elastiche (più sottile nelle vene);

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Tonaca Media, che si rinnova ogni 2 mesi. La tonaca media si differenzia molto tra arterie e vene. Nelle arterie, maggiormente nelle più grosse, è presente una spessa copertura di fibre muscolari lisce a disposizione circolare o spirale che nelle arterie più grosse può essere costituita anche da 50 strati uniformi. Tra questi miociti lisci è presente una struttura di fibre di collagene, tipica delle matrici extracellulari. Nelle vene invece la struttura muscolare è quasi del tutto assente e non si viene a formare una disposizione spirale o circolare di miociti lisci, ma esiste tuttavia la struttura di collagene, con povere fibre elastiche, il che da alla vena molta meno elasticità e le impedisce di pulsare come le arterie. Superficialmente alla tonaca media esiste una lamina elastica esterna, di dimensioni minori nelle vene;

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Tonaca Avventizia, che si rinnova ogni 20 giorni. La tonaca avventizia è costituita da connettivo posto oltre la lamina elastica esterna ed è piuttosto simile in arterie e vene. Vi sono presenti alcuni vasi detti vasa vasorum per la vascolarizzazione dell'arteria o della vena stessa e, nelle arterie, rami ortosimpatici, per l'innervazione dei miociti lisci al fine di produrre la vasocostrizione che aumenta la pressione sanguigna.

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Tra la avventizia e la media, e la media e l’intima, vi sono due zone di transizione dette limitante esterna e limitante interna. La tonaca avventizia è costituita da sostanza amorfa (acido ialuronico e proteoglicani) e da componente fibrillare (collagene e glicoproteine). Quindi l’avventizia è un composito, in grado di resistere sia a forze di taglio, trazione e compressione. Le cellule dell’avventizia sono le cellule del team fibroblastico. A lungo ci si è interrogati su come facessero le cellule che formano il sistema vascolare a ricevere il nutrimento dal sangue. Questo problema viene definito come il paradosso della nutrizione vascolare. In realtà esistono delle strutture, dette vasa vasorum, che sono vasi che si dipartono dal ramo principale e creano una circolazione interna che porta il nutrimento alle cellule del vaso stesso. Esistono diverse versioni strutturali di arterie: -

Arterie muscolari, in cui la tonaca media è composta da un manicotto di fibre muscolari;

-

Arterie elastiche, in cui il manicotto è molto elastico data l’alta percentuale di elastina.

La posizione di tali tipi di arterie dipende dalla pressione sanguigna che le pareti devono essere in grado di sopportare. Quindi vicino al cuore, date le alte pressioni, troveremo arterie di tipo elastico. Tali arterie, infatti sono in grado di sopportare enormi pressioni, deformandosi, per poi ritornare alle condizioni iniziali. Mano a mano che ci allontaniamo dal cuore e la pressione diminuisce, la componente elastica diventa sempre più minore e viene rimpiazzata dalla componente muscolare. Quindi sarà lontano dal cuore che troveremo arterie di tipo muscolare e ciò per poter imprime più forza al sangue giunto in periferia che ormai tende a fermarsi. Le arterie di tipo misto sono arterie che hanno percentuali variabili di componente elastica e muscolare. Mano a mano che si passa da arterie, arteriole e capillari, si perde una tonaca. Le arteriole ne avranno solo due, quella intima e media, mentre i capillari avranno solo la tonaca intima. Il flusso all’interno delle arteriole può essere regolato da apposite escrescenze dette diaframmi regolatori di flusso. La rete arteriosa e la rete venosa sono in collegamento tra di loro ma ciò non è da sempre stato ritenuto vero. Un tempo si riteneva che i due sistemi fossero indipendenti e che in ognuno di essi fluisse un tipo diverso di fluido. Il sistema chiuso arterie-vene può essere visualizzato in campioni immersi in neoprene. Il sistema arterie, arteriole e capillari è una rete idraulica molto efficiente, infatti la diminuzione dell’area di sezione fa in modo che la velocità del fluido aumenti andando verso la periferia. Nello stesso tempo il moto del fluido da turbolento è diventato laminare. Esistono varie tipologie di capillari. I capillari continui sono i meno permeabili; sono formati da una sola cellula endoteliale che forma il canale, da una lamina basale, unitaria o fenestrata e talvolta da periciti, cellule specializzate che si dispongono intorno alle cellule endoteliali per rinforzarle. Possono essere presenti anche dei macrofagi di guardia. I capillari continui permettono la diffusione

soltanto a piccole molecole come

ossigeno e anidride carbonica. I capillari fenestrati sono più permeabili dei capillari continui in quanto il canale formato dalle cellule endoteliali non è sempre continuo e possono esistere dei fori o fenestrature con il diametro di circa 20nm, sufficientemente grandi da far passare acqua e metaboliti, ma sufficientemente piccoli da impedire la fuoriuscita delle emazie. La lamina basale è spesso interrotta e sono comunque presenti

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alcuni macrofagi. Nei capillari fenestrati sono presenti delle vere e proprie finestre che facilitano il passaggio anche di grosse macromolecole. I sinusoidi, o capillari discontinui, sono in assoluto i capillari più permeabili. Si trovano in pochi organi, come nel fegato, e con la loro struttura peculiare riescono a far permeare molti metaboliti al fegato deve saranno convertiti e/o immagazzinati Le cellule che costituiscono i capillari sono i periciti. Accanto i perititi troviamo anche i miociti, cellule ad azione contrattile che forniscono un ulteriore spinta propulsiva al fluido che, ormai, giunto in periferia, si muove molto lentamente. Nei capillari, il sangue ricco di ossigeno, quindi arterioso, cede il gas alle cellule. Contemporaneamente l’anidride carbonica passa dalle cellule al sangue (in questo caso si parla di sangue venoso). Il sangue poi prosegue il suo tragitto, questa volta verso il cuore, nella rete venosa. Più capillari confluiscono in una venula, e più venule in una vena. Caratteristica principale delle vena è la presenza di opportune valvole, atte a bloccare il riflusso del sangue. Infatti il sangue presente nelle vene è a bassissima pressione e si muove più lentamente. La forza propulsiva, nelle vene, viene data dalla contrazione muscolare, ed è per questo che dopo un certo tempo si sente il bisogno di muovere le gambe. Il movimento generato dalla contrazione provoca l’avanzamento del sangue nelle vene. Quindi, è possibile affermare che, mentre le arterie sono vasi in cui si privilegia la resistenza a forti pressioni, le vene sono strutture a elevata capacitanza, cioè in grado di contenere quantità di sangue maggiori rispetto alle arterie. Le vene sono soggette a particolari degenerazioni che possono portare a ematomi, telangectasie, varici, ulcere, edema. La contrazione della tonaca media avviene in seguito ad un flusso di Calcio, che dall’esterno della cellula contrattile, attraverso un apposito canale, entra all’interno generando la contrazione.

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8-Il Muscolo Sydney Ringer fu il primo a capire, attraverso una serie di esperimenti, che la contrazione muscolare era correlata alla presenza di calcio. Le cellule muscolari prendono il nome di miociti. Il miocita è una cellula propria del tessuto muscolare. Se appartenente al tessuto muscolare striato, la sua organizzazione sarà quella del sincizio. Il sincizio del tessuto muscolare striato presenta una membrana cellulare chiamata sarcolemma, nuclei in posizione ipolemmale, di forma allungata, piuttosto basofili. Nel citoplasma è da notare la struttura chiamata tubulo T (invaginazione del sarcolemma) e il reticolo endoplasmatico liscio (reticolo sarcoplasmatico) molto sviluppato che costituisce la cosiddetta "triade", con funzione di rilascio e di assorbimento di ioni calcio, i quali permettono il fenomeno contrattile. A questo proposito è fondamentale l'organizzazione citoscheletrica di actina e miosina. Nel tessuto muscolare liscio i miociti non sono raggruppati in sincizi, ma sono distinguibili singolarmente. Il nucleo presenta le stesse caratteristiche del tessuto precedente. Il tessuto muscolare cardiaco, sebbene involontario, è striato, ma formato da cellule singole, chiamate cardiociti, le quali possiedono a livello della membrana plasmatica delle giunzioni (g. scalariformi o dischi intercalari) che connettono le cellule tra di loro tramite desmosomi e giunzioni gap. Il reticolo sarcoplasmatico costituisce la diade. Analizzando l’interno, si possono notare due strutture: -

Le placche;

-

I corpi densi.

Sono appunto queste due strutture a poter permettere la contrazione del miocita. L’attività contrattile è strettamente legata all’apparato citoscheletrico della cellula. La proteina del citoscheletro implicata nella contrazione è l’actina, che è presenta nella forma globulare nel citoplasma della cellula (Actina G). L'actina è una proteina di forma globulare, con un diametro di circa 7 nm, dal peso di 43 kDa e costituisce una porzione abbondante (5-10%) di tutte le proteine delle cellule eucariote. La più alta presenza di actina si verifica nelle cellule del tessuto muscolare (circa 20% delle proteine totali), dove è fondamentale per il processo di contrazione. Ogni singola subunità di actina (detta actina G, cioè globulare) si può legare ad altre due subunità, formando così un polimero lineare. Due polimeri lineari avvolti tra di loro danno origine ad un microfilamento, uno dei tre tipi fondamentali di filamenti che compongono il citoscheletro. L’actina G polimerizza in Actina F, formando dei cavi. L'assemblaggio dei filamenti di actina è dipendente dalle condizioni dell'ambiente interno alla cellula, il citosol, ed in particolare dagli ioni presenti, dalle loro concentrazioni e dal legame con l'ATP. La polimerizzazione è infatti favorita da una concentrazione salina pari a quella corporea; inoltre, i monomeri di actina legati ad ATP tendono ad aggiungersi e a restare attaccati al filamento con maggiore facilità rispetto ai monomeri in cui l'ATP è diventato ADP. La presenza di un capo del filamento caratterizzato da actina legata ad ATP identifica l'estremità "più", mentre l'altro capo, dove l'actina è legata a ADP costituisce l'estremità "meno" del filamento.

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Sui cavi di actina scorre il motore molecolare di miosina. Le miosine sono una vasta famiglia di proteine motrici, rintracciabili in cellule eucariotiche, responsabili del movimento basato sui filamenti di actina. La molecola di miosina è costituita da più parti: -

Una testa, deputata al legame con i filamenti di actina, oltre che al sito di idrolisi dell'ATP. Questa reazione chimica permette il movimento della miosina verso l'estremità + del filamento di actina, tramite cambiamenti conformazionali dovuti alla diversa affinità della proteina per le molecole che può legare (ATP, actina, ADP in ordine decrescente di affinità);

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Un flex, che permette il movimento della testa;

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Un collo;

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Un corpo o coda, è un dominio di struttura allungata che generalmente media le interazioni con molecole trasportatrici e subunità di miosina.

Tale fisionomia permette alla molecola di miosina di poter scorrere sul filamento di actina senza problemi ed efficientemente. Naturalmente, il movimento della testa è causato dall’energia ricavata dall’utilizzo di ATP. Quindi, in un miocita, tutte queste singole parti sono organizzate tra loro a formare un complesso atto alla contrazione della cellula. La miosina II, presente nel sarcomero dei muscoli striati, è l'isoforma più espressa nell'organismo umano, nonché la più studiata per la sua funzione primaria nel movimento muscolare. É formata da due catene pesanti di circa 2000 amminoacidi ciascuna; le estremità N-terminali vanno a formare la regione globulare, dotata di due teste, mentre le code C-terminali si sviluppano come due code intrecciate con un dominio coiled-coil. La miosina II presenta anche quattro catene leggere che si uniscono alla struttura nella regione di confine tra testa e coda. Il rigor mortis è legato alla dinamica del funzionamento della miosina, infatti la testa si stacca dall’actina a seguito dell’idrolisi di ATP. Una volta terminato l’ATP la testa resta perennemente unita all’actina, impedendo così il naturale scorrimento. La miosina si muove lungo il filamento attraverso delle insenature presenti sul filamento stesso, denominate anse actiniche. Anche i microfilamenti e i relativi motori molecolari sono implicati nel trasporto vescicolare. I microtubuli funzionano come binari o autostrade, mentre i microfilamenti sono i propulsori. Le placche dense sono strutture presenti al di sotto della membrana plasmatica, e servono ad ancorare saldamente l’actina filamentosa alla corteccia cellulare, cioè a tutta quella rete scheletrica presente al di sotto della membrana plasmatica. I corpi densi, si trovano nel citoplasma, è sono ragguagli di filamenti di actina, ovvero servono a connettere più filamenti di actina tra di loro. A ciò, si aggiunge come ulteriore supporto, la presenza di alcune proteine dei filamenti intermedi, come la Desmina e la Vimentina. La miosina, si trova incastonata in mezzo ad un binario di filamenti di actina. Tramite la fosforilazione, la miosina si attiva, e i filamenti di actina scorrono l’uno sull’altro, provocando la contrazione. Per rispondere alla domanda di cosa provoca la fosforilazione della miosina, bisogna osservare attentamente la membrana del miocita. Al

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microscopio, la membrana del miocita è ricoperta da numerosi “bernoccoli”. Questi non sono altro che i cancelli del calcio, cioè proteine trans-membrana addette a facilitare l’ingresso del calcio nel citosol. Quando questi cancelli si aprono il calcio entra nella cellula, e raggiunta una certa concentrazione si verifica la contrazione. Un calcio antagonista è un farmaco che tappa parzialmente il cancello del calcio modulando così che la generazione della contrazione. Ricordiamo che una piccola quantità di calcio è presenta già all’interno della cellula, e precisamente nel REL. L’autore della fosforilazione della testa della miosina è una chinasi che normalmente è inattiva. L’arrivo di un segnale viene recepito dal sensore presente sulla membrana. All’interno della cellula, la cascata di AMP-ciclico genera una parziale depolarizzazione della membrana plasmatica che apre il cancello. Il calcio inizia ad entrare nella cellula, ma la contrazione non avviene all’istante. Infatti occorre che la concentrazione raggiunga la quantità di 1µM. Raggiunta questa soglia, quattro atomi di calcio si legano ad una molecola di calmodulina. La calmodulina è una proteina particolarmente abbondante nelle cellule eucariotiche (fino all'1% delle proteine totali). È particolarmente importante nei processi di segnalazione intracellulare, dove lega ioni Ca++ con alta affinità. Questi sono utilizzati nelle cellule come piccole molecole di segnalazione intracellulare. Il legame di due o più ioni ne determina un cambiamento conformazionale che la rende adatta a legare proteine bersaglio. I bersagli della Ca++/calmodulina sono generalmente proteine di trasporto di membrana e le proteina chinasi come la CaM-chinasi. Questa chinasi trasferisce gruppi fosfato su altre proteine in corrispondenza di serine e treonine selezionate (fosforilazione). Vi sono tre tipi principali di canali ionici che portano l'ingresso di Ca++ nel citosol: -

Canali del Ca++ dipendenti da voltaggio, presenti nella membrana plasmatica, si aprono quando la cellula viene depolarizzata;

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Canali di rilascio di Ca++ regolati da inositolo 1,4,5-trifosfato (IP3), sono presenti nel reticolo endoplasmatico che, tra le varie funzioni, funge da riserva di ioni Ca++. La via dell'IP3 viene attivata da particolari recettori collegati a proteine G, che a loro volta attivano un enzima attaccato alla membrana plasmatica, la fosfolipasi C-β. La fosfolipasi agisce tagliando un fosfolipde di membrana, il fosfatidilinositolo 4,5-bisfosfato (PI(4,5)P2) generando IP3 e diacilglicerolo. L'IP3 lega i canali ionici del reticolo endoplasmatico aprendoli;

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Recettori della rinodina, responsabili principalmente della contrazione muscolare, rilasciano Ca++ dal reticolo sarcoplasmatico in risposta a un cambiamento del potenziale di membrana.

Il complesso calmodulina-calcio si lega alla chinasi rendendola attiva. La chinasi attiva fosforila le teste di miosina e la contrazione avviene. La depolarizzazione della membrana è connessa con altri canali ionici, tra cui quelli del cloro e del potassio. Il canale del calcio è costituito da più parti: -

Il Sensore di Voltaggio è la parte del cancello che rileva le variazioni di potenziale della membrana;

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Il Cancello di Attivazione induce l’apertura del canale;

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Il Poro costituisce il passaggio obbligato degli atomi di calcio;

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Il Cancello di Inattivazione blocca il passaggio del calcio.

Fisicamente, il poro è chiuso da una sorta di palla o tappo collegata al cancello di inattivazione. Quando la palla si sposta dal poro, gli ioni calcio fluiscono all’interno. Il tempo di attivazione e disattivazione del cancello è legato alla lunghezza del cancello di inattivazione. Più tale parte del cancello è lunga e mene rapidamente il poro viene chiuso. Quindi il canale del calcio è un proteina etero-oligomerica composta da cinque parti tutte in rapporto stechiometrico 1:1:1:1:1. I canali possono essere isolati dalla membrana plasmatica e possono essere analizzati tramite la tecnica del Patch Clamping. Il citoscheletro rappresenta l’ossatura della cellula e ne determina la forma. Le singole cellule possono cambiare forma e tale cambiamento avviene a seguito di modificazioni della struttura citoscheletrica. Il citoscheletro è formato da una serie di strutture, a loro volta formate da più proteine. L’assemblaggio di più subunità proteiche forma le seguenti strutture: -

I microtubuli;

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I microfilamenti;

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I filamenti intermedi.

I microtubuli sono strutture cellulari che fanno parte del citoscheletro, sono proteine filamentose formate da dimeri di α-tubulina e β-tubulina. Le due suddette proteine si associano a spirale alle estremità del microtubulo formando un cilindro cavo. La facilità con cui si ha la polimerizzazione e depolimerizzazione di tali filamenti determina la capacita cinetica di tali strutture. I microtubuli sono formati da due subunità proteiche di α e β tubulina (di dimensioni 4nm×5nm×8nm e 100.000Da di peso molecolare). Queste subunità si organizzano a loro volta in gruppi di tredici per formare dei microtubuli con 25nm di diametro. Il microtubulo, inoltre, possiede un'intrinseca polarità, dovuta alla disposizione delle subunità proteiche di tubulina. Infatti esse sono orientate nella stessa direzione in modo che tutte le subunità di tubulina α siano rivolte verso la stessa estremità del microtubulo, determinando quindi una diversità strutturale e chimica tra le due estremità. I microtubuli si polimerizzano e depolimerizzano in continuazione all’interno della cellula e si accrescono a partire da un centro organizzato (detto MTOC, acronimo di "Micro-Tubules Organization Centre" e rappresentato dal centrosoma). Le diversità funzionali dei microtubuli sono dovute a diverse caratteristiche quali: presenza di proteine associate ai microtubuli (MAPs) che convertono la rete instabile di microtubuli in una ossatura relativamente permanente, dalla tubulina solubile, da proteine che incapsulano l’estremità crescente della tubulina impedendone la depolimerizzazione, inoltre tramite l’espressione di diversi isotipi di tubulina con diverse funzioni ed anche grazie all’azione di modificazioni post-traduzionali della tubulina. Vi sono molti MAPs, come pure diverse proteine che regolano i microtubuli come ad es. la dineina, che permette il moto lungo i microtubuli verso il centro della cellula, e la chinesina, che promuove il

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movimento lungo il microtubuli verso la periferia cellulare. Alcune di queste differenze predominano in certe cellule tumorali ed alcune sono associate allo sviluppo della resistenza al farmaco. L’insieme di queste due subunità forma il proto-filamento. Più proto-filamenti si uniscono a formare delle particolari strutture, delle quali la più comune è il tubo costituito da 13 proto-filamenti. Il citoscheletro, e in particolare i microtubuli, sono implicati nel trasporto vescicolare. Infatti i microtubuli sono una sorta di binari, su cui viaggiano le varie vescicole dirette ai vari organelli cellulari. Ovviamente, il movimento delle vescicole è permesso grazie anche alla presenza di proteine motrici. Le strutture citoscheletriche sono strutture dinamiche, ovvero in continuo rinnovamento. Per questa peculiarità, le due estremità del filamento crescono a velocità diverse. Chiameremo estremità + quell’estremità dove l’assemblaggio avviene più velocemente, mentre l’estremità – è quell’estremità dove il filamento depolimerizza. Tale fenomeno rende costante nel citosol la concentrazione di proteine globulari citoscheletriche, permettendone così un rapido reclutamento ove servissero. Tale fenomeno di continua crescita e depolimerizzazione prende il nome di treadmilling. Le proteine dei Filamenti intermedi formano dei monomeri. Tali monomeri si associano a formare dei dimeri, che a loro volta formano tetrameri. I filamenti intermedi sono strutture di raccordo tra la vescicola di trasporto e il motore molecolare. Le proteine immerse nella membrana plasmatica sono in continuo movimento. Tale movimento è causato dall’interazione di queste proteine con il citoscheletro sottostante la membrana, cioè la corteccia cellulare. Ma il citoscheletro è il responsabile anche della perfetta organizzazione della matrice extracellulare. Infatti le molecole appena formate di collageno vengono agganciate da particolari proteine di membrana, dette glicoproteine strutturali, che a loro volta sono agganciate al citoscheletro. È tale interazione tra il citoscheletro e le glicoproteine strutturali a permettere il corretto assemblaggio e allineamento delle nanofibrille di collageno. Infatti cattive disposizioni delle fibre potrebbero causare dei seri danni, come avviene nel cheratocono, dove la matrice della cornea non è disposta regolarmente e genera l’aspetto piramidale della superficie della cornea. Il cheratocono è una malattia della cornea (distrofia corneale progressiva non infiammatoria) che generalmente colpisce entrambi gli occhi (85% dei casi). Il problema insorge quando la parte centrale della cornea inizia ad assottigliarsi e ad incurvarsi progressivamente verso l'esterno. Si verifica quindi una curvatura irregolare della cornea, che perde la sua forma sferica, divenendo conica. Ha una maggiore frequenza nel sesso femminile e sembra in relazione a disfunzioni della ghiandole endocrine (ipofisi, tiroide). Può esistere anche una predisposizione ereditaria. La malattia compare dall'adolescenza. La curvatura irregolare creatasi modifica il potere refrattivo della cornea, producendo distorsioni delle immagini ed una visione confusa sia da vicino che da lontano. Il paziente lamenta comunque una diminuzione della vista, soprattutto da lontano. La vista continua a regredire irreversibilmente, e può essere scambiata con una

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miopia associata ad astigmatismo. Dopo qualche anno compaiono i sintomi della presenza del cheratocono: l'occhio diviene più brillante, gli oggetti che si riflettono sulla cornea appaiono deformati. L'occhio visto di profilo, mostra la cornea sporgente, nettamente, a cono. Utilizzando il biomicroscopio, si nota una diminuzione notevole dello spessore sulla sommità della cornea. Col tempo, la sommità del cono diventa opaca a causa di un'alterazione nel nutrimento di quella parte della cornea. Se la malattia viene trascurata, la sommità si ulcera; compaiono dolore, lacrimazione e spasmo delle palpebre. Infatti, questi cambiamenti della cornea producono una alterazione nella disposizione delle proteine corneali, causando delle microcicatrici che distorcono ulteriormente le immagini e in taluni casi impediscono il passaggio della luce, dando un fastidioso senso di abbagliamento, soprattutto nelle ore in cui il sole si trova più in basso (alba/tramonto). Altro strumento per la diagnosi di questa patologia è la topografia dell'occhio, che evidenzia, in una mappa chiaramente interpretabile, la deformità della cornea. Tali disturbi sono da collegare all’assenza o al cattivo funzionamento delle glicoproteine strutturali.

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9-Il Cuore Sulla membrana plasmatica sono presenti numerosi recettori in grado di captare la presenza di molecole segnale nelle vicinanze. Al recettore è legato un trasduttore, cioè un componente che traduce il segnale giunto dall’esterno che si è legato al recettore. All’interno della cellula, il trasduttore inizia la scissione di ATP in AMP-ciclico. Non appena tale composto ha raggiunto una certa concentrazione, una chinasi inattiva viene attivata tramite la rimozione del suo inibitore. La chinasi attiva può entrare nel nucleo e accendere o spegnere determinati geni per la produzione di determinate proteine. Come abbiamo visto, anche la contrazione muscolare è causata dall’arrivo di un segnale esterno che induce la sintesi di AMP-ciclico. La successiva depolarizzazione della membrana fa aprire i canali del calcio, facendolo entrare nella cellula. Quando la concentrazione raggiunge quella di 1µM, quattro atomi di calcio si legano ad una molecola di calmodulina. Tale complesso va ad attivare la chinasi che fosforila le teste della miosina inducendo la contrazione. Le arterie sono compositi, cioè sono in grado di resistere a forze di compressione e trazione. Quando tali strutture di contenimento cedono si ha un aneurisma. Molto interessante è l’architettura dell’aorta. L'aorta è la più grande e importante arteria del corpo umano. Esce dal ventricolo sinistro del cuore e trasporta il sangue ossigenato a tutte le parti del corpo tramite la circolazione sistemica, negli animali che possiedono circolazione a sistema chiuso. Dal punti di vista macromolecolare, la parete aortica è costituita da una serie di lamine elastiche perforate costituite da elastina. Tra una lamina e l’altra di elastina è presente la fibrillina, creando così una tensostruttura elastica. In questa impalcatura è presente il collagene e le eventuali cellule che producono tali materiali. Qui un ruolo particolare gioca la fibrillina, che organizza correttamente nello spazio le lastre di elastina. Quindi la parete aortica ha i seguenti componenti: -

Elastina e fibrillina;

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Acido ialuronico;

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Proteoglicani;

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Collagene;

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Glicoproteine.

L’architettura aortica viene mantenuta grazie ad un continuo rimodellamento. Infatti la tonaca intima di un vaso viene rinnovata una volta ogni 20 anni, quella media ogni 2 mesi e quella avventizia ogni 20 giorni. Quindi la parete aortica è sottoposta ad un continuo remodelling, cioè processi di demolizione, sintesi e monitoraggio avvengono costantemente. Il processo di remodelling è reso possibile dalla presenza delle metalloproteasi, enzimi in grado di demolire la matrice extra-cellulare. Le MMP sono già presenti nella matrice in forma inattiva, legate al TIMP, il loro inibitore. Le MMP rappresentano una famiglia di proteine zinco-dipendenti.

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Data la loro potenza ed efficienza nel distruggere la matrice, sono le MMP a causare metastasi tumorali, una volta attivate dalle cellule cancerose. Oggi si cerca di trovare degli inibitori selettivi delle MMP, in modo da bloccare la demolizione della matrice e quindi diminuire le probabilità che un tumore metastatizzi. Intervengono 14 enzimi differenti nel controllo omeostatico della struttura aortica e tutti questi enzimi sono MMP. Questi enzimi sono tenuti sotto stretto controllo onde evitare una catastrofe. In un aneurisma si verifica un cedimento strutturale. Le MMPs attive demoliscono la matrice della parete, causandone la rottura. Nella parete aortica vi sono cellule per così dire autoctone, come i fibroblasti, e popolazioni migrate, come i monociti del sangue. La parete aortica viene man mano colonizzata e quei buchi presenti sulle lamine di elastina fungono proprio da passaggio per le cellule migranti. I processi di sintesi e di demolizione devono essere in perfetto equilibrio altrimenti si rischia la rottura della parete. Anche infezioni localizzate nella parete aortica possono portare alla distruzione della tenso-struttura e alla formazione di aneurismi. Ben diverso è il caso di aneurisma aortico legato alla sindrome di Marfan. La sindrome di Marfan è una patologia autosomica dominante che colpisce il tessuto connettivo. Dal momento che tutti gli organi contengono tessuto connettivo, le manifestazioni della sindrome di Marfan interessano molte parti del corpo, specialmente il sistema scheletrico, gli occhi, il cuore e i vasi sanguigni, i polmoni e le membrane fibrose che ricoprono il cervello e la spina dorsale. Lo spettro delle manifestazioni della sindrome è molto ampio e diversificato. Solo un'indagine genetica può in definitiva garantire una diagnosi precisa per queste persone che, paradossalmente, sono quelle più a rischio. Per un individuo colpito da sindrome di Marfan l'occorrenza di una disseccazione dell'aorta non è rara. Mentre un paziente diagnosticato sarà verosimilmente seguito durante tutta l'evoluzione della malattia e quindi monitorato circa le sue eventuali dilatazioni aortiche, quello non diagnosticato rischia di essere colpito improvvisamente da dissecazione con conseguenze spesso drammatiche. Il cromosoma ad essere intaccato è il 15, precisamente la regione q21.1, dove risiede il gene della fibrillina. La fibrillino anormale presenta omocisteina. Tale anormalità sconvolge l’intera proteina, che non è più in grado di svolgere la sua funzione. L'omocisteina è un amminoacido solforato che si forma in seguito a perdita di un gruppo metilico da parte della metionina, aminoacido essenziale, che deve essere introdotto con la dieta. L'omocisteina viene oggi considerata come uno dei più importanti fattori di rischio cardiovascolare. È dannosa per l'organismo perché si ritiene che possa causare disfunzione all'endotelio vascolare con formazione di radicali liberi dell'ossigeno, e interferisce con la funzione vasodilatatrice e antitrombotica dell'ossido nitrico (NO). Un alto tasso di omocisteina aumenta difatti di tre volte il rischio di ictus o infarto cardiaco. Infatti i pazienti con alto tasso di omocisteina circolante (>100 mmol/litro) hanno una predisposizione per l'aterosclerosi. Un suo aumento è determinato dalla carenza di vitamine del gruppo B (soprattutto acido folico, ma anche vitamina B6 e Vitamina B12). Per questo motivo la somministrazione di acido folico diventa indispensabile nelle persone ad alto rischio vascolare. Il difetto della fibrillina-1 causa:

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La formazione di elastina enormemente disorganizzata e quindi facilmente degradabile dalle MMPs presenti nella matrice extracellulare;

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Una maggiore sintesi di MMPs;

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La progressiva distruzione del tessuto connettivo ad opera delle MMPs;

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Sviluppo di aneurisma aortico nel tratto toracico.

La presenza di omocisteina causa la prematura rottura nell’arteria delle fibre elastiche a seguito dell’attivazione di enzimi elastolitici. Il cuore è un organo posto nella cavità toracica, più precisamente nel mediastino, costituito pressoché esclusivamente da tessuto muscolare striato, supportato da una struttura fibrosa detta pericardio. Il cuore è l'organo centrale dell'apparato circolatorio, funge da pompa capace di produrre una pressione sufficiente a permettere la circolazione del sangue. Nell’esame dei tessuti che compongono il cuore possiamo distinguere tre zone, che, dall’interno all’esterno, sono: -

L’endocardio, è la sottile membrana splendente e biancastra che riveste internamente tutte le cavità cardiache e le superfici valvolari. È composto di più strati: più superficialmente si trovano cellule endoteliali, che formano uno strato liscio che poggia sull'endotelio dei vasi afferenti ed efferenti del cuore; queste inoltre poggiano su di una lamina propria composta da fibre elastiche, la quale si prolunga in uno strato sottoendocardico di connettivo lasso. Questo strato sottoendocardico ha particolari funzioni: esso aggancia saldamente l'endocardio alle pareti delle cavità cardiache, collegandosi al connettivo interstiziale del miocardio; è vascolarizzato, e svolge una funzione trofica; inoltre, in questo strato sono presenti le reti sottoendocardiche del sistema di conduzione del cuore, fondamentali per la trasmissione dello stimolo contrattile a tutto il miocardio;

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Il miocardio, la massa muscolare del cuore;

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Il pericardio, una sottile membrana di origine mesodermica che circonda il cuore. Questa struttura, spessa circa 20 µm, è costituita da due strati distinti: pericardio fibroso è lo strato esterno; pericardio sieroso è lo strato interno e aderisce perfettamente a tutte le parti piane e a tutte le insenature del cuore. Il pericardio sieroso è costituito da due foglietti di origine celomatica di cui il primo (foglietto parietale) a livello dell'origine dei grossi vasi del peduncolo vascolare si riflette nel secondo (foglietto viscerale). Fra i due foglietti del pericardio sono presenti normalmente da 20 a 50 ml di liquido chiaro roseo, detto liquido (o liquor) pericardico, che permettono il movimento del cuore minimizzando l'attrito. La parte inferiore del pericardio è aderente al cuore e prende il nome di epicardio, e in corrispondenza dei grandi vasi sanguigni che

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dipartono (o entrano) dal cuore le due superfici si fondono. Inferiormente invece il pericardio aderisce al diaframma. Il miocardio è formato da lamine, a loro volta formate da fibre. Ogni fibra è formata da più cardiociti. Un cardiocita è un miocita altamente specializzato. Infatti il suo citoplasma è pieno di fibre citoscheletriche, e in mezzo a tali fibre vi sono posti i mitocondri che servono a fornire la giusta quantità di ATP utile alla contrazione. Le fibre, intrecciandosi a mò di tessuto, seguono delle direzioni specifiche. Tale organizzazione è utile nell’ottimizzare la contrazione del muscolo e imprimere al liquido che viene espulso dal cuore la giusta potenza. Analizzando attentamente un cardiocita al microscopio si può notare la presenza di numerosi sarcomeri, cioè l’unità contrattile del muscolo. Il sarcomero è un complesso di proteine, formato da: -

Actina F;

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Tropomiosina;

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Troponina;

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Miosina.

Come ben sappiamo, lo spostamento della miosina lungo il filamento di Actina F genera la contrazione. La testa di miosina si sposta di ansa actinica in ansa actinica. La tropomiosina è una proteina del peso di circa 70 kDa composta da due subunità (eterodimeriche) ripiegate ad α-elica. La proteina ha una forma filamentosa molto allungata ed è implicata nel controllo della contrazione muscolare prevenendo, in combinazione con il complesso della troponina, il legame dell'actina con la miosina e quindi la contrazione. Queste interazioni sono calcio-dipendenti: a basse concentrazioni di calcio, la tropomiosina blocca stericamente il sito di legame della miosina all'actina, mentre ad alte concentrazioni il suo legame al complesso della troponina induce una modifica conformazionale provocando a sua volta lo smascheramento del sito di legame actina-miosina permettendo quindi la contrazione muscolare La troponina è una proteina ad alto peso molecolare presente specialmente nel tessuto muscolare. È stata riscontrata la sua fondamentale importanza nella fase di eccitazione-contrazione muscolare scheletrica. Questo processo, svolto nel tessuto muscolare abitualmente, inizia attraverso il legame del catione Calcio al sito C della troponina, la quale successivamente attraverso il suo sito T si attaccherà alla tropomiosina, altra proteina muscolare, facendola scivolare dalla posizione inibitoria che manteneva sui filamenti sottili di actina. Questi, a loro volta, potranno scivolare sui filamenti spessi di miosina attraverso un'inclinazione di 45 gradi provocando quindi la contrazione muscolare. Quando il calcio si lega alla troponina, questa si sposta, mettendo a nudo le anse actiniche. Così la testa della miosina è libera di scorrere. Le molecole di miosina si assemblano dando origine a dei filamenti spessi. Anche nel miocardio la contrazione è regolata dalla concentrazione di calcio. Nelle cellule muscolari il REL si specializza nel Reticolo Sarcoplasmatico, un serbatoio di ioni calcio. Quando il calcio abbandona il reticolo si

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verifica la contrazione. Successivamente segue un breve periodo refrattario dovuto al ritorno del calcio nel reticolo. Il cuore è diviso in due da un setto, formando una parte destra e una parte sinistra. A sua volta ciascuna parte è divisa in un atrio ed un ventricolo. Il sangue entra nell’atrio destro, poi nel ventricolo destro viene pompato ai polmoni. Giunto nei polmoni il sangue si ossigena e ritorna al cuore, questa volta però nella parte sinistra. Dall’atrio sinistro, il sangue passa nel ventricolo sinistro e da qui viene pompato in tutto il corpo umano. Il ventricolo sinistro del cuore è circa sette volte più potente di quello destro. Onde evitare il reflusso del sangue esistono delle strutture dette valvole che costringono il sangue ad un percorso obbligato. Le valvole cardiache sono 4 e si dividono in: -

Valvole a lembi, la tricuspide e la bicuspide, tali valvole di aprono per immettere il sangue nel cuore. Il loro funzionamento deve essere ottimale, altrimenti all’avvento della contrazione il sangue potrebbe essere sospinto all’indietro. La valvola tricuspide è una valvola di forma ovale (diametro di 12 mm) che regola il flusso sanguigno tra l'atrio destro ed il ventricolo destro. La valvola bicuspide (nota anche come valvola mitrale per la somiglianza con il copricapo cerimoniale) ha un diametro di oltre 30 mm, regola il flusso sanguigno tra l'atrio sinistro ed il ventricolo sinistro ed ha un orifizio di 4-6 cm2. Come la valvola tricuspide, presenta una forma leggermente ovale. A differenza della tricuspide, la valvola mitrale presenta due cuspidi;

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Valvole a nido di rondine, la aorta e la polmonare, che si aprono al momento della contrazione e si richiudono subito dopo, evitando così il riflusso di sangue al cuore. La valvola semilunare aortica o valvola aortica (diametro di 2mm) regola il flusso sanguigno dal cuore verso il sistema circolatorio. Localizzata presso l'orifizio che collega l'aorta al ventricolo sinistro, la valvola ha una struttura a nido di rondine. La presenza di tre lembi, in realtà, ne genera una caratteristica forma a semiluna, da cui deriva il nome. La valvola semilunare polmonare o valvola polmonare (diametro di 20 mm) regola il flusso sanguigno dal cuore verso la circolazione polmonare. Anche la semilunare polmonare è composta da tre lembi che ne generano la forma a semiluna.

Quando queste valvole si chiudono si riesce a sentire il loro rumore, ed è appunto tale rumore a generare il caratteristico suono regolare del battito cardiaco. Il cuore, oltre ad avere una componente motrice, ha anche una componente elettrica, il cui scopo è quello di propagare correttamente l’impulso per la contrazione cardiaca. Quindi l’impianto elettrico del cuore è formato da: -

Il nodo seno-atriale (N-SA), si tratta di una piccola e appiattita striscia ellissoidale di miocardio specifico larga circa 3 mm, lunga 15 mm e spessa 1 mm, che si trova nella parte superiore laterale dell'atrio destro subito sotto allo sbocco della vena cava superiore. Le fibre del nodo seno-atriale hanno un diametro variabile tra i 3 e i 5 mm, mentre le fibre circostanti sono delle dimensioni di

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una decina di micrometri. In questo nodo si genera il normale impulso ritmico, per fare in modo che l'impulso venga trasmesso alle fibre atriali, le fibre del nodo S-A si connettono direttamente con quelle atriali; il potenziale d'azione si diffonde, così, in maniera simultanea negli atri; -

Le vie internodali: si tratta di una striscia di tessuto di conduzione che deve condurre il segnale verso il nodo atrioventricolare.

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Il nodo atrio-ventricolare (N-AV) è il principale responsabile del ritardo che deve essere attuato nel passaggio del segnale dagli atri ai ventricoli. Un'altra importante funzione del nodo A-V è quella di permettere il passaggio solo in un senso dell'impulso cardiaco, impedendo il passaggio dai ventricoli agli atri tramite uno strato fibroso che funziona da isolante per l'impulso;

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Le fibre del Fascio di His propagano l'impulso alla massa cardiaca ventricolare, dividendosi in due branche, destra e sinistra. La branca sinistra possiede due fascicoli, anteriore, più spesso, e posteriore, più sottile.

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Le fibre di Purkinje, cellule cardiache con conducibilità maggiore dei miocardiociti.

L’impulso della contrazione parte dal N-SA, raggiunge il N-AV, e da qui, attraverso le fibre di Purkinje raggiunge il resto del cuore. Da un punto di vista citologico le cellule di queste strutture hanno poco citoscheletro e ciò va a vantaggio della loro funzione di trasmissione dell’impulso contrattile. La trasmissione dell’impulso contrattile dal N-SA ai cardiociti atriali è di tipo slow, mentre la trasmissione dal N-SA al N-AV e poi ai cardiociti ventricolari è di tipo fast. Queste due differenti velocità servono a coordinare le singole parti tra di loro, evitando contrazioni anticipate o ritardate. Eventuali anomalie del sistema elettrico cardiaco possono generare irregolarità nel battito. Tali anomalie possono estendersi sia alla trasmissione slow sia alla trasmissione fast. La trasmissione fast è rallentata dalla presenza di un pre-circuito frenante, in grado di evitare sfasature nella compressione del miocardio. Tramite un ECG (elettro-cardio-gramma) è possibile registrare l’attività elettrica del cuore. Posizionando accuratamente gli elettrodi nei punti giusti sarà possibile ottenere un tracciato dell’attività cardiaca. La contrazione che parte dal N-SA genera un’onda caratteristica detta onda P. All’onda P corrisponde la contrazione dei due atri. Dopo l’onda P segue una pausa di 1/10 di secondo. Questo è il tempo che l’impulso impiega a raggiungere il N-AV. L’impulso si trasmette alle fibre di Purkinje e l’onda generata prende il nome di sistema QRS. Quest’onda corrisponde alla contrazione dei due ventricoli. Dopo il Sistema QRS segue un’onda T che corrisponde alla ripolarizzazione ventricolare e poi il ciclo riprende. Eventuali anomalie, come extra-sistole possono essere rilevate tramite ECG. L’extrasistole è una contrazione fuori tempo del cuore. Spesso le extra-sistole possono essere causate da crisi di ansia. Il ciclo cardiaco che porta il cuore dallo stato di contrazione allo stato di riposo e quindi nuovamente a quello di contrazione è detto "rivoluzione cardiaca". Il ciclo cardiaco comprende le due fasi essenziali nelle quali si svolge l'attività del cuore: -

Diastole;

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Sistole.

Durante la diastole tutto il cuore è rilassato, permettendo al sangue di fluire dentro a tutte e quattro le cavità. Attraverso le vene cave il sangue entra nell'atrio destro, mentre attraverso le vene polmonari entra nell'atrio sinistro. Le valvole atrioventricolari sono aperte consentendo il passaggio del sangue da atri a ventricoli. La diastole dura circa 0,4 secondi, abbastanza da permettere ai ventricoli di riempirsi quasi completamente. La sistole comincia con una contrazione, della durata di circa 0,1 secondi, degli atri che determina il riempimento completo dei ventricoli. Quindi si contraggono i ventricoli per circa 0,3 secondi. La loro contrazione chiude le valvole atrioventricolari e apre le valvole semilunari; il sangue povero di ossigeno viene spinto verso i polmoni, mentre quello ricco di ossigeno si dirige verso tutto il corpo attraverso l'aorta. Queste fasi cardiache sono ascoltabili e traducibili attraverso due suoni distinti, detti toni cardiaci. Quando i ventricoli si contraggono abbiamo il primo tono, un suono cupo (rappresentabile con un PUM). È generato dalla contrazione del miocardio ventricolare e, in parte, dalla vibrazione delle valvole atrio-ventricolari che si chiudono. Al primo tono segue una pausa durante la quale i ventricoli spingono il sangue nelle arterie. Successivo è il secondo tono, breve e chiaro (rappresentabile con un PAH), determinato dalla vibrazione delle valvole semilunari che si chiudono. Al secondo tono segue una pausa più lunga, con il riempimento dei ventricoli. Le coronarie sono i vasi che portano il sangue alle cellule del cuore. Può accadere che le coronarie si ostruiscano causando un infarto al miocardio. L’ostruzione può avvenire per vari motivi. Può accadere che si accumulino detriti oppure che la struttura ceda. Il materiale detritico forma dei trombi, che man mano tendono ad ostruire il passaggio al sangue. Se non si interviene tempestivamente, in questi casi, le conseguenze possono essere delle più nefaste.

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10-La Pelle La pelle (o cute) è un organo degli animali vertebrati composto da uno strato relativamente spesso di tessuto che protegge i muscoli e gli organi sottostanti. La pelle, nelle creature regolarmente esposte ai raggi del Sole, ha una pigmentazione. La pigmentazione può essere molto diversa nei vari gruppi umani. La pelle dei Mammiferi è spesso ricoperta di peli, e se questi sono particolarmente abbondanti vengono definiti "pelliccia". Il principale scopo dei peli è di migliorare l'isolamento termico della pelle. La pelle, se danneggiata, tende a guarire formando una cicatrice, spesso con perdita di pigmentazione. La pelle è conosciuta anche come "l'organo più grande del corpo umano", e infatti la sua superficie è di circa 2 metri quadri. Nel derma, la parte più interna della pelle, sono contenuti: le ghiandole sebacee, che contengono il sebo, un grasso che protegge la pelle; i vasi sanguigni;i bulbi piliferi e i peli, che si drizzano col freddo. La pelle è una tuta biologica con una superficie di 2 m2 e con uno spessore che varia tra l’1 mm e i 4 mm. Il suo peso è di circa 3 kg, con una impermeabilità medio-alta ed è disponibile in 21 opzioni di colore. Da un punto di vista tecnico, la pelle è formata da 4 strati sovrapposti. La prima funzione di tale tuta biologica è quella di regolare la temperatura corporea, ed è per questo che sono presenti numerosi termoconvertitori e termodeflettori. Per quanto riguarda la manutenzione, la pelle è dotata di un sistema self-cleaning e di uno di lubrificazione. Per quanto concerne la protezione, le forze vengono neutralizzate o direttamente o da gabbie fullaraniche. La pelle è un pessimo conduttore a secco, mentre in umido la resistenza al passaggio di corrente elettrica diminuisce. Inoltre la pelle è in grado di autoripararsi sia totalmente che parzialmente, a seconda del grado e del tipo di lesione. La cute è strutturata in tre strati che, dall’interno all’esterno, sono: -

Ipoderma;

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Derma;

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Epidermide.

La pelle vera e propria, cioè la pelle visibile all’occhio, è lo strato più esterno della cute, l’epidermide. Le cellule dell’epidermide poggiano sulla lamina basale. L’epidermide è un epitelio e i requisiti per esser tale sono: -

presenza di sistemi di connessione tra le cellule;

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presenza di sistemi di comunicazione tra le cellule;

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presenza di una lamina basale.

Tutte le cellule dell’epidermide hanno origine da un’unica cellula staminale. A seguito di una serie di mitosi adeguale (cioè una delle due cellule figlie si differenzia mentre l’altra continua ad essere staminale), da un’unica cellula prendono vita quattro tipi di cellule diverse, che formano i quattro strati dell’epidermide: -

strato germinativo;

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strato spinoso;

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strato granuloso;

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-

strato corneo.

Lo strato germinativo è l’unico strato che poggia direttamente sulla lamina basale. Tale strato è formato da una sola fila di cellule. Tali cellule sono unite tra loro tramite desmosomi e alla lamina basale tramite emidesmosomi. Le cellule dello strato germinativo sono saldamente unite alla membrana basale attraverso le proteine laminina e integrina e se ne distaccano solo al momento della mitosi. Sulla superficie della cellula sono presenti dei particolari recettori per fattori di crescita, come il keratan growth factor (KGF) e l’epidermal growth factor (EGF). Quindi l’adesione alla lamina basale inibisce la mitosi di tali cellule. All’arrivo di segnali di distacco che si uniscono ai recettori dei fattori di crescita, la cellula si separa dalla lamina basale e inizia il processo di mitosi. Tale separazione dalla lamina basale e resa possibile da C-Myc, un fattore promotore della mitosi. Delle due cellule figlie che si originano, una si differenzia è migra verso lo strato successivo, mentre l’altra ritorna sulla lamina basale. La direzione di spostamento della cellula differenziata è dettata da un gradiente crescente di calcio verso l’alto. Lo strato spinoso è formato da 2-3 strati di cellule. Tale strato è stato definito a seguito dell’esperienza fatta nel 1667 da Marcello Malpighi, che le osservò al microscopio e notò la presenza di strutture simili a spine sulla superficie delle cellule. Oggi si sa che quelle strutture a spine sono strutture di giunzione intercellulare (emidesmosomi). Gli emidesmosomi sono strettamente connessi al citoscheletro della cellula. La presenza massiva di desmosomi forma una barriera desmosomica atta a bloccare il passaggio di eventuali sostanze, sia dall’interno all’esterno che viceversa. Tale struttura è resa maggiormente impermeabile dalla presenza di tight-junctions. Lo strato granuloso è formato da 3-4 strati di cellule. Tale strato è stato definito così data la presenza, nel citoplasma di queste cellule, di strutture simili a granuli. Queste cellule sono connesse meno strettamente tra di loro rispetto allo strato precedente, formando delle aree dette microspazi. I granuli sono formati da ammassi di cheratoialina, un precursore della cheratina, proteina citoscheletrica dei filamenti intermedi presente abbondantemente nell’ultimo strato. I microspazi sono tappati dalla barriera lipidica, quindi soltanto a sostanze liposolubili sarà reso possibile il transito. L’insieme delle cellule dello strato granuloso immerse nella barriera lipidica forma il sistema mattoni-malta. I mattoni sono le singole cellule unite insieme dalla malta lipidica. Nella composizione lipidica della malta giocano un ruolo fondamentale le ceramidi. Le ceramidi sono una famiglia di molecole lipidiche. Una ceramide è composta da sfingosina e acido grasso. Ceramidi si trovano in alta concentrazione nelle membrane cellulari. Sono una delle componenti lipidiche fonte di sfingomielina: uno dei principali lipidi dello doppio strato lipidico delle membrane cellulari. Per anni si riteneva, che le ceramidi e altri sfingolipidi nella membrana cellulare fossero puramente elementi strutturali. Questo è riduttivo: uno degli aspetti affascinanti delle ceramide è il fatto che possono essere liberati dalla membrana da enzimi per fungere come trasmettitori di segnali. Le funzioni meglio note delle ceramidi, come segnalatori cellulari, concernono la regolazione della differenziazione, proliferazione, apoptosi.

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Nella malta sono presenti dei domini strutturali caratterizzati da ripetizioni della composizione. La malta è per lo più formata da strati di colesterolo sovrapposti in verticale aventi un periodo di 13 nm. Tra uno strato è l’altro troviamo un impasto di ceramidi 1-9 e acidi grassi. Tale dominio ha un periodo di 6 nm. Analizzando meglio tale sistema è riscontrabile un ulteriore periodo di circa 300 Å. Ogni microsistema presenta alle sue estremità delle regioni polari mentre all’interno sono riscontrabili dei domini di 13 nm e di 6 nm. Dall’analisi di tale microstruttura si è visto che i vari strati della malta lipidica sono fagliate, cioè presentano delle aperture ed inoltre sono presenti degli ulteriori sistemi di regolazione del flusso di trasporto, detti domini flessibili, che sfruttano l’inclinazione delle code idrocarburiche di acidi grassi insaturi. Tale sistema si definisce maltosoma. Da qui è possibile comprendere come le sostanze polari riescano a passare tale barriera. Le teste polari del maltosoma, nella loro disposizione, creano dei canali dedicati al passaggio delle sostanze polari. Lo strato corneo, l’ultimo strato dell’epidermide, è costituito da molti strati di cellule morte. Tali cellule, cheratinociti, sono ricchi di cheratina. L’organizzazione stratiforme dello strato corneo crea un envelope. Tale involucro di materiale amorfo presenta alcune strutture caratteristiche: -

strutture portanti statiche;

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raccordi;

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strutture portanti flessibile;

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giunti snodabili.

L’envelope è un insieme di proteine. Tali proteine hanno il compito di tenere uniti, avvolgere e impermeabilizzare i cheratinociti. Le proteine dell’envelope sono: -

KIF;

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Involucrina;

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Loricrina;

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Cystatina;

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Elafina e skalp;

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Pancornulina.

Tale conformazione è una tensostruttura che impedisce ai vari strati di cheratinociti di staccarsi. Le barriere sono rafforzate da legami tra le catene laterali delle proteine, come ponti disolfuro oppure ponti Glut-η-γ-Lis ad opera dell’enzima transglutaminasi. Per poter indebolire la barriera bisogna eliminare tali legami e solo così la zona sarà resa più permeabile. Numerosi studiosi, tra lo strato corneo e lo strado granuloso, individuano un ulteriore strato definito lucido. Tale strato è formato da cellule che sono ormai prossime alla cheratinizzazione e quindi alla morte. Il termine lucido è legato alla forte presenza in queste cellule di granuli di un composto precursore della cheratina. Per cheratinociti si intendono tutte le cellule che

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subiranno un processo di cheratinizzazione, e quindi non solo quelle dello strato corneo, ma anche le cellule degli altri strati vengono definite come cheratinociti. La struttura dei quattro strati e le loro relative barriere sono un vero e proprio ostacolo da superare quando si vuole somministrare un farmaco attraverso la pelle. Tale metodo di somministrazione dovrebbe essere a diffusione rapida, senza lasciare tracce o residui. Inoltre dovrebbe avere la capacità di integrarsi nella barriera senza alterarla, cioè senza destabilizzarne la struttura molecolare. Ma tale metodo di veicolazione dovrebbe anche essere in grado di passare attraverso le tight-junction e infine dovrebbe legarsi e oltrepassare la lamina basale fino a raggiungere la rete sanguigna limitrofa. Inoltre bisogna tener presente che lo spessore dell’epidermide non è costante lungo tutto il corpo, ma esiste, per così dire, una pelle sottile, con spessore minimo, ed un’epidermide spessa. Continuando nella discesa, oltrepassata la lamina basale vi è il derma, costituito da tessuto connettivo riccamente vascolarizzato e innervato. Si connette all'epidermide tramite una superficie irregolare, in cui le papille del derma (strato papillare) si insinuano nello strato sovrastante, favorendone il nutrimento; il derma inoltre dona alla cute le caratteristiche di consistenza e resistenza grazie alle abbondanti fibre di collagene. L’epidermide non è vascolarizzata, al contrario del derma, dove sono presenti delle escrescenze, dette papille dermiche, il cui compito è quello di far transitare la rete vascolare onde fornire all’epidermide i metaboliti necessari alla sopravvivenza delle cellule. Sull’epidermide sono presenti delle escrescenze. Tali escrescenze sono delle ventose, cioè delle strutture atte a migliorare la capacità prensile. Il derma è ulteriormente diviso in: -

Derma superficiale;

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Derma medio;

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Derma profondo.

Il derma è un composito, e come tale è in grado di resistere a forze di taglio, trazione e compressione. Resiste alle forze di compressione data l’abbondanza di proteoglicani, mentre il collagene ne aumenta la resistenza alla trazione. La struttura è in grado di resistere alle forze di taglio in quanto nel derma è presente una certa quantità di elastina. Gli strati dermici ed epidermici sono orientati secondo delle direzioni specifiche. Tale orientazione è finalizzata allo scopo di poter meglio scaricare le forze. Tali strutture prendono il nome di isostatiche dermiche. Per quanto riguarda le strutture vascolari, nel derma è possibile rinvenire due plessi vascolari, di cui uno superficiale e l’altro profondo. Accanto tali plessi vi sono anche i plessi venosi sub-papillari. Nel derma sono presenti gli adipociti, riconoscibili, in analisi istologica, dalla caratteristica forma di anello con castone. L'adipocita, o cellula adiposa, è l'unità morfo-funzionale del tessuto adiposo. Essa ha caratteristiche peculiari, sia morfologiche che funzionali. Le caratteristiche morfologiche dell'adipocita sono dovute alla presenza di proteine strutturali presenti nella membrana plasmatica, proteine che fungono da

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impianto per le fibre che trasportano i capillari sanguigni. Il citoplasma dell'adipocita è per la maggior parte occupato dalla gocciola lipidica o liposoma. L'adipocita è quindi una cellula che più di altre ha la tendenza ad accumulare gocciole lipidiche al suo interno. Bisogna ricordare che il liposoma non è un organulo cellulare e non è rivestito da membrana (al contrario degli altri -somi). Le cellule adipose sono molto voluminose, e si trovano spesso a formare ammassi, divisi in lobuli da sepimenti connettivali in cui si trovano i vasi sanguigni. Se le cellule sono a stretto contatto fra loro subiscono delle forti pressioni e per questo motivo la loro forma sarà poliedrica oppure ovale. Le caratteristiche funzionali dell'adipocita sono quelle che rendono il tessuto adiposo materiale di riserva energetica e proprio per questo motivo la sua funzione si può anche definire trofica. Le sue caratteristiche fisico-chimiche rendono questo tessuto un sistema di rivestimento coibentante (cioè evita la dispersione di calore interno) e proprio per questo motivo riveste l'organismo. Inoltre svolge una funzione di sostegno e meccanica e contribuisce a determinare la forma di alcune regioni del corpo. La diposizione dell’adipe presenta notevoli differenze in base al sesso dell’individuo. Nelle donne tende a disporsi maggiormente lungo i fianchi e sui glutei, mentre nell’uomo principalmente sulla fascia addominale. La presenza di adipociti nel derma crea una quinta barriera che è un eventuale ostacolo al transito di sostanze. Il sudore viene continuamente prodotto da 2 milioni di termoconvertitori che sono le ghiandole sudoripare. Una ghiandola sudoripara ha un condotto autonomo che si guadagna lo sbocco direttamente sulla superficie dell’epidermide. La ghiandola sudoripara è altamente vascolarizzata da mini-glomi vascolari. Tale rete vascolare fa in modo che il calore presente nel sangue venga utilizzato per fare evaporare il sudore. Infatti per far evaporare 1 grammo di acqua vi è bisogno di 580 calorie. Le ghiandole sudoripare hanno una distribuzione disomogenea lungo il corpo. Vi è un’abbondanza sulla palma della mano e sulla pianta del piede, mentre sono scarse lungo tutto il dorso. La ghiandola sudoripara eccrina è una lunga e complessa struttura secernente che origina negli strati più profondi del derma ed il suo condotto escretore comunica attraverso l’epidermide con l’esterno. Quindi la produzione del sudore avviene nel glomerulo presente nel derma. Il sudore poi viaggia nel condotto che oltrepassa tutta l’epidermide. Nella ghiandola sudoripara possiamo trovare tre popolazioni cellulari diverse: -

Cellula scura;

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Cellula chiara;

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Cellula mioepiteliale.

La cellula scura regola la tensione superficiale del sudore attraverso l’assorbimento di sodio e cloro, invece la cellula chiara produce NH3, ioni potassio e urea, in più acido lattico, acetico, propionico, butirrico, capronico, caprilico e citrico. In sintesi il sudore nasce dalla stretta collaborazione della cellula chiara e scura. La cellula mioepiteliale serve a sospingere il sudore verso l’alto. Il sudore prodotto viene immesso nel condotto e trasferito lungo il derma e l’epidermide. Alla fine si deposita sull’epidermide dove evapora. Evaporando, il sudore forma un mantello acido protettivo, che inibisce la proliferazione dei batteri presenti sulla superficie dell’epidermide.

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Accanto ai termoconvertitori esistono dei termodeflettori o unità pelo-sebacea. A seguito dell’invaginazione della lamina basale si forma una fossa che raggiunge il derma. Tale fossa viene poi a costituire il luogo in cui si sviluppa il pelo. I peli sono piccole formazioni sottili e filiformi che crescono sulla cute degli organismi viventi; in particolare, essi si presentano sulla maggior parte dei mammiferi, mentre le altre specie non le posseggono. Il pelo dell'essere umano è corto e setoso sulla maggior parte del corpo, mentre in alcuni punti specifici come la testa, il pube e le ascelle è più lungo e di qualità diversa; in particolare, il pelo che cresce sulla pelle del cranio viene generalmente chiamato capello e può raggiungere lunghezze molto considerevoli. Chimicamente un pelo consiste in una serie di filamenti di cheratina, una scleroproteina che viene prodotta nel più profondo degli strati del derma. Partendo da qui, la cheratina migra verso gli strati superiori e va ad addensarsi in cellule specifiche, che perdono il nucleo e vengono dette cornee. Queste cellule morte ricche di cheratina e quindi molto dure e fibrose vanno a formare, oltre ai peli, diversi altri elementi degli organismi animali, come ad esempio le unghie, gli artigli, gli zoccoli e i corni dei rinoceronti. Il pelo nasce da una particolare struttura della pelle, detta follicolo pilifero: qui è presente la vera e propria radice del pelo, la parte viva di esso. Per il resto, il pelo non è composto che di cellule morte stratificate e ricoperte di fitte e sottili scaglie. Alla radice del pelo, irrorata di vasi sanguigni e a contatto con i nervi, sono sempre presenti altre due strutture, cioè una ghiandola sebacea ed un muscolo erettore del pelo; la prima si trova in comunicazione con il follicolo pilifero e, tramite esso, secerne una sostanza grassa e oleosa, il sebo, che ha la funzione di ammorbidire la pelle. Il secondo invece, molto più piccolo dei normali muscoli scheletrici, è connesso direttamente al pelo e contraendosi è capace di causare il fenomeno dell'orripilazione, comunemente chiamato "pelle d'oca". Gli animali spesso posseggono, al contrario dell'uomo, particolari peli detti "peli tattili" o "vibrisse", situati vicino agli occhi o sul muso e dotati di molte più connessioni nervose al livello della radice. Tutti i peli contengono comunque, fatta eccezione per gli animali albini, dei pigmenti che conferiscono loro una grande varietà di colori. Quindi, il bulbo del pelo risiede nel follicolo pilifero, mentre all’esterno esce lo scapo. Il follicolo pilifero è altamente irrorato da una papilla dermica. Il nutrimento portato dal sangue serve a garantire la sopravvivenza delle cellule del bulbo in continua proliferazione mitotica. Le cellule poi migrano verso l’alto andando a costituire il pelo. La fase di crescita del pelo prende il nome di telogen. Arrivato ad un certo punto non si verificano più mitosi e tale fase prende il nome di anagen ed infine il pelo muore nella fase di catagen. Il ciclo poi riprende. Le cellule del pelo possono essere suddivise in più strati concentrici, che dall’interno all’esterno sono: -

Cellule ricche di cheratina;

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Lo strato di cellule di Henle;

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Lo strato di cellule di Huxley;

-

Le cellule delle cuticole.

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La crescita del pelo è regolata dal diidrotestosterone prodotto dall’enzima 5-α-reduttasi che interagisce col testosterone. Il muscolo erettore del pelo gioca un ruolo molto importante nella termoregolazione. Infatti quando il muscolo è rilassato lo scapo del pelo è disteso, in questo modo una maggiore quantità di calore passa dall’interno all’esterno. Quando fa freddo e la pelle tende a raffreddarsi, il muscolo erettore si contrae, alzando lo scapo. In questo modo una bolla d’aria viene intrappolata tra il pelo e le pareti del bulbo. Siccome l’aria è un pessimo conduttore di calore il corpo si raffredda di meno. Ciascun pelo possiede una rete micro vascolare. Nel follicolo pilifero sbocca il condotto della ghiandola sebacea, che produce il sebo, una miscela lubrificante che evita l’eccessiva secchezza della pelle. Le ghiandole sebacee sono piccoli organuli esocrini appartenenti all'apparato tegumentario; esse si trovano nella pelle e precisamente nel derma, unite al corpo di alcuni peli ad un'altezza di poco maggiore rispetto a quella del follicolo pilifero. Una ghiandola sebacea consiste in una piccola sacca dall'aspetto tondeggiante il cui ruolo, all'interno dell'organismo, è la produzione e la secrezione di sebo; questa sostanza, composta prevalentemente da colesterolo e acidi grassi, serve a rendere morbida la pelle e ad idratarla, evitando così che essa si secchi. Le ghiandole sebacee sono divisibili in due parti: una di esse si occupa della produzione del sebo e viene detta "porzione secernente", mentre l'altra, che ha la funzione di trasportare la sostanza grassa prodotta all'esterno, è chiamata "dotto (o condotto) escretore". La prima parte può essere ulteriormente suddivisa in diversi acini produttori, che consistono in rigonfiamenti circondanti il dotto escretore e che in esso riversano il sebo prodotto; la porzione secernente si trova più in profondità nel derma del dotto escretore, che invece comunica con l'epidermide tramite il foro del pelo a cui la ghiandola è collegata. Il sebo, uscendo la follicolo pilifero, forma sulla pelle un film lipidico detto Skin Surface Lipid Films (SSLF). Il sebo ha la struttura di una cera con acidi grassi esterificati con alcoli monovalenti. Il sebo forma sull’epidermide uno strato spesso tra i 4-5 nm. Le cellule che formano una ghiandola sebacea sono: -

Il pre-sebocita, che prende contatto con la lamina basale;

-

Il sebocita che è la cellula che produce il sebo.

L’IGF-1 stimola la sintesi del DNA e quindi aumenta il numero dei pre-sebociti e il numero dei sebociti. Sono presenti anche ghiandole apocrine, che producono un secreto alcalino che va a confluire e a fondersi col sebo. Le cellule che producono il secreto alcalino perdono man mano pezzi di citoplasma che andranno a fondersi col sebo. Del secreto apocrino farebbero parte alcuni feromoni capaci di stimolare la libido. Questi feromoni sono le copuline, che inducono all’accoppiamento. I peli sono annessi cutanei come le unghie. L'unghia è una lamina cornea semitrasparente che ricopre l'estremità della dita di alcune specie animali, tra cui l'uomo. Nell'uomo, l'unghia è composta da varie parti: -

la lamina o corpo ungueale, che è la parte cornea, composta per la maggior parte da cheratina;

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la radice ungueale, situata al di sotto del corpo;

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il letto ungueale o iponichio, dove la lamina si inserisce nel solco periungueale o perinichio;

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la lunula, estremità biancastra alla base della radice che è la matrice responsabile della crescita;

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la pellicola ungueale, che ricopre parte della lamina all'estremità inferiore.

Le unghie crescono indefinitamente circa di 0,1 mm al giorno. Se non le tagliassimo periodicamente alla fine della nostra vita avrebbero una lunghezza di circa 60 metri. Per i farmaci è possibile attraversare la pelle. Infatti quelli idrosolubili transitano attraverso la ghiandola sudoripara, mentre quelli liposolubili transitano attraverso la ghiandola sebacea ed apocrina.

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11-La Melanina La pelle è dotata di meccanismi di autoprotezione. Tali meccanismi difensivi coinvolgono due tipi di cellule diverse: -

La cellula di Langherans, per quanto riguarda l’immuno-sorveglianza;

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Il melanocita, per quanto riguarda i danni arrecati alla cellule dalla luce solare.

I melanociti producono un pigmento, la melanina, che colora la pelle. Le melanine sono pigmenti delle famiglie dei poliacetileni o delle polianiline che hanno la proprietà di rendere di colore bruno i loro copolimeri. Negli esseri umani, la melanina è nella pelle, nei capelli e nel tessuto pigmentato che è posto sotto l'iride, nel midollo e nella zona reticularis della ghiandola surrenale, nello stria vascularis dell'orecchio interno ed nel pigmento di alcuni tipi di neuroni. La Melanina è la determinante primaria del colore della pelle umana. La melanina dermale è prodotta dai melanociti che sono nella parte basale dell'epidermide, che la producono quando sono stimolati dall'esposizione alla luce ed in particolare alla radiazione ultravioletta (UV) nel campo da 380 a 410 nanometri (UVA). Anche se tutti gli esseri umani possiedono una concentrazione generalmente simile di melanociti nella pelle, l'attività dei melanociti è differente in individui appartenenti a diversi gruppi etnici esprimendo più frequentemente o meno frequentemente i geni melanina-produttori, conferendo con ciò una maggiore o minore concentrazione di melanina nella pelle e quindi una diversa pigmentazione. Alcuni individui sia di animali che umani hanno pochissima o nessuna melanina nella loro epidermide, una condizione nota come albinismo. Si ritiene comunemente che la Melanina sia l'agente che protegge la vita dagli effetti dannosi della radiazione UV solare, ma recenti studi suggeriscono che questo polimero possa avere funzioni diverse nei vari organismi. Negli umani la forma più frequente di Melanina è la Eumelanina. La natura precisa della struttura molecolare della eumelanina è ancora oggetto di studio. L'eumelanina esiste nei capelli di colori grigio, nero, giallo, e marrone. Nelle creature umane, è più abbondante in persone con pelle scura. Ci sono due tipi diversi di eumelanina, che si distinguono per il loro modo di formare legami polimerici. I due tipi sono comunemente indicati come eumelanina nera ed eumelanina marrone. In assenza di altre cause una piccola quantità di eumelanina nera causa i capelli grigi, mentre una piccola quantità di eumelanina marrone causa i capelli di colore giallo (biondo). Ma la melanina oltre a difendere le cellule dal danno della radiazione solare ha anche altri scopi. Il melanocita poggia direttamente sulla lamina basale, a livello dello strato germinativo della pelle. Il melanocita possiede numerosi prolungamenti citoplasmatici che hanno lo scopo di facilitare la diffusione della melanina alle cellule limitrofe. Il citoplasma del melanocita è pieno di vescicole scure o melanosomi, vescicole specializzate nel trasporto della melanina. I melanosomi sono strutture ovoidali di 0,20,6 µm e sono paragonabili a degli scafold proteici carichi di melanina. La melanina ha origine dalla tirosina che viene trasformata in DOPA dall’enzima tirosinasi. Con una successiva reazione della tirosinasi si ottiene il dopachinone. Se la concentrazione di cisteina è alta il dopachinone

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diventa cisteindopa, e alla fine si avrà la PHE-melanina, cioè la melanina che viene prodotta dai melanosomi durante l’esposizione al sole e che è causa dell’abbronzatura. Se la concentrazione di cisteina è bassa, il dopachinone diventa dopacromo, e alla fine si ottiene l’EU-melanina, cioè la melanina che colora la pelle di nero. Il colore della pelle non è legato al numero di melanociti, infatti un nero non ha più melanociti di un bianco (paradosso di Szabo). I melanosomi di una persona con pelle chiara sono stretti e ipodensi, mentre quelli di una persona di colore sono larghi e densi. Un melanosoma è costituito da: -

Una biomembrana;

-

Un corpo ovoidale denso.

La struttura all’interno del melanosoma è una gabbia fullarenica. Il materiale di cui è composta la gabbia svolge le funzioni di: -

Materiale geodetico isolante;

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Materiale per incrementare la resistenza meccanica;

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Attività scavanger, cioè è una trappola per gli elettroni;

-

Schermo anti-UV.

È proprio per queste caratteristiche che la melanina si trova anche sullo scroto dei testicoli (in questo caso funge da isolante termico ed impedisce che i testicoli si raffreddino troppo bloccando la spermatogenesi) e sull’areola della mammella (in questo caso aumenta la resistenza meccanica del capezzolo facilitando l’operazione di suzione del neonato al momento dell’allattamento). Non appena le cellule dell’epidermide vengono esposte ai raggi solari, il melanocita inizia la sintesi di melanina. Tale melanina avrà lo scopo di schermare le cellule dell’epidermide dai raggi UV. I melanosomi giungono nelle cellule grazie ai numerosi prolungamenti del melanocita, che in questo modo si assicura un’ampia area di copertura. Per ogni 10 cellule basali o germinative vi è un melanocita. L’unità melanica epidermica è costituita da un melanocita e da quei cheratinociti che possono essere raggiunti dai prolungamenti dendritici del melanocita stesso. L’abbassamento di tirosinasi inibisce la sintesi di nuova melanina. L’abbassamento della tirosinasi è attuato da IL-1α e TNF-α. Al contrario l’aumento della concentrazione di tirosinasi, ad opera di IL-6, stimola la sintesi di melanina.

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12-Osservazione della Cute L’esame dermatologico deve avvenire in condizioni di ottima illuminazione (possibilmente a luce naturale) e a paziente completamente svestito. Vanno esaminate in sequenza: -

Le unghie;

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Le superfici anteriori e posteriori;

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Il cuoio capelluto;

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La faccia;

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Il tronco;

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Le estremità inferiori;

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La cute interdigitale;

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Il cavo orale e le mucose ano-genitali.

Il colore della pelle allo stato naturale dipende dai globuli rossi. Se la pelle di un individuo è troppo rossa molto probabilmente soffrirà di ipertensione. Se invece la pelle è di un colore bluastro la persona è affetta da cardiopatie o insufficienza respiratoria. Il colore giallo della pelle è associato all’ittero. Sulla pelle possono essere presenti alcune macchie come le lentiggini e le efelidi. In campo specifico vengono utilizzati dei termini particolari per descrivere lo stato di salute della pelle e tali termini sono: -

Esocitosi, ovvero la migrazione di elementi provenienti dal sangue, che vanno a formare dei microascessi;

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Esosierosi, cioè la fuoriuscita del sangue dai capillari;

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Acantolisi, perdita delle connessioni intercellulari;

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Paracheratosi, persistenza dei nuclei nelle cellule cornee;

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Discheratosi, isole di cheratinizzazione nel contesto Malpighiano;

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Ipercheratosi, ispessimento dello strato corneo;

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Poichilocarinosi, modificazione del nucleo nel sistema Malpighiano.

La pelle, per essere considerata sana, deve rispettare dei canoni relativi alla quantità d’acqua lasciata passare all’esterno dell’organismo, alla quantità di sebo prodotto e infine al pH presente sulla sua superficie. La funzione primaria della pelle è quella di evitare la perdita di liquidi corporei per evaporazione. La misurazione della quantità d’acqua che attraversa i vari strati dell’epidermide e viene rilasciata sulla superficie cutanea può essere misurata dal tewameter. Se la barriera è integra si avrà minor passaggio di sostanza in entrambe le direzioni: essa bloccherà il passaggio di sostanze esogene all’esterno, mantenendo così la funzione di difesa della pelle, e regolerà d’altra parte la perdita di acqua e ioni dall’interno, espletando così le funzioni di mantenimento dell’omeostasi idro-elettrolitica dell’organismo. Minori sono i valori di TEWL, maggiore è il

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gradi di integrità delle barriere. Alti valori di TEWL, invece, indicano maggior perdita di liquidi e quindi minor potere protettivo della barriera cutanea. Il sebometro è un apparecchio che permette di misurare la quantità di sebo sulla superficie cutanea. La misurazione della quantità di sebo sulla superficie cutanea serve a valutare il grado di attività delle ghiandole sebacee ed in ambito clinico permette il riconoscimento precoce di alcune variazioni patologiche, come la sebostasi nell’anziano. Tale apparecchio è anche utile nel valutare l’efficacia in ambito farmacologico e cosmetologico di farmaci con funzione seboregolativa. Il pHmeter è lo strumento che permette di misurare il pH superficiale cutaneo, ovvero la concentrazione di ioni idrogeno degli strati superficiali della pelle. Il pH è un valore cutaneo fondamentale, che mette in relazione il film lipidico della superficie dell’epidermide con la sua capacità di costituire una barriera soprattutto per i microorganismi. Normalmente il pH acido della cute garantisce una protezione battericida creando un ambiente non adatto alla sopravvivenza di microorganismi patogeni, ed inoltre permette la funzionalità di enzimi che servono per la processazione e la formazione del film lipidico di superficie. Un’alcalinizzazione cronica determinata da agenti aggressivi o patologie sistemiche provoca un lento deterioramento della pelle e fenomeni di invecchiamento cutaneo precoce. Le patologie della pelle possono essere catalogate in: -

Patologie del pelo;

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Patologie della ghiandola sebacea;

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Patologie della ghiandola sudoripara;

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Patologie di cheratinizzazione;

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Psoriasi;

-

Patologie vascolari/metaboliche.

Tra le patologie associate al pelo le più interessanti sono l’irsutismo e l’alopecia. Una percentuale di donne che varia tra il 5% e il 10% sono soggette al cosiddetto fenomeno dell’irsutismo, definito come la presenza di peli terminali, con aspetto androgeno-dipendente, in aree che sono considerate primariamente mascoline. L’eccesso di androgeni, che causa tale fenomeno, può essere causato da ovaio policistico (nel 65-85% dei casi), patologie surrenaliche o gonadiche, oppure ancora in rapporto alla somministrazione eccessiva di ormoni androgeni o derivati del progesterone. L’irsutismo idiopatico o familiare è una forma di irsutismo legato all’aumentata sensibilità dei recettori cutanei agli androgeni secreti sia pure in normale quantità. Altre manifestazioni di tale patologia sono: -

acne post-adolescenziale;

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pelle grassa;

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oligo/amenorrea;

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sanguinamento disfunzionale uterino;

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mascolinizzazione;

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depressioni psicologiche.

L’eccesso di androgeni a lungo termine può determinare: -

anormalità nel quadro lipoproteico, con diminuzione del HDL-2 colesterolo;

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innalzamento dei trigliceridi;

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in più del 50% dei casi, queste donne possono mostrare vari gradi di resistenza all’insulina, con un aumento del rischio dell’intolleranza al glucosio e al diabete mellito.

L’oligo-ovulazione iperandrogenica può portare allo sviluppo del carcinoma endometriale e alla infertilità. Nell’analisi del follicolo pilifero, sono state individuate delle cellule progenitrici in un’area specifica definita “bulge”, che si trova in continuità con la guaina epiteliale esterna subito al di sotto dell’inscrizione del follicolo con la ghiandola sebacea, nel punto di attacco con il muscolo erettore del pelo. Dalle piccole cellule indifferenziate del “bulge”, originano le cellule della matrice che, a loro volta, formano sei tipi di strutture che compongono il pelo. Esistono diversi tipi di peli: -

peli sessuali, la cui crescita dipende dalla normale concentrazione degli androgeni nel plasma e dall’elevata attività della 5-α-reduttasi nelle cellule della matrice (barba, peli delle orecchie, peli del triangolo soprapubico);

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peli non-sessuali, la cui crescita è indifferente agli stimoli ormonali (ciglia, sopracciglia, capelli della regione occipitale, mentre quelli della regione frontale e del vertice sono estremamente sensibili agli androgeni);

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peli ambisessuali, che hanno una crescita normale in rapporto alle concentrazioni plasmatiche abituali di androgeni, che si riscontra nella donna (ascelle, pube).

Il ciclo del pelo è un ciclo a “mosaico”, costituito da tre fasi: -

anagen o fase di crescita;

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catagen o fase di transizione;

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telogen o fase di riposo.

La durata della fase di anagen varia in relazione al distretto cutaneo interessato. È molto elevata a livello del cuoio capelluto (2-6 anni), scende ad un anno a livello della barba ed è minima alle sopracciglia (4-8 settimane). In circa il 40% dei casi, la perdita di capelli di tipo androgenico nelle donne è causato da un aumento della produzione di ormoni androgeni o da una maggiore sensibilità dei follicoli agli androgeni, causando capelli più fini e crescita meno abbondante, contemporaneamente il cuoio capelluto produce sostanze più grasse. Si nota tra i trenta e i quaranta anni, rispetto ai venti-trenta anni negli uomini e può proseguire fino ad età avanzata. In generale non si tratta di una vera è propria calvizie, ma di un forte diradamento. Può essere dovuta al periodo postmenopausale, a deficit enzimatico surrenalico, a tumore secernente androgeni, a ovaio policistico

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ed ipercolesterolemia, ad anoressia nervosa, ad alopecia androgenetica ereditaria. È probabile che inizi in coincidenza di un cambiamento ormonale, ad esempio l’inizio o l’arresto nell’assunzione di pillole contraccettive, il periodo post-parto, il periodo post-puberale, i periodi perimenopausali e postmenopausali. Spesso risulta particolarmente basso il tasso di un certo tipo di globulina, SHGB (sexual hormones binding globulin), in grado di legare gli ormoni sessuali. Esistono varie forme di alopecia: -

L’alopecia cicatriziale è irreversibile, in quanto comporta la distruzione del follicolo pilo-sebaceo;

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Alopecia da farmaci o iatrogena, dovuta a determinati farmaci ad azione alopecizzante, si risolvono spontaneamente alla sospensione del farmaco responsabile;

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Alopecia da trazione o traumatica, è la conseguenza di trazioni ripetute sui capelli;

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Alopecia da radiazioni, può essere il seguito di trattamenti radianti per curare tumori maligni o altre malattie. L'alopecia di questo tipo può manifestarsi in modo acuto ed avere carattere transitorio, oppure manifestarsi anche dopo trenta anni dall'esposizione;

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Alopecia fronto-parietale maschile, è la tipica stempiatura a forma di M. Corrisponde allo stato uno della scala di Hamilton. Non necessariamente è il preludio ad una calvizie di tipo androgenetico;

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Alopecia post-parto e post-infettiva, si manifesta con la caduta dei capelli in fase telogen maturi, circa 3 mesi dopo il parto. È dovuta alla brusca interruzione degli estrogeni e alla prolattina (alta durante gravidanza ed allattamento) che è l'ormone che stimola la secrezione lattea (potrebbe attivare la 5-α-reduttasi, un eccesso di prolattina può essere dovuto allo stress). Tende a risolversi spontaneamente. L'alopecia post infettiva si manifesta durante o dopo stati morbosi, tipo l'alopecia tifica, sifilide secondaria, epatite virale.

L’effluvio in telogen è una caduta diffusa di capelli che consegue al passaggio simultaneo di un elevato numero di follicoli dalla fase di crescita (anagen) alla fase di riposo (telogen), ed è caratterizzata dalla caduta di notevoli quantità di capelli al giorno. È un fenomeno generalmente benigno e reversibile, ben diverso dal più pericoloso defluvio in telogen (in pratica la calvizie androgenetica). È comunissimo. È in pratica un'onda di muta. Provoca un diradamento diffuso dei capelli. A volte il diradamento è più marcato nelle regioni frontotemporale e del vertice. Spesso segue ad un episodio emotivamente importante, ad esempio stress acuti fisici o psicologici, interventi chirurgici, parto, emorragie, lutti, etc… I capelli caduti sono capelli terminali (senza segni di involuzione come i capelli vellus), simili ad una clava. Può protrarsi anche per tre mesi. Spesso un corticosteroide blando (idrocortisone butirrato) o generale (metilprednisolone) da risultati rapidissimi, con ripresa della fase anagen dei follicoli. Può iniziare dopo 12-15 settimane dall'evento scatenante e durare per 3 mesi, successivamente la caduta termina e i capelli ricrescono, si è avuta cioè, un'onda di muta. La follicolite decalvante è un’infiammazione follicolare con pustole piene di pus. Poi si ha la distruzione del follicolo, caduta dei capelli e calvizie cicatriziale La causa si ipotizza possa essere un difetto nella risposta immunitaria. La terapia è immunostimolante e antibiotica, non è però risolutiva.

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Il lichen planus è una malattia infiammatoria con probabile origine autoimmune e può interessare cute, mucose e annessi. È caratterizzata da papule di colorito lilla (rossiccio su avambracci, polsi, dorso delle mani, genitali, arti inferiori e biancastre all'interno delle guance o sulla lingua). Porta ad alopecia cicatriziale, con distruzione irreversibile dei follicoli. È tra le cause più frequenti di alopecia cicatriziale dell'adulto. La terapia è solitamente a base di corticosteroidi anche per via generale. Del lupus erimatoso esistono due forme: -

LES;

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LED.

Nella LES l'alopecia è solitamente reversibile. Nella LED ci sono delle chiazze arrossate prive di capelli, fittoni di materiale corneo ai follicoli piliferi, atrofia con riduzione dello spessore della cute, desquamazione, dilatazione permanente dei piccoli vasi superficiali cutanei. Porta ad alopecia cicatriziale. La causa è probabilmente autoimmune. Per la terapia si usano corticosteroidi. La mucinosi follicolare ha tre forme: -

la prima, detta mucinosi acuta, è caratterizzata da chiazze eritematose e da papule dello stesso colore della pelle, sul viso, spalle e cuoio capelluto, ove i capelli cadono; si risolve spontaneamente;

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la seconda forma, detta mucinosi cronica, è caratterizzata da lesioni più numerose. Nonostante abbia lungo corso è benigna ma da esiti di alopecia cicatriziale;

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la terza forma, detta mucinosi paraneoplastica, è sempre associata ad un linfoma (tumore maligno dei linfociti) si presenta con placche multiple generalizzate. L'esito è l'alopecia cicatriziale.

La sclerodermia è una dermatosi (malattia della pelle) cronica. La causa è autoimmune. La cute assume un aspetto cicatriziale, ispessito e di colore simile all'alabastro. Può iniziare alle mani, al torace, al volto per poi interessare anche organi interni. La terapia, basata sui corticosteroidi è spesso inutile. La tigna è l'attacco dei capelli o dei peli da parte di un micete (detto anche fungo). La tigna capitis è la tigna del cuoio capelluto. È caratterizzata da chiazze eritematose e desquamanti, da capelli spezzati e dall'aspetto polveroso. Il contagio può essere dovuto a gatti, cani, animali da stalla, alla terra oppure l'uomo. Se ben curata guarisce in circa 1 mese. Se invece trascurata può portare ad alopecia cicatriziale. La tricotillomania è un disturbo psicotico di persone che coscientemente o no, hanno l'abitudine di attorcigliare e tirare i capelli. Nei casi gravi può portare a fratture del follicolo con emorragie. I tumori più frequenti sono nevi, cheratosi attiniche, etc… Spesso il deflettore dl pelo può alterarsi causando alopecia areata, congenita, cicatriziale e sifilitica. Le patologie legate alla ghiandola sebacea sono per lo più seborrea e acne. Mentre le patologie della ghiandola sudoripara possono portare a:

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iperidrosi (eccessiva sudorazione);

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anidrosi (assenza di sudorazione);

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bromidrosi;

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cromoidrosi.

La bromidrosi è di origine batterica, mentre la cromoidrosi di origine lipofuscinica. Anidrosi e iperidrosi sono invece correlate a patologie della tiroide. L’ereutofobia è l’arrossamento improvviso della cute. Tale arrossamento è spesso causa di situazioni imbarazzanti per chi ne soffre. Tale problema dell’ereutofobia si risolve con un intervento chirurgico detto simpatectomia endoscopica. Si pratica una piccola incisione di 1 cm a livello del cavo ascellare in videotoracoscopia e si va a tagliare il nervo del simpatico causa del fenomeno. Le patologie che causano la cheratinizzazione sono ittiosi, malattie geneticamente trasmesse. Tale trasmissione può essere: -

autosomica dominante;

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recessiva legata al sesso (XX);

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autosomica recessiva.

La flessibilità e l’idratazione dello strato corneo sono parametri utili nel valutare la severità clinica delle ittiosi congenite. L’idratazione e la flessibilità dello strato corneo sono significativamente ridotte in ogni tipo di ittiosi. Le misurazioni dell’idratazione, della flessibilità e della permeabilità dello strato corneo sono effettuate da un corneometer applicato sul braccio. I risultati ottenuti possono indicare la gravità del fenotipo di ittiosi. L’associazione delle mutazioni della cheratina con malattie genetiche che causano fragilità della pelle è uno dei migliori esempi di scompensi citoscheletrici. Danni alla cheratina dimostrano la grande importanza delle proteine dei filamenti intermedi a livello delle cellule epiteliali. Nella pelle umana, la proteina HSP-27, un membro di una piccola famiglia di proteine, è espressa abbondantemente negli strati più superficiali dell’epidermide. La proteina HSP-27 ha funzioni di chaperone e regola il ritmo di crescita cellulare e la differenziazione. In accordo con i dati sperimentali, l’HSP-27 presente nelle cellule dell’epidermide, oltre ad essere una proteina chaperone, gioca un ruolo importante nell’assemblaggio dei filamenti di cheratina e nel processo di cheratinizzazione. Persone affette da ittiosi presentano un difetto dell’HSP-27 a livello epidermico. Tale difetto porta a scompensi citoscheletrici e ad una cattiva cheratinizzazione degli strati superficiali dell’epidermide. Anche le gap junctions risultano essere implicate nell’origine di particolari patologie della pelle. Infatti disordini ereditari della pelle sembrano essere causati dalla mutazione di un gene che codifica per una proteina delle gap junctions, meglio conosciuta come connessina. Attualmente si sa che tale mutazione è causa di: -

ittiosi;

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eritrocheroderma variabile;

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sindrome di Vohwinkel;

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ipotricosi.

Gli ittiosi sono una categoria clinica eterogenea per quanto riguarda gli agenti eziologici. Le molecole mutate che causano tale disturbo possono essere diverse e riguardare: -

proteine, come cheratina e loricrina;

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enzimi associati al metabolismo dei lipidi;

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proteine del catabolismo;

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DNA mal riparato.

La Psoriasi è una malattia autoimmune, mediata dai linfociti T. Attraverso meccanismi poco noti si determina una proliferazione anomala delle cellule della pelle, caratterizzata da macchie infiammate e desquamanti. La sua forma più comune è costituita dalle cosiddette placche psoriasiche, macchie della pelle ("lesioni") ricoperte da croste bianche argentee. La Psoriasi è estremamente visibile, ma assolutamente non contagiosa, può essere limitata a pochi punti o coinvolgere aree estese del corpo. La sua influenza sul benessere, l'autopercezione e la vita di relazione del paziente può spesso condizionarne pesantemente la qualità di vita; inoltre l'aumento progressivo del numero di persone che ne soffrono nel mondo occidentale la rende una malattia dall'impatto sociale sempre più elevato. Nella psoriasi si verifica un processo di desquamazione che porta alla formazione della pellicola di Brocq. Esistono vari modi per poter riconoscere la psoriasi, come il segno di Auspitz o il fenomeno di Koebner. Di psoriasi ne esistono varie forme: -

Psoriasi vulgare;

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Psoriasi guttata, con chiazze lenticolari;

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Psoriasi pustolosa-palmantare di Barber;

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Psoriasi pustolosa generalizzata di von Zumbsc;

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Psoriasi invertita, che colpisce le grandi pieghe con poca o niente desquamazione ed intensa infiammazione;

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Psoriasi eritrodermia, che si associa a febbre;

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Artrite psoriasica;

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Onicopatia psoriasica.

Altre patologie della pelle sono associate a disfunzioni vascolari e metaboliche. Tra tali patologie ricordiamo: -

Ulcus cruris;

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Tromboflebiti;

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Angeiti;

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Raynaud.

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Uno dei maggiori ostacoli per un farmaco applicato alla cute è quello di dover oltrepassare numerose barriere. La tecnologia versafoam cerca di eliminare tali ostacoli sfruttando la transizione di fase dallo stato di mousse a liquido. Tale transizione di stato avverrebbe a 37 °C, cioè alla normale temperatura corporea, e il farmaco verrebbe rilasciato gradualmente. La mousse è costituita da un veicolo trifasico di solvente, olio e alcool. Tale miscela deve avere lo stesso punto di transizione di fase, cioè la miscela è eutettica. La mousse, una volta applicata sulla zona della cute interessata, cambia fase è viene lentamente assorbita dalla pelle giungendo fino alla rete vascolare. I percorsi di veicolazione sono sia trans (cioè attraverso le cellule dell’epidermide) sia para (cioè sfruttando lo spazio presente tra le cellule). Tale modo di veicolazione del farmaco è detto veicolazione mista. La mousse, in confronto ad altri modi di veicolazione, non lascerebbe residui, non macchia, non sgocciola, è facile da applicare, è inodore e scompare.

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13-Il Sangue

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La cellula può essere paragonata ad una macchina e come tale necessita di un combustibile e di un comburente. I prodotti di reazione sono combusti e gas-residui. Il mezzo che ad una cellula porta combustibile e comburenti ed elimina combusti e gas residui è il sangue. Il sangue è un tessuto fluido contenuto nei vasi sanguigni degli animali, dalla composizione complessa, che fa parte della più ampia categoria dei tessuti connettivi. Il sangue è costituito da una parte non corpuscolare, il plasma, e una parte corpuscolare, formata da piastrine, leucociti e, in maggioranza, da eritrociti. Il sangue presente nel corpo di una persona rappresenta 1/12 del suo peso corporeo, quindi una persona di 70 Kg avrà tra i 5-6 litri di sangue. Il plasma sanguigno è una componente del sangue. È il liquido in cui sono sospese le cellule sanguigne. Il plasma contiene proteine, nutrienti, prodotti del metabolismo, ormoni e elettroliti inorganici. Il plasma ha un colore paglierino. È composto principalmente da acqua, proteine e sali minerali. Serve come mezzo di trasporto per il glucosio, i lipidi, ormoni, i prodotti del metabolismo, anidride carbonica ed ossigeno. La capacità di trasporto dell'ossigeno è relativamente bassa comparata a quella dell'emoglobina contenuta nei globuli rossi; può essere aumentata in condizioni iperbariche. È il mezzo di immagazzinamento e trasporto dei fattori di coagulazione, quali la fibrina, e il suo contenuto di proteine è necessario per mantenere la pressione osmotica del sangue. Il colore del sangue varia se si tratti di sangue arterioso o di sangue venoso. Il colore del sangue arterioso è di un rosso acceso, dovuto alla presenza della ossi-emoglobina, mentre il colore di quello venoso è più scuro di quello arterioso, dovuto alla presenza di deossi-emoglobina. L'emoglobina è una proteina globulare solubile di colore rosso presente nei globuli rossi nel sangue dei vertebrati, responsabile del trasporto dell'ossigeno molecolare da un compartimento ad alta concentrazione di O2 ai tessuti che ne abbisognano. L'emoglobina (che si indica con il simbolo HbO2 quando legata all'ossigeno, altrimenti Hb) viene sintetizzata inizialmente a livello dei proeritroblastii policromatofili (precursori dei globuli rossi), rimanendo poi in alte concentrazioni all'interno dell'eritrocita maturo. Le alterazioni di origine genetica della struttura primaria della molecola vanno sotto il nome di emoglobinopatie Il sangue ha un pH di 7,4 ed una densità compresa tra 1048-1066 g/dm3.

Il sangue porta alla cellula

metaboliti, ossigeno, acqua e segnali, e ne riceve cataboliti, anidride carbonica, acqua e segnali. Per analizzare la struttura del sangue bisogna smontarlo. Una volta prelevato un campione, questi viene centrifugato, e dopo un po’ si osservano tre aree diverse in cui sono collocati componenti diversi del sangue. La prima componente del sangue ad essere analizzata è il plasma, cioè un miscuglio di proteine molto importanti nel mantenere in salute l’organismo. Analizzando il plasma, attraverso opportune tecniche che portano alla formazione di un tracciato elettroforetico, è possibile distinguere tre classi principali di proteine:

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Le Albumine, prodotte dal fegato, rappresentano il 60% delle proteine presente nel plasma. L'albumina è una proteina del plasma sanguigno prodotta dal fegato con peso molecolare di 69000 daltons. È contenuta anche nel latte e nell'albume dell'uovo, da cui il nome. Il normale intervallo di valori della concentrazione di albumina nel corpo umano va da 3.5 a 5.0 g/dL, e costituisce circa il 60% di tutte le proteine del plasma; l'insieme di tutte le altre proteine plasmatiche può essere chiamato nel suo complesso globuline. L'albumina è essenziale per la regolazione ed il mantenimento della pressione oncotica, ovvero la pressione osmotica necessaria per la corretta distribuzione dei liquidi corporei nei compartimenti intervascolari e nei tessuti. La molecola dell'albumina è carica negativamente, come la membrana glomerulare dei reni, la repulsione elettrostatica impedisce quindi il passaggio dell'albumina nell'urina. Nelle sindromi nefritiche questa proprietà viene persa e quindi si nota la comparsa di albumina nelle urine del malato. L'albumina per questo è considerata un importante marcatore di disfunzioni renali che compaiono anche a distanza di anni;

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Il 35% del plasma è formato da globulina-tirolegante, transcortina (ACTH), transcalciferina (calcitriolo), transferrina (Fe++), apoliproteine e ormoni steroidei;

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La rimante parte è formata dalle γ globuline, ovvero gli anticorpi. Un anticorpo o immunoglobulina è una proteina con una peculiare struttura quaternaria che le conferisce una forma a "Y". Gli anticorpi hanno la funzione, nell'ambito del sistema immunitario di neutralizzare corpi estranei come virus e batteri, riconoscendo ogni antigene legato al corpo come un bersaglio. In maniera schematica e semplificata si può dire che ciò avviene perché al termine dei bracci della "Y" vi è una struttura in grado di "chiudere" i segmenti del corpo da riconoscere. Ogni chiusura ha una chiave diversa, costituita dal proprio antigene; quando la "chiave" (l'antigene) è inserita, l'anticorpo si attiva. La produzione di anticorpi è la funzione principale del sistema immunitario umorale. Gli anticorpi sono una classe di glicoproteine del siero, il cui ruolo nella risposta immunitaria specifica è di enorme importanza. Hanno la capacità di legarsi in maniera specifica agli antigeni (microorganismi infettivi come batteri, tossine, o qualunque macromolecola estranea che provochi la formazione di anticorpi). Vengono prodotte dai linfociti B differenziati in plasmacellule.

Un altro elemento da non trascurare è il rapporto tra percentuale di albumine e la rimanente parte del plasma. Tale rapporto A/G, in soggetti normali, è pari a 1,5. Alterazioni della composizione del plasma indicano che qualcosa non va. Infatti picchi di γ globuline indicano la presenza di infezioni croniche. Il plasma, del campione iniziale, rappresenta il 55%, mentre il restante 45% è rappresentata dagli eritrociti. Tale configurazione del sangue è detta ematocrito. Se la percentuale di globuli rossi è minore del 45% allora il paziente potrebbe essere anemico. La parte corpuscolare del sangue può essere contata. Visto al microscopio, il sangue è formato da una componente bianca e una componente rossa. La componente bianca è formata da:

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Eosinofili per il 2-4%;

-

Basofili per lo 0,5%;

-

Neutrofili per il 60%;

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Linfocita per il 20-35%;

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Monocita per il 3-8%.

La componente rossa del sangue è formata dagli eritrociti. A seguito della rottura del vaso, il sangue inizia ad uscire. Arrivato ad un certo punto il flusso in uscita si arresta. L’arresto è consentito grazie alla formazione di una rete proteica che intrappola gli eritrociti e ne impedisce la fuoriuscita. La rete tamponante è formata da fibrina. La Fibrina è una proteina utilizzata nella coagulazione del sangue. È una proteina fibrillare che è polimerizzata per formare una maglia, (insieme con le piastrine) sopra il luogo della ferita. La fibrina deriva dal fibrinogeno, una proteina plasmatica sintetizzata dal fegato. Nel processo della coagulazione si attiva la trombina responsabile della conversione del fibrinogeno in fibrina. La fibrina è allora trasversalmente collegata dal fattore XIII per formare un grumo. La fibrina è già presente nel plasma nella sua forma inattiva, il fibrinogeno. A seguito di taglio proteolitico, il fibrinogeno viene attivato diventando fibrina. L’attivazione del fibrinogeno è sotto il controllo di un’altra proteina la trombina. La forma inattiva della trombina è la protrombina. A queste proteine si unisce un altro fattore, definito STUART, originatosi in seguito al danno tessutale. La serie di reazioni che portano alla formazione del tappo di fibrina prende il nome di cascata coagulativa. Lo start alla cascata è dato sia da fattori intrinseci che tessutali. Il fattore STUART è costituito da proteoglicani. La coagulazione del sangue è il risultato di una serie di processi nei quali, all'interno o all'esterno di un vaso sanguigno si viene a formare un coagulo o un trombo. Il processo di coagulazione è unico, ma si può distinguere una sua versione fisiologica che è detta emostasi e conduce alla riparazione di una ferita, mentre la versione patologica della coagulazione, la trombosi, può portare a conseguenze anche gravi. L'emostasi normale è l'effetto di alcuni processi che, se ben regolati, svolgono due importanti funzioni: mantenere il sangue in uno stato fluido nei vasi normali; indurre un tappo emostatico in modo rapido e ben localizzato presso la sede del danno al vaso. Questo tappo emostatico rappresenta una formazione transitoria, in condizioni fisiologiche, necessaria per permettere ai meccanismi di riparazione delle ferite di riparare la lesione. Nel caso di trombosi, il trombo che si è formato presso la lesione tarda a distaccarsi e può tendere all'aumento di volume, aumentando la sua potenziale pericolosità. La scansione dei passaggi della coagulazione può essere variamente definita con un modello a cinque passaggi o con uno a tre soli passaggi. L'iniziale danno alla superficie interna del vaso provoca il rilascio da parte delle cellule dello stesso tessuto di alcuni fattori chiamati endoteline, che inducono il restringimento del vaso a livello della lesione, in modo tale da contrastare l'eventuale perdita di materiale. Sempre l'endotelio secerne il fattore di von Willebrand (vWF) che fa aderire ad esso le piastrine; queste espellono ADP e trombossano A2, con l'effetto di richiamare altre piastrine. Questa fase è caratterizzata dalla stabilizzazione dell'aggregato, grazie all'attivazione della

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fibrina. In questo frangente l'endotelio secerne il fattore tissutale (TF) e le piastrine espongono sulla loro superficie particolari fosfolipidi, favorendo l'adesione. Il processo di attivazione della fibrina segue invece un meccanismo a catena che vede la partecipazioni di molti più fattori. La fibrina si trova normalmente sotto forma di fibrinogeno che non può dar luogo ad un aggregato. Per far sì che il fibrinogeno venga attivato esistono due vie, una intrinseca ed una estrinseca, ma la divisione tra queste non è così netta, poiché elementi dell'una possono influenzare l'attivazione dell'altra. Queste due vie differiscono tra di loro principalmente per: -

l'agente iniziale che le attiva;

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il numero di fattori coinvolti nella cascata.

Le due vie si congiungono, originando la via comune, che ha inizio con l'attivazione del fattore X. La via estrinseca è più rapida per il minor numero di fattori che vi prendono parte. Essa viene attivata quando una lesione di un vaso sanguigno produce la liberazione, dalle cellule danneggiate, di fosfolipidi e di un complesso proteico detto fattore tissutale o tromboplastina tissutale. I fattori attivati, oltre il fattore tissutale, sono i fattori plasmatici VII, X e V. La via intrinseca è più lenta, perché comprende, oltre i tre fattori dell'altra via, anche i fattori XII, XI, IX e VIII, tutti fattori plasmatici. Questa via è innescata dall'attivazione del fattore XII, o fattore di Hageman, la quale si verifica quando il sangue entra a contatto con la matrice extracellulare, in particolare con le macromolecole di collagene. Ovviamente una lesione tissutale attiva entrambe le vie della coagulazione; infatti, la lesione non solo determina la liberazione della tromboplastina tissutale, ma anche, danneggiando i vasi sanguigni, consente al sangue di venire a contatto con superfici diverse da quelle endoteliali. La coagulazione per sola via intrinseca può verificarsi in condizioni patologiche, all'interno di vasi la cui superficie endoteliale sia danneggiata. Anche la via estrinseca, pur avendo il vantaggio di essere veloce, da sola non porta alla formazione di un coagulo stabile, se non viene rafforzata dall'attivazione della via intrinseca. Il contributo fondamentale di questa via è dimostrato dal fatto che, se essa non può avvenire per l'assenza di uno dei suoi fattori plasmatici, si manifestano gravi malattie emolitiche, note come emofilie. La fase di retrazione del coagulo è caratterizzata dalla cessione di acqua da parte del polimero di fibrina con il conseguente accorciamento dello stesso. Questa fase richiede un dispendio di energia sotto forma di ATP che viene prodotta dalle piastrine stesse ed è denominata metamorfosi viscosa. La fibrinolisi è operata dal sistema della plasmina, ovvero la forma attiva del plasminogeno. Questo fattore anticoagulante viene attivato dalla trombina, la stessa che attiva proprio la fibrina. Il significato di questo accoppiamento di reazioni ad effetto biologico opposto è quello di garantire ad una rapida formazione di un trombo, un'altrettanto rapida eliminazione (in proporzione alle dimensioni dello stesso). I test attualmente utilizzati per valutare l'efficienza della coagulazione consistono nella conta delle piastrine, che misura la concentrazione ematica delle stesse (valori normali: 150 - 400 mila per microlitro) e nei test sui fattori di coagulazione:

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-

PT (tempo di protrombina), misura il tempo necessario alla formazione del coagulo di fibrina quando al plasma (addizionato di sodio citrato) del paziente si aggiungono tromboplastina e calcio;

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PTT (tempo parziale di protromboplatina attivata) è un valore numerico, espresso in secondi, che indica il tempo necessario affinché del sangue in provetta addizionato ad alcuni reagenti coaguli. Il termine "parziale" sta ad indicare che tra i reagenti non vi è la tromboplastina (fosfolipide liberato normalmente dalle cellule traumatizzate, per es. quelle di una ferita). Valore normale del PTT in laboratorio è 28-34 secondi. Il PTT indaga principalmente il corretto funzionamento della via intrinseca della coagulazione e alterazioni di questo valore possono far sospettare diversi quadri patologici legati ai fattori di questa via (per es. l'emofilia) . L'utilizzo di gran lunga più comune concerne però il monitoraggio della terapia eparinica. L'eparina è una sostanza anticoagulante, che influenza in modo importante il valore del PTT;

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TT (tempo di trombina) è un test del fattore di coagulazione del sangue, utilizzato per identificare il livello terapeutico dell'eparina anticoagulante e per riconoscere specificatamente le anomalie che riguardano la reazione trombina-fibrinogeno. Il plasma da saggiare e un plasma normale di controllo vengono fatti coagulare con l’aggiunta di un reagente contenente trombina bovina diluito in maniera tale da ottenere un tempo di coagulazione di circa 15 secondi per il plasma di controllo.

La rete di fibrina risulta essere molto deformabile ed elastica. L’elasticità della fibrina e regolata dal XIII fattore della cascata coagulativa, un enzima, la transglutaminasi. La rete di fibrina è organizzata nello spazio dalle piastrine. A seguito di lesione, le piastrine nella prossimità della ferita cambiano forma, assumendo quella stellata. Al microscopio la piastrina non ha nucleo, ma è costituita da numerose vescicole ed abbondante citoscheletro. Le piastrine o trombociti sono elementi figurati (corpuscolari) del sangue. Sono specializzate nei fenomeni di emostasi (impedire la perdita di sangue dopo una lesione). Le piastrine, prodotte nel midollo osseo, sono presenti in un valore numerico di 200.000-300.000 per mm3 hanno una vita media di circa 10 giorni: questo numero può tuttavia variare anche significativamente in condizioni fisiologiche particolari, come per esempio nell'esercizio fisico. Sono prive di nucleo poiché derivano dai frammenti citoplasmatici del megacariocita, cellula emopoietica per le piastrine, ma possiedono granuli e molti organelli citoplasmatici e RNA in attività Si presentano di forma tondeggiante o ovale di circa 2-4µm. Al microscopio ottico presentano due zone distinte: una centrale granulare (granomero) e una zona periferica quasi ialina (ialomero). All’interno del citoplasma presentano in particolare actina sia in forma polimerica (microfilamenti), complessata con la profilina, che in forma globulare. Morfologicamente nella piastrina sono rilevabili granuli, suddivisi in tre tipi: -

Granuli alfa: poco opachi e molto numerosi, contenenti fattore quarto piastrinico, la trombospondina e fattori di crescita (ad esempio PDGF);

-

Granuli meno densi: Serotonina, ioni Calcio, ADP, ATP;

-

Granuli lambda: contengono idrolasi lisosomiali e perossisomi.

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Alcune malattie emorragiche sono causate da difetti piastrinici qualitativi (piastrinopatie) o quantitativi (piastrinopenia). Il cambiamento di forma è dovuto alla produzione di trombossano (COX-1) e le piastrine da lisce diventano spinose. Il trombossano, assieme leucotrieni e prostanoidi, è un prodotto del metabolismo dell’acido arachidonico. L’inizio della produzione di trombossano è la mancata produzione da parte delle cellule endoteliali danneggiate di prostacicline. La cicloossigenasi produce i prostanoidi, segnali molecolari che agiscono a breve raggio di azione. Queste molecole regolano importanti funzioni fisiologiche e dirigono alcune fasi dell’infiammazione. Quindi dall’acido arachidonico derivano: -

Le prostacicline (PGI-2);

-

Le prostaglandine (PDG-2,PGE-2,PGF-2a);

-

Il trombossano (TXA-2).

La lesione del vaso scatena la risposta delle cellule limitrofe che iniziano ad inviare segnali a breve raggio di azione.

La

piastrina

scandaglia

le

pareti

endoteliali

attraverso

la

produzione

di

endoperossidi.

Contemporaneamente viene attivata, nella piastrina, la produzione di trombossano. Se entro 5 secondi la piastrina non riceve il segnale dalle cellule endoteliali, la piastrina cambia da liscia a spinosa. Se invece l’endotelio è integro, questo produce le prostacicline, che neutralizzano il trombossano. In caso di danno endoteliale, il segnale non arriva e le piastrine continuano a produrre trombossano attivandosi. Una volta attivata, la piastrina si porta sulle aree endoteliali danneggiate, dove aggregano e, cambiando forma, organizzano la rete di fibrina. Tale rete forma il tappo che impedisce la fuoriuscita del sangue. Se un vaso viene ostruito, le cellule che erano irrorate dal vaso, vanno in necrosi. L’ostruzione è causata dalla presenza di un tappo di fibrina. Ciò accade poiché le piastrine monitorano la presenza di danni dell’endotelio in continuazione e non soltanto quando avviene un taglio. L’endotelio viene rinnovato una volta ogni 20 anni, e in tale periodo, alcuni fattori, come il fumo, producono numerosi danni all’endotelio dei vasi. Le piastrine non ricevendo il segnale dall’endotelio si attivano formando un ostruzione del vaso. Tale meccanismo è alla base della formazione dei trombi che possono generare anche infarti.

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14-EBI ed Eritropoiesi Ogni secondo vengono perduti 3 milioni di eritrociti e altrettanti ne sono prodotti nello stesso tempo. Mediamente, durante la sua vita, ogni singolo eritrocita percorre una distanza pari a 11 mila Km. Durante il suo tragitto, la cellula subisce tutta una serie di cambiamenti nella forma, che allo stadio ultimo la porteranno ad essere eliminata poiché inadatta a svolgere il suo compito di trasporto dell’ossigeno. L’eritropoiesi, cioè la costruzione dei globuli rossi, avviene nel midollo osseo. L’insieme delle strutture che svolgono tale ruolo viene detto eritrone. Visto al microscopio il midollo osseo appare pieno di particolari strutture che formano l’arcipelago EBI. È in queste strutture che avviene l’eritropoiesi. EBI sta per Erytroblastic Island. Tale struttura, o meglio fabbrica, è costituita da: -

Un capillare estremamente slargato, posto centralmente nell’isola, il sinusoide;

-

Cellule avventiziali;

-

Cellule reticolari;

-

Macrofagi.

Le cellule avventiziali si dispongono attorno il sinusoide a mò di raggi di una ruota di carro, mentre le reticolari formano dei ponti di collegamento tra una cellule avventiziale e l’altra. In questo modo si viene a costituire un microambiente induttivo dell’eritropoiesi. Le cellule reticolari lasciano degli spazi aperti ed è in questi spazi che si vanno ad inserire i macrofagi. Dalla collaborazione di queste tre popolazioni cellulari nasce l’HIM, ovvero Hematopoietic Inductive Microenvironment (Microambiente induttivo dell’eritropoiesi). L’HIM è composto da una serie di proteine necessarie affinché l’eritropoiesi venga portata a completamento. La sintesi di nuovi globuli rossi è possibile grazie alla presenza di cellule staminali proto-differenziate (EPO). L’EPO da origine ad un’altra classe di cellule, le BFU-E, che a loro volta generano le CFU-E. Dalle CFU-E prendono poi origine le cellule che andranno incontro al processo maturativo in globulo rosso nell’eritrone. Tali cellule sono cellule sensibili all’eritropoietina, una sostanza che amplifica l’attività dell’eritrone producendo una quantità maggiore di eritrociti al secondo. Quindi, il sangue circola nel midollo osseo, ed è nei sinusoidi che avviene l’aggiunta di globuli rossi neosintetizzati, a partire dalle cellule staminali. L’eritrone viene anche definito come insula sanguinis. Il ruolo del macrofago fisso nell’EBI è molto importante. Infatti da recenti studi risulta proprio che il macrofago svolga il ruolo di driver, di modulatore della formazione di globuli rossi. Infatti accompagna nei vari stati intermedi la cellula staminale fino a farla trasformare in un globulo rosso. Le singole cellule sono in comunicazione con il macrofago attraverso gap junctions. La produzione e immissione in circolo di eritropoietina è controllata dal rene. Il rene è un organo riccamente vascolarizzato e mentre il sangue circola nella sua rete vascolare, una cellula apposita, chiamata cellula stellata del rene, monitora in continuazione la concentrazione di ossigeno nel sangue. Se questa scende al di

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sotto di una certa soglia, la cellula stellata rilascia eritropoietina, che raggiunge il midollo osseo, ed incrementa le mitosi delle cellule BFU-E e CFU-E. In questo modo la produzione di globuli rossi sale a 30 milioni al secondo. La cellula stellata del rene possiede dei sensori dell’O2. Tali sensori, quando avvertono un calo della concentrazione di ossigeno, liberano l’HIF, un fattore di trascrizione per il gene dell’eritropoietina. In questo modo l’eritropoietina viene messa in circolo. Durante l’arco della sua vita, un globulo rosso cambia forma, passando da forme altamente idrodinamiche e comprimibili a forme, nella sua vecchiaia, statiche e poco efficienti. Gli eritrociti di diversa età si possono separare su gradiente discontinuo di poliarabinogalattano. Le cellule si separano in base alla densità di galleggiamento e le più vecchie sono le più dense. Un globulo rosso subisce continui controlli. Questi controlli sono di due tipi: -

Analisi della superficie, che avviene nel sistema reticolo-istiocitario (SRI);

-

Test resistenza/deformabilità, che avviene nella milza.

Man mano che un globulo rosso invecchia, il suo volume si riduce del 20% e la sua superficie del 25%. L’età di un globulo rosso è collegata alla perdita dell’asimmetria della sua membrana plasmatica. La membrana plasmatica è costituita da: -

Il bilayer lipidico;

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Proteine;

-

Citoscheletro;

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Carboidrati.

L’asimmetria di membrana viene mantenuta grazie alla presenza di particolari enzimi (translocasi, flippasi, scramblasi). Con il passare del tempo l’asimmetria viene persa, è alcuni fosfolipidi presenti sul lato citosolico della membrana passano dal lato esterno. Questo è il caso della fosfatidil serina, che quando è presente in grande quantità sul lato esterno della membrana segnala che il globulo rosso ha raggiunto il suo limite temporale e non è più adatto a svolgere efficacemente il suo compito. Il sistema reticolo-istiocitario è formato dal fegato, midollo, milza, surrene, pancreas e timo. Nei vasi del SRI oltre alle normali cellule endoteliali, sono presenti dei macrofagi. Questi macrofagi, captata la presenza di un globulo rosso anziano, lo bloccano. A questo punto il macrofago non fagocita direttamente il globulo rosso, ma deve ricevere il segnale dalle cellule reticolari e dai linfociti limitrofi. Una volta ricevuto il segnale il macrofago fagocita il globulo rosso. Le cellule dell’endotelio, per disattivare il macrofago, producono TGFβ. Quanto la produzione cessa il macrofago si attiva. Nella milza, invece, avviene il crash test, cioè si testa la resistenza del globulo rosso. La milza è costituita da una serie di cavità labirintiche. Lo scopo di tali cavità è quello di obbligare i globuli rossi a seguire un preciso percorso. La superficie esterna di questi cunicoli è tappezzata da cellule in grado di contrarsi. Al passaggio di un globulo rosso, il lume del passaggio si riduce, e se il globulo rosso è sano passa indenne al controllo. Ma se il

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globulo rosso è deformato o poco elastico, questi non riuscirà a superare il crash test. Tale globulo rosso viene segnalato e più avanti verrà rimosso direttamente da un macrofago, questa volta senza il parere del “consulto” inter-cellulare. Un macrofago una volta riconosciuto un batterio lo fagocita. Questo processo avviene in ogni momento dato il fatto che i batteri sono dappertutto e sono numerosissimi. Un batterio, rispetto ad una cellula eucariota, risulta essere molto piccolo. Eppure, sono presenti dappertutto. Nel nostro corpo vi sono delle zone ove non devono esserci batteri, come l’orecchio medio, i seni paranasali, l’apparato respiratorio, le pleure, il fegato, il peritoneo, l’uretere, l’osso, le articolazioni, i muscoli, il sangue. Ma vi sono anche zone piene zeppe di batteri come il nasofaringe, la pelle, l’esofago, lo stomaco, l’intestino, l’uretra, la vagina. I batteri rappresentano l’alba della vita e nonostante la loro semplicità biologica rappresentano una minaccia continua per l’uomo, così come un valido aiuto in certe attività. Data la loro numerosità per 1 cellula eucariotica del nostro corpo vi sono 9 batteri. Circa i ¾ della biomassa terrestre è formata da batteri. I batteri, essendo molto adattabili, riescono a vivere dappertutto. Molto spesso sono presenti delle vere e proprie comunità di batteri, che vivono secondo delle precise regole. Ultimamente, particolare interesse, desta la ricerca sul quorum sensing, il modo di comunicare dei batteri. Infatti tali organismi hanno una sorta di alfabeto chimico che permette loro di comunicare e di interagire. La comunicazione avviene con composti derivati dall’omoserina lattone. Un batterio è un’arma molto potente poiché è in grado di distruggere le normali barriere protettive di una cellula. Grazie a delle proteine di membrana, le adesine, il batterio si lega alla barriera cellulare e la distrugge. Prima di iniziare un nuovo processo di mitosi, ogni singolo batterio cerca informazioni relative all’ambiente circostante. Tali informazioni vengono fornite dalle colonie batteriche limitrofe. Ogni batterio invia un segnale di autorizzazione alla proliferazione. In caso di ambiente ostile o poco adatto la colonia batterica invia un segnale di inibizione. In caso di buone condizioni, il batterio prolifera una volta ricevuto il retro-segnale di proliferazione da parte della colonia. Per poter trasmettere e ricevere segnali, sulla membrana dei batteri sono presenti delle apposite strutture, dei recettori connessi ad un trasduttore citoplasmatico, che a sua volta interagisce con particolari geni. All’arrivo di un segnale, il sistema di trasmissione si attiva e vengono sintetizzate particolari molecole bio-reporter. Il principale bio-reporter è l’AHL, l’N-Acil-Omoserina-Lattone. Il flusso informazionale interbatterico è un milione di miliardi di volte più rapido di quello di un computer. Attraverso tale sistema di comunicazione i batteri attuano tattiche e strategie complesse. Alcuni per eludere il sistema di sicurezza producono tossine killer oppure inducono all’apoptosi la cellula avversaria. La vita sociale dei batteri è una vita democratica, volta alla cooperazione per la conquista dell’organismo. I batteri sono dappertutto e alcuni di questi, presenti negli strati alti dell’atmosfera, incorporano l’ossigeno gassoso e lo trasformano in ozono grazie all’energia fornita dai raggi ultra-violetti. Interferendo nel sistema di comunicazione batterica sarà possibile evitare epidemie oppure ordinare ai batteri di distruggere cellule tumorali.

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15-L’Eritropoiesi Vista al microscopio, una piastrina presenta un citoscheletro ben disposto nello spazio, alcuni tubuli che si aprono in superficie e numerosi granuli citoplasmatici. Tali granuli possono essere classificati in: -

Granuli α;

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Granuli δ;

-

Granuli λ.

Questi granuli contengono i fattori di coagulazione della cascata coagulativa. L’assorbimento del calcio avviene nell’intestino tenue, sotto forma di Sali solubili. Se il calcio transita nell’intestino sotto forma di Sali insolubili viene eliminato. Per il 75% della popolazione la dose giornaliera di calcio è inferiore a quella consigliata (1 g nell’adulto). Sulla superficie delle cellule dei villi intestinali sono presenti degli appositi sistemi di trasporto del Ca2+. La sintesi di tali proteine di assorbimento è regolata dal calcitriolo. Quindi è il calcitriolo che regola l’assorbimento a livello intestinale del calcio. La sintesi del calcitriolo inizia nell’epidermide, dove il 7-deidrocolesterolo viene trasformato in colecalciferolo. Una certa quantità di colecalciferolo è già presente nella dieta. La sintesi continua nel fegato dove viene aggiunto un gruppo ossidrilico al carbonio 25, formando il calcidiolo. Un secondo gruppo OH nella posizione 1 viene aggiunto nel rene, e il calcidiolo si attiva diventando calcitriolo, che stimola l’assorbimento di calcio e fosforo. Tale processo è regolato dal paratormone (PTH) prodotto dalle ghiandole parotidi. Il PTH è un induttore della α-1-idrossilasi renale. All’aumentare della calcemia corrisponde una riduzione del PTH con riduzione della idrossilazione in posizione 1 del 25-OH-D3, riduzione del calcitriolo e riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio e viceversa. Il calcidiolo rappresenta la principale scorta di vitamina D dell’organismo e il test che lo misura serve ad assicurare che il corpo ne abbia una riserva adeguata. Il test del calcitriolo, invece, serve a garantire che i reni convertano la giusta quantità di calcidiolo nella forma attiva. Recenti studi hanno dimostrato che anche nell’epidermide vi è già una piccola dose di calcitriolo. La carenza del calcitriolo provoca il rachitismo, una malformazione delle ossa dovuta al male assorbimento e fissazione nelle ossa del calcio. I globuli rossi (o eritrociti o emazie) sono delle cellule del sangue prive di nucleo, adibite al trasporto dell'ossigeno dai polmoni verso i tessuti e di una parte dell'anidride carbonica dai tessuti ai polmoni, che provvedono all'espulsione del gas all'esterno del corpo. Costituiscono gran parte della componente corpuscolare del sangue (circa 5 milioni per mm3). I globuli rossi umani sono cellule acidofile discoidali biconcave, con la membrana cellulare trasparente ed il citoplasma composto da acqua ed emoglobina (Hb). Non esiste il nucleo e non esistono organuli citoplasmatici. Il disco ha un diametro di 6-8 µm ed ha uno spessore che da 2,5 µm ai bordi, degrada sino a 0,9 µm. Questa forma è favorevole perché aumenta la superficie della cellula rispetto al volume. La loro funzione è principalmente quella di trasportare ossigeno ed una piccola frazione dell'anidride carbonica prodotta dal metabolismo (20% circa); il resto raggiunge i polmoni sciolta nel

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plasma sottoforma di carbonati. Dalla membrana citoplasmatica, come sempre, di doppio strato fosfolipidico, sporgono delle catene di oligosaccaridi che hanno attività antigenica determinando il gruppo sanguigno, derivato dalla combinazione degli alleli AB0; -

Antigene A, gruppo A;

-

Antigene B, gruppo B;

-

Antigeni A e B, gruppo AB (esempio di codominanza);

-

Nessun antigene, gruppo 0.

Dalla membrana, inoltre può sporgere anche un altro antigene, il fattore Rh: -

Presenza dell’antigene, Rh+;

-

Assenza dell’antigene, Rh-.

La forma di un eritrocita è quella di un disco biconcavo, il colore varia a seconda se si tratti di sangue venoso o arterioso. Visto al microscopio, il citoplasma di un globulo rosso è pieno di numerosi puntini. In realtà tali puntini sono molecole di emoglobina e se ne possono contare circa 280 milioni. Ogni singola molecola di emoglobina è formata da quattro subunità: -

α1, formata da 141 amminoacidi;

-

α2, formata da 141 amminoacidi;

-

β1, formata da 146 amminoacidi;

-

β2, formata da 146 amminoacidi.

Ogni singola subunità presenta un gruppo EME con al centro un atomo di ferro. La molecola di emoglobina è formata dall’unione delle quattro subunità. L’emoglobina riesce a legare l’ossigeno gassoso grazie all’atomo di ferro del gruppo EME. Ma all’interno del globulo rosso l’idratazione è molto alta ed in queste condizioni il Fe+++ forma ossido di ferro. L’atomo di ferro dovrà quindi posizionarsi in domini idrofobici della molecola e l’EME è appunto il microambiente che consente al ferro di essere costantemente disidratato. Infatti il gruppo EME è posizionato in un particolare dominio della globina, ricco di residui amminoacidici idrofobici. Tale dominio è detto tasca di Perutz. Quando il globulo rosso giunge in prossimità dei tessuti periferici, le subunità cedono l’ossigeno. La CO2 si lega ai gruppi α aminici, formando il complesso carboaminico. Quando i globuli rossi sono della stessa forma si parla di anisocitosi, mentre se hanno forme diverse di poichilocitosi. Un uomo adulto di 70 kg ha, per ogni mm3, circa 5 milioni di globuli rossi, mentre una donna 4,5 milioni. Mediamente si possiedono 25 mila miliardi di globuli rossi, e se messi uno in fila all’altro si potrebbe fare il giro della terra più volte. La forma è quella di una lente biconcava, avente uno spessore ai margini compreso tra i 2,31-2.85 µm e al centro compreso tra 0,45-1,16 µm. La lunghezza è di circa 7,75 µm e se tale parametro è al di sotto di 5,5 il soggetto sarà microcitemico, cioè avrà globuli rossi più piccoli, mentre se è al di sopra di 8,8 il paziente sarà macrocitemico. Il design del globulo rosso gli permette di poter attraversare

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tranquillamente capillari molto stretti. Al microscopio, la disposizione in fila indiana dei globuli rossi è detta disposizione a rouleaux. La costruzione degli eritrociti avviene nel midollo osseo. Tutto inizia da una singola cellula: l’emocitoblasta. Da una cellula completa di tutto, durante l’eritropoiesi, bisognerà passare ad una cellula altamente specializzata, priva di nucleo e contenente 280 milioni di molecole di emoglobina. Il primo stadio è quello di eritroblasta basofilo, nel quale inizia la costruzione dell’emoglobina. La basofilia è legata alla presenza nel citoplasma di grandi quantità di mRNA, un acido. Parallelamente alla sintesi delle 4 subunità dell’emoglobina inizia la sintesi dell’EME. A questo stadio sono presenti sulla membrana plasmatica i recettori per il trasporto del ferro. Allo stadio di eritroblasta policromatofilo si incomincia a vedere la prima emoglobina. La policromaticità è dovuta alla presenza contemporanea di proteine e mRNA, che rispettivamente legano coloranti acidi e basici. Allo stadio di eritroblasta ortocromatico la sintesi dell’emoglobina è ormai inarrestabile. Ormai tutto lo spazio deve essere occupato dall’emoglobina e anche il nucleo deve scomparire. Precedentemente tutte le altre strutture cellulari sono scomparse man mano. Lo stadio in cui il nucleo viene eliminato o, per meglio dire, espulso è lo stadio di normoblasta. Allo stadio di reticolocita si sta per entrare in circolo, ma la sintesi di emoglobina non è ancora terminata, perciò residuano dei ribosomi che stanno ancora sintetizzando emoglobina, formando una sorta di struttura a reticolo. Il reticolocita, colorandosi con il creysel violetto, è anche detto cresiocita. All’interno di questa cellula si possono notare delle strutture reticolari da cui deriva il nome di reticolocita. Quindi, riepilogando, i vari stadi sono: -

STEM;

-

Emocitoblasta;

-

Basofilo;

-

Policromatofilo;

-

Ortocromatico;

-

Normoblasta;

-

Reticolocita;

-

Globulo rosso.

Accade spesso che all’interno del citoplasma, durante lo stadio di normoblasta, restino presenti dei residui del nucleo. Tali residui se sono puntiformi vengono detti corpi di jolly, mentre se assumono una forma anulare (ed in questo caso si tratta di DNA) si parla di anelli di Cabot. I corpi di Pappenheimer sono dei veri è propri pezzi di nucleo, e le cellule con tali detriti prendono il nome di siderociti. L’origine delle piastrine è dovuta alla frammentazione del citoplasma di un tipo particolare di cellula polinucleata: il megacariocita. Il megacariocita è il risultato di successive divisioni mitotiche non seguite da citodieresi. Arrivato ad un certo punto, il citoplasma del megacariocita si riempie di invaginazioni e alla fine esplode generando le piastrine.

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16-Monociti Fu Elia Metchnikoff a scoprire il fenomeno della fagocitosi, e per tale scoperta, nel 1908, ricevette il premio Nobel. I macrofagi sono cellule mononucleate tissutali che appartengono al sistema dei fagociti. A questo sistema fanno pure parte i granulociti neutrofili e i monociti. Essi svolgono un ruolo molto importante nelle risposte immunitarie naturali e specifiche. La loro funzione principale è la fagocitosi cioè la capacità di inglobare nel loro citoplasma particelle estranee, compresi i microrganismi, e di distruggerle. Secernono inoltre citochine ad attività pro-infiammatoria e presentano l’antigene ai linfociti T-CD4. La cellula progenitrice dei macrofagi, come peraltro di tutte le altre cellule ematiche, è la cellula staminale multipotente (STEM). Nel midollo osseo questa cellula si differenzia in vari stipiti cellulari tra cui quello che dà origine al monoblasto; maturando questa cellula lascia il midollo e si riversa nel torrente circolatorio sotto forma di monocita. I monociti in circolo sono circa 500-1000/mm3, hanno un diametro di 10-15 micron, un nucleo reniforme o a fagiolo e un citoplasma finemente granulare contenente lisosomi, vacuoli fagocitici e filamenti di citoscheletro. Dal sangue migrano nei tessuti e maturando si trasformano in macrofagi. Quindi i monociti e i macrofagi tissutali rappresentano due stadi di uno stesso stipite cellulare spesso denominato sistema dei fagociti mononucleati; questo sistema era indicato in passato con il termine ormai abbandonato di sistema reticolo-endoteliale. Nella sede di migrazione, caratterizzata dalla posizione strategica dalla quale captare gli agenti microbici, i macrofagi assumono caratteristiche citomorfologiche diverse a seconda del tessuto nel quale si sono localizzati: -

Nel fegato rivestono i sinusoidi vascolari e prendono il nome di cellule di Kuppfer;

-

Nel sistema nervoso centrale sono stati denominati cellule gliali;

-

Nel polmone prendono il nome di macrofagi alveolari;

-

Nell’osso invece osteoclasti.

A volte sviluppano un abbondante citoplasma e per la somiglianza con le cellule epiteliali cutanee sono state chiamate cellule epitelioidi. Altre volte più macrofagi possono fondersi insieme per formare le cellule giganti multinucleate. Ricapitolando, esistono tre tipologie di macrofagi: -

Macrofagi insulari;

-

Macrofagi Stromali;

-

Monociti Circolanti.

I monociti circolanti, a loro volta, si differenziano in macrofagi tessutali e macrofagi presentanti. Tutti i monociti hanno origine nel midollo osseo, più precisamente nelle isole EBI. In tali strutture i macrofagi,

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definiti insulari, svolgono l’importante ruolo di assistere la sequenza di passaggi che porta alla formazione di un globulo rosso completo. I monociti viaggiano nel sangue ad una velocità di 50 cm al secondo. Tali cellule sono in grado di oltrepassare la parete dei vasi e di giungere nei tessuti. Per poter fare ciò la loro velocità deve scendere a 0,03 cm al secondo. La fase di frenatura è detta fase di rolling ed è mediata da proteine trans-membrana quali le integrine. Una volta giunto nel tessuto, il monocita si differenzia in macrofago. Il macrofago tessutale può essere inattivato (resting), oppure, a seguito di fenomeni infiammatori, può attivarsi, divenendo full activated. Le fasi di attivazione del macrofago sono: -

Resting;

-

Primed;

-

Activated;

-

Full activated.

I macrofagi tissutali si riconoscono data la presenza sulla loro membrana plasmatica di determinate proteine, come il fattore XIII, MMR, CD11b, CD42b, CD10, intra-MHCII. Tale famiglia di macrofagi si trova in tutti i tessuti, ma soprattutto nelle tonsille, nelle meningi, nei linfonodi e negli alveoli polmonari. I macrofagi, oltre a risiedere nei tessuti, svolgono un ruolo importante nel sistema reticolo-istiocitario. Infatti sono proprio i macrofagi all’interno del capillare a riconoscere ed eliminare i globuli rossi anziani, oppure sono i macrofagi, nella milza, ad eliminare tutti quegli eritrociti che non hanno superato il crash test. Oltre alla funzione di difesa espletata con la fagocitosi di agenti estranei quali i microbi, i macrofagi svolgono un ruolo importante nel complesso meccanismo delle risposte immunitarie. Nell'immunità innata hanno il ruolo di: -

Fagocitare microbi e distruzione degli stessi;

-

Produzione di citochine capaci di richiamare e attivare altre cellule infiammatorie;

-

Secrezione di enzimi e di fattori di crescita;

-

Produzione, in corso di infezioni virali, di interferon-alfa, citochina capace di inibire la replicazione virale e il diffondersi dell’infezione ad altre cellule sane.

Nell'immunità specifica i macrofagi hanno il ruolo di: -

Presentazione dell'antigene ai linfociti T.

I macrofagi posseggono sulla loro superficie cellulare dei recettori di membrana con cui captano i microrganismi o altre particelle. I recettori una volta attivati trasmettono dei segnali di rimodellamento della membrana cellulare che dapprima emette una estroflessione, quindi forma una rientranza sempre più profonda fino a quando le due estremità che avvolgono la particella non si toccano e si fondono fra loro. In questo modo il materiale estraneo si trova immerso nel citoplasma del macrofago formando una vescicola

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rivestita di membrana detta fagosoma. In seguito alla inglobazione del microrganismo si attiva un processo per cui il fagosoma viene avvicinato ai lisosomi fino a fondersi con essi formando il fagolisosoma. Il materiale fagocitato viene così a contatto con vari enzimi contenuti nei lisosomi e quindi digerito. Tra questi enzimi ricordiamo: -

La ossidasi fagocitica che converte l’ossigeno molecolare in prodotti intermedi reattivi dell’ossigeno che esplicano una azione tossica sui microrganismi. Una carenza genetica di tale enzima caratterizza la malattia granulomatosa cronica: in questa immunodeficienza i fagociti non riescono a eliminare i microbi e quindi l’organismo tenta di arginare l’infezione richiamando un numero sempre più grande di linfociti e macrofagi con formazione di granulomi;

-

La sintetasi inducibile dell’ossido nitrico che converte l’arginina in ossido nitrico dotato di attività microbicida;

-

Le proteasi lisosomiali che digeriscono le proteine batteriche, ad esempio: lisozima, proteine cationiche, difensine a ph acido e lattoferrine.

Bisogna comunque sottolineare che una reazione infiammatoria molto energica può portare alla liberazione di enzimi lisosomiali nello spazio extracellulare con danno ai tessuti dell’ospite stesso. Questo fenomeno accade in particolare ai macrofagi alveolari quando cercano di fagocitare fibre di amianto: la fagocitosi frustrata comporta la dannosa extravasazione del liquido lisosomiale nello spazio extracellulare causando un processo infiammatorio. Si ritiene che questo fenomeno possa essere alla base della cancerogenicità degli amianti. Tra le funzioni effettrici dei macrofagi troviamo anche la capacità di lisare cellule opsonizzate da anticorpi o da fattori del complemento. Queste funzioni dei fagociti mononucleati sono possibili grazie alla presenza sulla membrana citoplasmatica di quest'ultimi di recettori specifici: CD16 che riconosce l'Fc (parte terminale) delle IgG e diversi recettori per le molecole del complemento. L'azione citotossica dei macrofagi sulle cellule infettate è molto diversa dalla fagocitosi, che sarebbe improponibile viste le dimensioni delle cellule da eliminare. In seguito all’attivazione sollecitata dai microrganismi i macrofagi, come peraltro anche altre cellule del sistema immunitario, producono delle sostanze chiamate citochine: esse sono delle proteine che fanno da collegamento tra i diversi tipi di cellule coinvolte nell’infiammazione e nell’immunità. I microbi si legano tramite un componente liposaccaridico detto LPS delle loro endotossine ad un recettore espresso sulla membrana dei macrofagi. Questo induce i macrofagi a secernere le seguenti citochine: -

Fattore di necrosi tumorale (TNF): oltre che dai macrofagi è prodotto dai linfociti T, determina infiammazione attivando i neutrofili e le cellule endoteliali, nonché attivazione della coagulazione. Agisce inoltre sull’ipotalamo provocando febbre, sul fegato stimolando la sintesi delle proteine della fase acuta, sul muscolo e sul tessuto adiposo favorendo il catabolismo e nei casi estremi la cachessia. A concentrazioni elevate provoca vasodilatazione marcata e riduzione della

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contrattilità miocardia: con questo meccanismo si determinano ipotensione e formazione di trombi e nei casi più gravi shock; -

Interleuchina 1 (IL-1): è prodotta anche dalle cellule endoteliali e possiede effetti molto simili al TNF;

-

Interleuchina 12 (IL-12): è prodotta anche dalle cellule dendritiche. Sui linfociti T e sui linfociti NK stimola la sintesi di interferon-gamma (IFN-γ) che amplifica la risposta degli stessi macrofagi. Sui linfociti T la differenziazione verso la linea Th1;

-

Interferon-alfa (IFN-α): è prodotto in caso di infezioni virali ed è capace di inibire la replicazione dei virus.

Affinché i linfociti T riconoscano gli antigeni e continuino la risposta immunitaria essi devono essere loro presentati sotto forma di peptidi associati a molecole del Complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Le cellule che svolgono questo delicato compito sono chiamate cellule presentanti l’antigene (APC professionali). A questa famiglia di cellule appartengono i macrofagi e in genere i fagociti mononucleati, le cellule dendritiche come le cellule di Langerhans. Il processo di presentazione dell’antigene prevede una fase di processazione degli antigeni fagocitati durante la quale gli antigeni proteici vengono degradati per via enzimatica e trasformati in peptidi. Successivamente i peptidi vengono inseriti, in particolari tasche, delle molecole MHC formando un unico complesso che viene esposto sulla superficie cellulare. In questo modo i linfociti T sono in grado di riconoscere gli antigeni estranei e di dare l’avvio al proseguimento della risposta immunitaria fornendo gli stimoli per la proliferazione e la differenziazione dei linfociti B e dei linfociti citotossici (CTL). La presentazione degli antigeni ai linfociti T avviene nelle aree corticali dei linfonodi dove confluiscono trasportati dalle APC attraverso le vie linfatiche. Come era stato precedentemente esposto i macrofagi, come le altre cellule presentanti l’antigene, risiedono in forma inattiva in sedi strategiche che possono essere potenziali vie di ingresso degli agenti microbici, quali la cute, gli epiteli del sistema respiratorio e digerente, i sinusoidi del fegato. Una volta catturati e digeriti gli antigeni, queste cellule, attratte da chemochine, migrano per via linfatica nei linfonodi drenanti; durante la migrazione esse vanno incontro a maturazione aumentando la sintesi di molecole MHC e di altre molecole dette costimolatori, in altri termini da cellule semplicemente capaci di captare l’antigene diventano ACP professionali cioè cellule capaci di presentare l’antigene ai linfociti T e di stimolare gli stessi a rispondere efficacemente. Il sistema immunitario è in grado di riconoscere il self, cioè tutte quelle cellule che appartengono all’organismo, dal non self, cioè tutto ciò che è estraneo. Tale distinzione è resa possibile grazie a delle proteine transembrana, le TLR, ovvero toll-like receptors. Le TLR sono recettori a sette α-eliche transmembrana, accoppiate a G protein. Tali proteine sono GTP-dipendenti e sono direttamente collegate al citoscheletro. Inoltre regolano la concentrazione di calcio intracellulare e particolari tipi di enzimi. Le TLR

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rappresentano una famiglia composta da 10 membri, e alcuni di questi membri sono rilevabili su determinati tipi di organismi. La TLR3 è propria dei virus, mentre la 9 dei batteri. Sui macrofagi sono presenti i recettori TLR, mentre i linfociti posseggono recettori v-γ9 e v-δ2 e i natural killer recettori nK. Quando il sistema di riconoscimento self-non self viene alterato si possono avere delle gravi conseguenze. L’attivazione dei macrofagi può portare all’insorgenza di gravi danni tessutali. La sindrome emofagocitica (HPS) è un disturbo molto raro e poco conosciuto, che coinvolge il sistema immunitario. Tale sindrome è caratterizzata dall’eccessiva

proliferazione

e

infiltrazione

multisistemica

di

istiociti

che

perdono

il

controllo

dell’emofagocitosi nel midollo osseo e/o nel sistema reticolo-istiocitario. Le cellule NK (NK sta per Natural Killer) sono cellule del sistema immunitario, particolarmente importanti nel riconoscimento e successiva distruzione di cellule tumorali e infette da virus. Producono citochine. Sono linfociti grandi granulari che non necessitano di attivazione. A differenza dei linfociti T le cellule NK riconoscono come non-self le cellule con bassa espressione di MHC-I, inducendone la lisi. Cellule con alta espressione di MHC-I sono resistenti alla citotossicità mediata dalle cellule NK perché queste ultime posseggono sulla loro superficie una famiglia di recettori inibitori (KIRs) che, ingaggiati nel legame con il complesso MHC-I mediano una cascata di segnali che prevengono il rilascio dei granuli citotossici. Le cellule natural killer sono in grado di distruggere le cellule provocandone l’apoptosi. Ciò è reso possibile grazie a delle particolari proteine, le perforine, che fisicamente bucano la parete della cellula inducendone la morte. Esistono più geni delle perforine e mutazioni di questi possono causare perforinopatie. È possibile distinguere i singoli macrofagi tessutali, o cellule dendritiche, data la presenza sulla loro membrana plasmatica di particolari tipi di recettori. Data questa alta specificità di recettori è possibile distinguere ogni singolo tipo di monocita, cioè si è in grado di immunotipizzare le cellule della serie bianca. Una tecnica di immunotipizzazione è la FACS (Florescence Activated Cell Sorter). Marcando le cellule, grazie all’ausilio di un laser, si è in grado di riconosce una particolare categoria, di contarle e anche di estrapolarle dalle altre. Le cellule dendritiche sono cellule APC, cioè cellule presentanti antigeni. Quando queste cellule vengono stimolate da un antigene, questi viene endocitato, ma non distrutto, viene processato e alla fine esposto sulla superficie della membrana plasmatica assieme alla proteina MHC-II e con altre proteine (CD80/86, CD40, CD83). L’antigene così processato viene presentato ad un linfocita T, che si attiva scatenando la risposta immunitaria specifica. Le cellule dendritiche attivate rilasciano anche particolari segnali, come IL12, IFN di tipo I, IL10, IL18. Il macrofago è una cellula molto importante che svolge ruoli vitali. Tra le sue più svariate funzioni, viene anche impiegato come test su particolari tipi di biomateriali, per valutarne la tolleranza da parte dell’organismo. Ma i macrofagi svolgono un ruolo importantissimo nella riparazione tessutale, interagendo con le cellule endoteliali.

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Il Complesso Maggiore di Istocompatibilità o anche Major Histocompatibility Complex (MHC) è un gruppo di geni polimorfici che codificano per proteine espresse sulla membrana cellulare le quali espletano una funzione di riconoscimento di alcuni agenti proteici da parte dei linfociti T. Legano frammenti di antigeni ad una porzione di tale molecola rendendoli visibili ai recettori dei linfociti T. Identificati inizialmente perché responsabili del fenomeno del rigetto dei trapianti, si è in seguito potuto verificare l'esistenza di due principali classi di queste molecole (e di questi geni), definiti appunto come Classe I (MHC-I) e Classe II (MHC-II), responsabili di situazioni fisiologiche, e talvolta patologiche, nettamente differenti nell'ambito dell'organismo. Infatti, mentre i prodotti dei geni MHC-I sono antigeni direttamente implicati nel fenomeno del rigetto, quelli che derivano dall'MHC-II sono attivi nei fenomeni di cooperazione cellulare che si verificano nell'ambito della risposta immunitaria. Nell'uomo l'MHC prende il nome di Human leukocyte antigen (HLA). Le molecole di Classe I vengono espresse pressoché su tutte le cellule e sono formate da un polipeptide transmembrana di 44.000 dalton, codificato dall'MHC, associato alla β2-microglobulina, una molecola invariante di 15.000 dalton codificata dal cromosoma 15. Le molecole HLA di classe II sono presenti solo su alcune cellule immunocompetenti, in grado di effettuare la presentazione dell'antigene. Inoltre la loro presenza, anche su queste cellule, non è costante, ma soggetto a modulazione, cioè possono essere presenti o meno a seconda dello stato di attivazione della cellula. Questa espressione viene modulata dalla presenza o meno di alcune interleuchine e/o interferoni. Le molecole di Classe II sono proteine di membrana eterodimeriche, formate cioè da una catena α (che varia fra i 33.000 e i 34.000 dalton), e da una catena β (fra i 28.000 e i 29.000 dalton), entrambe codificate dall'MHC. C'è poi una terza catena, detta invariante, che non attraversa la membrana cellulare. Sia le molecole di classe I che quelle di classe II fungono da bersaglio per i linfociti T, che regolano la risposta immunitaria. Gli antigeni espressi in associazione all'MHC di classe I vengono riconosciuti dai linfociti T citotossici, anche detti linfociti T CD8+ che vengono attivati agendo da effettori per la risposta immunitaria cellulo-mediata, ossia risposte immunitarie specifiche, provocando la lisi delle cellule che esprimono tali proteine. Queste ultime possono essere cellule tumorali o cellule in cui stanno avvenendo processi di replicazione di virus. L'MHC di seconda classe sarà riconosciuta invece dai recettori dei linfociti T helper, altrimenti detti linfociti T CD4+, che rispondo alla stimolazione producendo citochine. Nell'uomo le molecole dell'MHC sono codificate da un complesso genico situato sul braccio corto del cromosoma 6. I geni per le molecole MHC di classe II nell'uomo (HLA-D), sono divisi in famiglie, ognuna codificante le catene α e β, che vanno a formare il dimero. Le tre famiglie principali prendono il nome di DP, DQ e DR. Ogni famiglia esprime geni per entrambe le catene del dimero proteico. I geni dell'MHC sono polimorfici e questo polimorfismo è molto alto. L'operazione di definizione dei differenti alleli che caratterizzano un individuo prende il nome di determinazione dell'aplotipo o anche, nell'uomo, di tipizzazione HLA. Il polimorfismo dei geni MHC è di grande rilevanza nel definire qualità e quantità della risposta immunitaria di un individuo.

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Ci si è sempre interrogati sull’insorgenza di malattie autoimmuni. In tali patologie il sistema immunitario riconosce come non self il self e lo distrugge. In base alla danger theory, a seguito di infiammazione o infezione, i neutrofili rilasciano granuli di proteine e cromatina che insieme formano una sorta di colla su cui restano intrappolati i batteri gram positivi e negativi. Tale substrato viene definito NETs, cioè Neutrophil extracellular traps. Recenti ricerche hanno evidenziato il ruolo delle proteine istoniche nell’indurre l’apoptosi cellulare. Infatti alcuni istoni sono batteriostatici, cioè bloccano i batteri e ne inducono l’apoptosi. Le proteine istoniche sono strettamente legate al DNA, quindi quando vengono esocitate anche il DNA viene esocitato. Da tali studi risulta che la cromatina ha anche una funzione antimicrobica. Le proteine esocitate (L30, S19, ubiquitina, H1,5, H2B) normalmente si trovano all’interno della cellula e contribuiscono alla formazione della barriera antimicrobica. Tra queste proteine, l’istone H1,2 esercita una buona azione antimicrobica. Vivier sostiene che la causa dell’insorgenza di patologie autoimmuni è legata all’esocitosi, da parte dei neutrofili, di cromatina a seguito di un attacco microbico. Il macrofago riconosce come non self la Cromatina, in quanto generalmente si trova all’interno della cellula e così, una volta presentato l’antigene, vengono prodotti anticorpi. Quando si ripresenta la stessa infezione, l’esocitosi di cromatina può scatenare un vero è proprio attacco di massa degli anticorpi prodotti in precedenza verso le cellule del self, distruggendole. Tale teoria spiega anche perché in tali patologie esistano anticorpi che si legano al nucleo delle cellule e non alla sua membrana.

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17-Neutrofili Una mucosite è causata da una neutropenia, cioè una carenza di neutrofili. I sintomi di una mucosite sono inizialmente malessere, piccoli brividi, rialzi termici. Successivamente il quadro clinico può peggiorare portando prostrazione, brividi intensi, febbre elevata. Una mucosite è un’infezione delle mucose causata da batteri. Al di sotto di una mucosa vi è la sottomucosa, che è irrorata dai vasi sanguigni. A seguito di uno stress, i neutrofili presenti possono attivarsi passando da resting ad activated. I granulociti neutrofili sono un tipo di granulociti, globuli bianchi il cui citoplasma contiene granulazioni caratteristiche ed un nucleo lobato (per cui i granulociti vengono anche chiamati polimorfonucleati) ed hanno funzioni di difesa dell’organismo contro infezioni batteriche e fungine. Vengono chiamati neutrofili perché non incorporano coloranti istologici, né acidi né basici (neutrofilo). Rappresentano il 50-70% dei leucociti. Ogni giorno circa 100 miliardi di cellule staminali del midollo osseo si differenziano in granulociti neutrofili, i quali hanno però un tempo di vita abbastanza breve: dalle 7 alle 10 ore in circolo e circa 3 giorni nei tessuti. Queste cellule prendono origine dal midollo osseo da una cellula progenitrice comune per tutte le cellule del sangue, da cui passa al torrente circolatorio e da lì all'interno dei tessuti. Il compito fondamentale di queste cellule è quello di catturare e distruggere sostanze estranee mediante il meccanismo della fagocitosi. Si è potuto constatare che la loro fagocitosi è più efficace di quella dei macrofagi. I neutrofili aumentano nelle persone allergiche e in corso di infezioni, prevalentemente sostenute da batteri, nonché negli stadi terminali di alcuni tipi di shock. I granulociti neutrofili hanno dimensioni intorno ai 10-12 micron, in realtà sono più grossi ma subiscono un ridimensionamento nel momento in cui vengono sottoposti a schiacciamento e colorazione sui vetrini per l'osservazione. La caratteristica fondamentale dei granulociti neutrofili è la presenza di una pluralità di lobature del nucleo. Il nucleo non è multiplo ma semplicemente plurilobato (comunemente non superiore a 3 lobi), ogni lobo è unito da un filamento eterocromatinico molto evidente. Al microscopio elettronico, il citoplasma di un neutrofilo è ricco di granuli. Tali granuli rappresentano il sistema litico difensivo, cioè sono le armi primarie per la lotta contro l’infezione batterica. Il cromosoma 17 decide il numero dei neutrofili circolanti, mentre il fattore G-CSF ha un ruolo analogo all’eritropoietina, stimolandone la produzione. L’evoluzione clinica di una neutropenia è la risultante del quorum sensing batterico. I batteri, attraverso opportuni sistemi, riescono a neutralizzare le linee difensiva del nostro organismo. Le mucose sono tappezzate da due popolazioni cellulari differenti: -

Cellule che secernono muco, nel quale restano invischiati polveri e batteri;

-

Cellule ciliate, le quali, attraverso apposite strutture, le cilia, riescono a spingere all’esterno il muco in cui sono impregnati polveri e batteri.

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I batteri, secernendo la proteina P97, riescono a bloccare le cilia, così il muco non viene eliminato e l’infezione ha inizio. Nei neutrofili di soggetti femminili, nello studiare il nucleo, è possibile notare un aggregato di cromatina, il corpo di Barr, che viene denominato drumstick, per la sua tipica forma a mazza di tamburo. Il corpo di Barr è uno dei due cromosomi sessuali che è stato disattivato tramite un’estrema condensazione. Analizzando il nucleo del neutrofilo è possibile ricavare ulteriori informazioni sullo stato di salute del paziente e diagnosticare eventuali patologie. L’età del neutrofilo è correlata al numero di lobature del nucleo. Tale metodo di catalogazione dell’età del neutrofilo prende il nome di metodo di Arneth & Schilling. La valutazione del potenziale del neutrofilo è proporzionale al numero di granuli citoplasmatici in esso presenti, rilevabili facilmente se marcati con la fosfatasi alcalina. Il citoplasma di un neutrofilo è formato da circa 200 granuli, suddivisibili in 3 categorie distinte: -

Granuli azzurofili;

-

Granuli specifici;

-

Granuli terziari.

I granuli azzurofili, o primari, rappresentano il 70-75 % dei granuli totali. Tali granuli contengono idrolasi acide, mieloperossidasi (55 kD), elastasi, BPI (Bacterial Permeability Increasing), catepsina G, collagenasi, difensine. Tutte queste sostanze attaccano direttamente i batteri, cercando di distruggerli immediatamente. I granuli specifici sono il 15-20 % del totale e contengono: fosfolipasi A2, lactoferrina, fagocitina, fosfatasi alcalina, aril sulfatasi, istaminasi, β-glucuronidasi, fosfatasi acida, fosfolipasi, proteina maggiore basica, proteina cationica eosinofila, neurotossina, ribonucleasi, perossidasi, lisozima. Il restante 5 % è rappresentato dai granuli terziari, che contengono gelatinasi e catepsine. Il citoplasma del neutrofilo è ricco di granuli di glicogeno. Il glucosio che viene assorbito dal neutrofilo può seguire due diversi destini: -

Il primo è quello dell’immagazzinamento e il glucosio viene prima fosforilato, divenendo glucosio-6fosfato, e poi raccolto in granuli di glicogeno;

-

La seconda via è quella della degradazione immediata a piruvato per ottenere immediatamente energia chimica.

I granuli di glicogeno occupano dall’1 al 30% del citoplasma. Il neutrofilo individua i batteri seguendo opportuni segnali chimici lasciati da questi durante il loro percorso (chemiotassi). La sintesi di neutrofili avviene nel midollo osseo. Tutto ha origine da una cellula staminale emopoietica pluripotente, PHSC, che genera: -

Cellule CFU-Ly, che danno origine ai linfociti T e B;

-

Cellule CFU-S, dalle quali originano le restanti cellule della serie bianca;

-

Cellule BFU-E, che danno origine ai globuli rossi.

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Le CFU-S si differenziano in CFU-N, che a loro volta danno origine all’emocitoblasta che si differenzia in neutrofilo. All’emocitoblasta segue il mieloblasta e, poi, il promielocita. Dal promielocita possono originarsi: -

Gli eosinofili;

-

I basofili;

-

I neutrofili.

Gli stadi successivi sono quelli di mielocita, metamielocita e granulocita. Lungo questo percorso il nucleo della cellula comincia a presentare curvature con la formazione di lobi e tale processo prende il nome di metamorfosi nucleare. I primi granuli a comparire già allo stato di mieloblasto sono gli azzurrofili. I granuli specifici compaiono nella fase di promielocita e i granuli terziari nella fase di mielocita. Il tempo impiegato per costruire i neutrofili è di circa 11 giorni, contando sia la fase mitotica (da mieloblasto a mielocito dai 3 ai 9 giorni) che la fase maturativa (da metamielocito in poi). Marcando i neutrofili con diisopropionil fluoro fosfato si è visto che alcuni restano in circolo, formando il compartimento circolante, mentre altri si adagiano sulle pareti dei vasi, formando il compartimento marginato. La ragione di tale compartimentazione è sconosciuta, ma è probabile che i neutrofili diventino neutrofili marginati poiché invecchiano oppure perché vengono richiamati per ecotassi. La produzione giornaliera è di circa 100 miliardi ma l’immissione dei neutrofili nel circolo sanguigno è variabile. Se vi è neutropenia, vi è un’abbondante riserva detta riserva granulocitaria midollare e la produzione viene incrementata notevolmente. È possibile mobilizzare tali riserve con un farmaco, il pyrexal. La leucocataresi avviene per il 30 % nei polmoni e nell’intestino. Una valutazione dell’efficacia degli antisettici e disinfettanti disponibili è difficile perché i metodi di valutazione adottati sono controversi ed i risultati soggetti a diverse interpretazioni. L’antisettico ideale deve essere: -

Letale per i microrganismi a basse concentrazioni;

-

Innocuo per cellule e tessuti;

-

Non reattivo con sostanze inorganiche;

-

Stabile;

-

Incapace di macchiare;

-

Inodore;

-

Ad azione rapida;

-

Attivo anche in presenza di proteine estranee, essudati o detriti;

-

Funzionale alla riparazione tessutale.

I radicali liberi hanno una natura controversa e difficile da catalogare. Questi sono dei potenti tossici cellulari e sono essenziali al corretto funzionamento delle cellule. Tra i radicali liberi più famosi vi è il perossido di idrogeno, che svolge un ruolo centrale nella riparazione tessutale, ma ad alte concentrazioni la

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inibisce. La produzione di energia comporta la produzione di un 6 % di ROS, quindi la presenza di tali composti all’interno delle cellule è inevitabile. Negli ultimi anni, la cattiva reputazione dell’ H2O2 e delle altre molecole radicali liberi è cambiata. Queste molecole sono ora viste come molecole della vita, nel senso che sono essenziali alla sopravvivenza e alla proliferazione delle cellule. È risaputo che basse concentrazioni di H2O2 hanno effetti mitogeni e possono mimare le funzioni dei fattori di crescita. Inoltre alcune ricerche sostengono che l’acqua ossigenata sia una sorta di secondo messaggero. Quindi il perossido di idrogeno, a basse concentrazioni (10 mol/L), è un regolatore della funzione cellulare. Tuttavia l’acqua ossigenata è generalmente considerata un prodotto tossico della respirazione cellulare, ma nuove ricerche suggeriscono che i ROS potrebbero essere i componenti integrali di particolari recettori di membrana. La famiglia dei recettori TKR (Tyrosine Kinase Receptors) è una serie di recettori che necessitano di acqua ossigenata per dimerizzare, in modo da attivarsi, è innescare così una cascata di segnali intracellulari che regolano direttamente l’espressione di particolari geni. Ma ad alte concentrazioni il perossido di idrogeno diventa un’arma micidiale, avendo un effetto killing sia su cellule estranee che non. Per contrastare tale azione distruttiva esistono degli antiossidanti primari, come la SOD, la catalasi, la glutatione perossidasi, e degli antiossidanti secondari, scavangers, vitamina E, C, catechine. L’utilizzo di farmaci antiossidanti dovrebbe essere valutato con attenzione, in quanto i ROS sono i maggiori responsabili dell’invecchiamento di tutte le cellule e della loro morte. In un certo senso si è vivi anche grazie ai ROS. Questo sottile legame tra ROS e invecchiamento cellulare è importante quando si ha a che fare con cellule tumorali. Gli antiossidanti bloccano l’azione dei ROS e le cellule anormali sono libere di proliferare. Alla luce di ciò, il perossido di idrogeno può essere utilizzato sia per l’antisepsi che per la riparazione tessutale. A seguito di una lesione si forma il tappo emostatico. Successivamente segue l’infiammazione, cui segue la sintesi di nuova matrice e angiogenesi. La somministrazione giornaliera di H2O2 a basso dosaggio accelera la riparazione tessutale, mentre una dose elevata influenza negativamente la chiusura. L’acqua ossigenata a basse concentrazioni incrementa il flusso nell’area ripartiva, portando ad una rapida angiogenesi. Attualmente l’acqua ossigenata è venduta soltanto ad alte concentrazioni. La tecnologia Crystalip cerca di utilizzare correttamente l’acqua ossigenata, attraverso un rilascio termico graduale. L’H2O2 si trova all’interno di monogliceridi biocidici alla concentrazione dell’1 %. Il rilascio è regolato dalla temperatura della superficie su cui viene applicato. Tale tecnologia permette un lento rilascio dell’acqua ossigenata, che a basse concentrazioni apporta numerosi vantaggi alla serie di eventi della riparazione tessutale.

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18-Risposta Immunitaria Quando la pelle viene lesionata, milioni di batteri invadono il campo entrando nel nostro organismo. A questo punto può iniziare un processo infiammatorio. L'infiammazione è un meccanismo di difesa non specifico innato, nonché una risposta protettiva, il cui obiettivo finale è l'eliminazione della causa iniziale di danno cellulare o tissutale. Si caratterizza per una intensa reazione vascolare che porta al passaggio di liquidi dal letto vascolare al tessuto leso. L'infiammazione serve, dunque, a distruggere, diluire e confinare l'agente lesivo, ma allo stesso tempo mette in moto una serie di meccanismi che favoriscono la riparazione o la sostituzione del tessuto danneggiato. Segni cardini dell'infiammazione sono: RUBOR, TUMOR, CALOR, DOLOR e FUNCTIO LESA (Arrossamento, Tumefazione, Calore, Dolore, Alterazione funzionale). Sono manifestazione delle modificazioni tissutali che prevedono: vasodilatazione, aumento permeabilità capillari, stasi circolatoria con marginazione leucociti, rotolamento, espressione di molecole di adesione che provvederanno alla fase di adesione sulla superficie endoteliale dei leucociti, fase finale di diapedesi. Segue poi la chemiotassi per risposta dei leucociti presenti nello spazio interstiziale agli agenti chemiotattici, i quali li indirizzano verso la sede del danno. L’insieme di cellule e organi addetti alla protezione da infezioni causate da batteri e altri simili prende il nome di sistema immunitario. Appena i batteri invadono un interstizio, dal vaso sanguigno più vicino, i monociti abbandonano la circolazione e, oltrepassando l’endotelio, raggiungono l’invasore. I batteri sono riconosciuti dai monociti poiché la loro membrana plasmatica è ricoperta da antigeni e sono proprio gli antigeni ad attirare i monociti fuori dal flusso sanguigno. Una volta che il monocita incontra l’antigene, si attiva, divenendo un macrofago che fagocita l’invasore. Se la difesa allestita dai macrofagi fallisce, l’eccesso di antigeni richiama dal circolo eosinofili, basofili e neutrofili che attaccano i batteri. Tale attacco porta alla formazione di pus. Un’infiammazione purulenta è un’infiammazione caratterizzata principalmente da un essudato cellulare granulocitario. I granulociti non vengono lisati durante la reazione infiammatoria e attaccano i tessuti, causando un'infiammazione per disfacimento, o colliquazione, o suppurazione cellulare. Si forma quindi il pus, un essudato caratteristico di questo tipo di infiammazione. È un materiale viscoso di aspetto denso e cremoso, giallastro. La viscosità del pus è dovuta all'alto contenuto di DNA che deriva dal disfacimento dei granulociti. Il pus è formato da: leucociti morti o morenti, altri componenti dell'essudato infiammatorio (liquido d'edema e fibrina), microrganismi e prodotti del disfacimento dei tessuti (acidi nucleici e lipidi). Se anche tale sistema di difesa fallisce, i batteri continuano la loro proliferazione e l’antigene, aumentando man mano la concentrazione, raggiunge la rete linfatica. La rete linfatica, oltre a vari organi, e costituita da vasi e linfonodi, stazioni che convogliano momentaneamente la linfa e la analizzano. Quando l’antigene arriva nei linfonodi più vicini alla zona infettata, il sistema immunitario, grazie a particolari cellule, allestisce una nuova linea di attacco, questa volta diretta unicamente contro quel tipo di antigene e per questo definita specifica. All’arrivo dell’antigene nei linfonodi, un particolare tipo di macrofago, detto macrofago presentante, fagocita

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l’antigene, ed anziché di distruggerlo lo presenta sulla propria membrana unito ad altre proteine, quali quelle MHC. I linfociti sono cellule presenti nel sangue che costituiscono tra il 20 e il 40% dei leucociti (secondo i dati delle formule leucocitarie riconosciute). Hanno la dimensione di 7-15 micrometri (piccoli linfociti fino a 8 micrometri e grandi linfociti da 9 in su), con un nucleo rotondeggiante, un citoplasma scarso (si riduce a un sottile anello) e pochi granuli. La cromatina risulta molto addensata e al microscopio elettronico è possibile distinguere un nucleolo. Svolgono un ruolo molto importante nel sistema immunitario: sono la struttura portante della nostra risposta immunitaria adattativa (ovvero specifica per un tipo di antigene). I Linfociti derivano dalla linea linfoide delle cellule staminali multipotenti presenti nel midollo osseo e a seconda del luogo, all'interno dell'organismo, nel quale avviene la maturazione cellulare, si ottengono due linee linfocitarie ben distinte: i linfociti B (da Bursa, con riferimento alla borsa scoperta da Fabrizio da Acquapendente negli uccelli e dove si sviluppano i linfociti B ) e i linfociti T (da Timo). Il luogo di maturazione dei linfociti risulta appunto diverso a seconda delle caratteristiche che questi hanno; il linfocita T infatti matura pienamente nel timo, mentre i linfociti B e NK (Natural Killer, i nostri linfociti "ancestrali") hanno piena maturazione nel midollo osseo, ovvero dove nascono. Nel differenziamento linfocitario si possono individuare principalmente due fasi: una fase antigene dipendente e una antigene indipendente. Nella fase antigene indipendente, che avviene negli organi linfoidi primari (midollo osseo e timo), vengono inizialmente prodotti linfociti provvisti di tutti i recettori per ogni tipo di antigene; successivamente alla fine di questo processo sono isolabili linfociti maturi che sono considerabili come "vergini" in quanto saprebbero riconoscere l'antigene ma non lo hanno mai incontrato direttamente. Nella fase antigene dipendente che si svolge negli organi linfoidi secondari (milza, linfonodi, ecc.) vi è l'incontro tra l'antigene e il linfocita che possiede il recettore adatto. A questo punto si formano due categorie di cellule: -

cellule memoria, un pool di cellule capaci, in casi di rimanifestarsi dell'attacco patogeno, di velocizzare moltissimo (per scatenare una risposta linfocitaria adatta a contrastare un attacco patogeno sono necessari dai 3 ai 5 giorni circa) la risposta adattativa da affiancare alla risposta innata;

-

cellule effetrici, in grado esse stesse di combattere e distruggere il patogeno (esempio per i linfociti B le plasmacellule).

Tutte le cellule della linea linfoide derivano da un unico progenitore staminale multipotente riconoscibile dalla molecola CD34 (si dice CD34+). I linfociti maturi sono riconoscibili in quanto esprimono 5 famiglie di recettori: i recettori per l'antigene, i recettori MHC (sistema maggiore di istocompatibilità), recettori per fattori di crescita, recettori Homing (consente al linfocita di essere indirizzato verso un organo linfoide

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secondario oppure verso un organo specifico in cui vi è proliferazione di patogeni), recettori di interazione cellula-cellula. I linfociti di tipo B, sono cellule che, in seguito a stimolazione antigenica, sono capaci di proliferare e trasformarsi in cellule effetrici, le plasmacellule, queste ultime capaci di liberare anticorpi. Gli anticorpi o immunoglobuline sono proteine specifiche che riescono ad indentificare in maniera precisa e pressoché univoca specifici antigeni. Sono note 5 classi di Ig (dette M, A, G, D ed E). I linfociti "vergini" sono evidenziabili appunto grazie alla molecola IGM+. Una volta che il patogeno viene circondato da anticorpi sensibili a più antigeni del patogeno stesso, viene attivato il sistema del complemento che provvede alla lisi del patogeno e richiama i macrofagi che "divorano" il patogeno. Il linfocita B può anche usare un sistema di opsonizzazione limitandosi a rendere il patogeno riconoscibile al macrofago oppure in caso di presenza di tossine può provvedere a neutralizzarle affinché sempre il macrofago (lo spazzino dell'organismo) possa distruggerle. I linfociti T riescono a riconoscere un antigene solo se esso viene "presentato" sulla superficie di una cellula complessato con le proteine del Complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), e non quindi nella sua forma solubile. I linfociti T possiedono un sistema di recettori, TCR/CD3, tramite i quali riescono a riconoscere il peptide antigenico, presente in un complesso con le proteine dell'MHC. I peptidi espressi sulla cellula assieme alle proteine dell'MHC non derivano solo da antigeni, ma anche dal metabolismo cellulare, dopo digestione nel proteosoma, e possono essere quindi anche "molecole self", vale a dire proprie dell'organismo stesso e non provenienti da organismi estranei. Nel caso in cui una cellula sia infettata da virus, il virus stesso ineluttabilmente induce la cellula a produrre delle proteine che servono alla proliferazione virale e alcune di queste proteine virali vengono lisate dai proteosomi e presentate sulla cellula infetta provocando il marcamento per un linfocita di tipo T della cellula infettata. I linfociti T non hanno però solo una funzione effettrice capace di eliminare cellule tumorali, infette e organismi patogeni, ma hanno anche una funzione regolativa tramite la produzione di linfochine, molecole che sono alla base di fenomeni di cooperazione cellulare nella risposta immunitaria. Le cellule a funzione effettrice possiedono la molecola di riconoscimento CD8 (sono dette CD8+) e sono i linfociti T citotossici; le cellule con funzione regolatrice sono marcate dalla CD4 (dette CD4+) e sono i linfociti T helper. I linfociti T hanno una metodologia di differenziamento particolare che avviene nel timo. Nella zona capsulare di questo possiamo trovare i timociti, linfociti non ancora maturi, che esprimono sulla loro superficie la molecola CD7 e non quella caratterizzante la loro specie linfoide, la CD3. Un secondo stadio avviene nella zona corticale in cui i timociti sono immersi in maglie epiteliali che producono fattori di crescita aiutandone così la maturazione. Successivamente vi è un riarrangiamento del TCR/CD3 che è molto simile a quello delle immunoglobuline e in questo stadio il linfocita esprime sia CD4 (tipica del T helper) sia CD8 (tipica del linfocita effettore). Da ricordare che le cellule CD8+ riconoscono le MHC del primo gruppo mentre i CD4+ quelle del secondo gruppo. Molto importanti per il sistema immunitario e linfoide sono le cellule dendritiche

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del sistema immune che permettono il corretto espletamento delle funzione delle cellule di linea linfoide. Le cellule dendritiche sono capaci infatti non solo di captare proteine virali espulse dalla cellula per presentarle ai linfociti negli organi linfoidi secondari ma svolgono anche una funzione di smistamento nel timo corticale dei linfociti che potrebbero essere dannosi per l'organismo riconoscendo una cellula "self" come "non self" avendo un complesso TCR/CD3 mal funzionante. Un altro sistema di selezione sembra essere quello delle cellule nurse che una volta sembravano deputate a istruire i linfociti mentre oggi sembrano avere una funzione selettiva. I linfociti NK (Natural Killer) sono un tipo molto curioso di linfociti e costituiscono il 20% della popolazione linfoide. Possiedono alta attività antitumorale e antivirale pur non essendo soggetti a espansione genica. Esso possiede due importanti recettori FCYR e NCR. Gli FCYR sono capaci di riconoscere un patogeno mentre gli NCR sono capaci di uccidere indiscriminatamente. Per evitare possibili complicazioni i NK sono stati dotati dall'evoluzione di KIR (Killer Inibitor Receptors) in grado di riconoscere le molecole HLA di primo tipo e di evitare la morte cellulare. L’antigene viene presentato ad un linfocita A, una sorta di analizzatore che controlla se esiste nella memoria immunologica l’anticorpo per quel determinato antigene. Se è la prima volta che l’organismo incontra tale antigene, il linfocita A, coadiuvato dal linfocita H o helper, induce una cellula B a differenziarsi in una plasmacellula, una fabbrica di anticorpi per quel determinato antigene. Se, invece, quel tipo di antigene è già stato incontrato una volta e quindi si possiede l’esatto anticorpo, entrano in gioco le cellule M, o cellule della memoria, che, insieme ai linfociti S, producono quel determinato anticorpo. Un linfocita B presenta un nucleo eucromatico molto grande, con indice prettamente nucleare, con REG e Golgi quasi assente. Invece, una plasmacellula ha un nucleo di dimensioni minori, con indice citoplasmatico, la cui cromatina si dispone a ruota di carro, inoltre è presente un esteso REG e Golgi. L’abbondanza di REG indica che la cellula è interessata in una abbondante sintesi di proteine, gli anticorpi o γ globuline. Gli anticorpi prodotti, entrano nella rete linfatica è la risalgono fino a quando, all’altezza del cuore si immettono nella circolazione sanguigna. Una volta nel sangue, gli anticorpi raggiungono il sito di infezione e si legano agli antigeni batterici distruggendo così l’organismo invasore. Il virus HIV, che causa l’AIDS, colpisce e distrugge il linfociti helper. In questo modo il sistema immunitario non è più in grado di rispondere correttamente all’infezione in quanto non è in grado di produrre

i

relativi

anticorpi

per

quel

determinato

antigene.

Infatti

il

virus

HIV

induce

una

immunosoppressione e di per sé non è letale ma rende letali infezioni banali. Col passare del tempo e la fine dell’infezione, la produzione anticorpi cessa. Se quel tipo di antigene dovesse ripresentarsi, sempre nei linfonodi, il macrofago presentante attiva un linfocita A che riconosce l’antigene e stimola quella determinata cellula M che si attiva, differenziandosi in plasmacellula. Così inizia la produzione di quel determinato anticorpo. Il nome di linfociti T o B, deriva dal fatto che i linfociti di tipo T maturano nel timo, mentre quelli di tipo B nella Borsa di Fabrizio, una struttura presente nell’embrione degli uccelli. Per anni nell’uomo si è cercato un organo che svolgesse funzioni analoghe alla borsa di Fabrizio, e alla fine si è

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scoperto che i linfociti B maturano nel midollo osseo, ovvero nel bone marrow, da cui il nome di linfocita B. Il team di cellule coinvolto nella difesa dell’organismo è costituito da: -

Linfociti CD4;

-

Linfociti CD8;

-

Linfociti B;

-

Macrofagi;

-

Cellule dendritiche;

-

Cellule natural killer o NK.

Le cellule natural killer riconoscono e distruggono le cellule tumorali, quindi un loro deficit può portare alla comparsa del cancro. Nella cute sono presenti un particolare tipo di cellule dendritiche, che prendono il nome di cellule di Langherans. Costituiscono il 2-4 % delle popolazioni cellulari dell’epidermide. La loro distribuzione varia nei vari distretti, da 460 a 1000 per millimetro quadrato, in media 700. Il citoplasma di tali cellule è pieno di particolari granuli dalla caratteristica forma a racchetta da tennis. Tali granuli sono vescicole di elaborazione degli antigeni, che devono essere presentati, è prendono il nome di corpi di Birbeck. Una volta che la cellula di Langherans riceve l’antigene, lo espone sulla sua superficie ed abbandona la sua sede per immettersi nel torrente linfatico e raggiungere il linfonodo più vicino. Le cellule di Langherans sono monociti che migrano dal sangue attraverso la lamina basale direttamente nell’epidermide. I monociti nascono nel midollo osseo a partire da una Stem. Migrano nel sangue come precursori CD1a, CD11c e giungono nell’epidermide dove aspettano gli antigeni. All’arrivo dell’antigene, la cellula di Langherans, lo espone sulla propria membrana cellulare e migra nel linfonodo satellite più vicino. Qui induce la formazione di un clone T-CD4 e alla fine muore. A seguito di uno stress, le cellule attivano la fosfolipasi A2, che induce la produzione di prostaglandine. Ciò è possibile poiché la membrana plasmatica è un generatore di segnali. Infatti nella membrana è presente l’acido arachidonico, che è in grado di produrre prostanoidi, sostanze interessate nella comunicazione intracellulare. La fosfolipasi A2 taglia dal fosfolipide la testa idrofila e le due code vengono utilizzate nella sintesi delle prostaglandine. L’esposizione per lunghi periodi alla luce solare è un evento di stress. Ciò induce le cellule dell’epidermide a produrre PGE di tipo 1 e 2. Tali sostanze attivano la tirosinasi del melanocita che inizia la sintesi di melanina che, attraverso i melanosomi, migra nelle cellule limitrofe proteggendole dai danni della radiazione solare. La lipocortina è in grado di stoppare la sintesi di prostaglandine e di ridurre l’infiammazione. L’agente che attiva i geni della flogosi è NFkB, che, normalmente, è presente nel citoplasma nella sua forma inattiva legato a IkBa. A seguito di stress NFkB viene attivato rimuovendo IkBa. NFkB entra nel nucleo dove attiva la trascrizione del gene IkBa, che a sua volta attiva i geni della flogosi. Tali geni producono citochine che danno origine al processo flogistico. Oltre alle citochine vengono prodotti le

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interleuchine e l’interferone, sostanze che richiamano monociti dal sangue. Il cortisone è in grado di arrestare tale processo. Infatti quando tale sostanza giunge nella cellula, si lega ad un particolare recettore, che viene attivato, entra nel nucleo è disattiva il gene IkBa, e il processo flogistico si arresta.

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19-Artrosi

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In un processo artrosico sono i debris, cioè i frammenti di cartilagine, ad innescare il processo di flogosi. L’artrosi può essere di tre tipi: -

Primaria, se è causata da fattori genetici ovvero idiopatica. Si manifesta con i noduli di Heberden;

-

Secondaria, se è causata da fattori scatenanti quali traumi, interventi chirurgici o malattie reumatiche;

-

Professionale, particolare tipo di Artrosi Secondaria, causata da un uso estensivo (tipico dell'ambiente professionale) di alcune articolazioni.

Le artrosi più frequenti sono: -

Gonartrosi, ovvero artrosi del ginocchio;

-

Rizartrosi ovvero artrosi dell'articolazione alla base del pollice;

-

Coxartrosi ovvero artrosi dell'anca;

-

Spondilartrosi ovvero artrosi delle articolazioni vertebrali.

In condizioni di normalità il sinoviocita A non rileva all’interno del liquido frammenti di cartilagine. Ma se sono presenti i debris, il sinoviocita A stimola il sinoviocita B a sintetizzare acido ialuronico a bassa densità. Tale produzione innesca i meccanismi di percolazione e immissione cellulare nella borsa sinoviale, nella quale, normalmente, non sono presenti cellule. La produzione di acido ialuronico a bassa densità e la produzione di segnali cellulari richiamano nel liquido cellule della serie bianca del sangue, quali macrofagi e linfociti. Esistono due classi di linfociti, catalogati in base alla presenza di un tipo di recettore presente sulla membrana plasmatica: -

I linfociti CD4;

-

I linfociti CD8.

Il macrofago, una volta entrato nella membrana sinoviale è resting, ed espone sulla sua membrana plasmatica la proteina MHC-1. La cartilagine lesionata produce particolari segnali che inducono l’attivazione del macrofago, passando dallo stadio di resting a quello di primed, activated e full activated. Durante tale processo il macrofago espone la proteina MHC-II. L’attivazione macrofagica innesca un’anomala funzione delle metalloproteasi. Il macrofago activated produce IL-1, che stimola i condrociti ad attivare le metalloproteasi inattive presenti nella matrice extracellulare, attraverso la rimozione del TIMP. Ciò innesca la graduale degradazione della matrice, e parallelamente nei condrociti viene indotta l’attivazione di NFkB, che a sua volta attiva la serie di reazioni che conducono all’instaurazione di un processo flogistico. Iniziano ad essere prodotte

citochine,

interleuchine

e

interferone,

che

richiamano

linfociti,

macrofagi

e

cellule

polimorfonucleate dalla circolazione sanguigna. L’attraversamento di tali cellule della membrana sinoviale è reso possibile grazie al sinoviocita A, che fagocita i debris e dismette all’esterno molecole che aprono la BES

e la rendono attraversabile dai leucociti. Il sangue che fuoriesce stranamente non coagula come accade di solito. Tale anomalia è giustificata da una cellula, il mastocita che è ricco di granuli di eparina e istamina. Il mastocita è una cellula di forma tondeggiante, ovoidale o fusata, è dotato di attività ameboide, ha un diametro di 20-30 µm e si trova nel tessuto connettivo propriamente detto. I mastociti sono presenti, come già detto, nel tessuto connettivo e tendono a concentrarsi in particolar modo lungo i vasi sanguigni; sono inoltre molto abbondanti nel peritoneo. Nel citoplasma sono presenti numerosissimi granuli circondati da membrana, i quali si colorano metacromaticamente con i coloranti basici. Questi granuli sono spesso così stipati da mascherare il nucleo. Nel citoplasma sono anche presenti delle gocce lipidiche. Inoltre la membrana plasmatica presenta numerose e sottili espansioni e contiene i recettori per la porzione Fc delle IgE, le quali dopo una prima esposizione all'antigene rimangono sulla superficie dei mastociti. I granuli contengono materiale destinato alla secrezione, in particolare istamina ed eparina. La prima è un prodotto di decarbossilazione dell'istidina e ha azione vasodilatatrice, aumenta la permeabilità vascolare; la seconda è un proteoglicano con forte carica elettrica negativa, ciò spiega le proprietà tintoriali dei granuli, ed ha azione anticoagulante. I corpi lipidici contengono riserve di acido arachidonico, tramite il quale vengono prodotti rapidamente i leucotrieni quando i mastociti vengono attivati. I mastociti intervengono nella genesi delle reazioni allergiche, di ipersensibilità e anafilattiche (shock anafilattico). Quando i mastociti vengono attivati rapidamente secernono il contenuto dei granuli (degranulazione) e in più altre sostanze, quali l'ossido di azoto (NO), un altro vasodilatatore, i leucotrieni, che inducono la contrazione della muscolatura liscia, intervenendo ad esempio nella broncocostrizione, cioè nella crisi asmatica. Inoltre i mastociti liberano interleuchine e altre sostanze chemiotattiche. Una volta che i mastociti sono già stati sensibilizzati contro un antigene, sulla loro superficie rimangono, legate ai recettori, le IgE specifiche per quell’antigene, in questo modo quando si verifica una seconda esposizione allo stesso antigene il riconoscimento è immediato ed avviene la degranulazione, che è una reazione veloce ed efficace. È sufficiente che due IgE contigue contraggano il legame con l’antigene per scaturire la risposta biologica dei mastociti. Per molto tempo si è creduto che i mastociti fossero lo stesso tipo cellulare dei granulociti basofili, presenti nel connettivo anziché nel sangue. Si è poi scoperto che i mastociti esibiscono recettori specifici e rispondono a un fattore differenziativo diverso da quello dei basofili. I progenitori dei mastociti si trovano nel midollo osseo. I mastociti maturi hanno una limitata capacità proliferativa che però aumenta in caso di infezioni. Recenti studi hanno dimostrato che è proprio il mastocita che, fisicamente, apre il vaso e rilascia nello stesso istante i granuli. Quindi, ialuronato ad alto peso molecolare chiude la BES, mentre ialuronato a basso peso molecolare la apre. Man mano che si accumulano i debris, il sinoviocita A viene continuamente stimolato a far entrare leucociti nel liquido, portando ad una escalation, che avrà come risultato finale la nascita del dolore articolare. Nel pieno spessore della BES sono presenti numerosissime terminazioni nocicettive. La situazione di flogosi comporta la produzione di PG-2, che attivano le terminazioni nervose, facendo partire il messaggio di dolore al cervello. Per bloccare tutto ciò basterà un’iniezione di cortisone, che disattiva i geni della flogosi,

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oppure bloccare l’azione dell’IL-1α utilizzando un suo antagonista, una glicoproteina di 22 KDa che va ad occupare il sito del recettore plasmatico su cui si aggancia l’IL-1α.

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20-L’Apparato Respiratorio Il tessuto epiteliale è un particolare tipo di tessuto costituito da cellule di forma regolare e quasi geometrica, che aderiscono le une alle altre. Le cellule che costituiscono il tessuto epiteliale svolgono funzioni di rivestimento, di trasporto, di secrezione e di assorbimento. Nei vertebrati questo tessuto costituisce, in particolare, il rivestimento interno ed esterno della maggior parte delle superfici corporee. In qualunque posto si trovino, i tessuti epiteliali sono separati dai sottostanti mediante una membrana basale non cellulare, di natura fibrosa. Un tipo particolare di tessuto epiteliale è l'epidermide, o pelle; altri esempi sono i rivestimenti della bocca, della cavità nasale, dell'apparato respiratorio, dei canali dell'apparato riproduttore, dell'intestino e dei vasi sanguigni. Le cellule dell’epitelio possono avere forma piatta, cubica o cilindrica. A seconda del compito che l’epitelio dovrà svolgere, il dominio apicale delle cellule potrà essere libero da eventuali strutture, oppure possedere ciglia, stereociglia (ciglia più lunghe ma prive della capacità di muoversi), microvilli. In istologia, i tessuti epiteliali possono essere classificati in base al ruolo che svolgono all'interno del corpo. Possono essere così distinti l'epitelio di rivestimento, l'epitelio sensoriale e l'epitelio ghiandolare. L'epitelio di rivestimento ha, appunto, la funzione di rivestire le cavità esterne ed interne del corpo. Va a formare lo strato di protezione esterno chiamato cute, costituisce le tonache mucose e sierose, localizzate nelle cavità interne del corpo, e ricopre inoltre i vasi sanguigni e i dotti escretori delle ghiandole. In particolare: -

la cute (o pelle) riveste l'esterno del corpo, formando una barriera che ha lo scopo di proteggere l'organismo da traumi fisici, da sostanze chimiche nocive o, ancora, dall'ingresso di virus, batteri ed altri microrganismi pericolosi per la salute;

-

la tonaca (o membrana) mucosa ricopre le cavità interne del corpo comunicanti con l'esterno, come l'apparato digerente, l'apparato respiratorio, l'apparato urinario e genitale;

-

la tonaca (o membrana) sierosa riveste le cavità interne del corpo non comunicanti con l'esterno, come il pericardio, la pleura ed il peritoneo.

Nelle sue varie localizzazioni, questo tipo di epitelio poggia sempre su un tessuto connettivo sottostante, denominato derma nel caso della cute e tonaca propria nel caso di sierose e mucose. L'epitelio sensoriale è costituito da cellule disperse negli epiteli di rivestimento, che hanno la funzione di ricevere e trasmettere determinati stimoli esterni alle cellule del tessuto nervoso. Ne sono un esempio le cellule che costituiscono le papille gustative e le cellule acustiche dell'orecchio. Sebbene possano apparire simili in funzione, non sono da confondere con le cellule nervose. Le cellule epiteliali sensoriali infatti non presentano assone. Sono invece avvolte dalle espansioni terminali di fibre nervose appartenenti a neuroni sensoriali il cui soma è localizzato nei gangli cerebro-spinali.

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L'epitelio ghiandolare (chiamato anche tessuto ghiandolare) forma le ghiandole, strutture atte alla produzione e secrezione di sostanze utili all'organismo. A seconda di come le cellule epiteliali sono organizzate tra di loro e come si dispongono nello spazio si avranno: -

Epitelio pavimentoso semplice, costituito da un unico strato di cellule piatte, questo tipo di epitelio si ritrova negli alveoli polmonari, in alcune porzioni dei reni, in particolare nella capsula di Bowman, nell'orecchio e va a formare le sierose della pleura e del pericardio;

-

Epitelio cubico semplice formato da un singolo strato di cellule cuboidali, costituisce la parete dell'ovaio e i dotti escretori di molte ghiandole;

-

Epitelio cilindrico semplice (con la presenza di cellule mucose e microvilli oppure cilia), costituito da un unico strato di cellule di aspetto cilindrico, può essere suddiviso in due tipi differenti: l'epitelio cilindrico ciliato, munito di cilia, e quello non ciliato. L'epitelio cilindrico semplice non ciliato si ritrova principalmente nell'intestino, dove svolge la funzione di assorbire le sostanze nutritive assimilate tramite la digestione. Prive di cilia, le cellule che lo compongono, chiamate anche enterociti, presentano sul versante apicale invaginazioni ed estroflessioni digitiformi, chiamate microvilli, che aumentano enormemente la superficie cellulare atta all'assorbimento. Visto al microscopio, il complesso dei microvilli assume un caratteristico aspetto dell’orletto a spazzola, tipico degli enterociti. L'epitelio cilindrico semplice ciliato è presente invece nella mucose dell'ovidotto, ed ha la funzione di spingere l'ovulo, tramite le cilia, per i condotti dell'utero durante l'ovulazione;

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Epitelio pseudo-stratificato, in realtà formato da un unico strato, come l'epitelio semplice; tuttavia essendo le cellule disposte in modo non ordinato, i nuclei si trovano ad altezze diverse e pertanto danno l'impressione di essere posti in più strati quando invece si tratta di uno strato solo, come nelle vie respiratorie o nella trachea. Le sue cellule possono essere o appiattite (pavimentoso) o cubiche (cubico);

-

Epitelio stratificato costituito da cellule appiattite disposte in più strati. Può presentarsi in due tipologie: cheratinizzato o non cheratinizzato. Il tessuto pavimentoso pluristratificato non cheratinizzato è presente nel rivestimento interno della bocca, nella cornea e nella vagina. Il tessuto pavimentoso pluristratificato cheratinizzato costituisce, invece, l'epidermide.

Cenno a parte va fatto per l’epitelio che tappezza le vie urinifere. Tali strutture, vescica e uretra, hanno un particolare tipo di epitelio, unico nel suo genere, definito urotelio. L’epitelio della vescica è costituito da cellule batiprismatiche, a clava e ad ombrello. La funzione di tale epitelio è quella di impedire il transito secondo gradiente del contenuto della vescica nel limitrofo letto capillare. Tale funzione è resa possibile dalla presenza di giunzioni strette tra le cellule e dalla ricca componente proteica della membrana plasmatica delle

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cellule ad ombrello. La massiva presenza di proteine ispessisce la membrana plasmatica annullando il grado di assorbimento. Tutti i tubi cavi sono tappezzati da una mucosa, che è formata dall’epitelio e, al di sotto, lo stroma. A seconda delle funzione che quella determinata parte del corpo dovrà svolgere vengono utilizzati i diversi tipi di epiteli. Ogni cellula del nostro organismo, per poter vivere, ha bisogno di combustibile e comburente. Il combustibile è fornito dall’apparato digerente, mentre il comburente dall’apparato respiratorio. Il comburente di ogni cellula è l’ossigeno e l’anidride carbonica è il gas residuo. L’ossigeno, insieme all’azoto, è il costituente principale dell’aria della troposfera e come tale è ricca di numerosissime particelle corpuscolate e polveri. La presenza di polveri nell’aria può essere misurata con un precipitatore a getto, formato da un compressore che aspira l’aria e da una camera a fondo cieco che porta un vetrino millimetrato. L’aria viene aspirata e convogliata sul vetrino. Se l’aria è priva di pulviscolo il vetrino non presenterà macchie, ma se del pulviscolo è presente questo si concentrerà sul vetrino che apparirà macchiato. Le macchie sul vetrino sono costituite da polveri, polline e tante altre sostanze. Tali sostanze sono in grado di provocare gravi patologie. Ciò è stato dimostrato da Kotin, che nel suo esperimento iniettò sotto la cute di un ratto quanto prelevato in prossimità di aree ad emissione di gas o vapori ad alto rischio. In molti casi è possibile ottenere la formazione di un tumore. Ogni volta che respiriamo introduciamo mezzo litro di aria, per un totale di 10 mila litri al giorno. Ma assieme all’aria introduciamo anche pulviscolo che è libero di entrare nei polmoni. L’aria a nostra disposizione o è troppo calda o troppo fredda e quasi sempre sporca. Per risolvere tali inconvenienti l’apparato respiratorio si organizza in due settori o compartimenti, ognuno con i propri epiteli specializzati e le proprie funzioni: -

Il tratto pre-respiratorio;

-

Il tratto respiratorio, che è la sede dello scambio ematosico.

Il tratto pre-respiratorio è strutturato per adattare, sterilizzare, umidificare e filtrare l’aria inspirata, è formato dal naso, faringe, trachea, bronchi, bronchioli. Il tratto respiratorio è costituito dal sacco alveolare. Nell'uomo, il naso occupa la parte centrale del viso posizionato al di sopra della bocca. È costituito da una parte sporgente (piramide nasale), da una parte interna (cavità nasali) suddivisa da una parete mediale (setto nasale). Le cavità nasali formano la parte interna del naso e sono alte e profonde. Anteriormente si aprono nel naso esterno mediante le narici; posteriormente, terminano in una fessura verticale a lato della porzione superiore della faringe, sopra il palato molle e vicino agli orifizi delle trombe di Eustachio che portano alla cavità timpanica dell'orecchio. Sia le cavità nasali sia le narici sono rivestite da mucosa e le seconde anche da peli duri, detti vibrisse. Sia la mucosa che le vibrisse impediscono il passaggio a sostanze estranee, quali la polvere o piccoli insetti, che altrimenti potrebbero penetrare nelle vie respiratorie insieme all'aria inspirata. Un'altra funzione della mucosa nasale consiste nel riscaldare e rendere umida l'aria in ingresso verso l'apparato respiratorio. Nella regione del naso deputata alla percezione olfattiva, la mucosa è molto spessa;

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essa si presenta scura a causa della presenza di un pigmento bruno. I recettori dell'olfatto inviano gli stimoli al cervello attraverso il nervo olfattivo, che si dirama nelle cavità nasali con numerose piccole fibre. Le cavità nasali esercitano una triplice funzione: respiratoria, olfattoria e fonatoria. Durante l'inspirazione, l'aria attraversa le fosse, di lì si divide in due flussi, di cui uno passa a contatto con la mucosa olfattoria, ed entrambi giungono alla rinofaringe. L'aria umidificata e scaldata viene ulteriormente filtrata per mezzo di grossi peli e le secrezioni nasali. Le particelle odorose convogliate verso la mucosa olfattiva ne stimolano le cellule che inviano il messaggio, tramite il nervo olfattivo, ai centri olfattivi cerebrali diventando sensazioni di odore. Ma le fosse nasali contribuiscono, anche, alla corretta pronuncia e modulazione delle consonanti nasali (appunto dette). Il pulviscolo presente nell’aria entra nelle coane. Il primo passo è quello di portare l’aria inspirata alla stessa temperatura del corpo e di umidificarla. Se l’aria è fredda, quando entra nelle fosse nasali, man mano che attraversa le coane, progressivamente si riscalda. Il riscaldamento è reso possibile grazie anche alla presenza dei seni paranasali, in cui l’aria viene immediatamente riscaldata. I seni paranasali sono una serie di cavità ossee simmetriche della faccia. Sono rivestite da mucosa e comunicanti con le fosse nasali. Aiutano a riscaldare e ad umidificare l’aria, influenzando inoltre il timbro della voce. Gli epiteli presenti in questo tratto devono essere capaci di sterilizzare ed umidificare. La mucosa che riveste le cavità nasali è formata da: -

Una componente cellulare mucosa che produce molecole ad azione lubrificante;

-

Un ricco plesso vascolare arterioso e uno venoso, che sono in grado di riscaldare ed umidificare l’aria che è in transito nella cavità nasale.

La mucosa di questo primo tratto respiratorio è formata da tre popolazioni cellulari: -

Una prima popolazione cellulare secernente muco;

-

Cellule ciliate;

-

Cellule basali.

La prima popolazione cellulare produce glicoproteine a funzione tensioattiva, che una volta secrete si legano al pulviscolo. Il complesso glicoproteina-pulviscolo viene allontanato dalle cellule ciliate, attraverso il battito metacronale. Attraverso il battito, il muco, intriso di polveri, viene eliminato. Le cellule basali sono cellule in grado di differenziarsi o in cellule secernenti muco o in cellule ciliate, a seconda del tipo di cellule che vanno sostituite. È molto importante mantenere il corretto rapporto numerico tra cellule della mucosa e cellule ciliate. L’epitelio nasale è un epitelio pseudo stratificato. L’aria dalla faringe giunge alla laringe, attraversando la trachea fino ai bronchi. Il pulviscolo entra con l’aria nelle fosse nasali e viene intercettato, bloccato e neutralizzato a livello della trachea. La trachea fa parte delle vie aeree inferiori insieme alla laringe che la precede e ai bronchi che la seguono.

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La laringe è un condotto superficiale mobile, a forma di piramide triangolare, posto nel collo, la cui base corrisponde alla faringe e il vertice con la trachea. Nella parete della laringe sono presenti parti cartilaginee che ne impediscono la sua chiusura. Oltre a permettere il passaggio dell'aria (sia ispirata che espirata durante la respirazione), è la sede dell'organo della fonazione. I rapporti della laringe sono, a livello posteriore, con la faringe e l'esofago, mentre anteriormente e lateralmente, con la tiroide. Le cartilagini della laringe sono la tiroidea, la cricoide, le due aritenoidi con le piccolissime corniculate (formate da cartilagine ialina), e l'epiglottide (formata da cartilagine elastica). All'interno della laringe, in uno spazio chiamato glottide (lungo dai 14 ai 25 mm a seconda del sesso della persona), si trovano le corde vocali: due superiori (false) più sottili e quasi prive di muscolatura, che hanno funzione protettiva e non servono né a cantare né a parlare, ma, se stimolate, producono un suono sordo e rauco; due inferiori (vere) più spesse e con importanti fasci muscolari, che hanno funzione fonatoria. Di norma è più sviluppata nell'uomo che nella donna. La trachea costituita da tessuto cartilagineo, muscolare e legamenti. Gli anelli cartilaginei che costituiscono la trachea sono incompleti nel quarto posteriore per permette l'espansione dell'esofago al momento della deglutizione. La sua funzione primaria è di trasferire l'aria dall'esterno verso i polmoni. Termina a livello mediastinico dividendosi nei 2 bronchi polmonari principali destro e sinistro. La trachea è un cilindro contrattile cavo e appiattito, accessoriato da circa 15-20 anelli cartilaginei. Gli epiteli di tale zona sono epiteli capaci di monitorare e trattare l’aria in transito. Sono quattro le popolazioni cellulari che rivestono la mucosa tracheale e che sono pertanto in contatto con l’aria in transito: -

Cellule basali, formano delle anse propulsive in cui sono ospitate le altre cellule;

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Cellule ciliate, sono responsabili del battito metacronale;

-

Cellule mucose, producono glicoproteine a funzione tensioattiva

-

Brush-cell, analizzano le caratteristiche dell’aria in transito regolando così il funzionamento delle altre cellule.

Le modalità del battito muco-ciliare sono in relazione all’aria in transito. Le Brush-cell analizzano il pulviscolo ed attraverso le cellule basali comunicano le modalità di funzionamento. Le cellule mucose secernono una quantità di tensioattivo adeguato alla quantità ed alla qualità del pulviscolo. Il battito metacronale promosso dalle cellule ciliate è anch’esso programmato dalle Brush-cell. Ma se il pulviscolo è atipico per dimensione e/o natura chimica il trasporto monitorato dell’aria si arresta, e la Brush-cell attiva la P-cell che produce una serie di molecole capaci di attivare la contrazione della parete tracheale originando il riflesso della tosse. Il calibro tracheale va incontro ad una riduzione ciclica indotta da una contrazione dei suoi anelli. Il movimento degli anelli amplifica le spinte propulsive verso l’alto determinando una serie di colpi di tosse. Eventuale materiale ostruente può essere così espulso. Il bronco è ciascuna delle ramificazioni delle vie respiratorie della trachea fino alle ultime diramazioni. Vicino ad ogni bronco decorre un’arteria e una vena. L’aria viaggia veloce lungo i bronchi, passando nei bronchioli e

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giunge in apposite sacche dette alveoli polmonari. Con il termine alveolo polmonare si identifica la parte terminale dei bronchioli polmonari. I bronchioli sono sottilissimi rami, di calibro inferiore al millimetro, che terminano con un "grappolo" detto infundibolo; questo grappolo è costituito da un gruppo di alveoli polmonari, paragonabili a dei sacchetti che hanno una sottilissima parete fibro-muscolare. Nei polmoni vi sono migliaia di infundiboli, e questo ci permette di avere un'enorme superficie di scambio in uno spazio contenuto come la cavità toracica. Intorno agli alveoli vi sono dei sottilissimi capillari sanguigni, che si immergono per metà nell'alveolo; questi vasi trasportano sangue venoso (ricco di anidride carbonica). All'interno dell'alveolo il sangue è separato dall'aria inspirata solo da un sottile strato di endotelio. Il sangue abbandona l'anidride carbonica ed il vapore acqueo, e si lega all'ossigeno: questo scambio si chiama ematosi. I capillari, che prima trasportavano sangue venoso, adesso trasportano sangue arterioso e vanno a raccogliersi nelle vene polmonari, che sfociano nell'atrio sinistro del cuore. Il cuore distribuirà poi il sangue ossigenato a tutto l'organismo. I polmoni contano circa 700 milioni di alveoli e ogni alveolo ricorda un grappolo d’uva: i singoli chicchi sono cavi all’interno e sono rivestiti all’esterno da un ricco plesso artero-venoso. È in tali strutture che avviene lo scambio ematosico. Nel compartimento venoso verrà ceduta l’anidride carbonica mentre nel compartimento arterioso verrà caricato l’ossigeno. Le popolazioni che tappezzano l’alveolo polmonare sono: -

Pneumocita I;

-

Pneumocita II.

L’epitelio che riveste il sacco alveolare è sottilissimo e in tali circostanze occorre che l’epitelio funzioni come una valvola. A tale scopo, lo pneumocita I si lascia attraversare dal gas che possiede pressione parziale maggiore, quindi l’ossigeno, che nell’alveolo ha una pressione parziale di 98 torr, tende ad entrare nel vaso dove la sua pressione è pari a 40 torr. Nell’alveolo la pressione dell’anidride carbonica è pari a 40 torr, minore rispetto alla pressione del gas nel vaso sanguigno (46 torr) quindi tale gas tende ad uscire. I globuli rossi carichi di CO2 raggiungono il sacco alveolare dove cedono l’anidride carbonica e si caricano di O2. Poi si allontano dal sacco alveolare per ritornare al cuore che li immetterà nel circolo arterioso. Gli pneumociti di tipo I sono cellule molto appiattite con una parte centrale rilevata contenente il nucleo ed esili lamine citoplasmatiche che rivestono tratti estesi della superficie alveolare. Identificare tali cellule, in passato, è stato molto difficile, dato il loro esile spessore. Lo pneumocita di tipo due è l’attuazione biologica del principio fisico di Fick in base al quale la quantità di gas che diffonde attraverso una superficie è direttamente proporzionale all’area ed inversamente proporzionale allo spessore. Esistono dei pori, detti pori di Kohn, che mettono in comunicazione due alveoli adiacenti. La cavità alveolare è tuttavia ricoperta da un sottile strato d’acqua che proviene dal microcircolo che riveste il sacco alveolare. Tale strato, nel pieno rispetto della legge di Henry, migliora l’efficienza dello scambio gassoso. Tuttavia questo strato acquoso, a causa della struttura tridimensionale dell’alveolo, determina l’aumento della forza di tensione superficiale dell’acqua (legge di Laplace), che tenderebbe a far collassare l’alveolo. Tale forza viene antagonizzata grazie ad epiteli capaci di regolare la tensione superficiale. A ciò serve lo pneumocita II, capace di produrre un

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fattore tensioattivo che antagonizza la forza di tensione superficiale che tenderebbe a far collassare l’alveolo. Sono di forma rotondeggiante e sporgenti dalla superficie alveolare, hanno i caratteri tipici degli elementi secernenti, con grosse vescicole citoplasmatiche che contengono sistemi di lamelle disposte a vortice, i corpi multilamellari (finger prints). Questi riversano all'interno dell'alveolo il loro secreto, una sostanza tensioattiva che impedisce l'eccessiva distensione dell'alveolo nell'inspirazione e il suo collasso nell'espirazione. Quando la produzione di tensioattivo è in eccesso, e ciò comporterebbe una iperdistensione dell’alveolo, lo pneumocita di tipo II produce allora un anti-tensioattivo che, neutralizzando il tensioattivo, riporta l’alveolo alle dimensioni originali. Eppure, nonostante questi meccanismi ed automatismi, del pulviscolo può raggiungere ancora il sacco polmonare. All’interno degli alveoli sono strategicamente disposti dei macrofagi, che sono in grado di concentrare il pulviscolo e di fagocitarlo, dismettendo nell’alveolo radicali liberi ed una serie di fattori come il TNF, citochine, leucotrieni. I macrofagi alveolari sono monociti del sangue che oltrepassando il vaso sono giunti nell’alveolo, differenziandosi in macrofagi.

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21-L’Apparato Digerente La fame è quella sensazione che induce tutti gli organismi a mangiare fino a raggiungere un senso di sazietà. A volte tale senso di sazietà non coincide con il reale fabbisogno energetico dell’organismo, inducendo così a mangiare di più di quanto sia necessario. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno lo assimiliamo dalla dieta. L’uomo, al contrario degli altri animali, ha un rifornimento continuo di cibo e tale situazione ha comportato la progettazione, da parte della natura, di metodi di deposito dell’energia. Il tessuto adiposo è l’organo addetto a tale funzione, ma oltre a ciò svolge: -

Funzioni endocrine;

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Regolazione della pressione;

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Regolazione della R/I;

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Deposito di energia;

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Funzione di tessuto di imballaggio;

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Funzione termoregolatrice.

I lipidi sono un sistema ideale per fornire energia continuamente disponibile perché pesano poco e occupano meno volume. Infatti a parità di massa l’ossidazione di acidi grassi fornisce più energia rispetto all’ossidazione dei carboidrati, inoltre i carboidrati richiamano una grande quantità di acqua e l’immagazzinamento dell’energia a lungo termine sotto forma di zuccheri comporterebbe un aumento eccessivo della massa corporea. La massa grassa tende a disporsi in zone predefinite del corpo, con una certa differenza nei due sessi. Il tessuto adiposo si presenta in due versioni: -

Tessuto adiposo bianco;

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Tessuto adiposo bruno o grasso bruno.

Le funzioni del tessuto adiposo bianco o giallo (colore fisiologico) sono: -

Funzione meccanica: occupa interstizi, riveste i nervi, i vasi ed i muscoli foderandoli. Riempie alcuni interstizi del midollo osseo;

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Funzione termoisolante: il grasso non conduce il calore, per cui non disperde il calore generato dall’organismo;

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Funzione di riserva: la membrana citoplasmatica dell’adipocita contiene la lipoproteinlipasi, un enzima che scalza i lipidi dalle loro proteine vettrici (lipoproteine epatiche o chilomicroni enterici) e scinde questi ultimi in glicerina ed acidi grassi; questi ultimi passano la membrana ed entrano nel citoplasma, dove sono riconvertiti in lipidi. La conversione in lipidi può essere anche fatta a partire da glucosio. Inoltre, gli adipociti possiedono anche la lipasi ormone-dipendente, che agisce tagliando i trigliceridi in glicerina ed acidi grassi, su stimolo del glucagone, dell’adrenalina, della tiroxina, della triiodiotironina e del neurotrasmettitore noradrenalina. Questo fa sì che i prodotti

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della lisi fuoriescano dalla cellula e s’attacchino all’albumina ematica per essere portati dove ce n’è bisogno. Oltre a queste tre, ce ne sono altre importanti funzioni di questo tessuto: -

è parte integrante della regolazione dell'appetito;

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è parte integrante della regolazione del metabolismo;

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è coinvolto nelle funzioni della fertilità umana;

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regola in misura rilevante la formazione e la differenziazione di cellule ematiche;

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è coinvolto nei processi della coagulazione del sangue;

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gioca un ruolo centrale in diversi meccanismi di difesa immunitaria aspecifici e specifici, cellulari e umorali. Infatti in caso di infezioni libera dei mediatori immunitari che attivano e stimolano le difese immunitarie.

Il testosterone lo fa accumulare solo nell’addome, mentre l’estrogeno tende a distribuirlo un po’ ovunque, ma soprattutto sui fianchi. È impossibile che cellule di questo tipo muoiano spontaneamente, mentre è possibile che si riducano di molto, soprattutto con l'esercizio fisico. Il tessuto adiposo bruno è costituito dalle cellule adipose multiloculari, è molto scarso nell’uomo adulto e appare brunastro se osservato al microscopio ottico, sia per la presenza massiccia di mitocondri che per l'elevata vascolarizzazione. Il tessuto adiposo bruno ha esclusivamente la funzione di produrre calore perché i mitocondri delle cellule adipose multiloculari non hanno l’ATP sintetasi. Questa peculiarità fa sì che l'energia prodotta dalla scissione dei trigliceridi non venga utilizzata per la produzione di ATP ma venga dissipata sotto forma di calore. Il grasso bruno è ben rappresentato nei neonati di molte specie (nella specie umana sopratutto a livello della nuca, del collo e delle scapole). Negli adulti è abbondante invece quasi esclusivamente nelle specie che vanno in letargo, mentre negli adulti di altre specie, compresa quella umana, esso è scarsamente presente. Molto spesso nei preparati istologici la gocciola lipidica viene rimossa. L’adipocita uniloculare bianco ha la classica forma definita come anello con castone. Una cellula per poter sopravvivere ha bisogno di comburente, ossigeno, e combustibile, lipidi, aminoacidi, zuccheri e basi azotate. Tutto il combustibile necessario e sufficiente alla sopravvivenza della cellula è presente negli alimenti ingeriti con la dieta. Ma il combustibile, così come è presente negli alimenti, non può essere assorbito direttamente, ma deve essere scomposto in parti più piccole. A ciò serve l’apparato digerente, composto da un tubo digerente, lungo circa 10 metri, e una serie di ghiandole ausiliari. Il cibo, transitando nel tubo digerente viene dapprima masticato e sminuzzato, poi digerito nello stomaco, mentre l’assorbimento inizia nell’intestino. Tutto ciò che è inutile alla fine viene eliminato sotto forma di feci. Il cibo entra nel tubo digerente dalla cavità orale. La prima fase è quella della masticazione, cioè il boccone ingerito

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viene frammentato in pezzi più piccoli dai denti e amalgamato con un liquido, la saliva, prodotta dalle ghiandole salivari. I denti sono strutture che si trovano all'interno del cavo orale di molti vertebrati. La funzione primaria dell'insieme dei denti (la dentatura) è quella della masticazione del cibo mentre, in alcuni animali (i carnivori, ad esempio) i denti sono utilizzati anche per la caccia e la difesa. Le radici dei denti sono coperte dalle gengive. Il processo di formazione dei denti è chiamato odontogenesi ed inizia fin dalle prime settimane successive al concepimento. Agli uomini, nel corso del loro sviluppo, spuntano due serie di denti. La prima è rappresentata dai denti da latte, o temporanei o caduchi, che cominciano a spuntare in genere verso il sesto mese di vita. All'età di due anni, di solito, un bambino ha venti denti. La seconda serie di denti, o seconda dentizione, è composta dei denti permanenti. Il germe dentario, da cui si sviluppano i denti permanenti, è presente all'interno delle gengive, nascosto dai denti da latte. Quando il bambino ha circa sei anni, i denti permanenti cominciano a svilupparsi e sospingono via i denti della serie da latte. Al suo termine l'uomo adulto è provvisto di trentadue denti. Nella bocca, esistono diversi gruppi di denti, variabili per forma, dimensione e funzione. Nei mammiferi e nell'uomo, si distinguono gli incisivi, i canini, i premolari e i molari. Pertanto, l'uomo, su entrambe le metà arcate superiore ed inferiore, e partendo dal centro stesso dell'arcata ha: 4 incisivi, 2 canini, 4 premolari e 6 molari. Raddoppiando ciascuno di questi numeri, poiché due sono le metà arcate superiori e due le metà inferiori, si avranno: 8 incisivi, 4 canini, 8 premolari e 12 molari. La dentatura umana è di due tipi: -

dentizione decidua (alias "da latte"), presente nei bambini e composta da 20 denti. Essa è completamente presente all'età di 2 anni e mezzo; e fino all'età di sei anni, epoca in cui inizia l'eruzione dei denti permanenti;

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dentizione mista, dove si ha compresenza dei denti decidui e degli erompenti denti permanenti. Va dai sei anni ai 12 anni, epoca in cui l'adolescente presenterà 28 denti permanenti e più nessun deciduo;

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dentizione permanente (alias "definitiva"), presente dai dodici anni. Mancando solo i terzi molari permanenti che erompono tra i 18 e i 25 anni. Portando così la dentatura a 32 elementi.

Le malattie dei denti sono diverse più o meno gravi. Le più diffuse e dannose sono la carie e la malattia parodontale, in quanto provocano se non intercettate in tempo la perdita del dente. Il bruxismo (digrignamento dei denti durante il sonno) può provocare tra l'altro danneggiamenti ai denti. I denti si sviluppano bene in dipendendenza di molti fattori. Poiché nella sostanza che compone i denti si ha un'alta percentuale di calcio, fosforo ed altri minerali, la dieta influisce notevolmente sul buono sviluppo e sulla conservazione dei denti. In questi processi, le vitamine A, B, D sono indispensabili, mentre il fluoro aiuta a mantenere sani e robusti i denti. Un'insufficiente produzione di ormoni, da parte di alcune ghiandole endocrine, come la tiroide e la paratiroide, impedisce lo sviluppo di denti robusti. Alcuni agenti chimici rendono solubili i sali di calcio presenti nello smalto e consentono alla carie di iniziare la sua azione

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distruttrice. La solubilizzazione dei sali di calcio è provocata dai batteri presenti nella bocca, i quali, digerendo i carboidrati, liberano acidi. Il deperimento dei denti, detto anche carie dentaria, sembra sia la malattia più comune del genere umano. L'acido agisce sullo smalto dei denti, formando una cavità, o buco, ed in seguito il deperimento del dente. Se la cavità non viene pulita per tempo e otturata dal dentista, la dentina, simile all'avorio, o corpo del dente, comincia a cariarsi, permettendo alla cavità di raggiungere la polpa dentaria. Se la polpa esposta si infetta, si forma un ascesso. Un ascesso è un sacchetto di pus che si forma alla fine della radice del dente. Da qui, l'infezione può propagarsi per tutto il corpo; pertanto, il dente infetto deve essere estratto per proteggere la salute della persona interessata. Ma la carie dei denti non è causata solo dallo zucchero e dall'amido. I denti di certe persone possono essere più o meno resistenti di quelli di un'altra. Un fattore importante è dato dalle condizioni dei denti: se lo smalto è in cattive condizioni, ciò ne facilita il deperimento. Un altro fattore è il grado di acidità della saliva; inoltre, alcuni sono del parere che anche lo stato emotivo di una persona sia un fattore positivo per il deperimento. Se il cibo rimane a lungo nelle fessure che dividono un dente da un altro, le sue piccole particelle risultano un ottimo centro di allevamento per i batteri che producono gli acidi. Naturalmente, i posti più pericolosi sono quelli che più difficilmente si possono pulire, e cioè la superficie interna dei denti e le parti dei denti che vengono fra loro in contatto. Non si è ancora del tutto in grado di prevenire la carie dei denti. Per ridurre la formazione di cavità, si consiglia di mangiare pochi alimenti dolci, specialmente fuori pasto. Si consiglia, inoltre, una sana e bene equilibrata alimentazione, una regolare ed appropriata pulizia e la visita dal dentista ad intervalli regolari e frequenti. Nella fase della masticazione un ruolo importante ha la lingua. La lingua è un organo eminentemente muscolare e mobilissimo in tutte le direzioni, adagiato sul “pavimento” della bocca. Esso è collegato posteriormente a un piccolo osso chiamato ioide e anteriormente ad un piccolo e sottile filamento detto frenulo o filetto. La lingua è dotata di papille gustative, ed è, appunto, il principale organo del gusto. Essa svolge la funzione di impastare il cibo con la saliva e di spingerlo sotto i denti affinché venga triturato. Inoltre ha anche una notevole importanza nel deglutire e nella fonazione. Abbiamo 4 sensazioni di gusto situati in punti diversi e sono: -

Dolce: che si trova sulla punta della lingua;

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Salato: che si trova sulla parte laterale anteriore della lingua (in entrambi i lati);

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Acido: che si trova sulla parte laterale posteriore della lingua (in entrambi i lati);

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Amaro: che si trova al centro della lingua.

Le sensazioni gustative dei 2/3 anteriori della lingua vengono recepite da 4 tipi di papille presenti sull'organo: -

Papille foliate;

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Papille fungiformi;

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Papille circumvallate;

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Papille filiformi (hanno funzione meccanica, trattengono il cibo, non hanno calici gustativi).

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La lingua si muove per mezzo di due sistemi di muscolatura: quella "estrinseca" e quella "intrinseca". La prima comprende tutti i muscoli "al di fuori" dell'organo in questione, mentre la seconda viene spesso definita come muscolatura propria (o interna) della lingua. La saliva gioca un ruolo molto importante nel processo della masticazione. Infatti svolge l’importante funzione di lubrificare il boccone onde facilitarne la frammentazione ed evitare i danni che l’attrito tra boccone e mucosa buccale provocherebbe sulla superficie della cavità orale. Proprio per questo, in base al boccone ingerito, le ghiandole salivari secerneranno salive diverse. Le ghiandole che producono la saliva sono: -

La parotide;

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La salivare sublinguale;

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La salivare mandibolare.

La saliva è un liquido pseudo-plastico non newtoniano, ricco in acido ialuronico, acqua ed enzimi digestivi per lo zucchero, quali l’amilasi. Infatti la digestione degli zuccheri inizia in bocca, e più il tempo della masticazione è lungo più rapidamente questi verranno assorbiti. La prima digestione avviene in bocca. Da un punto di vista citologico, una ghiandola salivare è formata da più popolazioni cellulari diverse, che di concerto producono salive diverse, in base alla tipologia di boccone ingerito. Tali popolazioni sono: -

Cellule della mucosa;

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Cellule sierose;

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Cellule intercalari;

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Cellule striate.

Ognuna di queste cellule produce un ingrediente particolare della saliva, fino ad ottenere un liquido omogeneo, adatto per quel tipo di cibo. Può accadere che il condotto in cui transiti la saliva in formazione resti ostruito e che tale ostruzione causi dolore. Le ghiandole salivari sono strutturate in adenomeri. Sul fondo di ogni adenomero sono presenti le cellule mucose e sierose che secernono all’interno del lume dell’adenomero. In preparati istologici, data la differente funzione delle due cellule, queste formano delle strutture definite semilune o croissant del Giannuzzi. Il secreto viene poi convogliato nei dotti intercalari, che a loro volta confluiscono nel dotto striato. Le cellule del dotto striato arricchiscono la saliva di ulteriori componenti oppure la concentrano, in base alle proprietà meccaniche del boccone ingerito. Alla fine più dotti striati confluiscono nel dotto escretore della ghiandola. La superficie esterna degli adenomeri è tappezzata da cellule mio epiteliali che, contraendosi, imprimono alla saliva la giusta forza per essere secreta. Una volta terminata la fase della masticazione, il boccone intriso di saliva viene inghiottito. La fase di deglutizione è una fase molto delicata e pericolosa, poiché il bolo alimentare per potere immettersi nell’esofago deve transitare vicino all’apertura della trachea. In questa fase il boccone potrebbe entrare nella trachea anziché scendere nell’esofago e causare il soffocamento della persona. L’accesso alla laringe viene bloccato, durante la deglutizione, dall’epiglottide, che si piega, tappandone così l’entrata.

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L'esofago è un organo a forma cilindrica dell'apparato digerente della lunghezza di circa 25-30 cm e una larghezza di 2-3 cm. Collega la faringe allo stomaco e presenta una duplice funzione: consentire il passaggio del cibo (bolo alimentare) fino allo stomaco dove avverrà la digestione ed impedirne il reflusso dallo stomaco insieme ad acido e succhi gastrici. Le pareti dell’esofago sono formate da strati, o tuniche, sovrapposte: mucosa, sottomucosa, tonaca muscolare e tonaca avventizia. La mucosa è, a sua volta, costituita da tre strati: epitelio di rivestimento (di tipo pavimentoso stratificato non cheratinizzato), tonaca propria e muscolaris mucosae. Lo strato più esterno della parete esofagea, è muscolare (muscolaris mucosae), ed è costituito da tessuto muscolare liscio involontario; durante la deglutizione questi muscoli si contraggono, spingendo il cibo nello stomaco (peristalsi). Nello strato intermedio, invece, si trovano le ghiandole esofagee (ghiandole cardiali), che versano la loro secrezione nel lume dell'esofago. Questo secreto permette di mantenere umido l'esofago. Nella sottomucosa si trovano plessi nervosi ed un gran numero di vasi sanguigni e linfatici. L’esofago è uno sfintere a lume variabile, caratterizzato da un restringimento cricoideo e uno aorto-bronchiale. Il bolo viaggia nell’esofago a seguito di una serie di contrazioni della muscolatura liscia, dette peristalsi. Tali contrazioni restringono a monte del bolo il lume dell’esofago, sospingendo il bolo in direzione dello stomaco. L’esofago termina poco al di sotto del diaframma, dove si immette nello stomaco. La porta di entrata dello stomaco prende il nome di cardias. Il cardias è l'apertura tra l'esofago e lo stomaco, al di sotto del diaframma. Oltre a dare il nome a tale struttura, esso è anche la sede di una complessa forma valvolare di forma ovalare che svolge una funzione importantissima: quella di impedire il passaggio del contenuto dello stomaco in esofago. Se questa valvola funziona male si determina il reflusso. A volte il cardias può non funzionare perfettamente o non funzionare del tutto. Le cause possono essere molteplici e nella maggioranza dei casi rimangono sconosciute. L'obesità, gravidanze ripetute, attività che richiedono sforzi intensi come il sollevare pesi, alcuni farmaci possono far funzionare male il cardias o favorire il reflusso aumentando eccessivamente la pressione nell'addome. Anche l'ernia iatale può essere una delle cause di malfunzionamento del cardias. Dall’epitelio dell’esofago si passa bruscamente all’epitelio gastrico, diversamente organizzato. Appena il bolo alimentare entra nello stomaco, inizia la fase gastrica. Dopo tale fase, la poltiglia alimentare uscirà dal piloro per immettersi nel primo tratto intestinale, il duodeno. Lo stomaco è un organo dell'apparato digerente che svolge la seconda fase della digestione, quella successiva alla masticazione. Nello stomaco si riconoscono tre porzioni principali: il fondo, che è la porzione più alta; il corpo, che è la porzione più ampia; infine l'antro pilorico, la parte conclusiva che sbocca nell'intestino. Nell'uomo lo stomaco ha un volume di 0,5 L se vuoto ed ha la capienza media completamente pieno di un litro, un litro e mezzo. Dopo un pasto normale generalmente si espande per contenere circa 1 l di cibo ma può anche arrivare a dilatarsi per contenerne fino a 4 L ed oltre, comprimendo però gli altri organi della cavità addominale e spesso anche del torace. Le pareti dello stomaco sono costituite da quattro strati: la tunica sierosa, la quale avvolge l'organo; la tunica muscolare, la quale è composta da tre strati di fibre muscolari, uno longitudinale, uno orizzontale e l'altro obliquo; la tunica cellulare la quale contiene un intreccio di filamenti

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nervosi; infine la tunica mucosa, la quale riveste la superficie interna dello stomaco, formata da un unico strato di cellule epiteliali e dalle ghiandole sottostanti. Il suo ruolo principale è quello di scomporre in frammenti più piccoli le molecole di grandi dimensioni ingerite, mediante acido cloridrico, per consentirne l'assorbimento da parte dell'intestino tenue. Altre funzioni sono la digestione proteica svolta dagli enzimi litici rennina e l'assorbimento dell'acqua, di alcuni ioni e composti liposolubili quali l'alcol, l'acido acetilsalicilico e la caffeina. La pepsina lavora solamente in ambiente a basso pH. Questo viene garantito sempre dall'acido cloridrico. L'insieme di tutti questi elementi è detto succo gastrico, che viene azionato anche solo se pensiamo di mangiare. Le pareti dello stomaco si corroderebbero per colpa del succo gastrico, ma lo stomaco secerne una sostanza, la mucina, che evita questo problema. La spessa muscolatura garantisce infine i movimenti di rimescolamento degli alimenti che durante la permanenza nello stomaco, che può variare da una a tre ore, si trasformano in chimo. Caratteristica peculiare delle pareti dello stomaco è la barriera mucosale gastrica, una specializzazione della mucosa atta a neutralizzare l’azione corrosiva dell’acido cloridrico prodotto dallo stomaco stesso, onde evitarne l’auto-digestione. La mucosa dello stomaco è tappezzata da 35 milioni di crateri, ovvero gli sbocchi di altrettante ghiandole secernenti succo gastrico. Il succo gastrico è formato da HCl e pepsine. Lo spessore della parete mucosale dello stomaco può essere divisa in due compartimenti: -

Sul fondo un compartimento aggressivo, formato da ghiandole che secernono il succo gastrico;

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All’apice, un compartimento difensivo, atto a neutralizzare l’azione corrosiva del succo gastrico.

Il compartimento aggressivo è formato da due popolazioni cellulari diverse: una producente pepsinogeno (Boss Cell), l’altra HCl (cellula oxintica). Il compartimento difensivo, invece, è formato da cellule rivestite da una spessa coltre di muco. L’organizzazione di tali cellule forma tre livelli di difesa onde evitare la corrosione delle pareti gastriche. La prima linea difensiva è rappresentata dal muco, la seconda dalle cellule di tale compartimento e la terza dalle tight junctions che collegano tali cellule. La mucosa gastrica viene rinnovata totalmente ogni 3 giorni. Inoltre sul fondo di tale compartimento, è presente una quarta linea difensiva, formata da cellule che secernono un tampone alcalino, che neutralizza l‘acido. L’ulcera gastrica è dovuta ad un eccesiva secrezione di succo gastrico ed a un cattivo funzionamento difensivo. Oltre a tali cellule sono anche presenti cellule della serie APUD, che gestiscono con particolari ormoni l’intera attività secretiva. Nello stomaco, le varie componenti del bolo, ora detto chimo, sono ulteriormente scomposte in unità più semplici. Il chimo, dallo stomaco, attraverso il piloro, viene immesso nel primo tratto dell’intestino o duodeno. Dal piloro il chimo passa nel C duodenale dove inizia la fase di mixing con i secreti pancreatici e della colecisti. La parete del duodeno è tappezzate dalle ghiandole di Brunner, secernenti un secreto alcalino ad azione tampone verso l’acidità del chimo. La fase di assorbimento dei metaboliti avviene nell’intestino tenue, formato dal duodeno, digiuno ed ileo. Per facilitare tale operazione esistono due ghiandole specializzate nella produzione di fattori enzimatici atti a

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scomporre particolari sostanze e a facilitarne ulteriormente l’assorbimento. La prima di queste due ghiandole è il pancreas. Il pancreas è una voluminosa ghiandola annessa all'apparato digerente. La sua principale funzione esocrina è quella di produrre succo pancreatico. Il succo pancreatico ha la funzione di digerire alcune sostanze nell'intestino tenue ed è composta da: -

enzimi proteolitici (tripsina e chimotripsina);

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enzimi gliocolitici (amilasi);

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enzimi lipolitici (lipasi);

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ribonucleasi e desossiribonucleasi.

La struttura risulta simile a quella della ghiandola parotide, cioè "acinosa" composta a secrezione "sierosa"; risulta suddivisa in "lobuli" da esili "sepimenti connettivali" che prendono origine dalla capsula che avvolge l'organo. Il secreto si trova sotto forma di granuli di zimogeno all'interno delle cellule pancreatiche, e viene poi secreto per esocitosi nel "lume dell'acino"; dai "condottini intralobulari" il secreto si getta nei "condotti interlobulari" che, a loro volta, sboccano nei due grossi dotti pancreatici, il dotto pancreatico "principale" (dotto di Wirsung) e il dotto pancreatico "accessorio" (di Santorini). L'azione secernente del pancreas è continua, ma si svolge a un livello modesto; essa aumenta però considerevolmente sotto lo stimolo neuroendocrino della "secretina" e della "pancreozimina", prodotti nel duodeno che raggiungono il pancreas per via ematica. La componente endocrina è rappresentata da circa 1 milione di "isolotti pancreatici", ed è ben marcata rispetto alla componente esocrina. Gli adenomeri non sono strutturati come acini, ma come tubuli "anastomizzati" tra loro, drenati da un numero di dotti relativamente basso. Le cellule sierose del pancreas hanno forma piramidale, con la parte slargata rivolta verso la lamina basale, e quella assottigliata che prospetta verso il lume. Il nucleo si trova in posizione basale, il citoplasma basale è intensamente basofilo (RER sviluppato), il Golgi è in posizione sovranucleare. Il citoplasma apicale presenta gocciole di zimogeno. Le cellule sierose del pancreas producono tutta una serie di enzimi proteolitici, lipolitici ed amilolitici. La regolazione della secrezione del succo pancreatico si compie con meccanismi nervosi ed ormonali (ormoni gastrointestinali). Dal pancreas esocrino, come dallo stomaco, si distinguono una "secrezione basale" (interdigestiva) ed una "post pradiale" (digestiva). La secrezione pancreatica basale è piuttosto modesta. Il succo pancreatico viene immesso nel duodeno non in modo episodico, come la bile: al momento della digestione avviene un rilascio massivo e rapido di succo pancreatico. La mancanza di un serbatoio per il succo pancreatico rende necessaria l'esistenza di altri meccanismi di regolazione, in primo luogo le formazioni sfinteriche della "papilla duodenale", che occludono parzialmente il condotto pancreatico principale: ciò tuttavia non spiega il rilascio massivo nella fase digestiva. La secrezione pancreatica viene resa notevolmente attiva da stimolazioni di natura nervosa ed endocrina (pancreazimina e secretina). Questa stimolazione determina uno svuotamento massivo delle cellule sierose, i granuli di "zimogeno" si fondono tra loro e si ha lo svuotamento massivo in un colpo solo (come il "granulocito basofilo"). Il secreto pancreatico ha un pH di circa 7,9-8,6 e mediamente se ne producono 1,5-3 litri al giorno. Una funzione molto importante del secreto pancreatico è quella di

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abbassare la concentrazione di ioni H+ presenti nel chimo proveniente direttamente dallo stomaco. Infatti le pareti del duodeno, siccome non presentano un compartimento difensivo, sono facilmente attaccabili dall’acido, ed è per questo che il secreto pancreatico è leggermente basico. Il secreto pancreatico è formato da: -

Per il 97 % tampone alcalino (bicarbonato);

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Il restante 3 %, amilasi, proteasi (endopeptidasi, tripsina, chimotripsina, elastasi, esopeptidasi, carbossipeptidasi A e B), lipasi, nucleasi.

Il secreto pancreatico viene prodotto dalle cellule acinose del pancreas. Gli enzimi viaggiano nel Santorini in forma inattiva e soltanto quando giungono nell’intestino divengono attivi. Infatti le cellule dei villi intestinali secernono enterochinasi, che attiva gli enzimi. Al momento dell’ingresso nel duodeno, il chimo è molto compattato e ciò renderebbe lenta l’aggressione ad opera degli enzimi pancreatici. Per evitare tale inconveniente, si utilizzano dei tensioattivi. Il tensioattivo per eccellenza è la bile, prodotta dal fegato. Il fegato è una voluminosa ghiandola localizzata nell'ipocondrio destro. È l'organo più voluminoso del corpo umano. Gioca un ruolo fondamentale nel metabolismo e svolge una serie di processi tra cui l'immagazzinamento del glicogeno, la sintesi delle proteine del plasma e la purificazione del sangue. Inoltre produce la bile, importante nei processi della digestione. Le funzioni del fegato sono espletate dalle cellule del fegato, gli epatociti. Il fegato produce e secerne la bile, usata per sciogliere i grassi. Parte della bile viene riversata direttamente nel duodeno, parte viene accumulata nella cistifellea o colecisti dove viene concentrata. Il fegato svolge numerose funzioni nel metabolismo dei carboidrati: -

la gluconeogenesi, ovvero la sintesi del glucosio a partire da alcuni amminoacidi, dall'acido lattico o dal glicerolo;

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la glicogenolisi, ovvero la formazione del glucosio dal glicogeno (avviene anche all'interno dei muscoli);

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la glicogenesi, ovvero la sintesi del glicogeno a partire dal glucosio;

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la demolizione dell'insulina e di altri ormoni;

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il metabolismo delle proteine.

Il fegato inoltre interviene nel metabolismo dei lipidi: -

vi avviene la sintesi del colesterolo;

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vi avviene la sintesi dei trigliceridi.

Il fegato produce i fattori di coagulazione I (fibrinogeno), II (trombina), V, VI, IX, X e XI, nonché la proteina C, la proteina S e l'antitrombina. Il fegato demolisce l'emoglobina, creando metaboliti che vengono aggiunti alla bile come pigmenti. Il fegato demolisce numerose sostanze tossiche e numerosi farmaci nel processo noto come metabolismo dei farmaci. Il processo può portare ad intossicazione, quando il metabolita

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è più tossico del suo precursore. Il fegato converte l'ammoniaca in urea. Il fegato funge da deposito per numerose sostanze, tra cui il glucosio (come glicogeno), la vitamina B12, il ferro e il rame. Nel feto fino al terzo mese, il fegato è la sede principale della produzione di globuli rossi; viene rimpiazzato in questo compito dal midollo osseo alla 32a settimana di gestazione. Il sistema reticolo endoteliale del fegato contiene numerose cellule specializzate del sistema immunitario che agiscono da "filtro" nei confronti degli antigeni trasportati dal sistema della vena porta. Attualmente non esiste un organo artificiale capace di emulare tutte le funzioni del fegato. Alcune di esse sono emulate dalla dialisi epatica, trattamento sperimentale per casi di grave insufficienza epatica. Una delle principali attività del fegato è la disintossicazione dell'organismo da tossine, scorie ed altri elementi nocivi. La più importante di tali azioni disintossicanti è la trasformazione dell'ammoniaca presente nel sangue (sostanza tossica derivata dalle proteine) in una sostanza tollerabile a concentrazioni più alte, l'urea. L'urea viene poi reimmessa nel sangue. Le caratteristiche citologiche degli epatociti rispecchiano la funzione detossificante della ghiandola. Essi infatti presentano un reticolo endoplasmatico liscio molte abbondante. Quest'organello infatti, oltre a presiedere alla sintesi di alcuni steroidi è intensamente implicato proprio nell'attività di detossifacazione di molecole potenzialmente nocive o estranee (alcool, farmaci, etc…). Nel feto il fegato si sviluppa a partire dal diverticolo epatico e attinge il sangue delle vene vitelline. La parte superiore del diverticolo dà origine agli epatociti e ai dotti biliari, quella inferiore diventa la cistifellea con il dotto cistico. Durante lo sviluppo del feto la principale fonte di sangue è la vena ombelicale, che trasporta al feto le sostanze nutrienti. La vena ombelicale entra nell'addome all'altezza dell'ombelico e sale lungo l'estremità libera del legamento falciforme fino alla superficie inferiore del fegato, dove si unisce al ramo sinistro della vena porta. Il dotto venoso porta il sangue dal ramo sinistro della vena porta al ramo sinistro della vena epatica e quindi alla vena cava inferiore, permettendo al sangue della placenta di aggirare il fegato del feto. Nel feto il fegato si sviluppa durante la gestazione e non esegue le normali funzioni di purificazione del sangue. Non esegue nemmeno le operazioni connesse alla digestione, dato che il feto viene nutrito direttamente dal sangue della madre attraverso la placenta. Dopo la nascita, la produzione delle cellule staminali si sposta nel midollo osseo. Entro cinque giorni dalla nascita la vena ombelicale e il dotto venoso si chiudono, il primo diventa il ligamentum teres e il secondo il ligamentum venosus. In caso di cirrosi o ipertensione della vena porta, la vena ombelicale può nuovamente riaprirsi. La bile viene raccolta nella cistifellea o colecisti e al momento opportuno viene svuotata. La bile è un liquido di colore giallo-verde secreto dal fegato della maggior parte degli animali vertebrati. In molte specie, essa è immagazzinata nella colecisti tra un pasto e l'altro e, mangiando, è iniettata nel duodeno dove collabora ai processi della digestione. Chimicamente la bile si costituisce di: -

acqua;

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colesterolo;

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lecitina (un fosfolipide);

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pigmenti biliari (bilirubina e biliverdina);

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acidi biliari (sodio taurocolico).

La bile è prodotta dagli epatociti (cellule del fegato) e durante questo processo, le cellule epiteliali aggiungono una soluzione acquosa, ricca in bicarbonati che diluisce e aumenta l'alcalinità del liquido. La bile quindi fluisce nel dotto epatico comune, che unisce il dotto cistico dalla colecisti a formare il dotto biliare comune. Il dotto biliare comune curvando si unisce con il dotto pancreatico per sfociare alla fine nel duodeno. Quando lo sfintere di Oddi è chiuso, alla bile è impedito il refluire nell'intestino e fluisce invece nella colecisti, dove viene immagazzinata e concentrata fino a cinque volte fra i pasti. Tale concentrazione avviene attraverso l'assorbimento di acqua ed elettroliti, conservando però le sostanze originali. Il colesterolo è anche rilasciato con la bile e disciolto negli acidi e i grassi biliari. Quando il cibo è rilasciato dallo stomaco nel duodeno sotto forma di chimo, la colecisti rilascia la bile concentrata per completare la digestione. Il fegato umano è in grado di secernere quasi un litro di bile al giorno (in base al peso corporeo). Il 95% dei sali secreti nella bile vengono riassorbiti nell'intestino ileo terminale e riutilizzati. Il sangue dall'ileo fluisce direttamente nella vena porta del fegato e li riporta nei dotti biliari per essere riusati, anche due o tre volte per pasto. La bile funge per un certo grado da detergente, aiutando ad emulsionare i grassi e partecipa così al loro assorbimento nel piccolo intestino; quindi ha parte importante nell'assorbimento delle vitamine D, E, K e A che si trovano nei grassi. Oltre alla funzione digestiva, la bile serve anche all'eliminazione della bilirubina, prodotta dalla degradazione della emoglobina, che le dà il tipico colore; neutralizza anche l'eccesso di acidità nello stomaco prima di arrivare nell'ileo, la sezione finale del piccolo intestino. I sali biliari hanno anche un effetto battericida dei microbi nocivi introdotti con il cibo. Nel duodeno è presente un mixing, formato da secreto pancreatico e bile. Il chilo nel duodeno viene continuamente rimescolato dagli sfinteri che creano delle camere di impasto. Una prima strizzata viene fornita dallo sfintere apico-bulbare, segue lo sfintere medio-duodenale o di Busi-Kapandji e infine lo sfintere del ginocchio inferiore o di Ochsner. Nel suo viaggio lungo l’intestino tenue, la componente nutriente del chimo viene man mano assorbita dai villi intestinali. I villi sono tappezzati da ulteriori microstrutture, dette microvilli. Tali formazioni servono ad aumentare il rapporto superficie/volume e ad ottimizzate i processi di assorbimento dei metaboliti. Carboidrati, aminoacidi, lipidi e basi azotate sono disponibili nel lume intestinale e vengono assorbiti, passando poi al sangue. L’ultima fase è quella dell’assorbimento idrosalino. Infatti tutte le fasi precedenti a questa prevedevano un largo consumo di acqua e sali minerali. Nell’intestino crasso avviene l’assorbimento idrosalino comportando una graduale diminuzione del volume del chimo, che tende a solidificare. Le pareti dell’intestino crasso sono lisce e non presentano strutture come villi e microvilli.

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22-Ormoni e Sistema Nervoso Nel 1949 Shannon e Weaver elaborarono la teoria generale della comunicazione. In base a tale teoria, affinché si verifichi uno scambio di dati, vi deve essere una sorgente di informazione ed un ricevitore. L’informazione viaggia sul BIT, ovvero sul binary digits. L’informazione è un evento che scioglie l’incertezza. Il tragitto che viene percorso dall’informazione si chiama canale e contiene numerosi rumori di fondo che possono alterare il significato dell’informazione che sta viaggiando. Tale teoria può essere applicata in pieno alla comunicazione cellulare. Le cellule hanno diversi modi per comunicare a seconda di quanto distanti siano la sorgente ed il ricevitore. Si è visto, da esperimenti, che iniettando del colorante nel citoplasma di una cellula, questi passa al citoplasma di quella limitrofa. Tale passaggio è possibile grazie alla presenza di nexus, cioè proteine transmembrana che creano un canale che mette in comunicazione le due cellule vicine. Se le cellule sono molto lontane, l’informazione, per poter raggiungere la sua cellula bersaglio, necessita di un canale più potente, in questo caso la rete vascolare. La molecola segnale viene prodotta dalla sorgente ed immessa nella circolazione. Una volta in circolo il segnale si legherà soltanto a quelle cellule che sono provviste del recettore adatto. Quando il segnale si lega al recettore, la cellula bersaglio produce un segnale di risposta che viene messo in circolo e raggiunge la sua cellula bersaglio, cioè la cellula provvista sulla sua membrana del recettore adatto per quel segnale. Il retrosegnale stoppa la produzione del segnale di origine. Il segnale può essere inteso come un input, mentre il retrosegnale l’output. Quando viene prodotto un retrosegnale che stoppa la produzione di segnale, si è in presenza di un feedback negativo, mentre se la produzione del retrosegnale amplifica la produzione del segnale il feedback è di tipo positivo. La cellula secernente il segnale è una ghiandola. Il segnale è un ormone che viaggia nella rete vascolare per raggiungere la sua cellula bersaglio. Ma nel sangue viaggiano anche altre sostanze, che creano una sorta di rumore di fondo, che può intralciare la comunicazione. L’evoluzione ha suggerito un altro sistema di comunicazione tra due cellule poste ad una certa distanza. L’informazione, anziché viaggiare nel sangue, può viaggiare in appositi prolungamenti citoplasmatici che dalla cellula ghiandolare sono diretti alla cellula bersaglio, secernendo direttamente nei pressi di questa l’ormone. Se poi la trasmissione avviene attraverso un codice elettrico si assiste alla formazione del sistema nervoso. Per favorire la velocità di comunicazione, il prolungamento citoplasmatico è rivestito all’esterno da un bioisolante, onde evitare possibili campi elettrici di disturbo. La conduzione è di tipo saltatoria quando sono presenti delle interruzioni lungo la membrana bio-isolante. In questo modo l’impulso salta da una zona libera all’altra, aumentando di molto la propria velocità. Il sistema nervoso è l’evoluzione della comunicazione attraverso gli ormoni. Più cellule nervose sono collegate tra loro formando una rete neuronale su cui viaggia l’impulso. Esistono vari tipi di ghiandole endocrine:

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Ci sono degli ammassi di cellule ghiandolari che immettono il proprio secreto all’interno del capillare a loro adiacente;

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Ci sono ghiandole dette cordoni, poiché le cellule si dispongono a formare delle corde che circondano la rete capillare;

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Vi sono ghiandole che si dispongono a formare isole;

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Ghiandole follicolari;

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Ghiandole unicellulari.

Un ormone è un messaggero chimico che trasmette segnali da una cellula (o un gruppo di cellule) ad un'altra cellula (o altro gruppo di cellule). Tale sostanza è prodotta da un organismo con il compito di modularne il metabolismo e/o l'attività di tessuti od organi dell'organismo stesso. Gli ormoni sono prodotti da ghiandole endocrine, che li riversano nei liquidi corporei. Gli ormoni sono classificati, in base alla struttura, in tre gruppi: -

ormoni peptidici;

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ormoni steroidei;

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amminoacidi modificati.

Gli ormoni peptidici sono degli ormoni costituiti da oligopeptidi o proteine. Vengono sintetizzati sotto forma di pre-ormoni e solo dopo successiva modificazione divengono attivi. Un esempio è il paratormone, che nella suo forma di pro-ormone è lungo 90 amminoacidi, mentre nella sua forma attiva ne contiene solo 84. Altri ormoni di natura protidica sono l'insulina prodotta dalle cellule ß del pancreas e il TRH prodotto dall'ipotalamo, che è un importante fattore di rilascio che va ad agire sull'ipofisi per il rilascio dell'ormone TSH che a sua volta va ad agire sulla tiroide. Gli ormoni protidici viaggiano nel circolo sanguigno fino ad arrivare alle cellule bersaglio. Qui, essendo polari, non riescono ad oltrepassare la membrana ma si legano a particolari recettori intramembranali. Il loro attacco attiva l'adenilato ciclasi un enzima che forma AMPc partendo da ATP e questo, con funzione di secondo messaggero, va a fosforilare e quindi attivare tutti gli enzimi necessari per la risposta ormonale. Gli ormoni steroidei sono ormoni di natura lipidica e derivano da un precursore comune che è il colesterolo. Anche essi viaggiano nel flusso circolatorio, trasportati da particolari proteine che prendono il nome di carrier: le SBP (Steroid Binding Protein). Questo fa in modo che l'ormone possa raggiungere le cellule bersaglio. Qui, essendo di natura lipidica, entra nella cellula e trova i suoi recettori a livello citoplasmatico o a livello nucleare. Il legame tra i due attiva come per gli ormoni protidici l'adenilato. Alcuni di questi ormoni però hanno il loro recettore posto sulla membrana esterna: qui il legame attiva la proteina G formata da tre subunità alfa, beta e gamma. La subunità alfa dopo l'attacco si fosforila e si dissocia, andando in circolo nel citoplasma dove viaggia e va ad attivare l'adenilato ciclasi. Tra gli ormoni steroidei abbiamo:

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gli androgeni, tra i più noti il testosterone, a 19 atomi di carbonio, prodotto in maggior parte dal testicolo e dalle ghiandole surrenali nell'uomo. Nella donna è prodotto in piccole quantità dalle cellule della teca e dalle ghiandole surrenali. L'androsterone prodotto dall'ovario. Entrambi sono importanti per la determinazione dei caratteri sessuali e del comportamento conseguente.

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Gli estrogeni, a 18 atomi di carbonio. Tra i più importanti c'è l'estradiolo, prodotto dalle ovaie, importante per l'accumulo di acidi grassi e per il processo di vitellogenesi;

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Progestinici, a 21 atomi di carbonio. Tra i più importanti c'è il progesterone prodotto dalle ovaie e dalla placenta.

L’enzima che da origine al colesterolo è il 3-idrossi-metil-glutaril-CoA, che parte dallo mevalonato, segue poi genaril, farnesil, squalene, lanosterolo ed infine il colesterolo. L’ormone agisce legandosi ad un particolare recettore presente solo sulla membrana cellulare della cellula bersaglio. Al recettore, internamente è legato un trasduttore che, originando AMPc, genera la trasmissione interna del segnale. L’AMPc va ad agire sull’inibitore della chinasi, che viene attivata, entrando nel nucleo e attiva o disattiva l’espressione di particolari geni. La ghiandola più importante è l’ipofisi, che regola l’attività di tutte le altre ghiandole dell’organismo. L'ipofisi o ghiandola pituitaria, è una ghiandola endocrina situata alla base del cranio, nella sella turcica dell'osso sfenoide. Consta di due lobi, strutturalmente e funzionalmente diversi, che controllano, attraverso la secrezione di numerosi ormoni, l'attività endocrina e metabolica di tutto l'organismo: il lobo anteriore (adenoipofisi) e il lobo posteriore (neuroipofisi), divisi da una pars intermedia, piccola e poco vascolarizzata. L'ipofisi è di dimensioni piuttosto piccole con un peso non superiore a 0.8 gr. È separata dall'encefalo da una porzione della dura madre che la sovrasta ad ombrello e attraverso un peduncolo vascolo-nervoso comunica con l'ipotalamo, quest'ultimo regola attraverso altre sostanze ormonali l'ipofisi stessa. Intorno alla sella turcica si trovano i seni cavernosi da cui defluiscono le carotidi interne ed i nervi cranici III, IV, V e VI; è facile immaginare che alterazioni a carico dell'ipofisi possono quindi causare diversi effetti secondari sulla funzione visiva (compromissione del chiasma), vascolare, neurologica. Gli effetti dell'ablazione del lobo anteriore sono in parte caratterizzati dalla diminuita attività delle altre ghiandole endocrine: la tiroide si atrofizza, e così pure i surreni e le gonadi, con scomparsa della spermatogenesi nel maschio e dell'ovulazione nella femmina; aumenta la sensibilità all'insulina per la compromissione delle isole pancreatiche, e insorge una lieve forma di diabete insipido. L'ipofisectomia comporta inoltre arresto dello sviluppo somatico negli animali giovani, con alterazioni scheletriche e muscolari. Queste osservazioni hanno permesso di individuare i diversi ormoni secreti dall'ipofisi. Il lobo posteriore dell'ipofisi o neuroipofisi, più che una ghiandola vera e propria, è un'appendice secretoria di due nuclei encefalici (nei quali probabilmente avviene la sintesi degli ormoni), da cui riceve le fibre nervose che la costituiscono. Gli ormoni che esso produce sono:

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l'ormone antidiuretico (ADH) o vasopressina, che controlla l'escrezione dell'urina da parte del rene e regola in tal modo il ricambio idrico ed elettrolitico dei liquidi organici;

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l'ossitocina che agisce sull'utero, stimolandone le contrazioni e inoltre determina, probabilmente, la liberazione di prolattina dall'adenoipofisi.

Il controllo sull'attività della neuroipofisi è esercitato direttamente dai nuclei nervosi a cui è collegata, mentre la regolazione dell'adenoipofisi è garantita da un particolare sistema di irrorazione sanguigna, che si affianca a quella di provenienza sistemica e che raggiunge i nuclei encefalici prima di sfociare nella ghiandola. Alcune sostanze, liberate dalle cellule nervose dell'ipotalamo, stimolerebbero così la secrezione dei diversi ormoni. Inoltre l'attività dell'adenoipofisi è regolata dagli ormoni prodotti dalle stesse ghiandole che sono sotto il suo controllo; infatti quando questi ormoni sono carenti nel sangue, l'ipofisi stimola selettivamente coi propri ormoni l'attività delle ghiandole produttrici; quando invece tali ormoni sono presenti in quantità elevate, l'ipofisi cessa di stimolare le ghiandole coi propri ormoni specifici. L'ormone somatotropo (GH, meno comunemente STH) agisce direttamente sui tessuti ed è indipendente dall'attività delle altre ghiandole endocrine; stimola la deposizione del calcio nel tessuto osseo e la proliferazione delle cellule cartilaginee, aumenta la massa dei muscoli scheletrici e stimola la sintesi proteica. È detto anche ormone della crescita e la sua mancanza causa l'arresto dello sviluppo staturale e ponderale dell'individuo. La prolattina (PRL) agisce sulla ghiandola mammaria stimolando la secrezione di latte dopo il parto. L'intermedina (MSH) ha effetto trofico sui melanociti, responsabili della pigmentazione della pelle. Gli ormoni tropici sono quelli ormoni che agiscono su altre ghiandole endocrine: -

L'ormone tireotropo (TSH) agisce sulla tiroide, favorendo la liberazione degli ormoni che questa produce (tiroxina e triiodotirorina);

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L'ormone adrenocorticotropo (ACTH) determina a sua volta la sintesi e la secrezione molto rapida degli ormoni della corteccia surrenale e stimola il metabolismo lipidico;

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L'ormone follicolo-stimolante (FSH) e l'ormone luteinizzante (LH) sono invece gonadotropi (agiscono cioè sulle gonadi); nelle ovaie il primo stimola la formazione dei follicoli e la secrezione dei loro ormoni (estrogeni), il secondo la formazione del corpo luteo e la secrezione dell'ormone corrispondente, il progesterone; nel testicolo, l'LH agisce invece sulle cellule interstiziali (e viene perciò anche contraddistinto con la sigla ICSH), promuovendo la spermatogenesi e la secrezione dell'ormone testicolare (testosterone, mentre l'FSH favorisce la sintesi di una proteina (ABP) che lega il testosterone, attivando gli spermatozoi).

Un’altra ghiandola è l’epifisi, che produce la melatonina, un ormone che regola i bioritmi e i ritmi circadiani. La ghiandola pineale o epifisi è una ghiandola endocrina delle dimensioni di una nocciola, sporge all'estremità posteriore del 3° ventricolo. Appartiene all'epitalamo ed è collegata mediante alcuni fasci nervosi pari e simmetrici (peduncoli epifisari), alle circostanti parti nervose. Le sue cellule, i "pinealociti" producono l'ormone melatonina che regola il ritmo circadiano sonno-veglia, reagendo al buio o alla poca luce. La

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melatonina è inoltre l'ormone antagonista degli ormoni gonadotropi ipofisari, infatti gli elevati quantitativi di melatonina nell'individuo in età pre-puberale, ne impediscono la maturazione sessuale. All'inizio della pubertà i livelli di melatonina decrescono notevolmente e nell'epifisi si accumula la sabbia pineale. La ghiandola pineale secerne melatonina solo di notte: poco dopo la comparsa dell'oscurità le sue concentrazioni nel sangue aumentano rapidamente e raggiungono il massimo tra le 2 e le 4 di notte per poi ridursi gradualmente all’approssimarsi del mattino. L'esposizione alla luce inibisce la produzione della melatonina in misura dosedipendente. In questo senso l'epifisi sembra rappresentare uno dei principali responsabili delle variazioni ritmiche dell'attività sessuale, sia giornaliere che stagionali (soprattutto negli animali). La tiroide, utilizzando lo iodio, produce due classi di ormoni, T3 e T4, che regolano la velocità del metabolismo. La tiroide è una ghiandola endocrina situata nella parte frontale del collo (al di sotto della laringe) ed è formata da due lobi uniti da una porzione intermedia detta istmo. È isolata dagli organi vicini da una guaina fibrosa e risulta riccamente vascolarizzata da: arterie tiroidee inferiori, rami delle succlavie, rami delle carotidi esterne e dalle arterie tiroidee superiori. Questa caratteristica ne impedisce un facile accesso chirurgico. La tiroide rappresenta l'unico caso di ghiandola endocrina che possiede la capacità di accumulare il secreto, prima che esso venga riversato nel torrente circolatorio, in sede extracellulare in quanto gli ormoni, legati ad una glicoproteina iodata (tireoglobulina), si accumulano nel lume follicolare sotto forma di colloide. Nella parete follicolare si evidenziano due popolazioni cellulari:le cellule parafollicolari o cellule C e le cellule follicolari o tireociti. Queste due popolazioni cellulari hanno una diversa origine embriologica: solo le cellule follicolari, più numerose, originano propriamente dall'abbozzo tiroideo che deriva da un'introflessione della mucosa del faringe primitivo (tasca di Ratke) alla base della lingua; le cellule parafollicolari migrano invece successivamente nella tiroide provenendo dai corpi ultimobranchiali, abbozzi embrionari dei quali nei mammiferi non resta traccia, e vengono considerati parte del sistema endocrino diffuso denominato APUD (Amine Precursor Uptake and Decarbossilation). Gli ormoni prodotti dalle cellule follicolari o tireociti sono due dipeptidi iodati: la tiroxina (T4) prodotta in maggior quantità e la triiodotironina (T3). Entrambe sono sotto il controllo dell'ormone ipofisario TSH. Gli ormoni aumentano il consumo di ossigeno agendo sul metabolismo energetico, coadiuvando il differenziamento e la crescita del sistema nervoso di cui regolano molte funzioni. La componente cellulare parafollicolare, cellule C, produce un terzo ormone, la calcitonina, che regola il metabolismo del calcio con l'ormone secreto dalle ghiandole parotirodi, l'ormone paratiroideo o paratormone. Affianco alla tiroide, vi sono le paratiroidi, che regolano la calcemia nel sangue producendo paratormone (che attiva il rilascio dalle ossa di calcio). Il paratormone è un peptide sintetizzato dalle ghiandole paratiroidi: esercita il controllo del metabolismo del calcio regolandone l’assorbimento nell’intestino tenue e l’escrezione a livello renale. In presenza di una riduzione della concentrazione di Ca nel sangue l’ormone aumenta la mobilizzazione

di

Ca

dall’osso

intervenendo

sugli

osteoblasti

(direttamente)

e

sugli

osteoclasti

(indirettamente). Le cellule delle ghiandole paratiroidi hanno recettori di membrana per il calcio. Il legame di

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questi recettori con il Ca attiva una proteina G che causa la formazione di inositolo trifosfato e mobilizzazione di ioni calcio inibendo il rilascio di paratormone (il paratormone viene infatti inibito da alti livelli di calcemia e aumenta quando la calcemia si abbassa). La forma attiva della vitamina D, l'1,25 diidrossicolecalciferolo, inibisce la sintesi del paratormone. Un aumento della concentrazione plasmatica di fosfato abbassa la calcemia e stimola la secrezione di paratormone. A livello renale produce 2 effetti: il primo di aumentare l’assorbimento di calcio nei tubuli distali e di inibire il riassorbimento di fosfato, il secondo è quello di stimolare l’idrossilazione della vitamina D per formare 1,25 diidrossicolecalciferolo che determina un aumento dell’assorbimento di Ca nell’intestino. A livello osseo agisce sugli osteoblasti e sugli osteoclasti attivando il riassorbimento dell’osso e favorendo il rilascio di Ca nei fluidi extracellulari; contemporaneamente favorisce la formazione di osteoclasti dai loro precursori cellulari del sangue. La calcitonina è un polipeptide sintetizzato dalle ghiandole parafollicolari della tiroide. Ha funzione antagonista al paratormone, infatti la sua azione consiste nel ridurre le concentrazioni plasmatiche di calcio, agendo principalmente sull’osso bloccandone il riassorbimento da parte degli osteoclasti e accelerando l’attività osteoblastica di deposizione della matrice. L’ormone agisce anche a livello renale, stimolando la secrezione urinaria di calcio e inibendo il riassorbimento da parte dei tubuli distali. Il pancreas produce due importantissimi ormoni che regolano la glicemia nel sangue. L’insulina sequestra il glucosio presente nel sangue, inducendo le cellule epatiche a trasformarlo in glicogeno. Il glucagone ha l’effetto contrario, cioè quello di far aumentare il livello di glucosio nel sangue. Le ghiandole surrenali producono cortisone, aldosterone e adrenalina. Il cortisone è un ormone. Chimicamente è un corticosteroide di formula C21H28O5 strettamente correlato al corticosterone. Cortisone e adrenalina sono ormoni rilasciati nel sangue dalle ghiandole surrenali in situazioni di stress. Essi elevano la pressione arteriosa e preparano l’organismo alla reazione di lotta o fuga. Il cortisone è il precursore inerte della molecola del cortisolo. Esso viene attivato per deidrogenazione del 11-cheto gruppo mediante un enzima chiamato 11-β-steroide-deidrogenasi. La forma attiva del cortisolo è detta anche idrocortisone. In Farmacia il cortisone è usato nel trattamento di diversi disturbi, somministrato per via orale, endovenosa e cutanea. Uno degli effetti del cortisone sull’organismo, potenzialmente dannoso per certi aspetti, è di deprimere il sistema immunitario; ciò spiegherebbe l’evidente correlazione tra uno stress elevato e numerose malattie. L'aldosterone è un ormone prodotto dalla zona glomerulare del corticosurrene. L'aldosterone è il capostipite dei mineral-corticoidi che, come i glucocorticoidi, vengono prodotti nella corteccia del surrene ma attraverso due vie biosintetiche distinte. A differenza del glucocorticoide cortisolo il controllo della sintesi non dipende da nessun ormone ipofisario ma il segnale che la promuove parte dal rene. L'effetto dell'aldosterone si esplica a livello del tubulo contorto distale e del dotto collettore del rene aumentando la permeabilità della membrana apicale delle cellule cosiddette "principali" allo ione sodio, permettendone il riassorbimento

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combinato con acqua. Pertanto la ritenzione idrosalina aumenta, di conseguenza si verifica un innalzamento del volume ematico e l'aumento dei valori di pressione arteriosa. La liberazione di aldosterone nell'organismo dipende da diversi fattori, uno dei più importanti è l'attivazione del sistema Renina-AngiotensinaAldosterone. L'adrenalina o epinefrina (insieme alla noradrenalina) è un ormone e un neurotrasmettitore rilasciato dal corpo in situazioni di stress; appartiene a una classe di sostanze attive farmacologicamente di nome catecolammine, contenendo nella propria struttura sia un gruppo amminico che un orto-diidrossi-benzene, il cui nome chimico è catecolo. L'adrenalina è stata ritenuta per anni il neurotrasmettitore principale del sistema nervoso simpatico, nonostante fosse noto che gli effetti della sua somministrazione erano differenti da quelli ottenuti tramite stimolazione diretta del simpatico. Solitamente, la stimolazione del sistema nervoso simpatico causa una preparazione dell'organismo a una situazione detta di "Attacco o fuga". La sintesi dell'adrenalina avviene nella midollare surrenale ed è la stessa della noradrenalina, con un passaggio in più, catalizzato dall'enzima feniletanolammina-N-metiltransferasi, che converte la noradrenalina in adrenalina. L'adrenalina viene sintetizzata nelle cellule cromaffini, presenti nella zona midollare delle ghiandole surrenali. Noradrenalina, adrenalina e dopamina sono catecolamine che vengono degradate da due diversi sistemi enzimatici: le catecol-O-metiltrasferasi (COMT) localizzate prevalentemente al livello postsinaptico e negli epatociti, e dalle monoaminossidasi (MAO) localizzate all'interno della cellula addossate ai mitocondri. Le MAO a loro volta si dividono in due sottoclassi o isoforme A e B. L'isoforma A è adibita alla deamminazione ossidativa della noradrenalina, dell'adrenalina e della serotonina, mentre l'isoforma B metabolizza soprattutto la dopamina. Le COMT invece metilano uno dei due ossidrili catecolici e porta alla formazione di metaboliti, i quali vengono poi deaminati nel fegato dalle MAO. La noradrenalina dopo essere stata rilasciata nella sinapsi può legarsi ai recettori adrenergici dell'effettore e dare una reazione, oppure può essere allontanata per diffusione e mediante flusso ematico, oppure può essere ricaptata dalle varicosità e una volta ritornata nel terminale assonico viene reimpacchettata per essere utilizzata un'altra volta al sopraggiungere di una nuova depolarizzazione di membrana. Anche i testicoli e le ovaie sono ghiandole. Il timo può essere considerato una ghiandola in quanto induce il differenziamento di cellule della serie bianca attraverso la produzione di particolari sostanze. Il rene, proprio perché produce eritropoietina, può essere considerato una ghiandola. Infine anche il tessuto adiposo è una ghiandola. Attorno a tali strutture ghiandolari, sparse lungo tutto il corpo, vi sono delle microghiandole che formano la serie APUD. Un esempio di cellule chiaramente endocrine non appartenenti a un sistema ghiandolare è il sistema APUD. Le cellule Cromaffini e Produttrici sono localizzate in tutto il sistema digerente (è stato calcolato che se fossero localizzate in un organo esso avrebbe all'incirca le dimensioni di un'arancia) i cui ormoni mediano funzioni quali l'acidità gastrica, la motilità, lo svuotamento della colecisti. Altre cellule endocrine si trovano nei polmoni dove regolano le secrezioni; se ne trovano anche nella prostata e in altri organi che non sono

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endocrini. Recentemente si è cominciato a parlare di sistema neuroendocrino, intendendo sottolineare la stretta relazione tra ormoni e cellule nervose, le quali infatti grazie alle terminazioni nervose sono in grado di determinare la liberazione di ormoni, come accade ad esempio nella zona midollare del surrene con la liberazione di amine biogene: dopamina, adrenalina e noradrenalina. Sinora sono state classificate fra le cellule APUD oltre 40 tipi di cellule che deriverebbero dall’ectoblasto programmate come neuroendocrino. Attualmente vi sono dati sperimentali che evidenziano che molte cellule APUD siano di origine: -

le cellule endocrine gastroentero-pancreatiche, entodermica;

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le cellule mioendocrine del cuore forse di origine mesodermica, che possono essere raggruppate con altre cellule del sistema neuroendocrino perché producono ormoni peptidici.

Sempre Pearse considera l’insieme delle cellule APUD come una 3° componente del sistema nervoso ad attività lenta ma più duratura dei neuroni viscerali. Il loro secreto (trasmettitori) agisce sulle cellule adiacenti e su cellule distanti. Recentemente studiosi hanno sottolineato che il S. APUD e Sistema Immunitario hanno caratteristiche in comune. Entrambi sono diffusi ed hanno meccanismi sensoriali e di regolazione simili: recettori di membrane per neuropeptidi, ormoni e amine, correlazioni genetiche. Esistono tre tipi di sistema nervoso: -

Il sistema nervoso centrale;

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Il sistema nervoso periferico;

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Il sistema nervoso automatico.

Il cervello umano è l’oggetto più complesso che si conosca, o meglio che il cervello umano conosca. L’unità strutturale del sistema nervoso è il neurone, che ricevendo informazioni le elabora e le smista ai neuroni competenti, generando così un nuovo flusso di informazioni.

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23-Le Popolazioni Cellulari del Cervello Un neurone è formato da una parte centrale, detta soma. Dal soma partono i dendriti, il cui compito è quello di convogliare l’impulso al soma, e l’assone, struttura specializzata nella trasmissione dell’impulso elettrico. L’assone termina con un bottone sinaptico. A seconda di come il soma e disposto rispetto alle altre strutture neuronali, esistono diverse tipologie di neuroni. La forma del neurone è dovuta alla particolare organizzazione del citoscheletro. Da un punto di vista metabolico, il citoplasma del neurone presenta un abbondante REG, che è visibile con particolari colorazioni chimiche, formando quella che viene definita la sostanza di Nissl. Il neurone viene attivato dall’impulso proveniente dai dendriti, elabora l’informazione e infine la ritrasmette attraverso l’assone al prossimo neurone. Le fasi di funzionamento del neurone sono: -

Ricezione;

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Elaborazione;

-

Attivazione;

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Sintesi o Spike.

L’impulso può portare alla sintesi di particolari proteine e molecole segnale. Le proteine neosintetizzate regolano la sintesi di mediatori chimici oppure si integrano nella struttura del neurone, innestandosi sui dendriti o sull’assone, generando nuove sinapsi. I dendriti di un neurone possono avere varie modalità di collegarsi ad un altro neurone: -

Connessione dendro-somatica;

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Connessione dendro-dendritica;

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Connessione dendro-assonica.

Le proteine vengono smistate all’interno del neurone grazie al citoscheletro. Bisogna di distinguere tra flusso, che è una modalità di trasporto lenta (slow), e il trasporto vero e proprio che è di tipo fast. Nella modalità di flusso le sostanze sono spinte nelle varie direzioni dal gradiente di concentrazione, mentre il trasporto richiede un grande consumo di energia. Le sostanze che vengono smistate sono in maggioranza mediatori chimici. Quando tali sostanze vengono secrete, al fine di svolgere la loro funzione, vengono poi endocitate e viaggiano in vescicole dirette verso il soma, dove vengono riciclate. Quindi assieme ad un flusso centrifugo, che dal soma è diretto alla periferia, è presente anche un retroflusso di recupero centripeto, diretto dalla periferia al soma. Lo spike è la trasmissione dell’impulso elettrico che si visualizza come una rapida depolarizzazione della membrana, seguita da un calo del potenziale elettrico e da un periodo refrattario. Lungo l’assone sono presenti numerosi canali del sodio e del potassio. In condizioni di riposo, il potassio viene pompato all’interno, mentre il sodio è presente in alte concentrazioni all’esterno. Tale situazione genera un potenziale di

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membrana di -70 mv. All’arrivo del segnale, i canali del sodio vengono aperti, e questi lentamente entra all’interno. Nel frattempo il potenziale aumenta gradualmente. Ad un certo punto, i canali del potassio si aprono totalmente ed il potenziale sale a +35 mv. Ora avviene la trasmissione del segnale. Segue poi un successivo periodo refrattario con calo del potenziale, fino a quando la membrana si ripolarizza ed è pronta per la trasmissione di un nuovo segnale. La trasmissione avviene quindi attraverso un codice elettrico. La conduzione lungo l’assone è di tipo saltatoria. Tale modo di conduzione è reso possibile dall’involucro di mielina che avvolge l’assone. La mielina è il bio-isolante e non è altro che l’avvolgimento della membrana della cellula di Schwann attorno l’assone. La mielina è la cellula di Schwann e questi è la mielina. Le cellule di Schwann sono un tipo di cellula del sistema nervoso periferico, facenti parti della glia. La loro principale funzione è quella di rivestire gli assoni dei neuroni con uno strato di mielina, che conferisce ai nervi e ai tratti un aspetto bianco brillante. Grazie alle doti di isolante elettrico la mielina aumenta la capacità di conduzione degli assoni stessi. Infatti se gli assoni amielinici hanno una velocità di conduzione da 0,5 a 10 m/s, gli assoni mielinici più veloci possono arrivare a 150 m/s. Le cellule di Schwann formano la guaina mielinica avvolgendosi attorno agli assoni numerose volte; gli strati più interni sono composti principalmente da mielina, appunto, che forma la membrana cellulare di queste cellule, mentre il citoplasma e il nucleo stanno negli strati più esterni, e formano il neurolemma. Siccome la dimensione di una cellula di Schwann (fino ad 1 mm) sono molto inferiori alla lunghezza di un assone (i più lunghi possono oltrepassare il metro), per mielinizzare completamente un singolo assone sono necessarie numerose cellule di Schwann, disposte lungo la lunghezza dell'assone. Le piccole parti demielinizzate che si trovano tra due cellule di Schwann si chiamano nodi di Ranvier e svolgono una funzione importante: essendo le uniche aree di scambio ionico dell'assone, il potenziale d'azione si propaga (e si riproduce) solo in corrispondenza di questi nodi, dando vita al fenomeno della conduzione saltatoria, che permette di accelerare la trasmissione degli impulsi nervosi risparmiando energia. L'analogo delle cellule di Schwann nel sistema nervoso centrale sono gli oligodendrociti, che come le cellule di Schwann svolgono principalmente funzioni di mielinizzazione degli assoni. Il punto in cui inizia l’avvolgimento della guaina mielinica attorno l’assone prende il nome di mesoassone interno, mentre il punto in cui termina l’avvolgimento è detto mesoassone esterno. Tra una cellula di Schwann e l’altra è presente un po’ di spazio che mette a nudo la membrana dell’assone. Tale zona viene detta nodo di Ranvier e l’impulso si trasmette da nodo a nodo, amplificando la velocità di conduzione. La cellula di Schwann esiste anche se non forma la mielina. La differenza tra fibre fast e slow è legata alla presenza o assenza della guaina mielinica. I neuroni si connettono tra di loro, per formare una rete, attraverso sinapsi. A seconda di dove l’assone forma la sinapsi si potrà avere: -

Sinapsi asso-somatica;

-

Sinapsi asso-assonica;

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-

Sinapsi asso-densritica.

Alla nascita la rete neuronale non risulta essere molto complessa, ma col passare del tempo lo diventa sempre di più. Il numero di sinapsi possibili è immensamente grande e l’esercizio mentale può produrre trasformazioni anatomiche e biochimiche. La creazione di nuove sinapsi porta alla creazione di nuovi percorsi che l’impulso è in grado di percorrere, facilitando così alcuni aspetti macroscopici di tale nuova rete, come la memoria e l’apprendimento. Tra due spike successivi vi è un periodo definito ritardo sinaptico. La sinapsi è una struttura altamente specializzata che consente la comunicazione tra le cellule del tessuto nervoso, i neuroni. Attraverso la trasmissione sinaptica, l'impulso nervoso può viaggiare da un neurone all'altro o da un neurone ad una fibra neuromuscolare (giunzione neuromuscolare). Dal punto di vista funzionale, esistono due tipi di sinapsi: le sinapsi elettriche e le sinapsi chimiche. Nei vertebrati superiori prevalgono le sinapsi di tipo chimico. Nella sinapsi elettrica, due cellule stimolabili sono tra loro connesse mediante una giunzione comunicante detta anche gap junction. Le gap junctions consentono la comunicazione tra cellule per passaggio diretto di correnti da una cellula all’altra, quindi non si verificano ritardi sinaptici. In genere le sinapsi elettriche, al contrario di quelle chimiche, consentono la conduzione in entrambe le direzioni. Esistono anche sinapsi elettriche che conducono preferenzialmente in una direzione piuttosto che nell’altra. Le sinapsi elettriche sono particolarmente adatte per riflessi (dette anche azioni riflesse) in cui sia necessaria una rapida trasmissione tra cellule, ovvero quando sia richiesta una risposta sincronica da parte di un numero elevato di neuroni, come ad esempio nelle risposte di attacco o di fuga. Le particelle intermembranarie delle gap junction sono costituite da 6 subunità che circondano un canale centrale. Le 6 subunità sono disposte ad esagono e formano una struttura chiamata "connessone". Ciascuna subunità è formata da una singola proteina, la connessina. Attraverso i connessoni passano molecole, soluzioni idrosolubili e quindi il passaggio di ioni determina un passaggio di corrente elettrica. Una sinapsi chimica è formata da tre elementi: membrana pre-sinaptica, spazio sinaptico o fessura inter-sinaptica e membrana post-sinaptica. La membrana pre-sinaptica è quella parte del neurone portatore del messaggio che rilascia il neurotrasmettitore nello spazio sinaptico. Qui quest'ultimo entra in contatto con la membrana post-sinaptica ove sono presenti specifici recettori o canali ionici. Il neurotrasmettitore in eccesso viene riassorbito nella membrana pre-sinaptica (ricaptazione), o scisso in parti inerti da un apposito enzima. I filamenti nervosi che raggiungono le singole fibre muscolari danno luogo alla placca motrice. La giunzione neuromuscolare è la sinapsi che il motoneurone forma con il muscolo scheletrico. Fra nervo e muscolo c’è uno spazio intersinaptico. In prossimità della giunzione neuromuscolare, la fibra motrice perde il suo rivestimento di mielina e si divide in 2-300 ramificazioni terminali che si adagiano lungo la doccia sinaptica sulla superficie del sarcolemma. La membrana plasmatica della fibra muscolare è notevolmente invaginata e forma numerose pliche giunzionali per aumentare la superficie di contatto fra nervo e muscolo. Nei terminali assonici sono presenti molte vescicole sinaptiche contenenti acetilcolina (ACh), il mediatore chimico della placca motrice, sintetizzata in periferia del neurone.

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Quando il potenziale d'azione raggiunge la parte terminale del neurite si aprono canali potenziale elettricodipendenti per il Ca2+ (presenti nei bottoni sinaptici). Siccome la concentrazione extracellulare di Ca2+ è maggiore di quella interna il Ca2+ entra nella cellula secondo il gradiente di concentrazione. Inoltre è attratto nello spazio intracellulare anche dalla polarità negativa della membrana. Quindi è spinto ad entrare da un doppio gradiente. Il suo ingresso permette la liberazione di ACh nello spazio intersinaptico: la membrana della vescicola si avvicina alla membrana della sinapsi, le due membrane si fondono e viene rilasciata ACh. Sulla membrana del muscolo ci sono molecole recettoriali con grande affinità per ACh: si tratta di canali attivi che si aprono in seguito al legame con ACh. A differenza dei canali voltaggio-dipendenti questi canali sono aspecifici, cioè consentono il passaggio di ogni tipo di ione. All’apertura di questi recettori-canale il Na+ entra all’interno del muscolo spinto sia dalla forza chimica che da quella elettrostatica e il K+ esce fuori dal muscolo spinto dalla forza chimica. Questo passaggio di ioni avviene contemporaneamente. Si ha quindi una depolarizzazione di membrana, perché entra più Na+ spinto da una forza maggiore di quella che spinge il K+ fuori dalla cellula. L’ACh è l’unico mediatore che agisce nella giunzione neuromuscolare, ma agisce anche nelle sinapsi di SNC e SNP. Le sinapsi il cui mediatore è l’ACh sono dette colinergiche. L'acetilcolina viene distrutta dall'enzima acetilcolinesterasi (acetil-colina-esterasi). Le monoammine sono mediatori che presentano il gruppo funzionale (–NH2). Dopamina (DA), noradrenalina (NA) e adrenalina sono caratterizzate dal catecolo, perciò sono dette catecolammine, e sono presenti nelle sinapsi di SNC e SNP. Sia l'adrenalina (epinefrina) che la noradrenalina (norepinefrina) si ritrovano nel circolo sanguigno, agendo anche come ormoni. I neuroni che utilizzano le monoammine sono detti aminergici e le monoamine vengono distrutte dal complesso delle Monoaminossidasi (MAO). La serotonina o 5-idrossitriptamina deriva dal triptofano ed è utilizzata in alcune regioni del SNC come quella ippocampica. Glicina e GABA sono inibitori a livello delle sinapsi del SNC, si legano sempre a una classe di recettori che provoca effetti inibitori. I mediatori trattati fin ora sono monomeri, cioè mediatori a piccola molecola. Vale il principio di Dale: ogni neurone è in grado di sintetizzare esclusivamente una sola classe di mediatori a piccola molecola. Peptidi sono polimeri di un numero limitato di amminoacidi (da 7 a 3334). Questi peptidi neuroattivi sono sintetizzati all’interno del soma (a differenza dei monomeri di minute dimensioni). Questi sono trasportati lungo l’assone fino al bottone sinaptico. Alcuni sono prodotti nelle cellule nervose, altri in altre cellule. Il peptide inibitore gastrico è prodotto da una parte delle cellule intestinali, funziona come ormone ma ha anche funzione neuroattiva. Ogni neurone può produrre una classe di mediatori a piccola molecola (liberati anche solo con un potenziale d’azione) e uno o più peptidi neuroattivi (liberati dopo più potenziali d’azione ad elevata frequenza). I recettori sono molecole proteiche localizzate sulla membrana post-sinaptica. Ne esistono di vari tipi: -

Recettori ionotropici: sono essi stessi canali attraverso i quali passano ioni. Una porzione della molecola accoglie il mediatore, mentre il resto fa da canale attraverso il quale passano ioni.

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L'interazione fra il neurotrasmettitore ed il recettore ne facilita l'apertura per il passaggio degli ioni; -

Recettori metabotropici: il loro legame col mediatore apre canali alla fine di reazioni a cascata che modificano il metabolismo della cellula. Per ogni molecola di mediatore che si lega al recettore si aprono più canali in seguito alla reazione a cascata indotta dal recettore.

I recettori metabotropici agiscono attraverso l’intervento di proteine G di membrana. In prossimità del recettore è presente la proteina G, costituita da tre subunità (α, β, γ). Alla subunità α è legato il guanosindifosfato (GDP). Quando il mediatore si lega al recettore e lo attiva, la subunità α della proteina G rilascia il GDP, si lega al guanosin-trifosfato (GTP) e si dissocia dal complesso βγ. L’α-GTP si lega ad una proteina effettrice, la cui attivazione scatena una risposta a cascata, e il GTP si idrolizza spontaneamente in GDP + P. La molecola effettrice può essere un canale ionico che a contatto con α-GTP si apre. Ci sono due tipi di proteine G di membrana: -

Attivanti, se attivate α-GTP attiva l’adenilico ciclasi;

-

Inibenti: se attivate α-GTP inibisce l’adenilico ciclasi.

Il meccanismo con cui α-GTP agisce sull’adenilico ciclasi è sempre lo stesso. L’inibizione dell’adenilico ciclasi causa una diminuzione di cAMP e quindi una diminuzione della velocità delle reazioni a cascata. Conseguentemente a questo meccanismo uno stesso mediatore può avere sia un effetto attivante che un effetto inibente. Un mediatore che si lega a un recettore ionotropo può avere sempre e solo effetto attivante o sempre e solo effetto inibente. I mediatori che si legano a metabotropi possono avere entrambi gli effetti, a seconda del tipo di recettore al quale si legano. Il legame del mediatore a un recettore metabotropo comporta un ritardo di 50-100 msec dell’apertura dei canali, al contrario degli ionotropi. La cascata di reazioni innescata da un singolo mediatore (che si lega a un singolo canale) comporta l’amplificazione del segnale cioè comporta l’apertura di più canali, al contrario di quanto accade per gli ionotropi (in cui ogni mediatore apre un solo canale). L’effetto complessivo in seguito all’attivazione di un metabotropo è una modulazione dell’elemento postsinaptico, poiché il segnale è ritardato, prolungato nel tempo e generalizzato. Una sinapsi è formata da una membrana pre-sinaptica e una post-sinaptica. Tra le due vi è uno spazio, ed è proprio la trasmissione dell’impulso in tale fessura a generare il ritardo. Sul lato pre-sinaptico vengono secreti dei mediatori chimici, che vanno a legarsi sui recettori presenti sul lato post-sinaptico. Quando il mediatore si lega al recettore il neurone viene attivato e si ha un nuovo spike. La rimozione del mediatore dal recettore avviene ad opera di un enzima. Man mano il mediatore si accumula nella fessura sinaptica e alla fine viene recuperato dal lato pre-sinaptico per poi essere riciclato. Una sinapsi molto importante è quella che utilizza come mediatore chimico l’acetil-colina. L’acetil-colina si lega al suo recettore e autorizza l’apertura di un canale particolare che crea lo spike. L’acetil-colina viene rimossa dal recettore dall’enzima acetil-colina-

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esterasi. Tale enzima scinde il mediatore in acetil e colina. Tali sostanze vengono recuperate e alla fine riutilizzate per una successiva trasmissione. Oltre all’acetil-colina, come mediatori chimici, si hanno: -

Adrenalina;

-

Noradrenalina;

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Dopamina;

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GABA;

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Aminoacidi.

Con particolari inibitori selettivi è possibile interferire con la trasmissione sinaptica. L’interferenza può avvenire su due livelli diversi: -

Sull’uptake, impedendo l’esocitosi del mediatore o la sua unione al recettore;

-

Sull’reuptake, impedendo l’endocitosi o il distacco del mediatore dal recettore.

Quindi, attraverso l’utilizzo di particolari farmaci è possibile controllare o bloccare la conduzione del segnale nervoso. La perfetta conoscenza dei meccanismi di trasmissione dell’impulso e dei farmaci inibitori è molto importante in ambito anestesiologico. Il tessuto nervoso non è fatto solo da neuroni. Esiste una seconda popolazione cellulare, la glia. La glia si suddivide in: -

Astrociti, divisi ancora in fibrosi e protoplasmatici;

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Oligodendrociti;

-

Microglia.

Il tipo più abbondante di cellule della glia, gli astrociti si dividono in astrociti protoplasmatici, presenti nella sostanza grigia e caratterizzati dalla presenza di espansioni corte, e astrociti fibrosi, presenti nella sostanza bianca e caratterizzati da prolungamenti citoplasmatici lunghi e sottili. Regolano l'ambiente chimico esterno dei neuroni rimuovendo gli ioni, in particolare il potassio, e riciclano i neurotrasmettitori rilasciati durante la trasmissione sinaptica. La teoria corrente sostiene che gli astrociti protoplasmatici siano i "blocchi di costruzione" della barriera emato-encefalica. Gli astrociti dovrebbero essere inoltre in grado di regolare la vasocostrizione e la vasodilatazione producendo sostanze come l'acido arachidonico i cui metaboliti sono vasoattivi. Gli astrociti fibrosi sono le cellule addette al supporto degli assoni neuronali, cioè tali cellule formano una sorta di impalcatura su cui poggiano i vari assoni di neuroni diversi. Tali cellule sono un network intelligente in quanto presiedono alla formazione della rete neuronale. Gli astrociti protoplasmatici sono addetti alla nutrizione del neurone. Infatti il neurone non preleva direttamente dal sangue ciò di cui ha bisogno. Tale compito è assegnato all’astrocita protoplasmatico, che attraverso una particolare struttura poggiata sul capillare sanguigno, il piede, assorbe i nutrienti li elabora e li invia al neurone. Tale sistema evita

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che sostanze dannose giungano direttamente al neurone, causando dei seri danni. Tali cellule costituiscono la barriera emato-encefalica. Gli astrociti protoplasmatici sono una piattaforma metabolica essenziale. L’oligodendroglia forma la guaina mielinica degli assoni dei neuroni, aumentando così la velocità di conduzione elettrica. La guaina isola l'assone permettendo quindi una migliore propagazione dei segnali elettrici (conduzione saltatoria). Al contrario delle cellule di Schwann, gli oligodendrociti possono rivestire più di un assone perché forniti di numerosi prolungamenti. Ogni giorno muoiono circa 10 mila neuroni. La microglia rimuove tali cellule apoptotiche creando spazio per la costruzione di nuove sinapsi e per l’ampliamento della rete neuronale. La microglia non elimina totalmente il neurone defunto, ma lascia dei corpi neri, formati da materiale indigerito. La microglia non è una popolazione cellulare autoctona, ma deriva dalla differenzazione di monociti del sangue che, in età embrionale, migrano in tali zone e si differenziano in microglia. La glia gioca un ruolo molto importante nella regolazione delle funzioni neuronali e si pensa che in qualche modo riesca anche ad influire nei processi fisiologici del neurone. I neuroni sono docili computer nelle mani delle cellule gliali. Il dibattito sul ruolo della glia è ancora aperto. Le cellule ependimali, chiamate anche ependimociti delimitano le cavità del sistema nervoso centrale e, col battito delle ciglia favoriscono la circolazione del liquido cerebrospinale. Esse costituiscono i "muri" che delimitano le varie sezioni. Sono privi di una membrana basale e continuano in prolungamenti e connessioni in continuità con gli astrociti. È stata ipotizzata una loro possibile funzione di cellule staminali del tessuto nervoso e comunque sembra siano coinvolte nella rigenerazione del medesimo.

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24-Il Cervello Il cervello è racchiuso da un involucro osseo, il cranio, formato dalla saldatura di più ossa. Al momento della nascita, le ossa del cranio non sono completamente saldate tra di loro. Ciò serve a facilitare il passaggio della testa nel canale del parto. Il cervello è avvolto da più strati che lo proteggono, che prendono il nome di meningi. Le meningi sono un sistema di membrane che, all'interno del cranio, rivestono il sistema nervoso centrale, e proteggono l'encefalo. Sono involucri connettivali membranosi costituiti di 3 lamine concentriche denominate, dall'esterno all'interno, dura madre (o dura meninge), aracnoide, e pia madre (o pia meninge). Per la loro derivazione embrionale possono anche essere chiamate Meninge Dura (dura madre) e Leptomeninge la quale è composta dall'aracnoide e dalla pia madre. Le meningi aderiscono alla scatola cranica, precisamente al tavolato interno a cui la dura è attaccata e separata soltanto da uno spazio virtuale detto spazio epidurale. La dura madre consiste in un doppio strato di tessuto connettivale fibroso ricco di fibre elastiche. Segue lo strato intermedio, l'aracnoide, che con i suoi filamenti rimane saldo all’ultimo strato, la pia madre, a contatto col cervello. L'aracnoide e la pia madre sono costituite da un connettivo più lasso, l'aracnoide da fibre collagene ed elastiche rivestite internamente ed esternamente da cellule piatte, mentre la pia madre da fasci collagene ad andamento circolare. L'aracnoide non è vascolarizzata al contrario della dura madre e soprattutto della pia madre. La dura è detta anche pachimeninge. L'aracnoide e la pia connesse da tralci connettivali possono essere anche considerate una entità unica dette leptomeningi. Lo spazio tra aracnoide e pia madre si chiama subaracnoide, e in esso è contenuto il liquido cerebrospinale o liquor, prodotto dai plessi corioidei situati nei ventricoli cerebrali. È percorso da trabecole fibrose che lo fissano alla pia madre. Il liquor bagna, drena e nutre ogni parte del sistema nervoso centrale, creando sia l’ambiente ottimale per la riproduzione e il funzionamento delle cellule nervose, sia un’ulteriore protezione dai traumi esterni, assorbendo e distribuendo le forze che vengono applicate su tutta la superficie dell'encefalo. Inoltre all'esterno della dura madre troviamo lo spazio epidurale che la separa dalla superficie ossea e che contiene adipe e plessi venosi. Il ruolo fondamentale delle meningi è di protezione meccanica del nevrasse (soprattutto la dura madre) e l'aracnoide e la pia madre, interponendosi tra i vasi e il materiale nervoso, costituiscono la barriera meningea; quest'ultima impedisce a sostanze tossiche, metaboliti e farmaci di penetrare dal sangue all'ambiente perineuronale. Inoltre la leptomeninge funziona da emuntorio per le sue funzioni di controllo della produzione e del riassorbimento del liquor (che avviene a livello delle granulazioni aracnoidali, estroflessioni dello spazio subaracnoideo). Il cervello, la fabbrica del pensiero, da un punto di vista funzionale, può essere suddiviso in: -

Brainstem;

-

Midbrain;

-

Forebrain.

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In un mm3 di pelle delle dita sono presenti 4 metri di fibre nervose, che raccolgono informazioni dal mondo esterno. Queste terminano con specifiche formazioni recettoriali specializzate nel decifrare: -

La pressione, con 25 recettori per mm3;

-

Il caldo, con 2 recettori;

-

Il freddo con 12 recettori;

-

Il dolore con 200 recettori.

A seconda della loro funzione, tali recettori possono occupare strati diversi della pelle. La pelle è la sede del senso del tatto. Le sensazioni tattili vengono rilevate dai recettori di Meissner, localizzati nell’epidermide, a livello della lamina basale. Tali recettori periferici specializzati trasformano gli stimoli meccanici applicati alla cute in impulsi nervosi e li trasmettono attraverso le fibre nervose sensitive, ai centri nervosi superiori, dove vengono decodificati. Nel midollo spinale gli impulsi sensitivi tattili decorrono lungo il sistema lemniscale e lungo il sistema dei cordoni anterolaterali. L'intensità della sensazione è tanto maggiore quanto più forte è lo stimolo, ma si discute ancora su come aumenti la sensazione all'aumentare dello stimolo. La "risoluzione" della sensibilità tattile si misura con il test clinico dei due punti che individua la distanza minima tra due punti alla quale il soggetto è in grado di percepire due stimoli puntiformi differenti. La capacità discriminativa è direttamente proporzionale al numero di recettori presenti per unità di superficie cutanea, e raggiunge il massimo sul palmo della mano, inoltre la sensibilità tattile della mano è più sviluppata quando il soggetto muove l'arto attivamente. Questo dimostra che l'esperienza somatica più sofisticata consta nell'esplorazione attiva manuale dell'ambiente e che il sistema tattile non ha solo un ruolo passivo (che riceve ed elabora gli stimoli), ma è parte integrante della catena dei meccanismi nervosi che controllano le contrazioni muscolari, i movimenti ed in generale l'esplorazione tattile. Tali recettori funzionano come meccanocettori che codificano stimoli tattili. Hanno una forma ovoidale e sono costituiti da un involucro connettivale che avvolge cellule di Schwann modificate. I recettori addetti alla percezione del caldo sono i recettori di Ruffini, localizzati nel derma, assieme ai recettori del freddo o di Krause. I nocicettori si trovano nell’epidermide mentre quelli della pressione o di Pacini nell’ipoderma. Le Merckel’s cells sono formazioni che poggiano sulla lamina basale. Sono cellule dal colore chiaro e dalla forma tondeggiante che vengono ospitate da terminazioni nervose che provengono dal derma. Vista al microscopio le cellule di Merckel sono ricche di granuli dal diametro di 100 nm. Al momento attuale non è nota la funzione di queste cellule. Tutte queste terminazioni convertono le sollecitazioni in input, è le inviano al midollo spinale, una sorta di collettore di input. Il midollo spinale è una porzione del sistema nervoso centrale; ha forma pressoché cilindrica, leggermente schiacciata in senso antero-posteriore. Il midollo spinale è posto nel canale vertebrale e si estende dal corpo dell'atlante, la prima vertebra cervicale, poco sotto il foro occipitale, al corpo della II vertebra lombare per una lunghezza complessiva di circa 45 cm. In alto il midollo spinale è continuo con il

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midollo allungato, in basso si assottiglia nel cono midollare da cui origina il filo terminale. Questo è lungo circa 25 cm, ha un raggio di circa 1 mm e si fissa sul coccige, più precisamente sulla faccia posteriore del primo segmento, tramite il legamento coccigeo. Il midollo spinale non ha un diametro omogeneo in quanto presenta due rigonfiamenti: il rigonfiamento cervicale e quello lombare. Il primo corrisponde all'emergenza dei nervi spinali che innervano gli arti superiori e si estende dal foro occipitale alla II vertebra lombare; il secondo corrisponde a sua volta all'emergenza dei nervi spinali diretti agli arti inferiori e si estende dalla IX vertebra toracica alla I lombare. Il midollo spinale non colma completamente il canale vertebrale in quanto rimane separato dalle sue pareti da uno spazio detto spazio perimidollare contenente le meningi spinali e il tessuto adiposo peridurale. Il midollo spinale è mantenuto nella sua posizione da alcuni elementi di fissità quali la sua contiguità con il midollo allungato, l’impianto del filo terminale e l’emergenza dei nervi spinali dai fori intervertebrali. Inoltre è immerso nel liquido cefalo-rachidiano. Sulla superficie anteriore il midollo spinale è percorso dalla fessura mediana anteriore, un solco con labbri divaricabili; sulla superficie posteriore vi è il solco mediano posteriore simile a quello anteriore ma meno profondo e i cui labbri non sono divaricabili. In questo modo il midollo spinale è divisibile in due metà. In ognuna di esse si trovano le origini apparenti delle radici anteriori e posteriori dei nervi spinali allineate verticalmente che se strappate rivelano il solco laterale anteriore e il solco laterale posteriore. Questi solchi delimitano per ogni lato: -

Il cordone anteriore (tra fessura mediana anteriore e solco laterale anteriore);

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Il cordone laterale (tra i due solchi laterali anteriore e posteriore);

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Il cordone posteriore (tra solco laterale posteriore e solco mediano posteriore).

Da ogni lato del midollo spinale emergono 31 paia di nervi spinali composti da 31 radici anteriori e 31 radici posteriori. I nervi spinali sono distinti in 8 paia cervicali, 12 toracici 5 lombari 5 sacrali e tre coccigei di cui gli ultimi 2 rudimentali. Il midollo spinale può, così, essere suddiviso in tratti, quindi vi sarà: -

Il midollo spinale cervicale;

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Il midollo spinale toracico;

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Il midollo spinale lombare;

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Il midollo spinale sacrale;

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Il midollo spinale coccigeo.

Il midollo spinale serve a trasportare sia gli input che gli output, secondo delle direzioni preferenziali. Infatti gli input entrano posteriormente, mentre gli output escono anteriormente. Visto in sezione, il midollo presenta al centro una particolare struttura che prende il nome di farfalla. Tale farfalla è formata da due corna posteriori, che ricevono gli input, e due corna anteriori, che trasmettono gli output. Quando l’input raggiunge le corna posteriori, questi viene immediatamente smistato verso il cervello, dove verrà elaborato e ritrasmesso. Durante il suo viaggio, l’input incontra più neuroni: -

Un primo neurone lo incontra a livello della farfalla, è decide di smistare l’input al cervello;

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Un secondo neurone lo incontra a livello della base del cervello. Tale neurone fa parte del filtro talamico, cioè decide se l’input ha rilevanza o meno. Se l’input è rilevante viene ritrasmesso;

-

Un terzo neurone lo incontra a livello della corteccia celebrale, ed è questo neurone che elabora definitivamente il messaggio e inizia la trasmissione del segnale di output.

La via di output è la stessa di quella di input, soltanto che si incontrano soltanto due neuroni: -

Il primo, quello della corteccia che inizia a trasmettere l’output;

-

Il secondo a livello delle corna anteriori della farfalla.

Visto al microscopio, il SNP e il SNC sono formate da due sostanze di colore diverso, bianca e grigia. Nel SNP, la sostanza grigia è formata da gangli, raccolta di corpi cellulari di neuroni caratteristiche del SNP, mentre la sostanza bianca sono nervi cioè fasci di assoni del SNP. Nel SNC, la sostanza grigia è organizzata in: -

Corteccia, sostanza grigia presente sulla superficie dell’encefalo;

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Nuclei, raccolta di corpi cellulari di neuroni all’interno del SNC;

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Centri, raccolte di corpi cellulari di neuroni nel SNC; ogni centro ha specifiche funzioni di elaborazione;

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Centri superiori, centri più complessi nell’encefalo.

La sostanza bianca è organizzata in: -

Tratti, fasci di assoni che hanno medesima origine e destinazione;

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Colonne, alcuni tratti che formano masse anatomicamente distinte.

Il percorso neuronale dell’input non è sempre lo stesso, ma a volte l’elaborazione dell’input avviene a livello delle corna anteriori, velocizzando il tutto e generando un arcoriflesso monosinaptico. In tale situazione soltanto un neurone entra nel percorso di elaborazione. A livello del brainstem, troviamo una particolare organizzazione di neuroni che viene detta bulbo. Il bulbo definito anche midollo allungato o meiencefalo, fa parte di quello che è chiamato tronco cerebrale (composto da mesencefalo, ponte di Varolio, cervelletto e bulbo). Deriva dalla metà caudale (denominata mielencefalo) del romboencefalo. Dal bulbo passano le informazioni inerenti al gusto, al tatto e principalmente all'udito. Vi hanno sede i centri bulbari della respirazione, bersaglio di svariate sostanze quali l'eroina e numerosi farmaci come gli antidepressivi, i sonniferi ed i tranquillanti che inibiscono i centri respiratori. Il midollo allungato, assieme al ponte di Varolio controlla il ph del sangue. Nel caso in cui questo dovesse diventare troppo basso (a causa dell'eccessiva formazione di acido carbonico, dovuta al legame tra anidride carbonica e acqua) queste due regioni del cervello inviano uno stimolo di contrazione ai muscoli intercostali e al diaframma. Al di sopra del bulbo troviamo il ponte, poi ancora il mesencefalo. Il ponte di Varolio (detto anche semplicemente ponte) è una parte anatomica dell'encefalo, posizionata nel tronco encefalico rostralmente al

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bulbo e caudalmente al mesencefalo. Embriologicamente fa parte del metencefalo insieme al cervelletto, che si trova subito dorsalmente al ponte, dal quale è separato tramite la cavità del quarto ventricolo. Il suo nome deriva dal fatto che i peduncoli cerebrali, continuandosi verso il basso, vengono ricoperti ventralmente da una massa di fibre nervose trasversali provenienti dal cervelletto che attraversano a mò di "ponte" appunto la linea mediana. Il suo peso, variabile in base alla mole del cervelletto, è di media pari a 18 gr, con altezza di 27 mm. e larghezza di 38 mm. Il ponte è diviso dal bulbo dal solco bulbo-pontino e dal mesencefalo dal solco pontino superiore (o ponto-mesencefalico). La faccia superiore si trova subito al di sotto della "sella turcica" dell'osso sfenoide; la faccia inferiore presenta il solco bulbo-pontino che separa le fibre del ponte (trasversali) dalle fibre del bulbo (longitudinali). La faccia antero-ventrale presenta sulla sua superficie mediana un incavo o depressione detto solco basilare dove riposa l'arteria omonima, ai lati del solco vi sono due rilievi, i tori piramidali che originano dalla corteccia e che in seguito si portano al ponte. Ancora lateralmente troveremo i peduncoli cerebellari medi, grossi fasci di fibre mieliniche per la connessione con il cerebello. Il ponte internamente ha forma romboidale ed è contenuto assieme al bulbo nella cavità del quarto ventricolo. Dorsalmente sul tetto del ventricolo poggia il cerebello. Il ponte presenta nuclei per il quinto, sesto e settimo paio di nervi cranici oltre agli importantissimi nuclei basilari che sono intercalati nelle connessioni tra corteccia cerebrale e cerebellare per l'esecuzione dei movimenti volontari. Nell'anatomia il mesencefalo (detto anche "cervello medio") è la seconda di tre vescicole che nascono dal tubo neurale che forma il cervello degli animali in via di sviluppo. Caudalmente il mesencefalo si unisce al metencefalo e rostralmente al diencefalo. Nel cervello di un umano totalmente sviluppato, il mesencefalo diventa il meno sviluppato, sia come aspetto che nella sua stessa struttura, delle tre vescicole. Il mesencefalo è considerato parte del tronco encefalico. La sua substantia nigra è associata alle vie motorie dei nuclei della base. La dopamina prodotta nella substantia nigra svolge un ruolo nello sviluppo di motivazione e abitudini in molte specie, dagli umani a quelli più elementari come gli insetti. Il mesencefalo forma la parte superiore del tronco encefalico. Esso porta i corpi quadrigemini sulla superficie dorsale e i peduncoli cerebrali sulla superficie ventrale dell'acquedotto cerebrale. Posteriormente vi è il cervelletto. Il cervelletto è un organo del sistema nervoso centrale posto in posizione dorsale rispetto al tronco encefalico, con il quale è collegato tramite 3 coppie di peduncoli: -

peduncoli cerebellari superiori (che lo collegano con il mesencefalo);

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peduncolo cerebellari medi (i più voluminosi, che lo collegano con il ponte);

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peduncoli cerebellari inferiori (che lo collegano con il bulbo).

Viene quindi ad essere separato dal tronco dal IV ventricolo cerebrale. Si trova collocato nella fossa endocranica posteriore. La parte superiore viene in rapporto con il tentorio del cervelletto, che lo separa dagli emisferi cerebrali, mentre la porzione inferiore con le fosse dell'osso occipitale. Il volume cerebellare costituisce il 10% del volume totale dell'encefalo ma contiene più della metà dei neuroni cerebrali.

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Macroscopicamente possiamo riconoscere una porzione centrale, il verme ed i due emisferi cerebellari di destra e di sinistra. L'asse trasversale è di circa 10 cm, mentre lo spesso nella zona del verme è di 3 cm e in quella dei due emisferi cerebellari è di circa 5 cm. La superficie cerebellare ha un'organizzazione estremamente regolare e presenta una caratteristica suddivisione ad opera di fessure primarie in lobi, che a loro volta sono suddivisi in lobuli da fessure secondarie, suddivisi in lamine e poi in lamelle da fessure via via sempre più piccole, il tutto per aumentare la superficie cerebellare. Mentre la corteccia cerebellare è formata da sostanza grigia, la porzione più profonda è costituita da sostanza bianca, da cui si diramano porzioni che costituiscono gli assi dei lobi, quindi dei lobuli e via via sempre più piccoli tralicci che infine costituisco l'asse centrale delle lamelle, venendo così ad assumere la forma di un albero, tale da prendere il nome di "arbor vitae". La funzione principale è quella di coordinare le uscite motorie: infatti, le lesioni cerebellari compromettono la coordinazione dei movimento degli arti e degli occhi ma anche l'equilibrio. Il diencefalo è posto sopra il mesencefalo, ed è proprio in tale area che è presente il filtro talamico. Il talamo è una struttura del sistema nervoso centrale più precisamente del diencefalo posto bilateralmente ai margini laterali del terzo ventricolo. Il talamo è un ammasso di sostanza grigia al cui interno si trovano la stria midollare interna e la stria midollare esterna. Queste due unendosi fra loro formano una struttura ad Y delimitando innanzi, compresi nella biforcazione, i nuclei anteriori, i nuclei laterali e mediali (rispetto alla lamina midollare interna); i nuclei laterali vengono distinti in ventrali e dorsali. Il cervelletto gioca un ruolo molto importante, perché conserva traccia di tutti i messaggi che il filtro talamico decide di inviare alla corteccia celebrale, e che questi elabora e rispedisce. La corteccia cerebrale è una struttura presente negli esseri vertebrati. Nei cervelli non vivi conservati, l'esterno dell'encefalo assume un colore grigio, che dà il nome di sostanza grigia. Essa è formata dai neuroni a da fibre nervose senza mielina al contrario della sostanza bianca la quale ha numerose fibre ricoperte e chiamate assoni interconnettendo differenti regioni del sistema nervoso centrale. La corteccia cerebrale umana è spessa 2-4 mm e gioca un ruolo centrale in meccanismi mentali complicati come la memoria, la concentrazione, il pensiero, il linguaggio e la coscienza. La corteccia cerebrale invia e riceve connessioni da molte strutture subcorticali come il talamo e i gangli basali. Molte delle stimolazioni sensoriali raggiungono la corteccia cerebrale indirettamente attraverso differenti gruppi del talamo. Questo è il caso del tatto, della vista e dell'udito ma non dell'olfatto, che arriva direttamente alla corteccia olfattiva. La maggior parte delle connessioni (75%) non arrivano alla corteccia cerebrale grazie a strutture subcorticali, bensì dalla corteccia stessa. Lo spessore della corteccia non rimane inalterato durante la vita della persona, in quanto, in relazione all'età e allo sviluppo, si hanno precise modificazioni, responsabili, tra l'altro, di periodi di particolare "verve" emotiva e di conseguenti variazioni nel tono dell'umore. In particolare, il neonato ha una corteccia cerebrale con un numero di connessioni, tra neuroni, pari a quella di un cervello adulto; all'età di 2-3 anni si verifica un progressivo inspessimento della stessa, con una moltiplicazione esponenziale delle connessioni sinaptiche ed un consistente aumento del volume della corteccia (si possono avere un numero di connessioni anche del 50%

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superiori a quelle del cervello adulto). Non a caso è proprio in questo periodo che il cervello umano, del bambino, è definito come una "spugna", pronto ad assorbire quantità considerevoli di nozioni. Questo numero impressionante di connessioni sinaptiche, con il relativo spessore corticale di circa 60 mm di sostanza grigia, rimane tale più o meno sino all'età di 12-13 anni, età in cui, come è risaputo, il tono dell'umore degli adolescenti è molto labile, passano facilmente dall'esaltazione e dal buon umore, a fasi di depressione e forte insicurezza, soprattutto a causa degli sbalzi ormonali e del fatto che determinate zone della corteccia non sono ancora stabilizzate. All'età di 16-17 si verifica un progressivo ridimensionamento della corteccia, con eliminazione di un determinato numero di connessioni sinaptiche: è il periodo in cui il cervello inizia la cosiddetta specializzazione delle aree, ovvero ogni individuo inizierà a capire più precisamente quali sono le proprie attitudini, predisposizioni e preferenze nei vari campi della vita (sociale, di studio, lavorativo ecc...); durante questa fase possono essere eliminate sino al 50% delle connessioni sinaptiche instauratesi durante l'infanzia. La superficie del cervello è formata da più circonvallazioni o pieghe. È possibile distinguere una regione frontale del cervello, una occipitale, una parietale e una temporale. Sulla sua superficie è possibile rinvenire i vari centri addetti all’elaborazione di particolari tipi di informazioni. Sull’area temporale sono presente l’area acustica, olfattiva e il centro associativo. Sul lobo frontale sono presenti l’area del linguaggio articolato e della scrittura. Nell’area temporale sono presenti i vari centri motori (capo/collo, arto superiore/tronco, arto inferiore), il centro della sensibilità generale e il centro della memoria visiva. L’area occipitale è la sede del centro della visione.

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25-Il Piacere e il Sonno La corteccia celebrale occupa una superficie pari a quella occupata dal guanciale di un cuscino. La corteccia è una ragnatela neuronale ipercomplessa. I suoi neuroni sono organizzati secondo livelli ben precisi e ad ogni livello corrisponde una funzione tipica. Al centro del cervello troviamo il talamo. Avanti ed indietro a tale struttura sono siti l’ipotalamo e l’epitalamo. L’ipotalamo è direttamente collegato con l’ipofisi, mentre l’epitalamo con l’epifisi. Il talamo è collegato con il circuito limbico che porta poi alla corteccia celebrale. Il sistema limbico è una rete di neuroni che formano anse intorno alla parte interna dell'encefalo, mettendo in connessione l'ipotalamo con la corteccia cerebrale e con altre strutture. Sempre a partire dal talamo, per mezzo delle vie centrali talamo-limbiche, i segnali algogeni raggiungono il sistema limbico, dove vengono elaborati come elementi emotivi e inconsci. Le più importanti stazioni per l'elaborazione dei segnali algogeni sono: -

L'ippocampo, che ha un ruolo centrale nella formazione e nell'elaborazione della memoria a breve termine;

-

L'ipotalamo, che controlla fra l'altro l'ipofisi e quindi lo stato ormonale dell'organismo;

-

L'amigdala, che stabilizza l'umore e regola l'aggressività e il comportamento sociale.

La proiezione dei segnali algogeni al sistema limbico è la base per l'effetto che ha il dolore sullo stato d'animo (il dolore rende irrequieti e tristi). Tuttavia, il sistema limbico influenza anche la percezione cosciente del dolore (chi è euforico o sotto choc non sente dolore) e viceversa (chi è ipocondriaco o ansioso sente in modo accentuato anche minimi dolori). Il circuito limbico di Papez è formato dal nucleo caudato e dall’amigdala. Tali strutture sono responsabili dello stato di ansia di una persona. Farmaci ansiolitici vanno ad agire su tali strutture anatomiche. L’aggravamento di tali situazioni può portare a depressione. Ma il circuito limbico di Papez è anche il responsabile degli stati di benessere psichico, ovvero della felicità e del piacere. Nel cervello è presente un’area edonica, formata dal lobo frontale, dal circuito limbico di Papez e dal nucleus accumbens. Un ruolo centrale in tale area occupa il nucleo accumbens, che è formato da più strutture, dette: -

Processore;

-

Relè I;

-

Relè II.

Il processore è in grado di rilasciare la dopamina. La dopamina (o dopammina) è una ammina biogena naturalmente sintetizzata dal corpo umano. All'interno del cervello la dopamina funziona da neurotrasmettitore, tramite l'attivazione di recettori specifici D1, D2 e D3 subrecettori. La dopamina è anche un neuro-ormone rilasciato dall'ipotalamo. La sua principale funzione come

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ormone è quella di inibire il rilascio di prolattina da parte del lobo anteriore dell'ipofisi. La dopamina non può essere utilizzata come farmaco ma viene comunemente somministrato un suo precursore: la L-dopa (profarmaco), che subisce decarbossilazione ad opera dell'enzima decarbossilasi degli amminoacidi aromatici. La dopamina agisce sul Sistema nervoso simpatico causando l'accelerazione del battito cardiaco e l'innalzamento della pressione sanguigna. Gli antagonisti dopaminergici sono farmaci che trovano ampio utilizzo come neurolettico in ambito psichiatrico, mentre agonisti dopaminergici sono usati sia come terapia di prima scelta nel morbo di Parkinson, sia -in misura minore- come antidepressivi. La biosintesi della dopamina avviene, a livello centrale, a partire da L-tirosina che viene idrossilata a L-dopa. La successiva decarbossilazione porta alla dopamina. Successivi passaggi biosintetici portano prima alla noradrenalina e poi all'adrenalina. La dopamina viene rilasciata a livello centrale dalla substantia nigra e la sua azione è mirata a modulare l'attività inibitoria dei neuroni GABAergici. Il rilascio di dopamina è amplificato dalle enchefaline. L’alto rilascio attiva i neuroni del Relè I, che induce uno stato di euforia, piacere, analgesia. Sostanze come dinorfina o CCK, invece, inibiscono il rilascio di dopamina attivando il Relè II, che provoca uno stato di depressione, ansietà e vigilanza. È il nucleus accumbens che decide se rilasciare o meno sostanze che stimolino o inibiscano il rilascio di dopamina. In natura esistono molecole edoniche, cioè molecole in grado di favorire l’alto rilascio di dopamina. Tra queste sostanze vi sono il tabacco e l’alcol, sostanze lecite, e l’eroina e la cocaina, sostanze illecite. Uno dei primi medici ad occuparsi dello studio della corteccia celebrale fu Gall, che suppose l’esistenza di aree della corteccia adibite allo sviluppo di particolari proprietà dell’individuo, come l’amore per la patria, il coraggio, ecc…. Brodman suggerì una nuova suddivisione della corteccia celebrale, assegnando ad ogni area delle particolari funzioni. Tale suddivisione è stata chiarifica da ulteriori studi condotti stimolando particolari aree della corteccia. Tali studi hanno rilevato che il lobo frontale è la sede dell’Io, della propria personalità. Un’asportazione del lobo frontale vuol dire eliminare da una persona la propria individualità. Ma il lobo frontale ha anche altre funzioni: -

È la sede della memoria recente;

-

È la sede dell’attenzione;

-

È la sede delle previsioni future;

-

È la sede del riconoscimento dell’errore.

Inoltre svolge ruoli importanti nella visione dall’alto verso il basso, nella creatività, nella formazione della personalità e del pensiero. L’area Rolandica è la sede della melodia del movimento. Tale area è composta da un’area pre-motrice, che ricorda tutti gli spostamenti spaziali che bisogna effettuare, e un’area motrice, che ordina di effettuare quei movimenti. Il lobo occipitale è la sede della visione, mentre quello parietale della percezione dello spazio. Ma nel lobo temporale si trova anche la cineteca della nostra vita ed è in tale area che avviene il riconoscimento

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del senso del tempo. Tale area è in grado di discriminare tra passato è presente secondo un gradiente di 1 centesimo di secondo, che corrisponde al tempo della realtà. Ma è possibile modificare tale gradiente, accorciandolo e rendendo passato e presente più vicini, oppure allungandolo rendendo i due tempi lontani. Le varie parti e aree del cervello sono collegate tra di loro da particolari tipi di neuroni che vanno a formare la sostanza reticolare. Quando la sostanze reticolare si spegne, ovvero impedisce il collegamento tra le varie parti, si ha lo stato di sonno fisiologico. La sostanza reticolare è una rete di minineuroni che quando è attiva induce lo stato di veglia, quando invece è spenta si ha il sonno. Alcune sostanze, come le anfetamine, possono bloccare lo spegnimento della sostanza reticolare inducendo uno stato di veglia forzato. Il sonno viene regolato dalla reticolare, che fa avvenire l’addormentamento, dal rafe, che gestisce e dal locus coeruleus che è la sede del sogno. Quando la reticolare non si disattiva totalmente si possono avere stati di insonnia. Generalmente il sonno fisiologico è di 8 ore. Durante tale periodo si attiva il rafe. In media, ogni due ore, si presenta una fase REM, ovvero una fase in cui gli occhi si muovono rapidamente, REM sta infatti per rapid eye movement. Le aree della memoria sono in stretto collegamento con le aree che controllano il sogno. Nelle cellule di tali strutture sono attivi i geni dei sogni. I sogni sono un frutto di particolari elaborazioni del cervello che mettono in luce particolari stati di animo convertiti in simboli. Il primo ad inaugurare uno studio scientifico sull’interpretazione dei sogni fa Sigmound Freud. Il risveglio avviene a seguito della riattivazione della reticolare. Particolari tipi di farmaci, come tranquillanti e sonniferi facilitano il distacco della reticolare, ma ne rallentano l’attivazione.

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26-Ipofisi e Innamoramento L’ipofisi è la ghiandola più importante del corpo umano. Infatti, tale struttura, ricevendo gli ordini dall’ipotalamo, rilascia importanti ormoni che vanno ad influenzare importanti funzioni fisiologiche. Con la produzione di fattori di rilascio o relasing factors, l’ipotalamo induce l’ipofisi a secernere ormoni. L’ipofisi è formata da una parte anteriore e una posteriore. Al centro di tali zone è presente una zona intermedia. L’ipotalamo è situato sopra l’ipofisi ed è formato da una serie di nuclei. La stretta comunicazione tra ipotalamo e ipofisi è facilitata da un sistema portale di vascolarizzazione, che velocizza l’azione dei fattori di rilascio prodotti dall’ipotalamo. L’ipofisi anteriore secerne l’ormone tireotropo (TSH), che va a stimolare la produzione di ormoni tiroidei, ormoni che regolano la velocità del metabolismo dell’organismo. Lo iodio viene immagazzinato nella tiroide e il TSH ne stimola il prelevamento da parte della tireoglobulina per la sintesi degli ormoni T3 e T4. Se un individuo secerne quantità minori di tali ormoni verrà detto ipotiroideo, mentre se ne produce in eccesso ipertiroideo. Il somatotropo (STH) è un ormone che stimola l’allungamento delle ossa. L’accrescimento osseo avviene in seguito a stimolazione da HGH, che induce in un primo momento alla proliferazione dei condrociti. Tali cellule vanno in apoptosi e le loro lacune vengono rimpiazzate dagli osteoblasti che sintetizzano la componente inorganica dell’osso. Nella tiroide particolari cellule, dette cellule C secernono la calcitonina, un ormone che attiva la fissazione del calcio a livello osseo e disattiva gli osteoclasti. Le parotidi producono il paratormone, un ormone ad effetto contrario alla calcitonina. Il paratormone agisce anche sul riassorbimento del calcio a livello dei reni, ma anche a livello dell’assorbimento di calcio nel lume intestinale, stimolando la produzione di calcitriolo. Tale ormone regola anche le concentrazioni di fosforo nel sangue. L’ipotalamo è costituito da una serie di nuclei detti nuclei ipotalamici. Il nucleo paraventricolare induce l’ipofisi posteriore a secernere vasopressina, che regola il calibro delle arterie, mentre il nucleo sopraottico stimola l’ipofisi posteriore a secernere l’ossitocina, che aumenta il ritmo e l’intensità delle contrazioni della muscolatura liscia uterina. La vasopressina è un ormone prodotto dall'ipotalamo e secreto dalla neuroipofisi. È nota anche come ormone antidiuretico o ADH. Agisce sulle cellule dei tubuli distali del rene, aumentando la permeabilità all'acqua, favorendone così il riassorbimento. Quest'ormone agisce a livello del tubulo contorto distale (zona iperosmotica) attivando delle proteine sulla parete del tubulo, le acquaporine, che aumentano il riassorbimento dell'acqua secondo gradiente osmotico. Il rilascio dell'ormone ADH è regolato dall'ipotalamo che possiede degli osmorecettori che regolano in modo molto preciso la concentrazione di soluti nel sangue, che devono restare su un valore di 300 mMol/l. Un aumento di osmolarità (causata anche dalla perdita d'acqua dovuta per esempio alla sudorazione) provoca il rilascio di ADH che porta a un maggior riassorbimento di acqua riportando il valore di osmolarità nella norma; le urine in questo caso risulteranno concentrate (fino a 1200 mMol/l). Viceversa una diminuzione di osmolarità portano ad urine diluite (300

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mMol/l). La vasopressina agisce anche a livello cerebrale da neurotrasmettitore svolgendo un ruolo nella formazione della memoria tramite un meccanismo, a tutt'oggi ignoto, che implica il rilascio dai neuroni del nucleo soprachiasmatico dell'ipotalamo. Svolge anche un ruolo attivo nel controllo della temperatura corporea e un suo aumento è correlato con comportamento aggressivo. L'ossitocina è un ormone prodotto dai nuclei ipotalamici e secreto dalla neuroipofisi. L'azione principale dell'ossitocina è quella di stimolare le contrazioni della muscolatura liscia dell'utero. Nell'ultimo periodo della gravidanza la responsività dell'utero all'ossitocina aumenta notevolmente e l'ormone esercita un ruolo importante nell'inizio e nel mantenimento del travaglio e del parto. Altro fondamentale ruolo è quello di stimolo delle cellule dei dotti lattiferi delle mammelle. In tal modo l'ossitocina provoca una contrazione delle cellule muscolari e l'eiezione del latte. Durante la gravidanza il progesterone iperpolarizza le cellule del miometrio, sopprimendone l'attività contrattile spontanea. Ciò determina una relativa ineccitabilità e una quiescenza elettrica e meccanica. Durante il parto l'utero ha un aumento di recettori dell'ossitocina indotto dagli estrogeni e sviluppa la sua massima sensibilità all'ossitocina. Al momento del parto il fondo uterino espleta la funzione di pacemaker e induce delle contrazioni regolari e coordinate che giungono alla cervice. L'ormone esogeno viene utilizzato per indurre o aumentare il travaglio in caso di scarsa funzionalità della muscolatura uterina, previa amnioressi. Dosi elevate di ossitocina esogena interferiscono col flusso ematico attraverso la placenta e possono determinare ipossia del feto e morte. Le prostaglandine invece sono vasoattive con azione costrittrice, causano cioè necrosi ischemica, e sono uterotoniche, aumentando, quindi, il tono della muscolatura uterina. I nuclei preottico e preottico posteriore sono il termostato del corpo umano e regolano la temperatura, mantenendola intorno ai 37 °C. Se la temperatura sale si attiva una particolare classe di neuroni, detti T+, che innescano i processi necessari per fare abbassare immediatamente la temperatura corporea, come la sudorazione o la vasodilatazione. Se invece la temperatura scende sotto una certa soglia, si attivano i neuroni T-, che ordinano ai muscoli di contrarsi, generando quelli che sono i brividi. Il nucleo ventromediale è il responsabile del senso della fame e della sazietà. I neuroni di tale struttura possono essere considerati il glucostato dell’organismo. In caso di normoglicemia tali neuroni sono disattivati, ma se si giunge ad uno stato di ipoglicemia si attivano, innescando il senso di fame. Quando il livello di glicemia sale, sino a raggiungere uno stato di iperglicemia, tali neuroni cooperano generando il senso di sazietà. L’innamoramento può essere suddiviso in diversi stati, in ognuno dei quali particolari ormoni esercitano determinate influenze. Le fasi dell’innamoramento costituiscono un ciclo, e sono: -

Infatuazione;

-

Attaccamento;

-

Passione;

-

Bivio.

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In base a particolari condizioni fisiologiche, il ciclo può ripartire oppure interrompersi. Durante la fase di infatuazione si attiva il mesencefalo, che produce alte quantità di dopamina. Tale struttura influenza sia l’ipotalamo che il simpatico. Infatti i segni di tale fase sono la dilatazione delle pupille, frequenza respiratoria veloce, aumento del battito cardiaco, pelle d’oca. Se tale situazione si verifica in entrambi i membri della coppia il ciclo ha inizio, passando alla fase successiva dell’attaccamento. In tale fase vengono prodotte tutta una serie di molecole che inducono determinati tipi di comportamento. La serotonina induce un senso di ossessione. La noradrenalina e la feniletilamina danno un senso di eccitazione, mentre la dopamina accende il desiderio. La fase della passione vede protagonista la neuroipofisi, che secerne vasopressina, che induce alla fedeltà verso il partner, e ossitocina, che porta alla tenerezza negli atteggiamenti. Alla fine di tale situazione si ha una massiccia liberazione di endorfine, secrete dal limbico. Se tale situazione comporta una dipendenza dal partner per la produzione di endorfine, il ciclo continua. Se, invece, si arriva ad uno stato di assuefazione il ciclo finisce. La ghiandola pineale regola la percezione delle stagioni, dei ritmi circadiani e regola anche alcune fasi dell’innamoramento. Tale ghiandola è composta da due popolazioni cellulari. Un ruolo importante di tale ghiandola è nello sviluppo dell’istinto materno, inoltre regola i bioritmi e la riproduzione.

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27-La Mente Bicamerale Il cervello è suddiviso in due emisferi, uno destro e l’altro sinistro. A lungo ci si è interrogati sul perché le aree del linguaggio si trovino solo a sinistra. Julian Jaynes ha affermato che le aree del linguaggio si trovano a sinistra per potere ascoltare il linguaggio degli dei. Infatti, anticamente, l’area di Wernicke del linguaggio e l’area allucinatoria situata sul lato temporale destro erano collegate tra di loro, formando una sorta di corridoio neuronale, detto corridoio degli dei. L'area di Wernicke è una parte dell'emisfero sinistro del cervello le cui funzioni sono coinvolte nella elaborazione e comprensione del linguaggio. Fa parte della corteccia cerebrale, può anche essere descritta come la parte posteriore dell'area di Broadmann 22, ed è connessa all'area di Broca da un percorso neurale detto fascicolo arcuato. L'area di Broca è una parte dell'emisfero sinistro del cervello le cui funzioni sono coinvolte nella elaborazione e comprensione del linguaggio. Tale area può anche essere descritta come l'unione dell'area di Broadmann 44 e della 45, ed è connessa all'area di Wernicke da un percorso neurale detto fascicolo arcuato. L'area di Broca consta di due zone principali, con diversi ruoli nella comprensione e produzione del linguaggio. La pars triangularis (anteriore) sembra essere associata all'interpretazione di varie modalità di stimoli e alla programmazione dei condotti verbali. La pars opercularis (posteriore) è invece associata a un unico tipo di stimolo e presiede al coordinamento degli organi coinvolti nella riproduzione della parola; essa è fisicamente prossima ad aree del cervello dedicate al controllo dei movimenti. Un danno funzionale in quest'area (dovuto a ictus, ischemia, o altro) può provocare la così detta afasia di Broca o afasia non fluente. I pazienti colpiti da afasia non fluente possono essere incapaci di comprendere o formulare frasi con una struttura grammaticale complessa. Alcune forme di afasia legate a danni nell'area di Broca possono colpire solo determinate aree del linguaggio, come i verbi o i sostantivi. Nel caso di pazienti sordomuti, può essere inibita la capacità di produrre quei gesti corrispondenti al messaggio che essi vogliono comunicare, pur essendo in grado di muovere mani, dita e braccia come prima. Quindi, il temporale sinistro ascolta, mentre il temporale destro parla. La funzione degli dei era principalmente quella di guidare e progettare l’azione degli uomini in situazioni nuove. Gli dei valutavano i problemi e organizzavano l’azione secondo un modello o scopo costante che dette origine a complesse civiltà bicamerali, combinando tutte le diverse parti, i tempi della semina, i tempi del raccolto, la scelta dei prodotti, l’intera vasta composizione delle cose in un disegno grandioso, e dando istruzioni all’uomo neurologico nel suo santuario verbale analitico nell’emisfero sinistro. Oggi, l’emisfero destro svolge una funzione vestigiale, di tipo organizzativo, la selezione cioè delle esperienze di una civiltà e la loro combinazione in un modello in grado di dire all’individuo cosa fare. La mente bicamerale era la responsabile di voci, visioni, e quindi decisioni. Quando il corridoio si è rotto è sorta la coscienza, che ha preso il posto degli dei. Il termine coscienza deriva dal latino Cum-scire ("sapere insieme") ed indicava originariamente un determinato stato interiore. Anticamente con coscienza si intendeva qualcosa di diverso da ciò che si ritiene oggi nell'ambito psicologico e

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filosofico. Non tutti gli antichi dividevano l'uomo in mente e corpo. Anzi era molto diffusa l'idea che l'uomo avesse tre funzioni relativamente indipendenti chiamate "Centro intellettivo", "Centro motore-istintivo" e "Centro Emozionale", collocate rispettivamente: in una parte dell'encefalo, nella parte terminale della colonna vertebrale e nella zona del plesso solare, in quelli che sono oggi chiamati "gangli del parasimpatico". Ebbene "Coscienza" indicava quello stato interiore di sintonia tra i tre centri (sapere insieme) che, se raggiunto, permetteva all'uomo di elevare la propria ragione. A seconda dell'ambito nel quale viene osservata, la coscienza viene intesa: -

In ambito neurologico, coscienza è lo stato di vigilanza della mente contrapposta al coma;

-

In ambito psicologico, coscienza è lo stato o l'atto di essere consci contrapposta all'inconscio;

-

In ambito psichiatrico, coscienza come funzione psichica capace di intendere, definire e separare l'io dal mondo esterno;

-

In ambito etico, coscienza come capacità di distinguere il bene e il male, per comportarsi di conseguenza contrapposta all'incoscienza.

Quindi la coscienza ha avuto origine dalla rottura della mente bicamerale. Se tale rottura avviene in maniera parziale si hanno casi di schizofrenia. Esistono varie forme di schizofrenia: paranoide allucinatoria, catatonica, ebefrenica, semplice. La schizofrenia (dalla parola greca σχιζοφρένεια, o schizophreneia, che significa "mente divisa") è una forma di malattia psichiatrica caratterizzata da un decorso superiore ai sei mesi (spesso cronica), dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell'emozione, con una gravità tale da limitare le normali attività della persona. È da tenere presente che schizofrenia è un termine piuttosto generico che indica una classe di disturbi, tutti caratterizzati da una certa gravità e dalla compromissione del cosiddetto "esame di realtà" da parte del soggetto. A questa classe appartengono quadri sintomatici e tipi di personalità anche molto diversi fra loro, estremamente variabili per gravità e decorso. Nella maggioranza dei casi di schizofrenia vi è qualche forma di apparente disorganizzazione o incoerenza del pensiero. Vi sono però certe forme dove questo sintomo non compare, e compaiono invece rigide costruzioni paranoidi. La schizofrenia si caratterizza, secondo la tradizione medica, per due tipi di sintomi: -

sintomi positivi: sono comportamenti o esperienze del soggetto "in più" rispetto all'esperienza e al comportamento dell'individuo normale. Si possono perlopiù includere sotto il termine più generale di psicosi. Questi sintomi possono essere: le idee fisse, i deliri, le allucinazioni e il disordine del pensiero;

-

sintomi negativi: sono chiamati così quelli che sono diminuzione, declino o scomparsa di alcune capacità o esperienze normali del soggetto. Possono includere inadeguatezza nel comportamento della persona, distacco emotivo o assenza di emozioni, povertà di linguaggio e di funzioni comunicative, incapacità di concentrazione, mancanza di piacere (anedonia) e mancanza di motivazione.

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I sintomi possono prendere la forma di deficit neurocognitivi: si tratta dell'indebolimento di alcune funzioni di base quali la memoria, l'attenzione, la risoluzione di problemi, la funzione esecutiva e la cognizione sociale. La schizofrenia colpisce più frequentemente soggetti nella tarda adolescenza e nella prima fase dell'età adulta. I sintomi si manifestano generalmente prima negli uomini che nelle donne. Fu lo psichiatra Emil Kraepelin il primo a descrivere questa sindrome nel 1883 e nel suo Trattato di psichiatria aveva individuato tre forme possibili di schizofrenia: -

schizofrenia ebefrenica, in cui prevale la dissociazione del pensiero;

-

schizofrenia paranoica, dove prevalgono idee fisse, allucinazioni e deliri;

-

schizofrenia catatonica, in cui prevalgono i "disturbi della volontà" o disorganizzazione comportamentale.

L'approccio diagnostico e trattamentale alla schizofrenia è stato oggetto di forti dibattiti nella storia della Medicina. In particolare il movimento anti-psichiatrico sostenne che proprio la classificazione di pensieri e comportamenti specifici come "malattia" è ciò che permette il controllo sociale di persone considerate indesiderabili o scomode da parte della società, persone che tuttavia non hanno commesso alcun "crimine". La diagnosi di schizofrenia richiede il soddisfacimento del seguente criterio: -

Sintomi caratteristici, ovvero la presenza persistente di due o più dei sintomi che seguono, per un periodo significativo che si considera di almeno un mese: deliri, allucinazioni, disorganizzazione del discorso verbale, grave disorganizzazione del comportamento oppure stato gravemente catatonico;

-

Presenza di sintomi negativi, cioè che trasmettono un forte senso di disinteresse, lontananza o assenza del soggetto: appiattimento affettivo, alogia (assenza di discorso), avolizione (mancanza di motivazione), disturbi dell'attenzione e delle capacità intellettive, assenza di contatto visivo;

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Deficit o disfunzione sociale e/o occupazionale: per un periodo di tempo significativo uno o più degli ambiti principali della vita del soggetto sono gravemente compromessi rispetto a prima della comparsa del disturbo;

-

Durata, ovvero persistenza dei sintomi per almeno sei mesi.

La schizofrenia è una malattia ubiquitaria, riscontrata in ogni epoca e cultura. Dopo i 35 anni sembra più frequente nell'uomo che nella donna. Alcuni studi dimostrano che non esistono differenze nella distribuzione tra i sessi; altri, invece, sostengono una maggiore prevalenza nell'uomo. I pazienti sono spesso non coniugati, o se lo sono hanno maggiori probabilità di divorziare. Si evidenzia una maggioranza del disturbo nelle classi socio-economiche più basse e tra gli individui con un livello di istruzione inferiore. Un difetto della produzione della dopamina sembra giocare un ruolo chiave nell'eziologia di questa sindrome. Si sa, inoltre, che i fattori genetici giocano un ruolo predominante: ad esempio, attraverso studi effettuati tra gemelli monozigoti il rischio di ammalarsi di tale disturbo è del 50%. Nella popolazione cosiddetta sana la probabilità di sviluppare

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ex novo la Schizofrenia si avvicina all' 1% del campione. Infine, non sono da sottovalutare le esperienze soggettive e il contesto familiare in cui il paziente affetto da schizofrenia viene allevato e in cui vive, poiché è dimostrato che l'ambiente è determinante nello sviluppo della malattia. Il decorso della Schizofrenia è quasi nella totalità dei casi cronico, sebbene possa alternare periodi di relativa sanità a periodi di peggioramento della patologia. In ogni caso, un individuo affetto da schizofrenia non arriverà mai al punto di regredire fino alla completa guarigione. La prognosi della Schizofrenia è, quindi, di solito sfavorevole tranne che nel caso della Schizofrenia Catatonica la quale può avere in alcuni casi decorso favorevole. La terapia può essere effettuata con farmaci neurolettici (antipsicotici), i quali agiscono soprattutto sui deliri e sulle allucinazioni, diminuendo il senso di angoscia e le reazioni aggressive. Alcuni antipsicotici specifici possono essere d'ausilio anche in una moderata riduzione dei sintomi negativi. È indicata anche la psicoterapia, che può coinvolgere o meno familiari e conoscenti, allo scopo di individuare eventuali difficoltà relazionali col malato e gestire il suo isolamento. Inoltre la psicoterapia può aiutare il paziente a contestualizzare il problema e le risposte dell'ambiente, rendendolo maggiormente autoconsapevole, facilitando il contatto di realtà e rinforzando l'Io.

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28-L’Apparato Riproduttivo Maschile La riproduzione è affidata a due cellule particolari aploidi che prendono il nome di gameti. Il gamete maschile è lo spermatozoo ed è il gamete mobile, mentre il gamete femminile è l’ovulo ed è il gamete fisso. I gameti sono cellule altamente specializzate prodotte da organi particolari che sono sotto l’influenza di particolari ormoni. I due gameti hanno un corredo cromosomico aploide in quanto sono il risultato di serie di divisioni meiotiche che avvengono a partire da cellule diploidi. Le cellule precursori degli spermatozoi sono cellule diploidi detti spermatogoni, aventi corredo cromosomico 44+XY. Lo spermatogonio è una cellula più giovane, presente sulla membrana basale del tubulo seminifero. Si dividono per tutto il periodo riproduttivo. Fra le cellule figlie, alcune si differenzieranno in spermatozoi, altre contribuiscono a mantenere la riserva delle cellule staminali. Quindi, alla base del tubulo, si possono distinguere due differenti tipi di spermatogoni, in base alla organizzazione della cromatina: gli spermatogoni staminali, che hanno una elevata percentuale di eterocromatina; quelli invece impegnati nella spermatogenesi, sono caratterizzati da una maggiore quantità di eucromatina. Il secondo tipo di spermatogoni, deriva dalla proliferazione dei primi, secondo un tipo di programmazione che è tipico di ciascuna specie. Ad un certo punto smettono la mitosi, si ingrossano e prendono il nome di spermatociti primari. Lo stadio successivo è quello di spermatocito I, con corredo 44+XY. Con lo stadio di spermatocito II ha inizio la meiosi. Il 50 % di tali cellule avrà come corredo cromosomico 22+X e l’altra metà 22+Y. Con lo stadio di spermatide ha inizio il differenziamento morfologico in spermatozoo. La cellula precursore dell’ovulo è l’oogonio, con corredo diploide, segue poi l’oocita I e II, generando infine l’uovo maturo. La differenza sostanziale è che delle uova mature i ¾ degenerano in globuli polari, mentre tutti gli spermatidi giungono a maturazione completa. Infine il sesso dello zigote è da attribuire completamente al tipo di spermatozoo che feconderà l’ovulo, in quanto questi potrà solo fornire il cromosoma sessuale X. I due gameti sono cellule con profonde differenze a livello morfologico. Lo spermatozoo è piccolo e mobile, con un citoplasma ridotto al minimo indispensabile, con una perfetta organizzazione del citoscheletro atta a rendere rapidi ed efficaci gli spostamenti. L’ovulo, invece, è grande, con un citoplasma ricco di nutrienti e tale peculiarità si dimostra basilare durante i primi giorni di vita dello zigote, cioè durante l’attraversamento delle tube. Il problema principale è quello di fare incontrare i gameti, che si trovano in due organismi differenti, affinché possano fondersi ed originare lo zigote. Dopo che lo spermatozoo ha fecondato l’ovulo, la cellula zigote inizia immediatamente a dividersi, arrivando ad impiantarsi nell’utero. Da tale massarella di cellule avrà origine un individuo completo, avente corredo cromosomico per metà paterno e l’altra metà materno. L’apparato riproduttivo maschile è formato dai testicoli, la sede anatomica della spermatogenesi. Il testicolo fa parte dell'apparato genitale maschile di quasi tutti gli animali e rappresenta la gonade maschile. È un

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organo pari (presente in numero di due) e nei Mammiferi Euteri è racchiuso all'interno dello scroto, una sorta di "sacchetto" situato inferiormente al pene. Ha la funzione principale di produrre gli spermatozoi (la parte più importante dello sperma) ed alcuni ormoni fra i quali il testosterone. I testicoli sono di forma ovale, misurano 5 centimetri circa di lunghezza, 3 centimetri circa di larghezza e 3 centimetri circa trasversalmente. Il peso dei testicoli di un adulto è di circa 30 grammi l'uno, anche se uno dei testicoli può essere un po' più pesante e più grande dell'altro, e in genere pende un po' più in basso. La ragione di questo fatto non è certa, ma potrebbe ragionevolmente essere quella di impedire ai testicoli di urtare l'uno contro l'altro. I testicoli hanno due funzioni: la produzione degli spermatozoi dal momento della pubertà sino alla morte, e la produzione degli ormoni sessuali maschili chiamati androgeni, tra i quali il testosterone è il più importante. La produzione degli ormoni da parte dei testicoli è evidente fin dalla nascita, ma aumenta enormemente intorno alla pubertà e si mantiene ad alto livello per tutta l'età adulta fino a manifestare una diminuzione durante gli ultimi anni di vita. La produzione degli spermatozoi non comincia fino alla pubertà, anche se segue il modello della produzione di ormoni riducendosi in età avanzata. Gli spermatozoi vengono prodotti in ogni testicolo in speciali strutture chiamate tubuli seminiferi in particolare dalle cellule del Sertoli. Questi tubicini sono al centro di ogni testicolo e sono collegati con una serie di condotti che convogliano lo sperma ad altri importanti organi e, alla fine, fuori dal pene, se ciò è richiesto. In ogni testicolo, vicino ai tubuli seminiferi, ci sono numerose cellule chiamate cellule interstiziali o cellule di Leydig che si raggruppano attorno un capillare a formare un’isola. Esse sono responsabili della produzione dell'ormone sessuale maschile (testosterone) che viene secreto direttamente nei vasi sanguigni circostanti. Al momento della pubertà, la maggior parte dei cambiamenti che avvengono nel ragazzo è prodotta dalla maggior quantità di testosterone che scorre nel suo corpo. Durante l'eccitazione sessuale i testicoli aumentano di grandezza. Il sangue riempie i vasi sanguigni che si trovano in essi causando il loro ingrandimento. Dopo l'eiaculazione essi tornano alle loro normali dimensioni. Subito prima dell'eiaculazione i testicoli vengono tratti molto vicini al corpo. Dopo l'eiaculazione essi ritornano alla loro posizione usuale nello scroto. Il medesimo avvicinamento dei testicoli al corpo avviene nei momenti di intensa paura, collera o quando l'uomo ha freddo. In questo modo, naturalmente, il corpo protegge questo meccanismo delicato e vulnerabile. I testicoli pendono fuori dal corpo per potere stare alla temperatura leggermente più bassa che è richiesta per la produzione dello sperma. Quando la stagione è molto calda o durante un bagno tiepido essi pendono più in basso del normale, lontano dal corpo e dal suo calore; al contrario, nella stagione fredda, essi si avvicinano al tepore del corpo per mantenere una temperatura ottimale. Se vengono tenuti alla temperatura corporea, i testicoli non sono più in grado di produrre spermatozoi e l'uomo diventa sterile. Il testicolo è costituito dalla tonaca albuginea e dalle sue dipendenze, da un parenchima costituito dai tubuli seminiferi, e dallo stroma che circonda i tubuli seminiferi e contenente quest’ultimo le cellule di Leydig a funzione endocrina. La tonaca albuginea è la tonaca più intima del testicolo, costituta da tessuto connettivo fibroso denso con fasci di fibre collagene ad andamento parallelo, è resistente e inestensibile, spessa mezzo o un mm, che all’esterno si

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continua con l’epiorchio. Negli strati più superficiali troviamo fibrocellule muscolari lisce mentre negli strati più profondi troviamo fibre elastiche. Dalla faccia profonda dell’albuginea, detta tonaca vascolosa perché riccamente vascolarizzata, si dipartono dei setti convergenti verso il mediastino testicolare che si approfondano all’interno del testicolo delimitandolo in logge, circa 300. ciascuna loggia ha forma piramidale, con la base volta verso la superficie del testicolo e l’apice in corrispondenza del mediastino testicolare (dà passaggio alla rete testis). Il parenchima di colorito roseo giallastro, riempie le logge all’interno delle quali si organizza in lobuli. Ciascun lobulo contiene tubuli seminiferi contorti, le cui estremità si uniscono a formare i tubuli retti che sboccano nella rete testis, posta a livello del mediastino testicolare, una serie di tubuli riccamente anastomizzati. Dalla rete testis si dipartono circa 15-20 condottini efferenti che confluiscono a formare l’epididimo. I tubuli seminiferi contorti sono lunghi da 30 cm a 70 cm e occupano il poco spazio a loro disposizione grazie al loro andamento convoluto. La parete dei tubuli seminiferi è costituita da epitelio pluristratificato detto epitelio germinativo che poggia su una lamina propria. L’epitelio germinativo comprende accanto alle cellule germinali in diverso stato differenziativo le cellule del Sertoli che sono cellule di sostegno. Le cellule del Sertoli sono cellule di derivazione mesodermica non spermatogeniche che oltre a sostenere e a nutrire gli spermatozoi svolgono importanti funzioni endocrine. Si estendono per tutto lo spessore dell’epitelio con la base che poggia sulla membrana basale e l’apice verso il lume; l’apice presenta delle infossature entro cui sono contenute le teste degli spermatidi in via di sviluppo. Sono riconoscibili per il nucleo triangolare con nucleolo evidente e cromatina dispersa. Le cellule del Sertoli sono unite da complessi giunzionali tight junctions che suddividono l’epitelio germinativo in due compartimenti conosciuti come basale e come luminale. Le cellule del Sertoli mediano quindi gli scambi metabolici tra il compartimento luminale degli spermatidi e quello sistemico costituendo una barriera ematotesticolare che isola gli spermatidi dal resto dell’organismo, proteggendoli dal sistema immunitario. Il citoplasma è acidofilo, con gocciole lipidiche, scarso RER e abbondante REL. Sono talora visibili aggregati proteici noti come corpi di Charcot Bottcher. Troviamo anche lisosomi primari e secondari. Le cellule del Sertoli mediano la spermatogenesi e la spermiazione, riassorbono i corpi residui tramite fagocitosi. Svolgono anche funzione endocrina: producono ABP (protein binding androgen), sotto lo stimolo dell’FSH ipofisario che concentra il testosterone favorendo la spermatogenesi; secernono inibina che agisce con feedback negativo a livello ipotalamo ipofisario. Le cellule germinali sono cellule in vario stadio differenziativo. Quelle in stadio precoce di sviluppo si trovano perifericamente mentre quelle negli stadi tardivi prospettano verso il lume. Il processo attraverso il quale gli elementi cellulari passano dalla periferia al lume prende il nome di spermatogenesi. Dura 74 giorni circa e comprende la spermatogoniogenesi (proliferazione per mitosi delle cellule germinali primitive, da cui originano gli spermatociti primari), la spermatocitogenesi (divisione meiotica degli spermatociti primari a formare spermatociti secondari e da questi gli spermatidi) e la spermiogenesi (differenziazione degli spermatidi in spermatozoi maturi, non si hanno fenomeni moltiplicativi). Nello stroma vi sono le cellule di Leydig che

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producono sotto lo stimolo dell’ormone ipofisario LH o ICSH ormoni androgeni, dei quali il testosterone rappresenta il prototipo. Quindi, i testicoli sono formati da tubuli seminiferi, nei quali avviene la spermatogenesi. Gli spermatozoi ultimati si accumulano in una sorta di vaso collettore, detta rete testis, passano poi nell’epididimo e attraversando il deferente raggiungono le vescichette seminali e qui aspettano l’arrivo dello stimolo sessuale che darà origine all’eiaculazione. L' epididimo è una parte del apparato genitale maschile dell'uomo ed è presente in tutti i mammiferi maschi. È un dotto di piccolo diametro e strettamente avvolto che collega i dotti efferenti dal retro di ogni testicolo al suo dotto deferente. Gli spermatozoi che si sono formati nei testicoli entrano nella testa dell'epididimo, avanzano verso il corpo e alla fine giungono nella regione della coda, in cui vengono immagazzinati. Gli spermatozoi che entrano nella testa dell'epididimo sono incompleti - mancano della capacità di muoversi in avanti (motilità) e di fecondare un ovulo. Durante il loro transito nell'epididimo, gli spermatozoi subiscono processi di maturazione a loro indispensabili per acquisire queste funzioni. La maturazione dello spermatozoo viene completata nel tratto riproduttivo della donna (capacitazione). Durante l'eiaculazione, gli spermatozoi scorrono dalla porzione più bassa dell'epididimo (che ha la funzione di serbatoio d'immagazzinamento). Essi sono così stipati che non gli è possibile nuotare, ma sono trasportati, grazie all'azione peristaltica di alcuni strati muscolari all'interno del dotto deferente, e si mischiano con i fluidi diluenti delle vescicole seminali e di altre ghiandole accessorie prima dell'eiaculazione (formando lo sperma). L'epididimo è una delle sole due regioni del corpo ad avere stereociglia (l'altra è l'orecchio interno). L'infiammazione dell'epididimo prende il nome di epididimite. Un varicocele è un vaso sanguigno venoso rigonfio del testicolo che appare o che si apprezza al tatto con un epididimo ingrandito. Embriologicamente l'epididimo deriva da tessuto che una volta formava il mesonefro, un rene primitivo che si trova in molti vertebrati acquatici. La permanenza dell'estremità craniale del dotto mesonefrico lascia un rimasuglio chiamato l'appendice dell'epididimo. In aggiunta, alcuni tubuli mesonefrici possono rimanere come paradidimo, un piccolo corpo in posizione caudale rispetto ai condottini efferenti. Nell’uomo, durante l’eiaculazione, gli spermatozoi transitano nell’uretra, che ha anche il compito di portare all’esterno l’urina a partire dalla vescica. Il pH anomalo di tale area, causato dal transito dell’urina, potrebbe danneggiare gli spermatozoi. Così, al momento dell’eiaculazione, lo sperma attraversa la prostata, una ghiandola che produce un secreto alcalino atto a neutralizzare l’acidità dell’uretra. La prostata o ghiandola prostatica è una ghiandola che fa parte dell'apparato genitale maschile dei mammiferi. La sua funzione principale è quella di produrre ed emettere il liquido seminale, uno dei costituenti dello sperma, che contiene gli elementi necessari a nutrire e veicolare gli spermatozoi. La prostata differisce considerevolmente tra le varie specie di mammiferi, per le caratteristiche anatomiche, chimiche e fisiologiche. Una prostata umana in buona salute ha le dimensioni di una grossa castagna. La prostata è

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collocata nella parte frontale del retto, circa 5 cm dopo l'ano, e parte di essa può essere toccata durante un esame rettale e un rapporto anale. La ghiandola prostatica è la zona erogena più sensibile nel maschio, e per questo viene paragonata al punto G femminile, col nome di "punto A". La formazione degli spermatozoi avviene in apposite strutture dei testicoli, detti tubuli seminiferi. Gli spermatozoi appena formati si accumulano nella rete di Haller e, passando attraverso i coni, giungono nell’epididimo. Visto in sezione, un tubulo seminifero non è vascolarizzato e i nutrienti diffondono per trasporto passivo dalla rete di circolo alle cellule all’interno del tubulo. Attorno alla rete vascolare è presente l’isola di Leydig formata appunto dalle cellule di Leydig. Le cellule di Leydig, anche conosciute come cellule interstiziali di Leydig, si trovano accanto ai tubuli seminiferi nei testicoli. Possono secernere testosterone e sono spesso strettamente associate a strutture nervose. Le cellule di Leydig hanno un nucleo cellulare tondo e un citoplasma granuloso eosinofilo. Le cellule di Leydig rilasciano una categoria di ormoni chiamati androgeni. Secernono testosterone, androstenedione e dehydroepiandrosterone (DHEA), quando sono stimolate dall'ormone luteinizzante ipofisario (LH). L'LH aumenta l'attività dell'enzima colesterolo desmolasi (associato alla trasformazione del colesterolo in pregnenolone ), incentivando la sintesi e secrezione di testosterone da parte delle cellule di Leydig. L'ormone follicolo-stimolante (FSH) aumenta la risposta delle cellule di Leydig all'LH aumentando il numero di recettori per tale ormone. Le cellule di Leydig sono poligonali, con citoplasma eosinofilo granuloso contenente gocciole lipidiche, con un nucleo vescicolare circolare. Hanno un abbondante reticolo endoplasmatico liscio (REL), che spiega l'acidofilia citoplasmatica, attivamente coinvolto nella sintesi ormonale. Contengono inoltre spesso lipofuscine e delle strutture cristalliformi chiamate cristalli di Reinke. Cellule e tubuli sono circondate dal TIL o tessuto inter-Leydighiano, una sorta di specializzazione del tessuto connettivo. Le cellule di Leydig sono sotto lo stretto controllo dell’ipotalamo e dell’ipofisi. L’ipofisi secerne l’ormone ICSH, che una volta in circolo stimola le cellule di Leydig a produrre il testosterone, un ormone steroideo. Le cellule di Leydig hanno il classico aspetto di cellule impiegate nella steroido-sintesi: -

Gocciola lipidica;

-

Intenso sviluppo del REL attorno la gocciola lipidica;

-

Creste interne del mitocondrio di tipo vescicoloso.

Il testosterone in circolo va a stimolare il nucleo dorsale dell’ipofisi, che induce la libido. Le cellule di Leydig hanno origine da fibroblasti embrionali, che si differenziano in cellule di Leydig a seguito di stimoli da parte dell’ICSH. Tale prima generazione di cellule di Leydig inizia a produrre testosterone, molto importante nel determinare la formazione delle gonadi e nel determinare il sesso del feto. Dopo la nascita tali cellule si atrofizzano, smettendo di sintetizzare testosterone, per poi riattivarsi alla pubertà. Tale II generazione di cellule di Leydig inizia a sintetizzare testosterone massivamente. Il testosterone induce tutta una serie di cambiamenti a livello anatomico come la barba, l’incremento della massa muscolare, sviluppo delle ossa,

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sviluppo degli organi genitali, ma ha anche effetti particolari sulla pelle rendendola grassa e portando alla comparsa di acne. Successivamente l’acne può anche scomparire e la produzione di testosterone si assesta su determinati valori. Il testosterone influenza anche il sistema nervoso, rendendo più aggressivo il carattere dell’individuo. Un’ultima generazione di cellule di Leydig si ha durante la vecchiaia e tali cellule continuano a produrre ancora testosterone. Lo spermatozoo è una cellula altamente specializzata, e per poter realizzare tale macchina sono necessari dei particolari tipi di cellule che assistano la spermatogenesi. Innanzitutto, nel passaggio da spermatogoni a spermatozoi, il volume citoplasmatico deve diminuire, inoltre il citoscheletro deve organizzarsi per poter formare la coda. Nel tubulo, sono presenti particolari cellule dette cellule del Sertoli, che hanno il compito di assistere il gamete nel suo processo maturativo. La cellula del Sertoli è una cellula di sostegno che si trova nei tubuli seminiferi dei testicoli. La loro principale funzione è quella di guidare le cellule germinali attraverso i passaggi della spermatogenesi. Sono inoltre responsabili del mantenimento di un certo numero di spermatogoni che, essendo cellule staminali, assicurano sia la propria omeostasi (il mantenimento di un numero fisso di spermatogoni) sia il differenziamento in cellule mature, fino al rilascio degli spermatozoi. Da un punto di vista morfologico si presentano come cellule allungate che posano sulla membrana limitante il tubulo seminifero e arrivano fino al lume centrale. Hanno forma irregolare poiché ospitano, come incastonate, le cellule germinali nei vari stadi, le più staminali vicino alla base, le più differenziate verso l’apice. Come menzionato prima le cellule del Sertoli sono coinvolte nel processo di spermatogenesi. Il processo è stimolato dall'FSH secreto dall’adenoipofisi, per cui le cellule del Sertoli esprimono recettori specifici. Durante la vita fetale precoce queste cellule secernono l'ormone antiMülleriano (AMH), in tal modo concorrono alla degenerazione del dotto di Müller (o dotto paramesonefrico) e alla differenziazione in senso maschile delle gonadi indifferenziate. Dopo la pubertà, le cellule del Sertoli secernono gli ormoni inibina e attivina. Secernono anche proteine leganti gli androgeni (ABP, androgen binding protein) e il fattore neurotrofico delle cellule derivate della linea gliale (GDNF), che è stato dimostrato avere un effetto proliferativo sugli spermatogoni indifferenziati, che assicurano l'auto-rinnovamento di tali cellule staminali durante il periodo perinatale. Produce inoltre altri fattori, come ERM (Ets related molecule, fattore di trascrizione), per il mantenimento degli spermatogoni staminali anche nel testicolo adulto. Una funzione fondamentale delle cellule del Sertoli è quella di formare la barriera emato-testicolare. Questa barriera è prodotta della giunzioni occludenti (o tight junction) tra una cellula del Sertoli e l’altra appena al di sopra degli spermatogoni che appoggiano sulla membrana basale contigua alla membrana limitante il tubulo. Questo fatto è fondamentale non solo per il controllo dell’entrata e dell’uscita di nutrienti, ormoni e sostanze chimiche dal sangue al compatimento luminale del tubulo seminifero; ma soprattutto per la difesa delle cellule in spermatogenesi. Difatti, gli spermatogoni, diploidi, esprimono le medesime molecole di membrana delle altre cellule dell’organismo, mentre gli spermatidi e poi gli spermatozoi, aploidi, sono diversi dalle altre cellule self e potrebbero innescare una risposta del sistema immunitario che ne provocherebbe la distruzione.

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Sembra inoltre che le cellule del Sertoli fagocitino i residui (citoplasmatici) del differenziamento degli spermatozoi. Le cellule del Sertoli derivano dalle cellule pre-Sertoli, o sostentacolari, che sotto l’azione di TDF (fattore di determinazione testicolare), espresso dal gene SRY (sul cromosoma Y), si differenziano dai cordoni sessuali primitivi (nella gonade indifferenziata), trasformandoli in cordoni seminiferi, chiusi fino alla pubertà, quando svilupperanno il lume centrale. Una volta totalmente differenziate, le cellule del Sertoli non sono in grado di proliferare. Quindi, una volta che la spermatogenesi è iniziata, non vengono create nuove cellule del Sertoli. Tuttavia, recentemente, alcuni scienziati hanno trovato una via per fare proliferare nuovamente queste cellule in vitro. Ciò aumenta la possibilità di curare alcuni difetti che causano l’infertilità maschile. All’interno del citoplasma della Sertoli sono presenti granuli di glicogeno. Tali granuli sono le riserve energetiche della cellula, in quanto non può ricevere un rifornimento continuo data l’assenza di vasi sanguigni limitrofi all’interno del tubulo. Sotto azione dell’FSH, la Sertoli si attiva e scinde i granuli di glicogeno, che passano agli spermatogoni vicini e innescano il processo di spermatogenesi. Ma la Sertoli, attraverso particolari invaginazioni della membrana plasmatica, accompagna verso il centro del tubulo il gamete che si sta formando e fagocita la porzione di citoplasma che è inutile per lo spermatozoo. Dalla digestione del citoplasma superfluo la cellula di Sertoli recupera i nutrienti necessari per non fare bloccare il sistema. Dal centro del tubulo seminifero, gli spermatozoi si spostano nella rete di Haller, poi nell’epididimo, nel deferente e aspettano nelle vescichette seminali l’arrivo dello stimolo eiaculatorio. All’arrivo dello stimolo lo spermatozoo percorre il pene che ora è in erezione. L’erezione è resa possibile data la presenza dei corpi cavernosi, strutture cave che riempendosi di sangue rendono eretto e duro il pene, e dalla fitta rete vascolare. Per quanto concerne la contraccezione, un primo metodo consiste nel bloccare fisicamente il passaggio degli spermatozoi, dai testicoli alle vescichette seminali, bloccando il lume del deferente. Un altro metodo consisterebbe nel disattivare la cellula di Sertoli, con particolari farmaci, bloccando così la funzione ausiliare alla spermatogenesi di tali strutture.

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29-Lo Spermatozoo Il gamete maschile è lo spermatozoo, una cellula altamente specializzata nel portare al termine il suo compito, ovvero la fecondazione dell’ovulo. Gli spermatozoi sono cellule aploidi che hanno origine da precursori diploidi. Da uno spermatogonio, in media, hanno origine 256 spermatozoi. La prima linea di cellule precursori prende il nome di capostipiti. Con successive divisioni mitotiche, hanno origine i plurivalenti fino a giungere agli spermatogoni di transizione. Lo stadio successivo è quello dei crostosi. A questo stadio avviene la mitosi equazionale, che porta alla formazione di spermatociti primari. Successivamente segua la mitosi riduzionale e compaiono le cellule con corredo cromosomico aploide o spermatociti secondari. Ora inizia il differenziamento sul piano morfologico a partire da spermatidi. Il risultato di tale catena di montaggio è lo spermatozoo pronto all’uso. In totale, per costruire un singolo spermatozoo ci vogliono 1700 ore. Il processo di formazione dello spermatozoo, altrimenti detto spermatogenesi, avviene in particolari organi chiamati testicoli, chiamati anche gonadi maschili, presenti nell'apparato genitale di individui di sesso maschile. Più precisamente la spermatogenesi avviene all'interno dei tubuli seminiferi, strutture tubulari rivestite da una sorta di tessuto epiteliale pluristratificato costituito in maggioranza dalle cellule germinali e perciò detto epitelio germinativo. Oltre alle cellule germinali (presenti in diversi stadi di maturazione dall'esterno all'interno del tubulo seminifero) si trovano nell'epitelio germinativo cellule isolate dal nucleo grosso e chiaro aventi funzione di sostegno e di ricezione ormonale per gli ormoni FSH e testosterone: il loro nome è cellule del Sertoli. Come già detto, dall'esterno all'interno dei tubuli seminiferi si osservano differenti fasi di maturazione delle cellule germinali: le cellule più esterne dunque corrispondono alla prima fase di maturazione dello spermatozoo, lo spermatogonio. Gli spermatogoni si dividono in due classi: spermatogoni A (a nucleo pulverulento, con cromatina dispersa in fini granulazioni) e B (a nucleo crostoso, con cromatina addensata in numerose zolle). A loro volta gli spermatogoni di tipo A si dividono in tipo A scuro e tipo A chiaro. Gli spermatogoni di tipo B sono i diretti precursori degli spermatociti e derivano dagli spermatogoni A chiari, a loro volta derivati dagli spermatogoni A scuri. Spermatogoni e spermatociti costituiscono la parte basale dell'epitelio dei tubuli seminiferi: il tratto caratteristico di questa parte basale è la presenza di numerosissime cellule con nucleo apparentemente irregolare, in realtà costituito da cromosomi mitotici. Lo spermatocito, chiamato spermatocito I, derivato dallo spermatogonio B subisce una divisione meiotica, o meiosi, un processo particolare composto da due divisioni a intervalli ravvicinati che portano, attraverso un passaggio intermedio di due cellule chiamate spermatociti II, alla formazione di quattro cellule chiamati spermatidi, prive di flagello, di dimensioni circa un quarto di quelle dello spermatocito I iniziale. Il corredo cromosomico dello spermatocito I è diploide e in doppia copia (nell'uomo 46 cromosomi con 2 cromatidi identici per ciascun cromosoma), dello spermatocito II è aploide e in doppia copia (23 cromosomi con due cromatidi ciascuno) e dello spermatide è aploide e in singola copia. La fase finale della maturazione di uno spermatozoo vede l'ulteriore compattazione del materiale cromatinico del nucleo

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spermatico, lo sviluppo del lungo flagello e della vescicola acrosomiale e l'espulsione del citoplasma superfluo. Questi passaggi avvengono in sincronia all'interno di gruppi di spermatozoi in maturazione (6-8 per gruppo) perché durante le divisioni meiotiche il citoplasma cellulare ha mantenuto con le cellule vicine dei ponti citoplasmatici (zone di collegamento in cui la cellula non si è divisa completamente). I residui citoplasmatici sono visibili in preparati istologici nel lume dei tubuli seminiferi. A maturazione morfologica conclusa, lo spermatozoo deve andare incontro ad un'ulteriore maturazione funzionale in due fasi: la mobilitazione, che avviene nell'epididimo (nella gonade maschile) e permette agli spermatozoi di muovere il flagello, e la capacitazione, che avviene nelle tube uterine femminili e permette sempre agli spermatozoi di subire la reazione acrosomiale che permetterà loro di poter fecondare l'ovulo. Uno spermatozoo è costituito da una testa, un corpo e una coda. Tali strutture sono finalizzate ad espletare al meglio la funzione che lo spermatozoo deve svolgere. La diminuzione delle dimensioni citoplasmatiche ha posto i problemi di organizzazione dei vari organuli, soprattutto quelli citoscheletrici, e del continuo rifornimento energetico alle strutture motorie dello spermatozoo. Il sistema di locomozione dello spermatozoo è costituito da un serbatoio di energia, che serve ad alimentare il motore principale. Accanto a tale struttura sono presenti un turbo, un motore giroscopico e un propulsore. Nella testa dello spermatozoo è presente il nucleo, contenente DNA estremamente compattato. Durante il processo di spermatogenesi, il nucleo va incontro a profonde trasformazioni, tra le quali la condensazione cromatinica. Sopra al nucleo, come un cappello, è presente una struttura vescicolare, contenente numerosi enzimi, che prende il nome di acrosoma. Durante la spermatogenesi, l’acrosoma nasce dalla progressiva fusione di vescicole. La testa è collegata al corpo da una struttura, detta capitello. Le proteine formanti il capitello sono in grado di rilasciare la testa libera dal corpo al momento opportuno. Nel corpo è presente il motore che fornisce l’energia necessaria per il movimento dello spermatozoo. All’interno del corpo è presente un manicotto di mitocondri che circonda le fibre dense, che a loro volta circondano l’assonema. Nella coda scompare il manicotto mitocondriale e le fibre dense sono sostituite da una guaina fibrosa. L’assonema è una struttura citoscheletrica formata da microtubuli. I microtubuli si dispongono in modo da formare 11 coppie di filamenti, di cui una posta al centro, le altre tutte intorno. Ciascuna coppia è formata da un filamento chiuso e da uno incompleto. Le coppie laterali sono collegate all’asse centrale attraverso opportune proteine. Tale struttura conferisce maggiore efficienza al sistema. Il movimento dei filamenti dell’assonema è causato da un’attività ATPasica, che idrolizza ATP in ADP e fosfato ricavandone energia. Le fibre dense sono composte da trigliceridi che hanno il compito di amplificare i movimenti dell’assonema sottostante. I mitocondri sono disposti in una sorta di manicotto. Tale organizzazione dovrebbe permettere un maggiore afflusso di energia alle strutture sottostanti. Nella coda, la guaina fibrosa avvolge l’assonema. Il serbatoio è il reticolo endoplasmatico liscio, il motore principale sono i mitocondri, il turbo le fibre dense, il motore giroscopico l’assonema e il propulsore la guaina fibrosa.

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Gli spermatozoi prodotti nei tubuli seminiferi del testicolo, sono completamente disattivati, ovvero il loro spostamento nella rete testis e successivamente in altre strutture è dovuto alla presenza di apposite strutture presenti all’interno di tali condotti. Nella rete testis le cellule ciliate fanno in modo di spingere in avanti gli spermatozoi, arrivando poi nell’epididimo. Nell’epididimo, oltre alle cellule ciliate, vi sono delle cellule che secernono degli agenti protettivi in quanto mascherano gli antigeni dello spermatozoo, che, una volta nel corpo della donna, avendo un corredo cromosomico diverso, viene riconosciuto come non-self dal sistema immunitario e distrutto. Successivamente si passa nel deferente, caratterizzato da una parete di muscolatura liscia, che ha il compito di sospingere in avanti gli spermatozoi. Gli spermatozoi giungono nell’ampolla deferenziale e poi nelle vescichette seminali. Le cellule di tali ghiandole sono impegnate in una intensa attività secretiva, infatti secernono fruttosio e altri composti, fonte primaria di energia per lo spermatozoo. Gli spermatozoi sostano nelle vescichette fino all’arrivo di uno stimolo. All’arrivo di questi, gli spermatozoi giungono nella prostata, le cui cellule secernono un liquido alcalino atto a neutralizzare l’acidità dell’uretra maschile. Il liquido prostatico è prodotto in continuazione dalle cellule della prostata, ma è solo lo stimolo a indurne il rilascio. In persone anziane tale meccanismo presenta qualche problema, e la continua secrezione di liquido prostatico altera l’ambiente uretrale favorendo la proliferazione batterica, generando uretriti.

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30-L’Apparato Riproduttivo Femminile Il gamete femminile è l’ovulo, una cellula aploide immensamente grande se paragonata alle dimensioni dello spermatozoo. Le dimensioni di tale cellula sono dovute al particolare ruolo che questi riflette nei primi giorni di vita dello zigote. Infatti, quando la fecondazione avviene nelle tube, lo zigote impiega circa una settimana per raggiungere l’utero e durante questo periodo i nutrienti sono tratti dal citoplasma dell’ovulo. L’apparto riproduttivo femminile è situato nella piccola pelvi, ed è composto da: -

La vagina, struttura atta ad accogliere il pene durante l’accoppiamento;

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L’utero, nel quale avviene l’impianto e la gestazione;

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Le tube, nelle quali avviene la fecondazione;

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Le ovaie, nelle quali avviene la gametogenesi.

La vagina (letteralmente "fodero, guaina, involucro"), è un condotto membranoso che accoglie il pene durante il coito e consente il passaggio del feto durante il parto. Conduce dall'utero all'esterno dell'organismo nei mammiferi e nei marsupiali femmina, o alla cloaca negli uccelli, nei monotremi ed in alcuni rettili. Anche gli insetti femmina ed altri invertebrati hanno una vagina, che è la parte terminale dell'ovidotto. Si tratta di un condotto muscolo-membranoso, impari, mediano, che fa seguito all'utero, attraversa il pavimento pelvico e sbocca nella vulva. La vagina, in alto, abbraccia la porzione vaginale del collo uterino ed in basso termina con l'ostio vaginale. L'ostio vaginale è parzialmente chiuso da una membrana trasversale detta imene, che viene lacerata generalmente al momento della prima penetrazione. La vagina è appiattita in senso anteroposteriore, per cui si riconoscono una parete anteriore ed una parete posteriore lungo le quali si trovano delle pliche trasversali che convergono formando la carena vaginale. Durante il parto, la vagina veicola l'espulsione del feto dall'utero alla vita fuori dall'organismo materno. È l'organo dell'accoppiamento femminile (riceve il pene durante il coito); serve a dar esito al sangue mestruale ed alle secrezioni dell'utero e, nel parto, serve al passaggio del prodotto del concepimento. Ha una lunghezza media, misurata dall’orifizio vaginale al collo dell’utero, di 6-7 cm, anche se le sue pareti interne, datane la conformazione, sono un po’ più lunghe. Queste misure non corrispondono a quelle di un pene eretto, infatti il pene non penetra mai completamente nella vagina che peraltro è sia molto elastica che estensibile e arriva facilmente ad allungarsi di 3-4 cm. La mucosa vaginale è rivestita da un epitelio pavimentoso stratificato molle, mantenuto umido e lubrificato dal muco secreto dalle ghiandole uterine. Tale ambiente è sfavorevole agli spermatozoi, che possono invece sopravvivere anche 5-6 giorni nella cervice uterina. Le cellule dell'epitelio vaginale, in continua desquamazione, hanno affinità tintoriali che variano durante il ciclo mestruale per il variare del pH vaginale, fenomeno che viene utilizzato per vari test di fertilità. La parte vaginale del collo uterino è circondata dal fornice vaginale che si distingue in una parte anteriore, poco profonda, ed una parte posteriore, più accentuata, che limita inferiormente il cavo retto-uterino di Douglas e nel quale vengono accolti gli

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spermatozoi al momento dell'eiaculazione. Da qui poi risalgono in utero. Durante l'eccitazione sessuale la vagina si imbibisce similarmente al riempimento dei seni cavernosi penieni. La vagina presenta un rilievo più o meno sviluppato nella parete anteriore, circa a livello del terzo superiore, denominata punto di Grafemberg (punto G). Tale formazione, che è ricca di terminazioni nervose sensitive, secondo alcuni è l'omologo femminile della prostata e produce un secreto semiliquido più o meno abbondante durante l'orgasmo. La vagina è rivestita da una mucosa, che nelle donne in età feconda, sotto l'azione degli estrogeni, secerne glicogeno, dalla cui fermentazione, ad opera di batteri vaginali, chiamati bacilli di Doderlen, si forma acido lattico. Questa acidità contribuisce a prevenire le infezioni batteriche vaginali. L’ambiente vaginale in condizioni fisiologiche è in equilibrio dinamico, modulato dall’assetto ormonale, dal pH e dalla risposta immunitaria, fattori tra loro strettamente interdipendenti. La vagina è per la più parte un organo a innervazione viscerale, eccetto il terzo esterno che ha un’innervazione di tipo sensitivo. Durante i rapporti sessuali si hanno: -

inizialmente la congestione vascolare dei tessuti più interni causa di un trasudamento, che costituisce la lubrificazione;

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la dilatazione e l'ispessimento del tessuto congestionato che circonda l'accesso e la porzione inferiore, con l'innalzamento completo dell'utero dal fondo del bacino e la notevole apertura della parte più estrema della vagina;

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l'orgasmo, caratterizzato da contrazioni ritmiche riflesse di 0.8 secondi che coinvolgono i muscoli intorno alla vagina;

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infine la detumescenza e il ritorno allo stato di riposo.

L'età della donna incide sull'attività sessuale: generalmente, la secrezione vaginale è scarsa quando vi è poca stimolazione ormonale estrogenica, come avviene prima della pubertà e dopo la menopausa, è più abbondante a seguito di stimolazione sessuale o emotiva, in corrispondenza dell'ovulazione o in corso di gravidanza. Durante il ciclo mestruale, quando non avviene la fertilizzazione, l'utero si libera del rivestimento ispessito dell'endometrio con le mestruazioni. Nel corso della gestazione la secrezione vaginale aumenta e varia di composizione, assumendo un aspetto più viscoso e biancastro. L'utero è un organo posto al centro della piccola pelvi, tra la vescica (anteriormente) e il retto (posteriormente). Può essere considerato formato da un corpo, la parte più estesa che termina superiormente nel fondo dell'utero, e da un collo che penetra nella sottostante vagina fino a sporgere all'interno di essa nel cosiddetto muso di tinca, il quale è separato dalla parete interna della vagina da uno spazio anulare detto fornice della vagina. Caratteristica è la posizione dell'utero rispetto alla vagina: l'asse maggiore di questo è obliquo in basso in dietro e forma con l'asse della sottostante vagina un angolo aperto anteriormente (condizione detta antiversione fisiologica), mentre la porzione del corpo forma con l'asse del collo uterino un angolo ottuso (120-170°) aperto anteriormente (antiflessione fisiologica). Da considerarsi sono i rapporti dell'utero: anteriormente esso poggia sulla vescica, dalla quale è separata tramite il recesso peritoneale (cavo

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vescicouterino) che solitamente è una cavità virtuale; posteriormente è in rapporto col retto attraverso l'interposizione di un altro recesso peritoneale, il cavo rettouterino, che solitamente contiene anse dell'intestino tenue; lateralmente al retto prendono inserzione, su entrambi i lati, i legamenti larghi, delle formazioni peritoneali contenenti connettivo e strutture vasali e legamentose (legamento rotondo, tuba uterina, uretere). La struttura dell'utero è quella tipica degli organi cavi: è formato da una parete costituita da una successione di tonache che circoscrivono un lume. Nel caso dell'utero queste tonache sono uno strato più superficiale (la tonaca mucosa o endometrio), uno strato muscolare o miometrio e, dove è presente, il rivestimento peritoneale detto anche perimetrio. Le tube di Falloppio, chiamate anche salpingi, trombe uterine o ovidotti, sono due organi tubolari pari e simmetrici che hanno la sola funzione riproduttiva. Hanno, infatti, il compito di captare l'ovocita e lo spermatozoo e permettere la fecondazione. Hanno una lunghezza che va dai 12 ai 18 centimetri e uno spessore che arriva fino ai 3 millimetri. Esse sono rivestite dal peritoneo; sono collegate alla cavità peritoneale da dei foglietti peritoneali, chiamati mesosalpingi. Le tube di Falloppio possono idealmente dividersi in quattro porzioni: -

il fundibolo, che ha la forma ad imbuto ed è la sezione più vicina alle ovaie;

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la parte ampollare, che è la parte più lunga, di circa 6 - 7 centimetri. Regola il transito dei gameti ed il transito embrionale mediante contrazioni e successivi rilasciamenti;

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la parte istmica, è una porzione lunga circa 2 - 3 centimetri, è quasi rettilinea e sottile;

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la parte interstiziale, è il tratto più breve ed è il punto in cui la tuba si introduce nel miometrio per raggiungere la cavità uterina.

L'ovaia (o ovaio) è la gonade femminile consistente in una ghiandola pari, simmetrica, situata a fianco dell'utero. L'ovaio, organo pieno, è pari e simmetrico e ha la forma e la grandezza di una grossa mandorla. È situato ai lati dell'utero, in prossimità delle pareti laterali della pelvi femminile. Le ovaie sono importanti sia dal punto di vista riproduttivo, in quanto producono le cellule germinali femminili o ovociti, sia dal punto di vista endocrinologico, in quanto secernono ormoni. L'ovaio è rivestito esternamente da un epitelio superficiale, il quale è fragile e sottile ma ha un'elevata capacità rigenerativa, utile in seguito alla deiescenza del follicolo; questo epitelio poggia su uno strato connettivale denso detto falsa albuginea che delimita il parenchima dell'organo. Quest'ultimo è formato da una zona corticale periferica e da una midollare centrale. La zona corticale è caratterizzata dalla presenza di follicoli oofori in vari stadi di maturazione, e sono immersi in uno stroma di tessuto connettivo ricco di cellule fusate che partecipano alle modificazioni dei follicoli durante il ciclo ovarico. I follicoli oofori si distinguono in: primordiali, primari, secondari, vescicolosi, maturi e atresici. La zona midollare si trova al centro dell'organo ed è costituita da tessuto connettivo lasso. Ha un aspetto spugnoso di colore rosso, per la presenza di numerosi vasi che l'attraversano, i quali formano una sorta di tessuto erettile che riempendosi di sangue facilita lo scoppio dei follicoli. La midollare raggiunge la superficie solo in corrispondenza dell'ilo. Il gamete prodotto dalle ovaie, percorre la tuba, raggiunge l’utero

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e alla fine, se non fecondato, viene eliminato col flusso mestruale, altrimenti si impianta e si sviluppa. Infatti, se la produzione di spermatozoi è continua, quella dell’ovulo segue un ciclo di 28 giorni. In questo periodo, influenze ormonali fanno in modo che la parete interna dell’utero, o endometrio, si inspessisca per poter accogliere lo zigote. Contemporaneamente all’inspessimento dell’endometrio, avviene anche un’abbondante secrezione di muco, atto a frenare la discesa dell’ovulo. Se l’ovulo non è fecondato, l’endometrio si sfalda e viene eliminato come sangue durante le mestruazioni. L’ovaio è formato da una regione midollare, vascolarizzata, e una regione corticale in cui è assente la vascolarizzazione e dove avviene la gametogenesi. Il tutto ha inizio da particolari cellule, dette ovogoni. Nell’arco di 14 giorni l’ovogonio evolve in una cellula uovo matura. Durante tale periodo l’ovogonio è assistito nel suo processo maturativo da una serie di cellule ancillari che svolgono ruoli molto importanti durante la formazione dell’ovulo, ma anche dopo lo scoppio del follicolo. Tali cellule non solo nutrono l’ovogonio, ma producono anche quel liquido che riempie lo spazio compreso tra la cellula uovo e le cellule ancillari o cellule della teca. Le cellule della teca si differenziano in cellule della teca esterna e della teca interna Tali cellule, inoltre, producono estrogeni, ormoni che inducono l’ispessimento dell’endometrio uterino. Od un certo punto la pressione che il liquido interstiziale esercita sulle pareti della corticale dell’ovaio diventa talmente tanto forte da causare lo scoppio del follicolo. Durante questa esplosione fuoriescono non solo l’ovulo, ma anche le cellule ancillari che si disporranno attorno all’ovulo, formando una struttura detta corona radiata, che rappresenta una barriera che lo spermatozoo dovrà superare per poter fecondare l’ovulo. Nello scoppio, non tutte le cellule fuoriescono, ma quelle che restano nella corticale formano il corpo luteo, che inizia a secernere progesterone. Tale ormone ha il compito di ritardare lo sfaldamento delle pareti uterine. Il corpo luteo è una ghiandola endocrina la cui funzione principale è quella di produrre progesterone e, in quantità minori, estrogeni. La formazione del corpo luteo avviene durante la fase luteinica del ciclo ovarico: le cellule della granulosa, rimaste sull'ovaio in seguito all'espulsione dell'ovocita, iniziano ad accumulare quantità crescenti di proteine, lipidi, e un pigmento carotenoide, la luteina, che gli conferisce un aspetto giallastro. Questi processi di ipertrofia ne fanno aumentare le dimensioni fino a 30 mm. Il mantenimento del corpo luteo è sostenuto dall'ormone luteinizzante (LH), dalla prolattina e dall'estradiolo. Se non avviene la fecondazione dell'uovo e l'impianto del blastomero nell'utero il corpo luteo vive per 14 giorni e poi degenera rapidamente. La cicatrice che resta sull'ovaio ha colore biancastro e prende il nome di corpus albicans. Questa distruzione (luteolisi) avviene con un collasso delle cellule luteiniche, ischemia e progressiva morte cellulare, seguita dall'arresto della secrezione di progestinici. La luteolisi è un processo di degenerazione programmata a scadenza fissa che può essere disinnescata solo dall'intervento dell'ormone gonadotropina corionica, secreto dalle cellule del corion embrionale. Se il corpo luteo viene salvato dalla luteolisi continua a produrre progesterone ed estrogeni, ormoni che hanno un effetto inibitore su ipotalamo e ipofisi reprimendo quindi la produzione di FSH e LH. In questo modo non si raggiunge la concentrazione soglia di questi ormoni perché altri follicoli primari possano raggiungere l'ovulazione, sopprimendola del tutto. È su questo stesso principio

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che si basa il funzionamento della pillola anticoncezionale che può essere definita come un corpo luteo artificiale. Il corpo luteo è una struttura con un ciclo di vita limitato, e se l’ovulo non viene fecondato il corpo luteo smette di produrre progesterone e degenera in corpus albicans. L’assenza di progesterone induce la mestruazione. Durante lo scoppio del follicolo si ha anche un aumento della temperatura basale, che raggiunge il picco proprio in tale periodo, per poi ritornare normale. Generalmente il corpo luteo produce progesterone per circa 10 giorni dopo lo scoppio del follicolo. La degenerazione del corpo luteo è fermata dall’impianto dello zigote, che producendo gonadotropina corionica stimola il corpo luteo a continuare a produrre progesterone. Dopo un po’ di tempo, il ruolo del corpo luteo verrà preso dalla placenta fetale. Con l’accoppiamento si introduce il gamete maschile all’interno dell’apparato riproduttivo femminile. In questo modo sarà favorito l’incontro dei due gameti e la formazione di un nuovo individuo. Lo spermatozoo dalla vagina deve ripercorrere l’intero apparato per poter poi incontrare l’ovulo. Durante il suo percorso sono presenti numerose barriere che decimano la popolazione del gamete maschile. Una prima barriera, detta mucosale, è rappresentata dal muco vaginale che invischia, intrappola e rallenta l’avanzamento degli spermatozoi. Tale barriera è formata da acido ialuronico e glicoproteine. Recenti studi hanno dimostrato che rapporti sessuali lunghi sfaldano tale barriera, indebolendola, e favorendo così il passaggio degli spermatozoi. Inoltre rapporti sessuali lunghi favoriscono maggiormente il transito di quegli spermatozoi che daranno vita a zigoti femmine. Infatti lo spermatozoo 22+X risulta essere più pesante di quello 22+Y. Un rapporto sessuale lungo indebolisce la barriera e favorisce un avanzamento degli spermatozoi 22+X. Se poi tale spermatozoo incontra l’ovulo si avrà uno zigote femmina. Con un petting breve, quindi, il muco resta denso, mentre con un petting lungo il muco liquefa. Gli spermatozoi hanno una sorta di gerarchia e sono ben organizzati nel rendere più probabile la fecondazione. Gli spermatozoi, in base ai ruoli si dividono in: -

Scavangers, spermatozoi che si immolano neutralizzando le prime linee difensive;

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Commando, vanno in avanscoperta e neutralizzano la barriera rappresentata dai macrofagi tissutali;

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Fecondatori.

L’ovulo, una volta che il follicolo è scoppiato, tenderebbe a cadere nel peritoneo, ma viene catturato dalle fimbrie tubariche, e sospinto nelle tube. Qui, all’interno di tale microambiente tubarico, se le condizioni sono ottimali, si verificherà l’incontro dei due gameti. Il viaggio dello spermatozoo è lungo e pieno di trappole. Le pareti dell’utero sono piene di escrescenze che formano una sorta di falsi condotti. Se lo spermatozoo entra in tali strutture viene intrappolato e alla fine, esaurite tutte le sue energie, viene eliminato. Alcuni spermatozoi restano intrappolati nelle ciglia che tappezzano le pareti e, nel tentativo di liberarsi, esauriscono tutte le loro energie. Molti spermatozoi vengono fagocitati dai macrofagi tissutali. Quei pochi che restano

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potranno partire alla conquista dell’ovulo, ma solo uno di essi lo feconderà. Stesso il processo di fecondazione comporta una serie di problemi, tra questi la presenza di cellule che formano un involucro, la corona radiata, all’interno della quale è presente l’ovulo. Per poter sfondare tale barriera tutti gli spermatozoi cooperano tra di loro pur di permettere ad uno solo di essi di raggiungere la membrana dell’ovulo. Non appena la testa dello spermatozoo raggiunge le cellule del cumulooforo, avviene la reazione acrosomiale, e il contenuto della vescicola acrosomiale viene rilasciato. L’acrosoma contiene tutta una serie di enzimi, che hanno il compito di eliminare la barriera, e tra questi vi è la ialuronidasi, che elimina l’acido ialuronico formando una breccia nella barriera. Eliminata la barriera lo spermatozoo raggiunge la membrana dell’ovulo. Ora bisogna fare in modo che il nucleo presente nella testa superi la membrana dell’ovulo. A tale scopo, lo spermatozoo, con una serie di movimenti pendolari, facilita l’endocitosi della testa. Appena uno spermatozoo è entrato, una serie di meccanismi impedisce che altri possano entrarvi, evitando casi di poliploidia. Quando la testa sta per essere endocitata, viene staccata da tutto il resto del corpo dello spermatozoo. Quando poi i due pronuclei si fondono, avviene la nascita di un nuovo individuo, lo zigote. Tuttavia vi sono delle condizioni, patologiche o meno, che inducono sterilità. In proporzione, le cause di sterilità sono per il 20% associate alla coppia e per il 40% a condizioni dei partners. Per quanto riguarda la sterilità femminile le cause possono essere diverse, riguardanti difetti anatomici oppure difetti ormonali, oppure ancora fattori vulvo-vaginali. Per questo è consigliabile un controllo frequente con visita ginecologica, ecografia, stereosalpingografia, laparoscopia, falloppioscopia. Anche agenti virali, come clamidia o micoplasmi possono causare sterilità. Un’ostruzione tubarica può impedire l’incontro dei due gameti e la loro fusione, ma se le tube sono parzialmente ostruite l’incontro è possibile, ma aumentano le probabilità di una gravidanza ectopica, in questo caso tubarica. La donna può essere immunizzata contro gli spermatozoi del suo partner e questi vengo immediatamente riconosciuti e distrutti. Le cause di sterilità maschile sono per lo più dovute a difetti nel numero, nella morfologia e nella motilità degli spermatozoi.

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31-Tecniche di Fecondazione L’ICSI (microiniezione intraovocitaria dello spermatozoo) è una tecnica che comporta la microiniezione di un singolo spermatozoo in un ovocita maturo allo scopo di ottenerne la fertilizzazione. Affinché ciò avvenga la donna si deve sottoporre ad una stimolazione della crescita follicolare con gonadotropine e quindi all’aspirazione dei follicoli per via ecografica per ottenere più ovociti maturi da iniettare. Le Gonadotropine sono una famiglia di tre ormoni: -

FSH o ormone follicolo-stimolante;

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LH ormone luteinizzante;

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hCG gonadotropina corionica.

Il nome sta a indicare il loro effetto stimolante sulle gonadi. Tali molecole, proteine eterodimeriche, hanno in comune una catena di 92 amminoacidi detta subunità α, mentre differiscono per l’altra catena polipeptidica detta subunità β. Le gonadotropine sono prodotte da due ghiandole diverse. FSH e LH sono sintetizzati dalle cellule dette appunto gonadotrope dell’adenoipofisi. Queste cellule costituiscono il 10-15% del parenchima ghiandolare. L’hCG è prodotto dal corion e poi dalla placenta nel caso in cui un embrione si impianti nell’utero. Ha la funzione di prolungare, durante la gravidanza, l'effetto dell'LH sul corpo luteo. Tali ormoni sono presenti sia nella femmina che nel maschio (ad eccezione dell’hCG, per ovvie ragioni) ed hanno funzioni essenziali sullo sviluppo, la maturazione, il mantenimento delle funzioni delle ovaie e dei testicoli. FSH ed LH vengono secreti sotto stimolazione del GnRH che è l’ormone di rilascio ipotalamico delle gonadotropine (detto anche "LHRH") secreto nell’eminenza mediana dell’ipofisi e prodotto nei nuclei arcuati dell’ipotalamo (mediobasale). Il GnRH viene secreto in maniera pulsatile (con periodo di 1-3 ore), ciò comporta una oscillazione dei livelli ematici anche di LH e FSH (anche se quest’ultimo ha oscillazioni minori). Una volta che si è verificata la fecondazione, più zigoti vengono impiantati nell’utero e si attende che almeno uno di questi sopravviva e si sviluppi. Tale tecnica viene utilizzata in tutte quelle coppie con un’infertilità dovuta ad un fattore maschile medio/severo, quindi con una concentrazione spermatica inferiore a 10 milioni di spermatozoi ed una motilità progressiva inferiore al 25 %, e in tutte le coppie che hanno avuto un ciclo precedente FIVET con fallita fertilizzazione o con un tasso di fertilizzazione inferiore al 25 %. Ci sono migliaia di bambini nati nel mondo con l’ICSI e che sono seguiti nella loro crescita fin dalla nascita. A tutt’oggi non è stato dimostrato un aumento dei difetti di crescita in questi bambini. I tassi di fertilizzazione con la tecnica ICSI nella maggior parte dei centri di sterilità è di circa il 50-70 % degli ovociti iniettati. Le percentuali di gravidanza con la fecondazione in vitro con l’ICSI sembrano essere superiori a quelle ottenute con la fecondazione in vitro senza l’utilizzo della ICSI. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che l’età delle donne sottoposte a ICSI è relativamente più bassa se confrontata a quella di donne che si sottopongono ad un ciclo FIVET per motivi diversi dall’infertilità dovuta a fattore maschile severo.

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Naturalmente la percentuale di fertilizzazione e gravidanza può variare nei singoli casi, in base alla tecnica utilizzata, alla esperienza dell’operatore che esegue l’ICSI, alla qualità del laboratorio di embriologia come anche alla abilità dell’operatore che esegue l’embrio-transfer. In alcuni casi selezionati, l’apertura della zona pellucida (assisted hatching) viene eseguita sugli embrioni lo stesso giorno del transfer, allo scopo di ottimizzare il loro potenziale di impianto. In alcuni casi si ricorre alla criobiologia, cioè un certo quantitativo di gameti, sia maschili che femminili, vengono congelati per poi essere utilizzati quando particolari condizioni patologiche saranno state eliminate. Talvolta la sconfitta di una malattia può avere come severa conseguenza l’incapacità di produrre gameti e da qui l’utilizzo di quelli congelati e conservati in apposite banche, dette banche del seme. Oggi come oggi si sono registrate più di 300 mila nascite ottenute con la fecondazione assistita. Una volta che l’ovulo è stato fecondato, lo zigote trascorre la sua prima settimana di vita nella tuba. Durante tale periodo, la cellula costituente lo zigote va incontro ad una serie di divisioni mitotiche che comportano una diminuzione del volume di ogni singola cellula senza un aumento del volume totale. Tale fase prende il nome di segmentazione e la forma assunta dalla massarella di cellule è così caratteristica che in tale periodo lo zigote viene detto morula. Dalla massarella cellulare, serie di migrazioni creano una cavità, ed è possibile già distinguere due popolazioni cellulari, la prima quella che formerà il trofoblasto, cioè la struttura atta a nutrire l’embrione, e le cellule che formeranno l’embrione vero e proprio.

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32-L’Impianto dello Zigote La vagina è la struttura dell’apparato genitale femminile atta ad accogliere il pene durante il rapporto sessuale. La vagina produce un muco lubrificante. La sua mucosa, al microscopio, è ricca di batteri, definiti batteri vaginali residenti, tra i quali vi sono i difteroidi, Staphylococcus epidermidis, Streptococchi di varie specie, Escherichia coli, vari batteri anaerobi, Candida albicans (un fungo, o meglio un lievito, presente nella vagina del 25 % delle donne asintomatiche). Il pH della vagina è di circa 4.0, e tale valore impedisce una massiva proliferazione della popolazione batterica residente. Il pH basso è mantenuto grazie all’azione di un altro batterio, il Lactobacillus acidophilus, che utilizzando glicogeno produce acido lattico che fa abbassare il pH. Se il pH subisce variazioni, ed aumenta stabilizzandosi intorno a 5.0, i batteri presenti iniziano a moltiplicarsi provocando una vaginite. Alcune patologie dell’apparato riproduttivo femminile possono essere diagnosticate preventivamente utilizzando vari metodi, come l’ecografia, la colposcopia (ideata da Hans Hinselmann) e il Pap-test. Il Pap-test consiste nella prelievo di una piccola quantità di muco secreto a livello della cervice uterina, utilizzando un’apposita spatola, e dall’esame delle cellule in esso presenti. Tale test è in grado di diagnosticare rapidamente l’esistenza o meno di cancro alla cervice uterina. Il Pap test (o citologia cervicovaginale) è un esame citologico che indaga le alterazioni delle cellule del collo dell'utero. Il suo nome deriva dal medico greco-americano Georgios Papanicolaou, il padre della citopatologia, che sviluppò questo test per la diagnosi rapida dei tumori del collo dell'utero. Da allora il Pap test è rimasto pressoché invariato, e solo in anni recenti è stato aggiornato con lo sviluppo della citologia in fase liquida. Il Pap test è un test di screening, la cui funzione principale é quella di individuare nella popolazione femminile donne a rischio di sviluppare un cancro del collo uterino. Inoltre il Pap test può dare utili indicazioni sull'equilibrio ormonale della donna e permettere il riconoscimento di infezioni batteriche, virali o micotiche. Per l'esecuzione del Pap test viene prelevata una piccola quantità di cellule del collo dell'utero con una spatolina (spatola di Aire) o una spazzolina cervicale. Nel pap test convenzionale le cellule vengono quindi strisciate su un vetrino per l'esame di laboratorio. Nel pap test in fase liquida una macchina provvede ad allestire un preparato a "strato sottile". Indipendentemente dal tipo di allestimento, le cellule vengono quindi colorate secondo il metodo di Papanicolau ed esaminate al microscopio da un citologo o patologo che provvederà a stilare un referto. Il prelievo deve essere effettuato lontano da rapporti sessuali, dalle mestruazioni, dall'impiego di irrigatori vaginali, ovuli o candelette. L'esame può essere effettuato anche durante la gravidanza. Il Pap test non è indicato per la individuazione dei tumori dell'endometrio o di altri organi dell'apparato genitale femminile. Per quanto complessivamente il Pap test si sia dimostrato estremamente efficace nel ridurre la frequenza del cancro invasivo del collo dell'utero, come tutte le tecniche di screening presenta dei limiti intrinseci alla metodica. In particolare la sensibilità del Pap-test viene valutata in circa 60-70%. Questo significa che sono possibili falsi negativi, cioè test negativi nonostante

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la presenza di un tumore, ma anche falsi positivi, cioè casi in cui il risultato positivo del test non viene confermato da successive indagini. Nel prossimo futuro, il ruolo del pap test nella prevenzione dei tumori del collo uterino è sicuramente destinato a cambiare. La scoperta che la maggior parte dei tumori del collo uterino sono dovuti al virus del papilloma umano (HPV) ha portato allo sviluppo di tecniche diagnostiche biomolecolari caratterizzate da una sensibilità elevata (superiore al 95%) che ne ha fatto prospettare l'utilizzazione come metodica di screening. Ancora discusso è tuttavia il problema della relativa specificità delle tecniche biomolecolari di tipizzazione dell'HPV. Un’altra importante zona del corpo femminile da esaminare è il seno. L’auto-esame del seno consiste nella palpazione del seno e nell’individuare eventuali noduli, indizio di cancro al seno. L'autoesame della mammella è una tecnica diagnostica utilizzata per rivelare la presenza di eventuali tumori della mammella. Questo esame è consigliato a tutte le donne di età superiore ai 30 anni, sono sufficienti una decina di minuti ogni mese e la sua corretta esecuzione può essere appresa dal medico o da altra persona esperta. È consigliabile apprendere la tecnica da una persona già esperta oppure dal proprio medico. Il periodo corretto per l'esecuzione dell'esame è l'inizio delle mestruazioni. La mammella è un organo ghiandolare che secerne il latte. Si tratta della struttura caratterizzante l'intera classe dei mammiferi. La mammella è un organo pari (due nell'uomo) e simmetrico, posto nella regione anteriore del torace, ai lati della linea mediana, localizzate tra il terzo e il sesto spazio intercostale. L'organo è costituito in parte da tessuto cutaneo, in parte da strutture ghiandolari: nel complesso queste componenti costituiscono la ghiandola mammaria. Le mammelle sono strutture che, fino al periodo della pubertà, sono sviluppate allo stesso modo in entrambi i sessi. Nella pubertà lo sviluppo della mammella maschile si interrompe. La struttura femminile, invece, subisce un notevole sviluppo. La dimensione e la forma dell'organo femminile è molto variabile. Ciò è principalmente dovuto alla quantità di tessuto adiposo presente ed alla sua localizzazione. Con il termine seno ci si riferisce allo spazio compreso tra le mammelle. Nel linguaggio comune, questo termine viene spesso usato in riferimento all'organo stesso. Va però precisato che tale termine, in riferimento alla mammella femminile, risulta essere errato, poiché il termine indica una concavità. La mammella femminile può essere idealmente suddivisa in quattro quadranti, costituiti da due linee perpendicolari che si intersecano presso il capezzolo. Più nel dettaglio, il tessuto mammellare è composto da: -

una componente ghiandolare, (15-20 lobi, ognuno dei quali ha uno sbocco verso il capezzolo attraverso un dotto galattoforo);

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una componente di tessuto adiposo, in cui sono concretamente inserite ed immerse le strutture ghiandolari;

-

una componente fibrosa di sostegno, che genera suddivisioni tra le diverse appendici ghiandolari.

Presso l'apice della mammella, si trova una sporgenza esterna di forma conica nota come capezzolo. Nella regione apicale, il capezzolo presenta strutture note come pori lattiferi, 15-20 forellini che costituiscono lo

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sbocco dei dotti galattofori. Esso è circondato dall'areola, una regione circolare pigmentata avente diametro di 3-5 cm. L'areola è costituita da piccole sporgenze, generate dalla presenza sottostante di ghiandole sebacee. Sia il capezzolo che l'areola sono dotati di fibre muscolari lisce che ne permettono la contrazione. La contrazione genera l'erezione del capezzolo ed il corrugamento dell'areola. Ciò permette, nel periodo dell'allattamento, un agevole deflusso del latte. Il latte è il nutrimento che, in seguito al parto, la madre fornisce al neonato. Il secreto della ghiandola mammaria è, inizialmente, una sostanza amarognola particolarmente ricca di proteine, detta colostro. Successivamente ha inizio la secrezione di latte vero e proprio. La mammella subisce notevoli modificazioni durante la gravidanza. L'areola, infatti, assume una colorazione più scura ed aumenta di diametro. Ciò è legato essenzialmente all'azione degli ormoni gonadotropi e, successivamente, dalla prolattina. La consistenza, poi, aumenta notevolmente in seguito al parto, durante il periodo dell'allattamento. Le mammelle divengono più turgide durante il periodo mestruale e, in maniera più o meno evidente, in seguito all'eccitazione della donna. L'invecchiamento porta invece ad un progressivo calo di volume della mammella. La mammella maschile è decisamente meno sviluppato di quello femminile. Nel maschio la mammella è costituita da un piccolo rilievo, con una piccola areola ed un piccolo capezzolo (Silloide). La struttura ghiandolare sottostante, è composta da un numero ridotto di strutture alveolari prive di lume. Esistono dotti lattiferi, ma sono brevi e privi di vere e proprie ramificazioni. Durante l'adolescenza, in ogni caso, può esserci un aumento anche delle dimensioni della mammella maschile (ginecomastia puberale). Tale aumento, in realtà, è seguito solitamente da una regressione in un tempo breve (uno-due anni). L’ovocellula e lo spermatozoo si fondono per formare lo zigote. Lo stadio successivo è quello di morula, segue poi la blastula, la formazione dell’area embrionale, la gastrula. Dalla gastrula avranno origine tre popolazioni cellulari differenti che costituiranno l’ectoderma, il mesoderma e l’entoderma. Da queste tre strutture avranno infine origine le 646 popolazioni cellulari differenti di un individuo completo. Nello stadio di blastula, iniziano a differenziarsi due popolazioni cellulari: una formante l’involucro e l’altra l’area embrionale, da cui avrà origine l’embrione vero e proprio. Se si formassero due aree embrionali si avrebbe la formazione di due embrioni distinti, ovvero di due gemelli omozigotici. L’involucro nel quale si sviluppa l’area embrionale viene detto trofoblasta. Tra l’area embrionale e il trofoblasta è presente una terza popolazione cellulare, formante il citotrofoblasta. Quando avviene l’impianto tali strutture secernono la gonadotropina corionica, o HCG, un ormone in grado di stimolare il copro luteo a continuare nella produzione di progesterone. In assenza del HCG il corpo luteo va in involuzione trasformandosi in corpus albicans. I test di gravidanza si basano proprio sulla presenza o meno di HCG. Le cellule del trofoblasta al di sotto dell’area embrionale, una volta avvenuto l’impianto, si uniscono formando il sinciziotrofoblasta. Tale struttura si inserirà sempre più profondamente nella parete uterina, fino a raggiungere la circolazione materna, assicurando così all’area embrionale un corretto afflusso di nutrienti. Il periodo temporale in cui avviene l’impianto è definito window of implantation. Lo zigote espone antigeni materni e paterni, quindi per metà è non-self, e il sistema immunitario materno tenderebbe a distruggerlo. Durante la fase dell’impianto il sistema immunitario della madre è represso,

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ovvero non si attiva innescando una risposta immunitaria e causando l’aborto. I linfociti TH1 e TH2 sono i responsabili dell’attivazione dei macrofagi tissutali. Al momento dell’impianto, il TH2 (CD30+) produce interleuchina 10 (IL 10), che inattiva il TH1 (CD30-), che a sua volta non attiva i macrofagi. L’IL 10 è prodotta anche dalle cellule del sincizio trofoblasto. Le cellule del sincizio devono essere anche in grado di resistere agli attacchi dei linfociti NK, che potrebbero indurre la necrosi di tale struttura. Le cellule del sincizio inattivano l’NK producendo delle proteine (Ib, HLA-G, HLA-E) che si uniscono ai killer inhibitory receptors (KIR), inibendo l’azione dell’NK. Il TH1 produce INT-γ che inibisce l’azione attivante del TH2. Anche le cellule dell’utero prossime alla sede di impianto producono alcuni fattori che inibiscono la risposta immunitaria. Tali fattori sono i LIF o leukenia inhibitory factors. Tali proteine (LIF-D, LIF-M, LIF-T) si legano ad una particolare proteina presente sulla membrana plasmatica del sinciziotrofoblasta, la gp130, e ne impediscono la distruzione da parte del sistema immunitario. Le interleuchine costituiscono la base del dialogo embrionemadre. Infatti l’IL-6 favorisce il pre-impianto, l’IL-11 stimola l’endotelio materno e l’IL-1 gioca un ruolo centrale nell’annidamento. Ma vi sono ancora tutta una serie di altre proteine, come: -

CSF o colony stimulating factor;

-

TGF family, TGF-β1, -β2, -β3 e –β4, Mϋllerian inhibitory factor, inhibine, activine;

-

EDF family, EGF, TGF-α, HB-EGF, amfiregulina;

-

Glicodelina.

L’adesione del sinciziotrofoblasta alle cellule limitrofe avviene grazie alla presenza di molecole di adesione cellula-matrice extracellulare, le integrine, una famiglia di proteine caratterizzata dalla unione di due catene polipeptidiche, dette l’una α l’altra β.

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33-La Gastrula Da una singola cellula prenderanno origine tutte le varie popolazioni cellulari che formano un organismo completo. Le varie cellule dell’area embrionale si andranno man mano a differenziarsi e, attraverso opportune migrazioni, si sposteranno da una zona all’altra. Tali cellule devono in primo luogo sapere dove andare (informazione posizionale) e poi cosa fare (informazione differenziativa). Già nelle prime fasi della segmentazione si attivano dei particolari geni, circa 40, definiti geni architetti. Sono questi i geni che disegneranno i singoli piani del corpo e che regolano la posizione di formazione dei vari organi nello spazio. Il sacco nel quale è racchiusa l’area embrionale forma una cavità detta blastocele. Le cellule dell’area embrionale si differenziano immediatamente in ectoderma ed entoderma. L’entoderma, in seguito ad estroflessioni, formerà il sacco vitellino, mentre le cellule dell’ectoderma formeranno l’amnios, che genera la cavità amniotica. Il sacco vitellino è il primo elemento visibile nel sacco gestazionale durante la gravidanza, di solito intorno alle 5 settimane di gestazione. Lo si vede abbastanza chiaro agli ultrasuoni, ed è riconoscibile fin dall'inizio in modo affidabile. Il sacco vitellino è situato sulla parte ventrale dell'embrione; è rivestito dall'endoderma, fuori dal quale si trova uno strato di mesoderma. É riempito di fluido, il fluido vitellino, che può anche essere utilizzato per il nutrimento dell'embrione durante i primi stadi della sua esistenza. Il sangue è trasportato verso la parete del sacco dall'aorta primitiva, e dopo aver circolato attraverso l'abbozzo del sistema circolatorio, è riportato dalle vene vitelline al tubo cardiaco dell'embrione. Questo circolo costituisce la circolazione vitellina, e attraverso di esso le sostanze nutritizie sono assorbite dal sacco vitellino e convogliate all'embrione. Alla fine della quarta settimana il sacco vitellino presenta l'aspetto di una vescicola a forma di pera (vescicola ombelicale) aperta nel tubo digestivo con un tubo lungo e stretto, il dotto vitellino. Dopo la nascita la vescicola appare come un piccolo annesso, qualcosa di forma ovaloide il cui diametro varia da 1 a 5 mm; è situato tra l'amnios e il corion e può trovarsi sulla placenta o essere ad una distanza variabile da essa. Solitamente il dotto subisce una completa obliterazione durante la settima settimana, ma circa nel 3% dei casi, la sua parte prossimale persiste come un diverticolo del piccolo intestino, il diverticolo di Meckel, situato circa trenta centimetri al di sopra della valvola ileocecale, e può connettersi con una corda fibrosa alla parete addominale e all'ombelico. A volte un restringimento del lume dell'ileo è visibile dalla parte opposta al sito di attacco del dotto. Il sacco vitellino inizia a formarsi durante la seconda settimana dello sviluppo embrionale, contestualmente alla costituzione della vescicola amniotica. L'ipoblasto inizia a proliferare lateralmente ed inizia poi a scendere verso il basso. Nel frattempo la membrana di Heuser, posta sul polo opposto della vescicola in formazione inizia la sua proliferazione verso l'alto e si incontra con l'ipoblasto. Quest'ultimo continua però per un certo tratto la sua discesa. Si è così costituito il sacco vitellino. Il sacco vitellino primario è la vescicola costituitasi nella seconda settimana, il suo pavimento è costituito dalla membrana di Heuser e la sua volta dall'ipoblasto. La prima trasformazione del sacco vitellino primario in

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secondario è determinata dalla delaminazione del magma reticolato che riveste esternamente il sacco; questo evento porta ad una strozzatura nella sua parte terminale, nella zona di connessione tra ipoblasto e membrana esocelomica di Heuser. Le due parti si distaccano e quella inferiore, di dimensioni minori, costituisce una cisti che verrà presto riassorbita. La parte superiore è adesso rivestita solo dall'ipoblasto. Il sacco vitellino definitivo appare durante la quarta settimana di sviluppo, quando avviene la determinazione delle superfici embrionali, il sacco vitellino subisce esternamente la pressione della piega cefalica, della piega caudale e delle pieghe laterali. Una piccola porzione del sacco, nella parte superiore, viene a costituire il tubo intestinale. La parte immediatamente inferiore, invece, forma il mesentere ventrale. La parte più distale costituisce una piccola vescicola, che è ciò che resta del sacco vitellino. L'amnios è un annesso embrionale che forma una sacca membranosa che circonda e protegge l'embrione. Nell'embrione umano gli stadi più precoci della formazione dell'amnios non sono stati osservati; nel più giovane embrione studiato l'amnios era già presente in forma di una sacca chiusa apparendo nella massa cellulare interna come una cavità. Questa cavità presenta in alto un singolo strato di cellule ectodermali appiattite, l'ectoderma amniotico, mentre il pavimento è costituito dall'ectoderma prismatico del disco embrionale. Esternamente all'ectoderma amniotico vi è uno strato sottile di mesoderma, in continuità con quello appartenente alla somatopleura ed è direttamente connesso con linea mesodermica del corion. La sua formazione è imputabile principalmente alla secrezione attiva da parte della membrana amniotica, alle vie urinarie del feto ed a quelle respiratorie, oltre che ad altri organi fetali. Poiché l'amnios è continuamente ricambiato, il suo riassorbimento avviene per mezzo degli apparati respiratori del feto, per deglutizione o per intermediazione della membrana amniotica stessa. Appena formatosi, l'amnios è in contatto con il corpo dell'embrione ma, dopo circa quattro-cinque settimane ha inizio l'accumulo del liquido amniotico che aumentando in volume provoca l'espansione dell'amnios sino a farlo aderire alla superficie interna del corion. La rottura dell'amnios normalmente avviene a termine di gravidanza, ma può succedere che avvenga anticipatamente, portando complicanze per la madre (rischio di infezioni e distacco della placenta) e per il nascituro (oligoidramnios, prematurità, infezioni, sofferenza fetale). La quantità di liquido amniotico aumenta fino al sesto-settimo mese di gravidanza, prima di diminuire lievemente; alla fine della gravidanza la quantità di liquido sarà pari a circa 800 ml. La presenza del liquido consente libertà di movimento al feto durante gli ultimi stadi della gravidanza, riducendo nel contempo il rischio di danni e traumi: esso ha quindi una funzione sia meccanica, come visto, ma ha altresì una funzione immunologica e biochimica. Nel liquido amniotico vi è anche una parte solida (circa 1%), costituita di urea, sali inorganici, una piccola quantità di proteine , tracce di zuccheri e ormoni, oltre ad un accumulo di cellule esfoliate derivate dall'epitelio del feto e dalle sue mucose. Normalmente l’impianto avviene nella zona compresa tra due ghiandole endometriali. Il sinciziotrofoblasta, attraverso un’intensa attività litica, distrugge le cellule dell’endometrio sottostante e raggiunge la circolazione sanguigna materna. Nel frattempo l’area di impianto dello zigote scompare poiché questi si infiltra sempre più nell’endometrio materno, ed è proprio qui che si svilupperà e crescerà. A partire dal 7°

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giorno il sinciziotrofoblasta cerca di raggiungere la circolazione materna, e forma delle strutture sinusoidali che verranno poi riempite dal sangue. Intorno al 21° giorno si saranno già formati i villi, strutture addette al mantenimento della comunicazione tra circolazione materna e circolazione fetale, evitando però la commistione delle due circolazioni. Dall’ectoderma avrà origine il mesoderma. I tre foglietti embrionali, ectoderma, entoderma e mesoderma daranno origine a tutti i vari citotipi del corpo umano. Dall’ectoderma avranno origine la pelle e il sistema nervoso, sia centrale che periferico. Dal mesoderma avranno origine le ossa e i muscoli, mentre dall’entoderma tutti gli organi che si trovano nelle cavità. Già nei primissimi tempi, si differenziano le cellule germinative primordiali che poi migrando formeranno le gonadi. In tali cellule si attivano i cosiddetti geni egoisti, cioè geni che utilizzano le cellule come mezzo per assicurarsi la propria sopravvivenza, ed è inoltre da notare come il singolo organismo, ancora incompleto, già si preoccupi di assicurarsi una futura discendenza con la differenziazione di tali cellule. Da una singola cellula avranno origine tutte le varie cellule di un individuo completo, che svolgono funzioni differenti. Tale processo di perdita e di acquisizione di particolari caratteristiche sia morfologiche che funzionali prende il nome di differenziamento. Secondo Weiss, in una cellula STEM avviene un primo differenziamento a livello di espressione genica e quindi detto invisibile. Al differenziamento invisibile segue il citodifferenziamento, cioè un differenziamento a livello morfologico. L’ultimo stadio è quello dell’istodifferenziazione, cioè cellule simili si uniscono tra di loro formando un particolare tipo di tessuto e svolgendo una particolare funzione. Tutto ciò avviene su un campo morfogenetico che contiene dei segnali che indicano alle varie cellule cosa fare e dove andare. Tali segnali influenzano l’espressione di particolari geni, attivandoli, disattivandoli oppure modulando la loro espressione. Hans Spemann fu uno dei primi ad occuparsi del problema del differenziamento. Studiando l’embrione dell’anfiosso notò che un particolare tipo di cellule, presenti sul labbro dorsale dell’embrione, induceva altre cellule a differenziarsi come cellule nervose, dando origine al sistema nervoso centrale. Spemann rimosse tali cellule e le impiantò su un altro embrione di anfiosso. Come era immaginabile, l’anfiosso da cui erano state prelevate le cellule del labbro dorsale non sviluppava il sistema nervoso centrale, mentre sull’embrione sul quale si erano impiantate le altre cellule si erano sviluppati due sistemi nervosi centrali. Per tali studi Spemann vinse il premio Nobel. Tale scoperta diede origine ad una vera e propria scuola di pensiero, secondo la quale: -

Esistono molecole induttrici che regolano lo sviluppo;

-

Queste molecole possono regolare il differenziamento;

-

È possibile cambiare il destino di una cellula.

Un altro esperimento a supporto di tale pensiero è il trapianto di cellule embrionali dei bronchi di topo sulla trachea. Infatti dalla trachea, normalmente, non si dipartono rami bronchiali, ma a seguito del trapianto, si

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nota da subito la formazione di rami bronchiali, quindi tali cellule contengono dei fattori che inducono la mitosi e lo spostamento. Tali fattori vengono definiti fattori di crescita e ne sono stati individuati alcuni, come il GCS factor per la crescita dei neutrofili, l’FGF dei fibroblasti, EGF dell’epitelio, l’NGF dei neuroni, il PDGF delle piastrine e il BMP dell’osso. Il termine fattore di crescita (spesso usato nella forma inglese growth factor o col termine generico di ormone della crescita) si riferisce a proteine capaci di stimolare la proliferazione e il differenziamento cellulare. Sono tipiche molecole segnale usate per la comunicazione tra le cellule di un organismo. La funzione principale dei fattori di crescita è il controllo esterno del ciclo cellulare, mediante l'abbandono della quiescenza cellulare (fase G0) e la entrata della cellula in fase G1 (di crescita). Ma questa non è la loro unica funzione infatti regolano l'entrata in mitosi, la sopravvivenza cellulare, la migrazione e il differenziamento cellulari. Insieme alla proliferazione essi promuovono sempre contemporaneamente il differenziamento e la maturazione (infatti una proliferazione senza differenziamento significa l'insorgenza d'un tumore). I singoli fattori

di crescita

tendono

a

raggrupparsi

in

larghe

famiglie di

proteine strutturalmente

ed

evoluzionisticamente simili. Sono famose, ad esempio, le famiglie del TGF-beta (fattore di crescita trasformante), BMP (proteina morfogenetica dell'osso), neurotrofine (NGF, BDNF e NT3), FGF (fattore di crescita dei fibroblasti), e così via. Altri fattori di crescita abbastanza conosciuti sono: -

Granulocyte-colony stimulating factor (G-CSF);

-

Granulocyte-macrophage colony stimulating factor (GM-CSF);

-

Nerve growth factor (NGF);

-

Neurotrofine;

-

Platelet-derived growth factor (PDGF): Localizzato nelle piastrine e rilasciato dai granuli-α delle stesse sotto diversi stimoli. È prodotto anche dai macrofagi. Inoltre, interviene nella stabilizzazione dei vasi sanguigni neoformati, reclutando fibre muscolari lisce;

-

Eritropoietina (EPO);

-

Trombopoietina (TPO);

-

Miostatina (GDF-8);

-

Growth Differentiation factor-9 (GDF9);

-

basic fibroblast growth factor (bFGF or FGF2);

-

Epidermal growth factor (EGF): Fattore di crescita dell'epidermide, è induttore della mitosi e lo si può ritrovare in differenti liquidi biologici. Si lega al recettore EGFR solitamente noto anche come ERB-B1;

-

Hepatocyte growth factor (HGF);

-

Vascular Endotelium Growt Factor (VEGF): Fattore di crescita dell'endotelio vascolare, è implicato in processi come infiammazione, angiogenesi, cellule ischemiche. Ne esistono differenti tipi come: VEGF A, B, C, D, E i quali si legano a recettori come VEGFR 1, 2, 3 i quali hanno

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localizzazioni differenti e legano differenti VEGF. Il VEGF, induce aumento della permeabilità dei capillari sanguigni, comportando la formazione di edema; -

TGF-α: Fattore di crescita trasformante-α implicato in quasi tutti i tumori. Si lega allo stesso recettore dell'EGF ed esercita gli stessi effetti;

-

TGF-β: Fattore di crescita trasformante-β, è prodotto da piastrine, macrofagi, linfociti. È sintetizzato in due forme, una latente ed una attiva. La forma attiva, si lega prima al recettore 2 formando un complesso stabile primario, il quale si lega al recettore 1, formando il complesso stabile secondario, il quale comporta la fosforilazione dei fattori di trascrizione SMAD tra i quali: SMAD 2 e 3, che poi si legano al fattore di trascrizione SMAD 4. Ne risulta un eterodimero che è capace di entrare all'interno del nucleo e favorire o inibire l'attivazione genica. Il TGF-β, determina l'aumento di concentrazione di fattori inibenti le CDK, comportando il blocco del ciclo cellulare. Inoltre, interviene nella stabilizzazione dei vasi sanguigni neoformati, reclutando proteine matricellari.

Secondo Wolpert, nel processo di differenziazione, oltre ad un controllo genetico, esiste anche un controllo epigenetico, rappresentato dalla posizione informazionale, cioè le cellule sono in grado di attivare o disattivare geni rilevando la loro posizione nello spazio. Una cellula indifferenziata va incontro prima ad una serie di processi mitotici, poi decide di migrare. Durante tale fase è probabile che alcune cellule siano inutili al fine di un corretto sviluppo e vanno in apoptosi. Raggiunto il loro obbiettivo finale le cellule si differenziano definitivamente e iniziano a svolgere la propria funzione. I fattori che possono innescare la migrazione sono molteplici come l’ECM, molecole diffusibili, gap-junction o il contatto diretto. Inoltre anche particolari forze, come forze di stiramento e pressione possono indurre la migrazione. Le cellule riescono a muoversi nello spazio grazie ad una particolare struttura citoscheletrica, il lamellopodio. Il lamellopodio è formato da una superficie di ancoraggio, da un uropodio che funge da propulsore e da citoscheletro che è il motore dell’intero sistema. quando una cellule sta per spostarsi, dalla sua membrana plasmatica si dipartono dei pseudopodi trattori, che formano delle placche di ancoraggio. Tali pseudopodi, per ottimizzare la loro funzione, secernono una particolare sostanza che li fa aderire perfettamente alla matrice. Quando poi deve avvenire il disancoraggio, viene secreto un particolare solvente che permette ai pseudopodi di staccarsi. Le cellule in migrazione seguono una traiettoria, segnalata da particolari sostanze chimiche sparse sulla matrice, i morfogeni. Soltanto quelle cellule in grado di captare quel particolare tipo di morfogeno seguirà quella traiettoria. Per evitare che le cellule che seguono possano perdere la traccia chimica, le prime cellule che hanno captato i morfogeni rilasciano una traccia di sub-morfogeni. Quando poi tali sub-morfogeni non vengono più prodotti la migrazione si arresta. Generalmente le cellule migrano sempre in gruppo, ed in tale gruppo singole cellule svolgono dei ruoli diversi: -

Le cellule analizzatrici analizzano la presenza di morfogeni e producono sub-morfogeni per le cellule che seguono;

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-

Le cellule marginatrici evitano che eventuali cellule possano scappare dalla mandria, evitando così impianti ectopici;

-

Le cellule cancellatrici sono quelle cellule che rimuovono i sub-morfogeni, arrestando così la migrazione di cellule successive.

I morfogeni sono quindi dei binari molecolari, che indicano alle cellule dove andare. Quando una cellule perde il proprio stadio di differenzazione diventa una cellula tumorale ed è in grado di moltiplicarsi e di generare metastasi. Una cellule normale, a seguito di un cambiamento genetico, perde il proprio stadio differenziativo e inizia a moltiplicarsi, invadendo le aree limitrofe. La crescita della massa tumorale implica anche una nuova angiogenesi, e se una cellule tumorale riesce ad entrare nel torrente circolatorio potrà formare metastasi in altre aree del corpo. Generalmente quando una cellula subisce gravi danni al proprio materiale genetico e inizia a perdere il proprio stadio differenziativo va incontro al processo di anoikis, cioè l’apoptosi risultante dalla perdita delle interazioni cellula-matrice. L’anoikis è quindi una barriera fisiologica alle metastasi. Quando una cellula tumorale resiste a tale processo apoptotico è probabile che possa generare un cancro e poi metastasi. Alcuni studi hanno messo in evidenza il ruolo del recettore neurotrofico TrkB nella soppressione dell’anoikis e nell’induzione di metastasi. TrkB è un recettore tirosina chinasi ed è un potente e specifico soppressore delle caspasi associate ad anoikis di cellule epiteliali non maligne. Alcuni studi hanno rilevato il potente effetto oncogenico di TrkB e la sua funzione volta a favorire la sopravvivenza cellulare. Ciò potrebbe contribuire ad aumentare la capacità di insorgenza di metastasi, suggerendo che una sovraespressione di TrkB può aumentare la natura aggressiva dei tumori umani. Un altro fattore responsabile del controllo della crescita è il BDNF, ovvero il brain derived nerve factor. Tale fattore appartiene alla famiglia delle neurotrofine, come l’NGF (nerve growth factor), NT-3 (neurotrofina-3), NT4/5 (neurotrofina 4/5), NT-6 (neurotrofina-6). BDNF è uno dei più importanti fattori endogeni per il controllo della sopravvivenza, della crescita e della differenziazione di certe popolazioni di neuroni sia nel sistema nervoso centrale che in quello periferico. Il recettore per BDGF è una proteina di circa 135 kDa, associato con una proteina ad attività tirosina chinasi. L’attività di chemiotassi è completamente bloccata dalla protamina sulfata, un inibitore del recettore del BDGF. Il feocromocitoma è un tumore raro della midollare del surrene. Il feocromocitoma è un raro tumore che secerne catecolamine, derivante dalle cellule cromaffini, sito più spesso a livello dei surreni. Dato il ruolo delle catecolamine nella tonicità dei vasi, il feocromocitoma può precipitare l'ipertensione arteriosa e le aritmie cardiache. La clinica quindi si avvale di segni come l'ipertensione, le palpitazioni, la diaforesi (sudorazione eccessiva). La diagnosi si sospetta clinicamente e laboratoristicamente, ma la conferma avviene con l'imaging TC. L'80% dei pazienti con feocromocitoma benigno risponde adeguatamente al trattamento chirurgico. Laddove non è possibile un intervento chirurgico, si trattano le crisi ipertensive con nitroglicerina e derivati. In caso

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di feocromocitoma maligno con metastasi MIBG responsive, il trattamento si avvale del MIBG (25% di successo). Se le cellule tumorali del feocromocitoma vengono trattate con NGF si assiste non solo ad una diminuzione del ritmo di crescita, ma anche al differenziamento di tali cellule in cellule nervose. Quando la somministrazione di NGF termina, le cellule regrediscono a tumorali e la crescita riprende. Tali studi dimostrano che con particolari sostanze è possibile cambiare il destino di una cellula.

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34-I Tre Foglietti Le cellule dell’area embrionale immediatamente si differenziano in due popolazioni: -

Quelle che formeranno l’ectoderma;

-

Quelle che formeranno l’entoderma.

Tali cellule si dispongono formando due foglietti con una faccia sovrapposta all’altra. I due foglietti si ripiegano formando due cavità: l’entoderma ripiegandosi forma il sacco vitellino e l’ectoderma la cavità amniotica, circondata dall’amnios. Sulla superficie di contatto delle cavità, precisamente dal lato dell’ectoderma, si forma un agglomerato di cellule detto nodo di Hansen. Tale nodo inizia a spostarsi da un polo all’altro, e durante la migrazione lascia dietro di se un solco o linea primitiva. In tale solco precipitano alcune cellule dell’ectoderma, che si spostano dal centro verso i margini. In questo modo si ha la formazione di un altro foglietto, il mesoderma. Quindi il mesoderma ha origine ectodermale. Dai tre foglietti, ectoderma, mesoderma ed entoderma, avranno origine rispettivamente la pelle e il sistema nervoso, le ossa e i muscoli, gli organi presenti nelle cavità. Un gruppo di cellule del mesoderma si organizza a formare una corda, che prende il nome di notocorda. La notocorda è una struttura flessibile a forma di tubo che si riscontra in tutti gli embrioni dei cordati. La notocorda è disposta sotto la superficie ventrale del tubo neurale. La notogenesi è la formazione della notocorda a partire dalle cellule dell'epiblasto che costituiscono il pavimento dell'amnios. Nell'uomo (ma i passaggi sono gli stessi degli altri vertebrati) al 16° giorno di sviluppo, subito dopo che cellule invaginate dell'epiblasto hanno invaso l'ipoblasto formando l'endoderma embrionale, inizia un secondo processo di invaginazione che porta uno strato di cellule ad interporsi tra l'epiblasto, che finiti i processi di gastrulazione viene detto ectoderma embrionale, e l'endoderma. Alcune di queste cellule che si invaginano dal nodo di Hansen migrano verso la membrana faringea in linea retta formando un cordone chiamato processo cefalico o processo notocordale. Questo cordone inizierà a cavitarsi. Circa al 17° giorno la fossetta primitiva si prolunga all'interno del processo cefalico trasformandolo in un tubo e formando il cosiddetto canale cordale. Circa al 18° giorno il pavimento del processo cefalico si fonde con l'endoderma sottostante e si lacera mettendo in comunicazione amnios e sacco vitellino. In questo stadio il canale cordale (aperto) prende il nome di canale neurenterico e il processo cefalico è detto placca cordale. Al 19° giorno, circa, la placca cordale si richiude (arrotola) su se stessa formando un cordone pieno, che è detta notocorda o corda dorsale. Tale corda va dalla membrana faringea anteriormente fin quasi alla membrana cloacale posteriormente, come un'asse longitudinale per l'embrione. Nei vertebrati superiori si estende per tutta la lunghezza della futura colonna vertebrale e raggiunge anteriormente il mesencefalo, dove finisce come un uncino nella regione della futura sella turcica dello sfenoide. Vestigia dalla notocorda si trovano nel nucleo polposo dei dischi intervertebrali, ma non nei corpi delle vertebre da cui le cellule notocordali spariscono interamente. Nell'uomo, a 4 anni di

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vita, tutti i residui di notocorda sono sostituiti da una popolazione cellulare simile ai condrociti di origine incerta. È stato dimostrato che la regione anteriore della notocorda è in grado di indurre, nel sovrastante tubo neurale, le strutture del cervello, mentre la regione posteriore induce le strutture del midollo spinale. Se infatti si trapianta un pezzetto di notocorda cefalica in posizione caudale, si induce la formazione del cervello là dove dovrebbe esserci il midollo spinale. Il trapianto inverso ha avuto l'effetto opposto. La notocorda produce una proteina, la Sonic hedgehog (Shh), che è una chiave della regolazione dei processi di morfogenesi e organogenesi, inducendone precisi sviluppi in posizioni specifiche. È il gradiente di questa proteina (insieme ad altri agenti) che stabilisce la distribuzione spaziale delle strutture dell'embrione e dei futuri organi. La notocorda induce il foglietto ectodermico sovrastante ad invaginarsi. Dall’invaginazione nasce il tubo neurale, che diventerà il futuro midollo spinale. Il mesoderma ai lati della notocorda e del tubo neurale prende il nome di mesoderma parassiale. Il mesoderma parassiale, lungo tutta la lunghezza dell’embrione, si suddivide in somiti. Dai somiti avranno origine le ossa e i muscoli, nonché il derma, di quella determinata regione del corpo. Dal mesoderma parassiale deriva anche la microglia. Nei primissimi stadi di vita dell’embrione la sua età si esprime in somiti. I meccanismi molecolari che controllano tali processi sono ancora abbastanza oscuri. Tuttavia, alcuni studi hanno sottolineato l’importanza, nei vertebrati, del gene Wnt3a, che ha un importante ruolo nel controllare il corretto svolgimento delle fasi di segmentazione del mesoderma e di somitogenesi. Inoltre il periodo di segmentazione è controllato da periodiche oscillazioni di Notch, ma tali oscillazioni richiedono sempre la presenza di Wnt3a. Lo start alla segmentazione è stabilito da Wnt/β-catenina, segnalata tramite un meccanismo di feedback negativo. Ogni somita del mesoderma parassiale è suddiviso, andando dall’alto verso il basso, in: -

Dermatomo, zona le cui cellule formeranno il derma di tale regione del corpo;

-

Miotomo, zona le cui cellule formeranno i muscoli di tale regione del corpo;

-

Sclerotomo, zona le cui cellule formeranno le ossa di quella regione.

Saranno i somiti a generare gli arti a partire da primi abbozzi per poi estendersi man mano. Un rallentamento in tale processo può comportare la parziale o totale assenza di arti. Alcune malattie contratte dalla madre durante tale delicatissima fase o alcuni farmaci assunti (talidomite) possono provocare, come effetti collaterali, la paralisi del processo di somitogenesi con il riscontro di gravi anomalie ossee e muscolari degli arti. Nella formazione della colonna vertebrale, la notocorda gioca un ruolo molto importante, infatti tale struttura: -

Induce e mantiene attiva la proliferazione dello sclerotomo;

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-

Promuove la condrogenesi;

-

Ha un ruolo centrale nella segmentazione della colonna vertebrale.

Il meccanismo che differenzia le cellule del somita in sclerotomo, dermatomo e miotomo è regolato dalla presenza o meno di determinati GAGs nella matrice extracellulare limitrofa. Alcuni studi hanno rilevato che già nei primissimi stadi la matrice extracellulare del somita è ricca di: fibronectina, laminina, acido ialuronico. Il condritin-solfato compare soltanto negli stadi successivi. Tali studi hanno quindi sottolineato il ruolo primario delle componenti della matrice extracellulare durante tale fase. Ma, la maggior parte dei segnali che inducono la somitogenesi e le relative dinamiche di differenziamento restano un mistero. Numerose interazioni, soprattutto nella prima parte della somitogenesi, sono mediate dai componenti della famiglia di segnali Notch, che svolge ruoli multipli durante tali fasi. Alcune molecole che inducono la creazione di segnali differenziativi sono conosciute e un numero sempre crescente di geni sono implicati nelle varie tappe della somitogenesi. Il ruolo preciso di questi geni deve ancora essere studiato ed analizzato. I filamenti della matrice extracellulare hanno un ruolo morfogenetico, caratterizzato nella creazione di un trasporto direzionale. Le particelle di fibrillina-2, inizialmente depositate nel mesoderma, sono traslocate lungo una precisa traiettoria dove, eventualmente, polimerizzano in una intricata rete parallela alla sezione anteroposteriore della colonna. Inoltre forze fisiche o stress sono requisiti essenziali per il corretto sviluppo. L’espressione di Bapx1 nello sclerotomo richiede la presenza di Pax1 e Pax9. La presenza della coppia Pax è essenziale per la formazione della colonna vertebrale. La coppia Pax sembra influenzare la regolazione della trascrizione del gene Bapx1, quindi la coppia Pax è necessaria e sufficiente per la differenziazione in condrociti delle cellule dello sclerotomo. I somiti vicino al tubo neurale, proliferano fini a raggiungere la notocorda. A questo punto, la metà caudale di ogni colonna prolifera e raggiunge la porzione sottostante, formando così il corpo vertebrale precartilagineo. La notocorda presente tra un corpo vertebrale e l’altro formerà il disco intervertebrale mentre la restante degenera. Dallo sclerotomo avranno quindi origine lo scheletro, il mesenchima (tessuto connettivo, membrane sinoviali), pachimeninge (dura madre, sclera). Man mano che la gravidanza procede il numero di somiti tende a ridursi e al momento della nascita la colonna vertebrale presenterà un numero normale di vertebre. Al momento della nascita la colonna vertebrale non presenta le caratteristiche incurvature presenti nell’adulto, ma compariranno man mano col passare degli anni. Dal miotomo avrà origine la muscolatura somatica. Il processo di formazione dei muscoli prende il nome di miogenesi. Nei primissimi stadi di sviluppo le cellule muscolari vengono dette mioblasti A. Tali cellule iniziano a compattarsi tra di loro, divenendo mioblasti B. A questo punto inizia la fusione e la loro organizzazione nella formazione di un miotubo. Successivamente il citoplasma del miotubo avrà la caratteristica organizzazione di una fibra muscolare o miofibra. Durante lo sviluppo del muscolo un ruolo importante gioca l’interazione con i nervi. Infatti sono le terminazioni nervose a stabilire la differenziazione finale della fibra muscolare. Il corpo umano ha circa 160 motori muscolari, composti da fibre muscolari fast e slow. Queste due fibre

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differiscono soprattutto per il ruolo che rivestono. Quelle di tipo fast, sono fibre di potenza ma di durata limitata, mentre quelle di tipo slow sono fibre di resistenza a lunga durata. Da un punto di vista microscopico, se analizzate, le due fibre non presentano notevoli differenze, ma da una ulteriore analisi delle loro componenti citoscheletriche e del citoplasma ci si rende conto della marcata differenza. Le fibre di tipo slow possiedono quantità maggiori di mioglobina, al contrario di quelle fast. Le fibre slow hanno un’abbondanza di mitocondri, privilegiando il metabolismo ossidativo, al contrario delle fibre fast che privilegiano il metabolismo glicolitico. La differenza è notevole anche nella struttura della singola molecola di troponina presente nelle fast e nelle slow. Nello stabilire quali fibre diventano fast e quali slow, un ruolo importante giocano le terminazioni nervose. L’attività fisica regola l’espressione genica quindi sport a resistenza (maratona) attivano i geni slow, trasformando la fibra muscolare in una fibra slow, mentre sport di tipo fast (100 metri) attivano i geni fast. L’espressione di geni fast e slow è anche regolata dalle terminazioni nervose. In alcuni esperimenti di cross innervation (inversione dell’innervazione delle fibre muscolari da fast a slow e viceversa) si è visto che fibre di tipo fast innervati con terminazioni slow, diventano slow, e viceversa. Quindi il fenotipo muscolare può essere modificato anche dallo stile di vita adottato dall’individuo. Un aumento del peso ed una diminuzione dell’attività fisica stimolano la conversione delle fibre verso il tipo glicolitico, diminuendo la sensibilità all’insulina ed aumentando la pressione arteriosa. Una diminuzione del peso ed un aumento dell’attività fisica stimolano la conversione delle fibre verso il tipo ossidativo, aumentando la sensibilità dell’insulina e diminuendo la pressione arteriosa. Tempi prolungati di stress, come corsa o maratona, possono causare danni muscolari e necrosi delle fibre muscolari. Il tessuto muscolare danneggiato comporta una reazione immunitaria conosciuta come risposta della fase acuta. Tale fase critica promuove la pulizia delle fibre muscolari danneggiate e la distruzione delle fibre muscolari sane limitrofe. La fase acuta comporta l’attivazione delle proteine del complemento, dei neutrofili e dei monociti. La serietà della risposta acuta è legata al grado di danno subito dal muscolo. L’infiltrazione dei macrofagi nel muscolo danneggiato inizia tra le 24-48 ore dal trauma. Il ruolo primario dei macrofagi è quello della produzione di citochine, TNFa (tumor necrosis factor-a), IL-6 (interleuchina-6) e IL-1b, innescando così un vero e proprio processo infiammatorio.

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35- Ectoderma, Mesoderma, Entoderma Dal mesoderma intermedio hanno origine il pronefro, il dotto pronefrico, il mesonefro, il dotto mesonefrico e il metanefro. Tali strutture porteranno alla definitiva formazione dei due reni. Il dotto mesonefrico a sua volta darà origine alla midollare della gonade, al dotto deferente, al trigono vescicale e all’uretere. Dalla placca laterale del mesoderma avranno origine la somatopleura e la splacnopleura. La somatopleura forma la corticale della gonade, con il contributo anche del mesoderma intermedio, la corticale della surrenale e il dotto paramesonefrico, costituente nella donna la tuba uterina, l’utero e la parte superiore della vagina. Già nei primissimi giorni le cellule germinative primordiali migrano nel dotto mesonefrico, e a seconda del sesso, indurranno lo sviluppo delle zone limitrofe o in testicolo o in ovaio. I reni sono organi escretori dei vertebrati. Insieme alle vie urinarie costituiscono l'apparato urinario, che filtra dal sangue i prodotti di scarto del metabolismo e li espelle tramite l'urea. Il settore della medicina che studia i reni e le loro malattie è chiamato nefrologia. Il loro compito principale è quello di assicurare ogni giorno, per mezzo delle loro unità funzionali, i nefroni, una costante depurazione dei circa 400 litri di sangue che, circolando, pervengono loro dalle arterie renali, sangue che poi, liberato di materiali di scarto e di liquidi in eccesso, passa nelle vene renali. I reni non hanno solo il compito, tramite i nefroni, di eliminare i prodotti finali del catabolismo azotato e i prodotti tossici che vi giungono, nonché di regolare il volume del liquido extracellulare e quindi il contenuto idrico dell'organismo, e poi di regolare il pH ematico tramite riassorbimento e produzione di HCO3-. Hanno anche importanti funzioni endocrine, secernendo diversi ormoni ad azione sistemica (quali renina, eritropoietina, calcitriolo). Negli esseri umani i reni sono situati nella regione posteriore superiore dell'addome, ai lati della colonna vertebrale, nelle fosse lombari, esternamente al peritoneo che tappezza la cavità addominale. Nel rene si distinguono una faccia anteriore convessa, una faccia posteriore pianeggiante, un polo superiore arrotondato, un polo inferiore più appuntito, un margine laterale convesso e un margine mediale. Quest'ultimo presenta una profonda fessura verticale lunga 3-4 cm, detta ilo renale, che immette in una cavità scavata all'interno del rene, seno renale, in cui sono accolti i calici minori e maggiori della pelvi renale, le diramazioni dell'arteria renale, le radici della vena renale, vasi linfatici e nervi. Le pareti del seno renale sono irregolari per la presenza di sporgenze, le papille renali, corrispondenti all'apice delle piramidi renali, le cui basi sono rivolte verso la zona più periferica; fra le papille renali esistono altre sporgenze meno accentuate, le colonne renali. All'esame di una sezione frontale del rene si distinguono perciò due zone: una profonda, zona midollare, disposta intorno al seno renale, ed una superficiale, zona corticale, che avvolge la precedente. I due reni, ciascuno dei quali è avvolto dalla capsula adiposa, sono contenuti in una loggia costituita dallo sdoppiamento di una fascia connettivale (fascia renale). Fra la capsula adiposa e la superficie del rene si trova una sottile membrana connettivale che riveste l'organo (capsula fibrosa). Il polo superiore di ciascun rene è sormontato dalla rispettiva ghiandola surrenale, che si spinge anche sulla faccia anteriore e sul margine

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mediale. I reni necessitano di un notevole apporto ematico e pertanto presentano una ricca vascolarizzazione. Per ogni gettata cardiaca, circa il 20% del sangue fluisce attraverso questi organi; da ciò risulta che nei reni circolano in media 1.100 ml di sangue al minuto. Ciascun rene riceve, direttamente dall'aorta addominale, una grossa arteria renale del calibro di 5-7 mm. In corrispondenza dell'ilo di ciascun rene l'arteria renale si divide, generalmente, in due rami, che si trovano davanti e dietro la pelvi renale, e sono chiamati rispettivamente ramo prepielico e retropielico. Dal ramo prepielico nasce l'arteria polare inferiore, mentre quella polare superiore origina direttamente dal tronco principale, che penetra nel seno renale. Nel seno renale questi rami si dividono ulteriormente e penetrano nelle colonne renali con il nome di arterie interlobari che, dopo essersi biforcate, risalgono fin verso la base delle piramidi renali, dove si ramificano (arterie arcuate). Dalle arterie arcuate originano le arterie interlobulari e le arterie rette vere. Le arterie interlobulari si dirigono verso la periferia del rene, dove si risolvono in ramuscoli destinati all'irrorazione della capsula fibrosa e di quella adiposa. Le arterie interlobulari danno origine (di solito direttamente, ma talvolta attraverso brevi arteriole intralobulari) ad arteriole collaterali, dette arteriole afferenti, che vanno a costituire i glomeruli dei corpuscoli renali circostanti. Da questi ultimi emergono le arteriole efferenti, che in parte si risolvono in una rete capillare ed in parte si portano verso la midollare con il nome di arterie rette spurie. Le arterie rette vere si distaccano dalla concavità delle arterie arcuate e si portano nelle piramidi renali formando reti capillari peritubulari. La circolazione venosa ripete abbastanza fedelmente quella arteriosa. Dall'ilo fuoriesce la vena renale, accanto all'arteria omonima, e sbocca nella vena cava inferiore. Nel suo complesso il circolo renale sviluppa circa 160 chilometri di lunghezza. I linfatici del rene formano una ricca rete superficiale ed una perivascolare profonda. Essi confluiscono in collettori che terminano nei linfonodi pre- e para-aortici. I nervi si dispongono a formare un plesso renale che si distribuisce ai nefroni ed alle diramazioni dei vasi renali. I reni sono costituiti dal parenchima e dallo stroma. Il parenchima è formato da un insieme di unità elementari, i nefroni, che hanno la funzione uropoietica, e da un sistema di dotti escretori, i quali convogliano l'urina verso l'apice delle piramidi renali e provvedono anche a modificarne la composizione. Lo stroma, di natura connettivale, contiene i vasi sanguigni e linfatici e le terminazioni nervose del plesso renale. I nefroni sono contenuti prevalentemente nella corticale, mentre lo stroma è più abbondante nella midollare dei dotti escretori. I corpuscoli renali hanno l'aspetto di corpiccioli sferoidali del diametro di 150-250 micron. Nei corpuscoli renali si distinguono un polo vascolare ed un polo urinario, disposti alle estremità opposte. L'arteriola afferente penetra nel corpuscolo a livello del polo vascolare e si risolve subito in una rete di capillari convoluti (glomerulo) che, al termine del loro percorso, si riuniscono nell'arteriola efferente, la quale, attraverso il polo vascolare stesso, abbandona il corpuscolo. Questa struttura, cioè una rete capillare interposta tra due arteriole, prende il nome di rete mirabile arteriosa. Il tubulo renale ha inizio in corrispondenza del polo urinario. Qui il foglietto esterno della capsula glomerulare continua con la parete del tubulo renale e lo spazio capsulare continua con il lume del tubulo stesso; in tal modo l'ultrafiltrato glomerulare, raccoltosi inizialmente nello spazio capsulare, viene convogliato verso il

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tubulo renale. Il tubulo renale ha la funzione di modificare l'ultrafiltrato glomerulare (urina primaria), trasformandolo nell'urina definitiva, grazie alle peculiari proprietà assorbenti e secernenti delle cellule epiteliali che lo delimitano. Il rene è un organo escretore capace di svolgere anche un'importante funzione regolatrice: -

il rene regola la concentrazione nei liquidi corporei di Na+, K+, Cl-, HCO3-, PO43-, Ca2+, glucosio, aminoacidi, acido urico, urea, mediante integrazione tra processi di filtrazione, riassorbimento, secrezione ed escrezione;

-

il rene partecipa al mantenimento dell'equilibrio acido-base (controllo del pH ematico) agendo sul riassorbimento dei bicarbonati e sulla secrezione di idrogenioni;

-

il rene partecipa alla regolazione del volume dei liquidi corporei mediante meccanismi che permettono il recupero e l'eliminazione di acqua con conseguente escrezione di un'urina che, a seconda delle esigenze dell'equilibrio idrico ed elettrolitico, può essere ipertonica, isotonica o ipotonica (cioè avente una concentrazione di soluti maggiore, uguale o minore rispetto a quella del sangue). D'altra parte il rene regola il riassorbimento e la concentrazione extracellulare del cloruro di sodio, e quindi anche il volume dei liquidi corporei;

-

il rene svolge importanti funzioni endocrine mediante la secrezione di renina, eritropoietina, prostaglandine e la sintesi, a partire dalla vitamina D, di 1,25-diidrossicolecalciferolo, necessario per la regolazione ed il trasporto del calcio. La renina svolge un importante ruolo nel controllo della pressione sanguigna, l'eritropoietina è un ormone indispensabile per la formazione e la maturazione dei globuli rossi (eritropoiesi), mentre gli effetti fisiologici delle prostaglandine sono molti e svariati e si esercitano a diversi livelli.

La ghiandola surrenale è suddivisibile in una regione corticale ed in una midollare. Le cellule della midollare del surrene, analizzate al microscopio, presentano degli ammassi di sali metallici, che prendono il nome di adrenocromo. La regione corticale è formata da più strati di cellule: -

una regione glomerulare;

-

una fascicolare;

-

una reticolare.

Tali zone sono riccamente vascolarizzate. Le cellule della regione glomerulare producono aldosterone, quelle della fascicolare cortisone, mentre quelle della reticolare testosterone. Una cellule impegnata nei processi di steroidosintesi presenta delle particolari caratteristiche a livello dei suoi organuli. Innanzitutto si nota la presenza di vescicole sulle creste interne mitocondriali, dovute alla presenza di un enzima del processo di sintesi degli steroidi. A livello citoplasmatico è presente una gocciola lipidica, intorno alla quale, concentricamente, si sviluppa un abbondante REL.

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L’utero si sviluppa simmetricamente e alla fine le due metà si fondono per formare un'unica struttura. La chiusura imperfetta o la formazione diseguale delle due meta, comporta delle malformazioni, come la presenza di setti intrauterini oppure utero unicorno, cioè collegato con una sola tuba. Dalla splancnopleura avranno origine l’epitelio del celoma, anche grazie al contributo della somatopleura. L’epitelio del celoma formerà il pericardio, le pleure e il peritoneo. Sempre dalla splancnopleura avranno origine il miocardio, la muscolatura viscerale, il mesenchima viscerale, la muscolatura branchiale e il relativo mesenchima. Il miocardio ha origine dalla fusione di strutture simmetriche. Al 20° giorno di sviluppo i due tubi cardiaci sono simmetrici e disposti simmetricamente ai lati dell’embrione. Intorno al 22° giorno le popolazioni cellulari delle gemme epimiocardiche circondano i primitivi tubi cardiaci, modellandosi e plasmandosi su queste. I due tubi sono coinvolti nei movimenti morfogenetici che portano alla delimitazione del corpo dell’embrione. Dalla unione del tubo cardiaco di destra e del tubo cardiaco di sinistra si realizza il tubo cardiaco da cui avrà origine il cuore. Nei periodi successivi si formano le diverse cavità che contraddistinguono tale organo. Dal

mesoderma

deriva

l’angioblastoma,

che

da

origine

all’endotelioblastoma

e

all’ematoblastoma.

L’endotelioblastoma origina l’endocardio e l’endotelio dei vasi, mentre l’ematoblastoma forma la milza, il tessuto linfoide ed il tessuto mieloide. L’eritropoiesi fetale, per i primi due mesi di vita, avviene nel sacco vitellino dove i megaloblasti sono le cellule addette alla funzione di trasporto. Man mano, col procedere della gestazione, è il fegato ad assurgere questa funzione. Intorno al quarto mese si forma il midollo osseo che, producendo globuli rossi, soppianta la funzione eritropoietica epatica. Nel sacco vitellino, a partire dal 18° giorno si formano delle strutture insulari, dette isole di Wolff e Pander. Tali strutture hanno origine da cellule indifferenziate, che si organizzano a formare degli aggregati cellulari (fase ad anello). Tali aggregati inducono le cellule vicine a formare un tubo, ovvero il vaso (fase insulare). Le cellule all’interno del vaso, che formano l’insula, iniziano a produrre segnali che inducono l’angiogenesi, ampliando così la rete vascolare (fase morfogenetica). Alla fine l’endotelio si è bene organizzato ed inizia un’intensa attività esocitosica, che porta all’aumento della pressione intravasale (fase secretiva). La milza è un organo situato tra il rene destro e lo stomaco. Se tale organo viene dato in pasto a girini, questi, eliminando la polpa, mettono a nudo la propria struttura trabecolare. Infatti i girini hanno eliminato la polpa, che si ammassa sulle trabecole. La milza è avvolta da una capsula, contenente la polpa splenica. La polpa splenica a sua volta è divisa in polpa rossa e polpa bianca. Il sangue viene portato da un arteria penicillare. La milza non è solo l’organo in cui avviene il crash test dei globuli rossi, ma produce anche una serie di messaggeri chimici. L’FCS o fattore cardioattivo splenico (Ipossilienina di Rein) potenzia l’attività contrattile, è antiipossia, antistress, ha un’azione digito-simile, incrementa la sistolica, abbassa la telediastolica, dilata il letto

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coronarico e ha un’azione simile alla β-feniletilamina. Ma la milza produce anche il fattore eritropoietico splenico o FES che incrementa il numero di globuli rossi prodotti a livello del midollo osseo. La milza è un organo situato nella cavità addominale, (tra stomaco e rene sinistro) nel quadrante superiore di sinistra, ed è rivestita dal peritoneo che ne lascia scoperta solo una piccola area di 2-3 cm contenuta tra i foglietti anteriore e posteriore del legamento spleno-renale. La milza presenta un diametro longitudinale massimo di 12-13 cm, un diametro trasversale di 6-7 cm ed uno spessore di 4-5cm. Peraltro esistono variabilità dimensionali in relazione, in particolare, con l'habitus costituzionale. La milza è una ghiandola senza sfinteri, la quale è strettamente associata con il sistema circolatorio. La sua funzione principale è distruggere i globuli rossi vecchi presenti nel sangue trattenendo una piccola riserva di sangue. Fino a poco tempo fa le funzionalità della milza non erano conosciute. Negli ultimi anni si stanno accumulando indizi che suggeriscono che la sua assenza predispone a certe infezioni. L’arteria lienale nel legamento lienorenale si divide in cinque rami, penetrano nell’ilo e poi si ramificano in tutto l’organo percorrendo le trabecole. La Vena fa la stessa cosa ma al contrario. Le arterie si riducono progressivamente di calibro fino alle arteriole che penetrano nella polpa bianca e poi danno origine ai rami penicillari, che dopo un percorso di 0,5 mm escono dalla polpa bianca e si portano nella zona marginale e quindi nella polpa rossa. Il sangue segue diversi percorsi. Vi sono tre distinte componenti della velocità di circolo: veloce, media, lenta. Il 90% del sangue transita molto rapidamente, in pochi secondi: è la circolazione chiusa attraverso il letto capillare. Il 9,6 % impiega qualche minuto. L’1,6 % necessita di circa un ora. La circolazione lenta comporta contatto tra cellule del sangue e cellule dei cordoni della milza, quindi sequestro di globuli rossi, bianchi e piastrine e potenziale rimozione per fagocitosi macrofagica di cellule danneggiate o invecchiate. La somma dei volumi di sangue della circolazione intermedia e di quella lenta supera il volume di sangue con transito veloce. La conseguenza è che l’ematocrito all’interno della milza è due volte maggiore della circolazione sistemica. Il parenchima splenico è organizzato in due principali contingenti: la polpa bianca e la polpa rossa. La polpa bianca è costituita da noduli bianco-grigiastri che sono denominati noduli di Malpighi e sono costituiti da tessuto linfoide che si addensa attorno ad una arteriola che attraversa la polpa; questo agglomerato di tessuto linfoide è costituto da linfociti B e T che si organizzano in modo geometrico, i linfociti T creano una membrana linfoide pre-arteriolare attorno all'arteriola mentre in posizione più periferica si trovano i linfociti B che vanno a formare dei follicoli che sono definiti primari se costituiti da linfociti B non stimolanti e secondari se costituiti da linfociti B stimolanti. Quest'ultimo follicolo è caratterizzato da una zona centrale e una zona periferica, nella prima troviamo dei linfociti B della memoria a cui macrofagi e cellule dendritiche presentano l'antigene, mentre in periferia sono presenti i macrofagi e i linfociti B che rispondono ad agenti timo-indipendenti. Mentre la polpa rossa è caratterizzata da seni venosi che sono come dei vasi sinusoidi, ovvero presentano un lume molto ampio e le pareti sono fenestrate, e tra questi vasi sono presenti dei cordoni che derivano dalla polpa rossa dove possiamo ritrovare globuli rossi, globuli bianchi e piastrine; i suddetti vasi giungono alla polpa rossa tramite una arteriola centrale che diviene arteriola penicillari poi capillari con guscio che sono forniti di un manicotto

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di macrofagi. Si crea un circolo aperto se si aprono i cordoni e un circolo chiuso se questi capillari continuano nei seni venosi. È presente un seno venoso perimarginale interposto tra le due polpe. Difficilmente la milza è preda di malattie infettive o neoplastiche. In era pre-antibiotica era invece ben noto il "tumore di milza" che si manifestava in corso di malattie infettive di lunga durata, come espressione della attivazione della componente linfatica dell'organo. I tumori della milza sono quasi esclusivamente linfomi. Ha sempre destato interesse in oncologia la evidente resistenza della milza a diventare sede di ripetizione metastatica da parte di tumori solidi di altra origine. Aumenti di volume anche significativi della milza (splenomegalie) si hanno nelle malattie del fegato, soprattutto la cirrosi epatica, che causano difficoltà di flusso nel sistema della vena porta (sindrome di ipertensione portale), del quale la vena lienale è tributaria. Dall’entoderma avrà origine il sacco vitellino, da cui avranno origine l’allantoide e l’intestino primitivo. L’intestino primitivo porta alla formazione dell’intestino anteriore, medio e posteriore. L’intestino anteriore forma il faringe primitivo ed i componenti epiteliali di esofago, stomaco, fegato e pancreas. Il faringe primitivo originerà le tasche faringee e i componenti epiteliali della parte superiore della cavità buccale, ghiandola sottomandibolare e sottolinguale, lingua, ghiandola tiroide, faringe, laringe, trachea e polmoni. Dalle tasche faringee originano i componenti epiteliali di orecchio medio, paratiroidi, timo e corpo ultimo branchiale. Dall’intestino medio originano le componenti epiteliali di duodeno (con contributo anche dell’intestino anteriore), digiuno, ileo, appendice e cieco. Dall’intestino posteriore avranno origine i componenti epiteliali di colon (assieme all’intestino medio) e retto. Dall’allantoide, con l’intestino posteriore, prende origine la cloaca, che formerà i componenti epiteliali di retto, vescica urinaria, uretra, prostata e parte inferiore della vagina. Per quanto riguarda l’ectoderma, da particolari strutture, dette creste neurali, avranno origine i melanociti. Dal tubo neurale si formeranno i neuroni e la glia. La placenta è la struttura preposta al nutrimento del feto, evitando che il sangue materno e fetale entrino in contatto diretto. Attraverso la formazione di villi, i nutrimenti presenti nel sangue materno sono liberi di diffondere nel sangue fetale, così come gli scarti fetali seguono una via opposta. Dalla placenta si diparte il cordone ombelicale, formato da arterie e vene ombelicali. In tali strutture circola il sangue fetale diretto alla placenta o al feto. La gelatina di Wharton è una sostanza gelatinosa che si trova nel cordone ombelicale. Raro esempio di tessuto mucoso maturo nell'organismo umano, la gelatina di Wharton è una ricca fonte di cellule staminali, e serve anche per proteggere i vasi sanguigni del cordone ombelicale.

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36-Gruppi Sanguigni, Fattore Rh ed Eritroblastosi Fetale L'eritroblastosi fetale è una malattia fetale che può colpire il feto di madre Rh negativa e padre Rh positivo se il feto è Rh positivo. Rappresenta un tipico esempio di reazione di ipersensibilità di secondo tipo. È detta anche malattia emolitica anti-D, per la presenza nel circolo di anticorpi anti-D di origine materna, sviluppatisi in seguito ad una prima gravidanza. Infatti, se per il sistema AB0 esistono anticorpi naturali (nel senso che la loro comparsa non è legata ad una stimolazione antigenica) contro gli antigeni presenti sulla membrana degli eritrociti, per il gruppo Rh invece gli anticorpi anti-D si vengono a creare in seguito al contatto con l'antigene. La gravidanza è un evento fisiologico per cui si possono avere scambi di sangue tra madre e feto; la madre difatti acquisisce una certa quantità di sangue fetale (c.ca 10 ml) al momento del secondamento. In realtà anche durante la gestazione si verificano scambi di sangue madre-feto (a partire dal 4° mese) ma in microquantità che non sono in grado di innestare una risposta primaria. L'ingresso di cellule ematiche fetali nel sistema circolatorio materno causano una risposta immunitaria da parte della madre, con formazione di anticorpi anti-D. Nel caso in cui, la donna abbia una seconda gravidanza con feto Rh positivo, gli anticorpi antiD materni entreranno nel circolo fetale già a partire dal 4° mese: infatti, essendo già avvenuta una risposta primaria sono sufficienti anche minime quantità di sangue per scatenare la risposta immunitaria. Gli anticorpi anti-D riconosceranno gli eritrociti fetali come estranei, distruggendoli (anemia emolitica). Solitamente il feto muore tra la 25° e la 35° settimana. In alcuni casi si può intervenire con trasfusioni di sangue Rh negativo sul feto ripetute ogni 15 giorni per compensare l'emolisi degli eritrociti di produzione fetale. Questo processo comporta l'iniezione di sangue nel cavo addominale fetale sotto guida ecografica e utilizzando un mezzo di contrasto per visualizzare l'apparato digerente fetale ed è tuttora molto rischioso in quanto si può indurre involontaria contrazione uterina con espulsione del prodotto di concepimento. Nel caso in cui il feto sopravviva a questo processo terapeutico nuovi problemi insorgeranno al momento della nascita, causati dall'eccesso di bilirubina in circolo. La bilirubina è il principale prodotto di degradazione dell'emoglobina liberata in seguito alla lisi degli eritrociti; il feto può contare sul metabolismo materno e quindi sulla degradazione della bilirubina da parte del fegato materno, mentre il neonato risulta incapace di degradare autonomamente l'eccesso di bilirubina in circolo. La conseguenza di iperbilirubinemia è data da ittero e nel caso specifico da kernittero (in cui la bilirubina si deposita a livello dei nuclei della base) che può causare morte o deficit neurologici gravi (sordità, spasticità, ritardo mentale). A questo punto una possibile terapia può essere rappresentata dall'ex-sanguino trasfusione. Appare comunque evidente che per questi bambini il percorso terapeutico è tutt'altro che facile. Fortunatamente oggi è possibile prevenire la patologia somministrando alla madre anticorpi anti-D in seguito alla prima gravidanza, immunizzazione che deve essere ripetuta ad intervalli regolari. Questo tipo di profilassi è efficace al 100% ma deve essere praticata dopo ogni gravidanza qualunque sia l'esito (anche in caso di aborto o di semplice amniocentesi). Va infine chiarito il

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perché del termine "eritroblastosi fetale". Gli eritroblasti sono i precursori midollari degli eritrociti. Per fare fronte alla grave anemia al midollo osseo immette in circolo anche i precursori immaturi degli eritrociti. Il fattore Rh è una particolare proteina che viene espressa sulla superficie dei globuli rossi. Da un punto di vista genetico, il carattere Rh+ (ovvero la proteina viene espressa) è eterozigote dominante mentre la mancata espressione della proteina è omozigote recessiva. Se il sangue di una madre Rh- viene in contatto col sangue fetale Rh+, la madre produrrà anticorpi anti-Rh. Per la prima gravidanza non si avranno problemi, ma un ulteriore periodo di gestazione potrebbe portare all’insorgenza della patologia, con seri danni del feto. L’incompatibilità Rh è da aggiungere alla già nota compatibilità/incompatibilità dei vari gruppi sanguigni. I gruppi sanguigni sono quattro: -

A;

-

B;

-

AB, l’accettore universale;

-

0, il donatore universale.

Quando un individuo riceve una donazione di sangue di gruppo sanguigno diverso ed incompatibile, il sistema immunitario del soggetto scatena una risposta specifica, provocando la morte dei globuli rossi riconosciuti come estranei. Ciò ha varie conseguenze. Tale discorso vale anche per il fattore Rh. È stato provato che circa il 15 % della popolazione è Rh-, mentre il restante 85 è Rh+. Lo scopritore del fattore Rh è Karl Landsteiner, utilizzando nei suoi esperimenti il Macacus Rhesus (da qui deriva Rh). Alla nascita un bambino affetto da eritroblastosi presenta fegato e milza enormemente ingrossati. L’origine della patologia è da ricercare nel contatto fisico tra sangue materno e fetale. Normalmente esistono opportune barriere di protezione, come la placenta, che evitano la commistione dei due fluidi. Ma se tale filtro subisce dei danni, i globuli rossi fetali vengono immessi nella circolazione sanguigna materna. Se la madre è Rh- e il feto Rh+, il sistema immunitario materno produrrà anticorpi anti-Rh che elimineranno i globuli rossi fetali. L’aumento del numero di globuli rossi danneggiati sovraccarica la milza che tende ad ingrossarsi per poter svolgere più velocemente la propria funzione. Successivamente, la presenza in circolo di globuli rossi lesionati, fa aumentare la bilirubina, che normalmente viene metabolizzata dal fegato. La bilirubina in circolo è tossica, così il fegato si ingrossa per poter smaltire più facilmente la bilirubina in eccesso. Tali meccanismi creano un feedback positivo che può portare a seri danni dell’intero organismo del feto. Come prima complicazione si verifica un intasamento del filtro renale che provoca un blocco della normale funzione renale. Successivamente, la mancanza di globuli rossi comporta anemia e la bilirubina in circolo può danneggiare seriamente le cellule nervose. Tutto ciò comporta anche l’aumento delle dimensioni della placenta. Ulteriori complicazioni possono essere leucopenia e trombocitopenia. Tutto ciò può essere evitato eliminando gli anticorpi anti-Rh materni.

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