educare alla diversità a scuola

March 20, 2018 | Author: Anonymous | Category: N/A
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2-07-2013

17:26

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PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Dipartimento per le Pari Opportunità

UNAR Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali

Istituto A. T. Beck per la terapia cognitivo-comportamentale Diagnosi clinica, ricerca, formazione via Gioberti, 54 00185 Roma [email protected] www.istitutobeck.com

EDUCARE ALLA DIVERSITÀ A SCUOLA

Scuola secondaria di primo grado

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EDUCARE ALLA DIVERSITÀ A SCUOLA Scuola secondaria di primo grado Antonella Montano Santina Calì Antonio Zagaroli

Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le Pari Opportunità UNAR Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali Avv. Patrizia De Rose Dott. Marco De Giorgi Istituto A. T. Beck per la terapia cognitivo-comportamentale Diagnosi clinica, ricerca, formazione Direttrice Dott.ssa Antonella Montano

EDUCARE ALLA DIVERSITÀ A SCUOLA Scuola secondaria di primo grado Responsabile scientifico Dott.ssa Antonella Montano

Istituto A. T. Beck

Team di progetto Dott.ssa Santina Calì Dott. Antonio Zagaroli

T. 06 44 703820

Documentari Maria Laura Annibali I documentari “L’altra altra metà del cielo” e “L’altra altra metà del cielo... continua” sono inclusi in questa cartella per gentile concessione della case editrice Edizioni Libreria Croce

via Gioberti 54 00185 Roma [email protected] www.istitutobeck.com Dott.ssa Antonella Montano [email protected] Dott.ssa Santina Calì [email protected] Dott. Antonio Zagaroli [email protected]

DPO 0013127 del 19/12/2012 Lettera di incarico CIG Z5007C1F06 Prima edizione 2013

Progetto grafico Lucia Caruso Andrea Serrao Immagine di copertina Veronica Baeli Stampa Tipografia Ograro Via Vicolo dei Tabacchi 00153 Roma

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Introduzione Le scuole medie costituiscono una sorta di spartiacque tra il mondo dell’infanzia e quello dell’adolescenza. In questi anni i bambini e le bambine si trasformano e diventano ragazzi e ragazze. Coloro che durante questo percorso di sviluppo si accorgono (o cominciano a sospettare) di essere gay, lesbiche o bisessuali seguono dei percorsi di crescita che sono allo stesso tempo simili e differenti rispetto ai coetanei eterosessuali. Sono simili molte delle sfide che questi pre-adolescenti affrontano, come lo sviluppo di abilità sociali, le scelte riguardo il futuro personale e professionale, e il tentativo di inserirsi in un gruppo di pari. Tuttavia questi giovani gay, lesbiche e bisessuali hanno anche delle sfide molto diverse da sostenere, peculiari al loro orientamento: si trovano, infatti, a dover affrontare le credenze negative, gli atteggiamenti discriminatori, il pregiudizio, la violenza verbale o fisica non solo nella società, ma anche all’interno delle loro stesse famiglie, scuole e comunità, anche religiose. Tali sfide sono molto spesso affrontate da soli, senza il sostegno di nessuno e, anzi, a volte sono combattute proprio in quegli stessi contesti familiari, sociali, amicali, da cui i ragazzi dovrebbero, invece, ricevere supporto. Il senso di solitudine ed emarginazione che ne consegue ha un impatto estremamente negativo sulla salute fisica e mentale e sull’istruzione dei ragazzi gay, lesbiche e bisessuali. Numerosi studi, condotti in diversi paesi, hanno rilevato, infatti, un tasso di abbandono scolastico più alto negli studenti gay, lesbiche e bisessuali rispetto agli eterosessuali (Garofalo, Wolf, Kessel, Palfrey, & Du Rant, 1998; Jolly, 2010; Minton, Dahl, O’Moore, & Tuck, 2008). “Un risultato dell’isolamento e della mancanza di supporto vissuta da alcuni giovani gay, lesbiche e bisessuali è un maggior grado di stress emotivo, una maggiore frequenza di tentativi di suicidio, comportamenti sessuali a rischio e abuso di sostanze 1. Dal momento che la loro legittima paura di essere molestati o picchiati può ridurre la volontà dei giovani gay, lesbiche e bisessuali di chiedere aiuto, è importante che il loro ambiente scolastico sia aperto e accettante così che questi ragazzi si sentano a proprio agio a condividere i propri pensieri e preoccupazioni, inclusa l’opzione di rivelare ad altri il proprio orientamento sessuale” (Just the Facts Coalition, 2008). Nella società occidentale si dà per scontato che l’orientamento sessuale di un adolescente sano sia eterosessuale. La famiglia, la scuola, le principali istituzioni della società, gli amici si aspettano, incoraggiano e facilitano in mille modi, diretti e indiretti, un orientamento eterosessuale. A un bambino è chiaro da subito che, se è maschio, dovrà innamorarsi di una principessa e, se è femmina, di un principe. Non gli sono permesse fiabe con identificazioni diverse. Di conseguenza, quando sarà adolescente e comincerà a

esplorare la propria identità sessuale, si troverà a realizzare che i suoi desideri sono differenti da quelli dei suoi amici, da quelli che “dovrebbe” avere e, quindi, si ritrova impaurito, solo e smarrito. Non ha intorno a sé persone che possano essergli di supporto, né vede nella società modelli positivi. Gli insegnanti dovrebbero essere la risorsa più disponibile nei contesti scolastici per aiutare gli studenti a comprendere e affrontare il proprio orientamento. Questo non solo non avviene, ma talvolta gli insegnanti, pur disponibili, non sono in possesso delle competenze per contenere e arginare il bullismo, frutto dell’omofobia. Non è pertanto sufficiente essere gay-friendly (amichevoli nei confronti di gay e lesbiche), ma è necessario essere gay-informed (informati sulle tematiche gay e lesbiche). Affrontare l’omofobia e il bullismo omofobico può essere difficile per qualche insegnante. Questi può sentirsi insicuro a portare avanti tali tematiche, o addirittura minacciato da un punto di vista personale e professionale. Ciò avviene perché le questioni riguardanti l’omosessualità, soprattutto in Italia, sono permeate di condizionamenti culturali e sociali dell’ambiente esterno e non vengono insegnate tra i banchi di scuola. Per tutte queste ragioni, è importante fornire agli insegnanti uno strumento che consenta loro di acquisire le conoscenze necessarie per affrontare gli argomenti del bullismo e dell'omofobia. Questa cartella si compone di tre parti: • Schede informative rivolte agli insegnanti. Tali schede mirano a fornire conoscenze aggiornate e puntuali sui temi dell'identità e dell'orientamento sessuale, dell'omofobia sociale e interiorizzata e del bullismo omofobico. • Una cassetta degli attrezzi. In questa sezione sono presentati una serie di strumenti utili per l'implementazione di una politica di prevenzione e lotta al bullismo. • Lezioni da tenere in classe. Le lezioni sono pensate per dare agli studenti di ogni ciclo scolastico la possibilità di comprendere i temi del bullismo, della diversità, dell'omofobia, in maniera attiva, non teorica. Lo scopo di questa cartella è, dunque, quello di rendere le scuole più aperte e accettanti, scuole delle pari opportunità, che consentano e favoriscano lo sviluppo sano di tutti i ragazzi, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Vengono forniti agli insegnanti gli strumenti per approfondire le varie tematiche legate all’omosessualità, così che essi stessi possano diventare “educatori dell’omofobia”. Sono, inoltre, illustrate delle attività da utilizzare con gli allievi, in modo appropriato all’età e al grado di sviluppo, così da facilitare questo processo. Il razionale dell’intervento è la prevenzione e la lotta del bullismo omofobico, così pervasivo nelle realtà scolastiche. 3

Gli studenti concordano nel ritenere che le esperienze di bullismo includono non solo aggressioni fisiche, ma anche attacchi e molestie verbali, furti di cose personali, diffusione di pettegolezzi, rifiuto sociale o isolamento. Il bullismo, che inizia con i bambini nei primi anni di scuola e arriva fino agli adolescenti, percorrendo tutte le fasi dell’iter scolastico, è uno dei principali problemi della scuola, spesso, purtroppo, sottovalutato. I problemi emotivi e comportamentali delle vittime possono perseverare anche in età adulta, producendo esiti negativi a lungo termine, tra cui bassa autostima, depressione, comportamento antisociale, vandalismo, uso e abuso di droghe, comportamento delinquenziale, appartenenza a gang e, non ultimo, ideazione suicidaria (Nansel et al., 2001; Gladstone et al., 2006; Hugh-Jones & Smith, 1999; Olweus, 1994). A questi si aggiungono ansia, senso di colpa, disturbi del sonno, perdita di fiducia, ritiro sociale ecc. (Hillier, Turner, Mitchell, 2005).

1. Sul grado di stress, i suicidi e i comportamenti a rischio, si vedano Resnick et al., 1997; Garofalo et al., 1998; Remafedi, Frendh, Story, Resnick, & Blum, 1998.

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Le schede Linee-guida per un insegnamento più accogliente e rispettoso delle differenze 1. Le componenti dell’identità sessuale 2. Omofobia: definizione, origini e mantenimento 3. Omofobia interiorizzata: definizione e conseguenze fisiche e psicologiche 4. Bullismo omofobico: come riconoscerlo e intervenire 5. Adolescenza e omosessualità

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 Le schede Linee-guida per un insegnamento più accogliente e rispettoso delle differenze  Al di là delle lezioni incluse in questa cartella, quello che gli insegnanti dicono e fanno in classe può avere un impatto determinante sul clima scolastico in termini di rispetto e accoglienza delle differenze. Gli insegnanti che si impegnano in questo lavoro dovrebbero cercare di:

  





Promuovere negli studenti la conoscenza della diversità, mostrando dei modelli attraverso la letteratura, il cinema o delle lezioni condotte da ospiti esterni. L’insegnante dovrebbe cercare di scegliere libri (o suggerire film o serie televisive) in cui ci sono uomini e donne, così come famiglie, diversi dallo stereotipo da pubblicità. Può eventualmente cercare degli ospiti esterni per parlare in classe, ad esempio un soldato donna. Non usare analogie che facciano riferimento a una prospettiva eteronormativa (cioè che assuma che l’eterosessualità sia l’orientamento ‘normale’, invece che uno dei possibili orientamenti sessuali). Tale punto di vista, ad esempio, può tradursi nell’assunzione che un bambino da grande si innamorerà di una donna e la sposerà. Non dividere gli studenti (ad esempio per fare un compito) in ragazzi e ragazze, o non assegnare attività diverse a seconda del sesso biologico. Usare un linguaggio rispettoso quando si parla degli studenti, delle loro famiglie o di altre persone estranee alla classe. In questo modo si insegna indirettamente agli studenti a usare lo stesso tipo di linguaggio. Essere consapevoli dei diversi modi in cui in classe si sostengono stereotipi basati sul genere. Questo può avvenire tra gli studenti, ma talvolta può accadere anche agli stessi insegnanti. Ad esempio, il docente potrebbe aspettarsi che gli studenti di sesso maschile siano più avventurosi o portati per le attività all’aperto rispetto alle studentesse. Oppure potrebbe aspettarsi che gli studenti abbiano dei particolari interessi in quanto maschi (ad esempio, guardare la Formula 1 o giocare ai videogiochi) o in quanto femmine (ad esempio, essere interessate alla cucina o allo shopping). Riconoscere (soprattutto in se stessi) e mettere in discussione tali pregiudizi può essere faticoso, ma aiuta a creare un ambiente più accogliente per tutti gli studenti. Nell’elaborazione di compiti, inventare situazioni che facciano riferimento a una varietà di strutture familiari ed espressioni di genere. Per esempio: “Rosa e i suoi papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar. Se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?”; oppure: “Dario vuole fare una torta per la nonna. Nella ricetta originale vengono indicati 300gr di farina. Se Dario vuole raddoppiare la ricetta, quanta farina dovrà usare?”. Incoraggiare gli studenti a utilizzare nella loro vita quotidiana gli atteggiamenti rispettosi appresi a scuola. Va ricordato loro che ogni abilità nuova (come il rispetto e l’accoglienza) richiede tempo e pazienza. Quando l’insegnante assiste a scambi verbali che non sono in linea con tali valori, invece di sgridare gli studenti coinvolti, li riporta a quanto detto nelle lezioni passate.

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1. istituto a.t. beck | Le schede

Le componenti dell’identità sessuale Obiettivo Il bullismo omofobico è un tipo specifico di bullismo basato sul genere, fondato sull’effettivo o percepito orientamento sessuale, identità sessuale o ruolo di genere. Trasmettere agli insegnanti conoscenze basilari su queste definizioni permette di contrastare efficacemente la formazione di stereotipi e pregiudizi sia sull’identità di genere sia sul ruolo di genere. Materiale Scheda e libro “Parlare di omosessualità a scuola”. Metodo Lettura ed eventuale riflessione con i colleghi. Tempo 1 ora Alla sessualità sono connessi alcuni degli aspetti più intimi del nostro essere, alcune delle emozioni più intense delle nostre vite. Non stupisce, pertanto, che l’identità sessuale costituisca un elemento fondamentale della nostra identità. A questa contribuiscono fattori genetici, biologici, psicologici, culturali: attrazione fisica e fantasie sessuali, rapporto con il proprio corpo e il sesso anatomico, coinvolgimento affettivo, comportamento, stile di vita, presenza di una relazione, identificazione con un gruppo sociale di riferimento. Proprio perché è così multiforme e fortemente presente nelle nostre vite, talvolta può essere difficile spiegare con chiarezza cosa sia l’identità sessuale e in cosa consista. Dal punto di vista scientifico, definiamo l’identità sessuale come un costrutto multidimensionale (Coleman, 1987; Isay, 1996; Klein,Sepekoff, Wolf, 1985; Laumann, Gagnon, Michael, Michaels, 1994.; Morris, 1997), cioè un concetto formato da diverse componenti, che interagiscono tra loro in modi complessi. Tali componenti sono: • L’identità biologica • L’identità di genere • Il ruolo di genere • L’orientamento sessuale

L’identità biologica L’identità biologica si riferisce al sesso biologico di un individuo, cioè al fatto che sia anatomicamente maschio o femmina. Tale caratteristica deriva dalla combinazione dei cromosomi XY nei maschi e XX nelle femmine al momento del concepimento. Sebbene la maggioranza degli individui sia biologicamente definibile come maschio o femmina, una piccolissima percentuale presenta caratteristiche sessuali (ambiguità genitali e/o cromosomi diversi dalla combinazione XY o XX) che non consentono un’attribuzione definitiva a un sesso piuttosto che a un altro. Tali individui vengono definiti intersex e la percentuale della loro prevalenza dipende dalla definizione di intersex usata. In linea generale, si può dire che ricada nella condizione di intersex 1 caso su 2.000. L’identità biologica identifica un individuo come maschio o femmina, in termini di cromosomi e anatomia sessuale. Si nasce maschio o femmina. È un concetto pertanto relativamente semplice e valido in tutte le culture. Quello di identità di genere è, invece, un costrutto più complesso, legato indissolubilmente al contesto culturale di riferimento. Ogni società assegna al sesso maschile e a quello femminile dei ruoli più o meno prestabiliti in un dato momento storico. Tali ruoli si traducono in comportamenti, attività e attributi che la società considera appropriati per gli uomini e le donne, per i bambini e le bambine. L’identità di genere L’identità di genere è “il senso di se stessi, l’unità e la persistenza della propria individualità maschile o femminile o ambivalente (di grado maggiore o minore), particolarmente come esperienza di percezione sessuata di se stessi e del proprio comportamento” (Money, Ehrhardt, 1972). Il termine, dunque, si riferisce alla personale percezione di se stessi come uomini o donne, cioè al modo in cui l’individuo si considera in termini di appartenenza al genere maschile o femminile. L’espressione esteriore di questa identità interiore avviene tramite i comportamenti, la scelta dei vestiti, gli atteggiamenti, la mimica. Non sempre l’identità di genere e quella biologica coincidono, cioè non sempre un maschio si percepisce come appartenente al genere maschile o una femmina come appartenente al genere femminile. In questo caso, quando cioè un individuo si trova a disagio con il proprio sesso biologico, perché si sente appartenente a quello opposto, ci troviamo di fronte a una disforia di genere. Tale disforia può avere diversi gradi, dal momento che il senso di identificazione dell’individuo in maniera coerente con il proprio sesso anatomico si dispone su un continuum. Nello specifico, ci sono persone che non si identificano pienamente con il proprio sesso, ma non per questo si percepiscono come appartenenti a quello opposto. Definiamo transgender questa categoria. Tuttavia, a volte il disagio rispetto al proprio sesso biologico è talmente forte che la persona è disposta a sottoporsi a cure ormonali e operazioni chirurgiche pur di conformare il proprio corpo alla propria identità di genere, che è avvertita come opposta a quella biologica. In questi casi utilizziamo il termine transessuale. 7

istituto a.t. beck | Le schede | 1. Le componenti dell’identità sessuale

Ruolo di genere Il ruolo di genere è la manifestazione pubblica della propria identità di genere, cioè i comportamenti che gli individui adottano (nel modo di parlare, di vestirsi, di riferirsi a se stessi) per indicare agli altri la propria identità maschile, femminile o ambivalente. Tale aspetto, in quanto manifestazione esteriore, è ovviamente fortemente influenzato dalla cultura di riferimento: è facile osservare, ad esempio, come la percezione dell’identità maschile nella cultura occidentale dei giorni nostri sia profondamente diversa da quella di 40 anni fa, e sia comunque molto differente dalla cultura odierna espressa da altre società. In sostanza, il ruolo di genere costituisce una rielaborazione e un’espressione personali delle aspettative e consuetudini sociali attuali rispetto a un determinato sesso. Quando nasciamo, ci viene messo sulla culla un fiocco azzurro se siamo maschi e un fiocco rosa se siamo femmine. Questi fiocchi indicano non solo il nostro sesso, ma tutte le aspettative che la cultura ha sui nostri comportamenti in quanto maschi o femmine. Da questo momento in poi buona parte di quello che diciamo o facciamo rientra nella dicotomia maschio/femmina. Se una bambina ama giocare a calcio con i compagni e si sporca i vestiti, le viene detto di non fare il maschiaccio. Una volta cresciuta, deve imparare a cucinare, deve volere un marito e dei figli. Così un uomo deve amare guardare la partita o la Formula 1 in tv. Ogni volta che un individuo non si conforma a queste aspettative, la società lo considera strano, lo fa sentire sbagliato rispetto a un modello stereotipato di riferimento.

Orientamento sessuale Nelle parole dell’American Psychological Association, “l’orientamento sessuale si riferisce a un modello stabile di attrazione emotiva, romantica e/o sessuale verso gli uomini, le donne, o entrambi i sessi” (American Psychological Association, 2008). La prima cosa da notare in questa definizione è che l’orientamento sessuale è un orientamento verso un sesso (maschile, femminile o entrambi), espresso in termini di attrazione emotiva, romantica e/o sessuale. Nello specifico, una persona omosessuale è attratta affettivamente, romanticamente e sessualmente da un individuo dello stesso sesso. Si evidenza questo aspetto perché talvolta la parola “omosessuale” trae in inganno, richiamando l’attenzione sul solo aspetto della sessualità e trascurando le componenti emotive, affettive, romantiche che sono, invece, parte integrante dell’orientamento. In effetti, l’orientamento sessuale non è sinonimo di attività sessuale, né di comportamento sessuale. Talvolta possono esserci individui che hanno comportamenti omosessuali (pensiamo al mondo della prostituzione maschile, ad esempio) ma che non si riconoscono come omosessuali. In altri casi, possiamo avere individui fortemente o esclusivamente attratti dal proprio sesso che, però, non hanno comportamenti omosessuali (ad esempio perché sono sposati) o alcuna attività sessuale (ad esempio, perché hanno forti sensi di colpa rispetto alla propria omosessualità). Nel caso degli adolescenti, vi possono essere casi in cui il ragazzo o la ragazza si identificano come gay/lesbica, pur non avendo avuto alcuna esperienza sessuale, o altri in cui a comportamenti omo o bisessuali non corrisponde una precisa definizione in termini di orientamento. In genere, si tende a descrivere le persone come eterosessuali se attratte da individui del sesso opposto, omosessuali se attratte da individui del proprio sesso, e bisessuali, se attratte da individui di entrambi i sessi. In realtà, la ricerca scientifica ha mostrato fin dagli anni ‘50 che l’orientamento sessuale si estende lungo un continuum, i cui poli sono rappresentati dall’esclusiva eterosessualità o omosessualità 1. All’interno di questo continuum è più corretto parlare di soglia di omosessualità o eterosessualità, cioè quanto facilmente si è attratti dal proprio sesso o da quello opposto. Fritz Klein (Klein, Sepekoff, Wolf, 1985; Klein, 1993) ha elaborato una griglia di valutazione dell’orientamento sessuale, denominata Klein Sexual Orientation Grid (KSOG), che, insieme alla misurazione del comportamento sessuale, pone altre sei variabili: l’attrazione e le fantasie sessuali, le preferenze sociali ed emotive, l’autoidentificazione e lo stile di vita. Tali variabili vengono considerate in relazione al passato, al presente e alla dimensione ideale. Si crea, pertanto, una griglia costituita da 21 caselle, al cui interno le sette variabili sono valutate su una scala da 1 a 7, simile a quella da 0 a 6 della Scala Kinsey, con cui si intende cogliere il continuum eterosessualeomosessuale. 8

istituto a.t. beck | Le schede | 1. Le componenti dell’identità sessuale

Successivamente, all’inizio degli anni ‘90, Eli Coleman ha elaborato uno strumento di valutazione dell’omosessualità, basato su 9 variabili (Coleman, 1988, 1990). Queste sono: l’attuale status di relazione, l’autoidentificazione dell’orientamento sessuale, sia presente che ideale, il confort col proprio orientamento sessuale, l’identità biologica, l’identità di genere, l’identità di ruolo di genere, l’identità di orientamento sessuale e l’identità sessuale ideale. Quando si parla di “ideale” si intende una dimensione riferita al futuro, il cui confronto con quella riferita al presente fornisce le informazioni più interessanti, dal momento che l’orientamento sessuale non è statico e immutabile, bensì fluido. Comunemente si parla dell’orientamento sessuale come di una caratteristica propria dell’individuo, allo stesso modo dell’età o del sesso biologico. In realtà, questo punto di vista è parziale, perché l’orientamento sessuale si definisce in termini di relazione con l’altro. Le persone esprimono il proprio orientamento sessuale attraverso i comportamenti con gli altri, a partire da azioni molto semplici, come tenersi la mano o darsi un bacio. Quindi, l’orientamento sessuale è strettamente legato alle relazioni personali, in cui vengono soddisfatti i reciproci bisogni di amore, affetto e intimità. Oltre ai comportamenti sessuali, dunque, questi legami includono tenerezze, obiettivi e valori comuni, mutuo sostegno e un costante impegno tra i/le due partner. “Perciò, l’orientamento sessuale non è semplicemente una caratteristica personale all’interno di un individuo. Piuttosto, l’orientamento sessuale definisce il gruppo di persone in cui è probabile trovare le relazioni romantiche soddisfacenti e appaganti che sono per molte persone una componente essenziale dell’identità personale” (American Psychological Association, 2008). Com’è evidente, l’orientamento sessuale costituisce una categoria molto diversa dall’identità di genere. I gay e le lesbiche, in massima parte, si percepiscono rispettivamente come uomini e donne e sono a proprio agio con il genere corrispondente al sesso biologico, anche se, in alcuni casi, possono manifestare comportamenti o caratteristiche propri dell’altro sesso (gay effeminati o lesbiche mascoline). Ad oggi non è noto cosa determini l’orientamento sessuale, sebbene negli ultimi decenni si sia andati alla ricerca del perché si ha un determinato orientamento, di quali spiegazioni psicologiche, sociali, genetiche, ormonali o culturali possano esservi alla base. Finora non sono emersi risultati che abbiano permesso conclusioni definitive circa il tipo e il numero di fattori alla base dell’orientamento sessuale. Quello che la maggior parte degli scienziati condivide è che non si tratta di una scelta e che in genere l’orientamento sessuale emerge tra la media infanzia e la prima adolescenza (American Psychological Association, 2008). Naturalmente, in base a quanto già detto, l’attrazione romantica, emotiva, sessuale può emergere senza che si compia alcun atto sessuale. Persone differenti hanno esperienze molto diverse riguardo il proprio orientamento sessuale. Alcuni lo avevano chiaro prima ancora di avere fatto

alcuna esperienza sessuale, mentre altri ne hanno avute svariate prima di definirlo. Va considerato, a questo proposito, che talvolta i pregiudizi e le discriminazioni possono rendere più difficile l’accettazione del proprio eventuale orientamento omosessuale o bisessuale. Dal punto di vista scientifico, nel 1973 l’American Psychiatric Association (APA) ha rimosso l’omosessualità dalla lista di patologie mentali incluse nel Manuale Diagnostico delle Malattie Mentali (DSM), e ha introdotto la definizione dell’omosessualità come “variante non patologica del comportamento sessuale”, riconoscendo la stessa suscettibilità alle patologie sia in persone omosessuali che eterosessuali. Nel 1993 anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha accettato e condiviso la definizione non patologica dell’omosessualità. Dal momento che l’orientamento sessuale non è né una scelta né una malattia, la comunità scientifica si è espressa più volte contro le cosiddette “terapie riparative”, che promettono, cioè, di convertire l’orientamento sessuale da omo a etero. Ad oggi non vi sono dati scientifici circa l’efficacia e la sicurezza di tali terapie. Innanzitutto, partono dalla premessa sbagliata secondo cui l’orientamento omosessuale debba essere cambiato. Secondo la comunità scientifica, essere omosessuali è infatti una normale espressione della sessualità umana, di conseguenza non c’è motivo di voler cambiare tale caratteristica. Inoltre tali terapie, lungi dall’essere efficaci nel modificare qualcosa di immodificabile, sono estremamente pericolose nel rinforzare nell’individuo omosessuale (e nel resto della società disposta a crederci) l’idea che l’omosessualità sia una condizione indesiderabile, una malattia da debellare (Schroeder, Shidlo, 2001; Shidlo, Schroeder, 2002). Le indicazioni terapeutiche per un professionista che tratti un individuo disturbato dal proprio orientamento omosessuale o bisessuale includono “aiutare la persona a fronteggiare attivamente i pregiudizi sociali sull’omosessualità, a risolvere con successo le tematiche associate con i conflitti interni, a condurre una vita felice e soddisfacente” (American Psychological Association, 2008).

1. È stato Alfred Kinsey a introdurre l’idea della sessualità come variabile continua. Kinsey, Pomeroy, Martin, 1948; Kinsey, Pomeroy, Martin, Gebhard, 1953.

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2. istituto a.t. beck | Le schede

Omofobia: definizione, origini e mantenimento Obiettivo Il bullismo omofobico è un tipo specifico di bullismo basato sul pregiudizio omofobico. Trasmettere conoscenze basilari su tale pregiudizio così diffuso e sulle maniere in cui si perpetua nella società permette di contrastare efficacemente la formazione o la diffusione del bullismo. Materiale Scheda e libro “Parlare di omosessualità a scuola”. Metodo Lettura ed eventuale riflessione con i colleghi. Tempo 1 ora

Nel 1972 venne pubblicato il famoso libro di Weinberg Society and the Healthy Homosexual, destinato ad avere una grande influenza su tutto il dibattito successivo e sugli studi riguardanti le attitudini del mondo eterosessuale nei confronti di uomini e donne omosessuali. In quel testo, l’autore coniava il termine “omofobia”, definendo la paura irrazionale, l’intolleranza e l’odio nei confronti delle persone omosessuali da parte della società eterosessista. Si riferisce alla stigmatizzazione a cui sono stati storicamente sottoposti gay e lesbiche da società che si rifanno a uno schema ideologico che nega e denigra ogni forma di comportamento, identità, relazione o comunità di persone non eterosessuali. Il termine “omofobia” era stato utilizzato per la prima volta nel 1971 da K. T. Smith in un articolo in cui l’autore tentava di definire i tratti della personalità di un individuo omofobo. Di etimologia greca facilmente ricostruibile, il termine utilizzava il suffisso “fobia”, sinonimo di paura irrazionale, insieme al prefisso “omo”, che qui perdeva il suo significato originario di “stesso” per trasformarsi nell’abbreviazione di “omosessuale”. Nel suo testo, Weinberg definiva l’omofobia come “la paura di stare in spazi chiusi con omosessuali e, nel caso degli stessi omosessuali, l’odio di sé”. In questa definizione, lo studioso enucleava già un aspetto importante dell’omofobia, l’odio per se stessi provato da alcuni omosessuali, che oggi chiamiamo “omofobia interiorizzata”. Tralasciando per adesso questa particolare forma di omofobia - che sarà discussa più avanti - ci si può concentrare sulle altre definizioni di omofobia date dallo stesso Weinberg. Innanzitutto, va sottolineata la classificazione di questa condizione come una “fobia operante come un pregiudizio”. Secondo Weinberg, infatti, “la fobia appare come antagonismo diretto verso un particolare gruppo di persone. Inevitabilmente, porta al disprezzo di quelle persone e al loro maltrattamento”. Generalmente il termine clinico “fobia” indica una paura, un’incapacità, un limite personale, che il singolo individuo si trova a vivere e che cerca di superare per condurre un’esistenza più piena. Nel caso dell’omofobia, invece, il suo carattere di pregiudizio ne rende particolarmente difficile il superamento. Il pregiudizio, infatti, è qualcosa di talmente radicato nell’animo umano che spesso, pur riconosciuto come infondato dal punto di vista razionale, continua a condizionare pensieri e comportamenti, perché viene ancora avvertito come fondamentalmente giusto a livello emotivo. Inoltre, la caratteristica di pregiudizio di questa fobia fa sì che i suoi effetti negativi siano avvertiti non solo (e in questo caso non tanto) da colui che ne è affetto, quanto da coloro verso cui questo pregiudizio è rivolto: le persone omosessuali, appunto. Si aggiunga il fatto che tale pregiudizio è socialmente diffuso. Ciò comporta due diversi ordini di conseguenze: a livello personale, l’omofobia continua a essere rinforzata nell’interazione quotidiana con altri individui omofobi, nella ricezione costante di messaggi omofobi, subliminali o espliciti, da parte dei mass-media, delle 10

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istituzioni o di organizzazioni politiche e religiose; a livello sociale, gli effetti dell’omofobia sulle persone omosessuali sono tanto più forti quanto più il fenomeno è diffuso. Nel 1997, James T. Sears ha dato una definizione di omofobia più inclusiva e precisa, che teneva conto di quanto appena detto: “Definiamo l’omofobia come pregiudizio, discriminazione, molestie, o atti di violenza contro le minoranze sessuali, inclusi lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, evidenziata in una paura o un odio profondamente radicati verso coloro che amano e desiderano sessualmente persone dello stesso sesso”. Ancora un punto vale la pena sottolineare nella definizione appena fornita. Quando si parla di pregiudizio, di discriminazione, spesso si fa riferimento a qualcosa che non avviene davvero, o meglio a qualcosa che non si esprime attraverso un evento determinato e circoscrivibile. Perché, in gran parte dei casi, l’omofobia opera anche quando nulla sembra succedere: quando un adolescente gay, in una conversazione con gli amici o le amiche, non parla del ragazzo che gli piace mentre ascolta gli altri confidarsi e scherzare sui primi innamoramenti; quando un’adolescente lesbica non invita a uscire la ragazza che le piace, anzi fa di tutto per nascondere quest’attrazione. In questi e in mille altri casi, nulla è davvero successo, nessun evento che possa essere raccontato; eppure l’omofobia era attiva e operante, spingendo degli individui a nascondersi, a mascherare i propri sentimenti e pensieri per paura delle eventuali conseguenze. Da cosa trae origine quest’infondata angoscia rivolta verso le minoranze sessuali? E come mai quest’odio profondamente radicato sembra più diffuso tra gli uomini che tra le donne, stando almeno ai risultati di diversi sondaggi condotti sull’argomento 1? In realtà non è solo il genere sessuale l’unica componente che appare discriminante in termini di propensione all’omofobia. Tratti caratteriali, sociali e culturali, come l’età avanzata, la tendenza all’autoritarismo, il grado di religiosità, di ideologia conservatrice, di rigidità mentale, costituiscono fattori importanti da tenere in considerazione nel delineare il ritratto di un individuo omofobo. Come appare evidente, maggiore risulta il grado di ignoranza, di conservatorismo politico e sociale, di cieca credenza nei precetti religiosi, maggiore sarà la probabilità che un individuo abbia un’attitudine omofoba. È chiaro inoltre che i tratti qui citati a mero titolo esemplificativo non solo aumentano la possibilità di omofobia in un individuo, ma in generale anche le probabilità che il medesimo individuo coltivi dentro di sé altre forme di pregiudizio. La storia del mondo occidentale dimostra che, nel corso dei secoli, molto spesso coloro che si differenziavano dalla maggioranza dominante, ad esempio per il colore della pelle, per il credo religioso, per il sesso, coloro che erano in qualche modo “diversi”, sono stati soggetti di volta in volta a fenomeni di oppressione che potevano andare da un atteggiamento generalizzato di diffidenza

o disprezzo, fino alla messa in schiavitù o allo sterminio di massa. La necessità per alcune società di aumentare il senso di appartenenza dei suoi membri, di apparire più forti e più unite, è infatti passata spesso attraverso l’esclusione degli “altri”, di chi era portatore di valori diversi. Vi è poi un gruppo specifico di individui che ha subìto il biasimo e l’esclusione, quando non la reclusione o la condanna, non solo in una determinata epoca e società, ma nella maggioranza del mondo occidentale. L’avversione, quando non l’odio, per questo particolare sottogruppo, ha unito tutti gli altri: ebrei, musulmani e cristiani, bianchi e neri, uomini e donne. Questo sottogruppo, o meglio questo gruppo trasversale, è quello delle persone omosessuali e l’avversione di cui parliamo è l’omofobia. E non solo, come si diceva, quest’avversione ha radici antiche perpetratesi attraverso i secoli, ma rimane nella società occidentale contemporanea l’ultima forma di pregiudizio socialmente sostenibile. Il concetto di politically correct salvaguarda oramai, almeno socialmente, tutte le minoranze; l’anti-semitismo, il razzismo, il maschilismo sono finalmente biasimati a livello pubblico nelle società più avanzate; ed esistono leggi speciali per i cosiddetti “crimini dell’odio” derivanti da pregiudizi. L’unica minoranza che continua a essere soggetta a un’oppressione costante, espressa in forme talvolta sottili, talvolta palesi, quando non addirittura attraverso forme istituzionalizzate, è proprio quella costituita dalle persone gay e lesbiche. Ma, di preciso, come si manifesta l’omofobia, quali sono i canali attraverso cui questa paura si perpetua? Esistono diversi modelli omofobi di rappresentazione dell’omosessualità, modelli che, investendo svariati ambiti, tendono a integrarsi e a rafforzarsi vicendevolmente offrendo dell’omosessualità un quadro a tinte fosche, così che in definitiva cresce il livello generale di omofobia. Per essere più chiari, vi è un modello omofobo di tipo religioso, che considera l’omosessualità un peccato; un modello omofobo di tipo scientifico, che la considera una malattia; un modello omofobo di tipo sociale, che la considera una minaccia; e infine un modello omofobo di tipo politico, che cavalca la paura della diversità. In sostanza, viene a configurarsi una sorta di circolo vizioso: i modelli omofobi offrono un sostegno all’omofobia, favorendone la diffusione e il rafforzamento; questo, a sua volta, porta al perpetuarsi dei modelli omofobi a causa dei larghi consensi che riscuotono. Tutti questi modelli insieme fanno sì che i cittadini omosessuali non siano trattati allo stesso modo di quelli eterosessuali, in una serie di diritti elementari. L’ostilità nei confronti dell’omosessualità è così diffusa nella nostra società che facilmente si può immaginare quanto siano numerosi i giovani omosessuali che hanno 11

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avuto per genitori persone omofobe e che, nel corso della loro infanzia e adolescenza, hanno incontrato insegnanti, compagni di scuola e amici omofobi. Quindi, durante il periodo di esplorazione della loro identità, gay e lesbiche sono già consapevoli della mancanza di approvazione del comportamento omosessuale da parte della società e hanno già appreso, in modo diretto e indiretto, dal loro contesto culturale, che provare sensazioni omoerotiche è spregevole e vergognoso. Ecco perché, spesso, è inevitabile che, durante l’adolescenza, gli omosessuali si percepiscano come diversi, sbagliati e inadeguati, e che molti di loro scelgano l’isolamento sociale.

e delle molestie verbali e fisiche subite ogni giorno da parte degli altri studenti, molti adolescenti omosessuali incontrano difficoltà a scuola (assenze frequenti, prestazioni scadenti, difficoltà di apprendimento, precoce abbandono scolastico ecc.), fuggono di casa e, in casi estremi, finiscono con il non avere una fissa dimora.

Per D’Augelli (1996) l’isolamento della persona omosessuale avviene secondo un modello ciclico. In un primo momento, l’adolescente gay o lesbica non riesce a spiegare a se stesso la propria diversità, ed è solo con il trascorrere del tempo che diventa consapevole di provare attrazione e sentimenti di amore nei confronti di persone dello stesso sesso. Tale consapevolezza può compromettere in modo serio la conduzione della vita sociale di alcuni; altri, invece, si nascondono dietro uno stile di vita convenzionale, aumentando il divario tra identità pubblica e sostanziale. Durante l’adolescenza quasi tutti gli omosessuali hanno paura che le altre persone vengano a conoscenza del proprio “segreto”, di quello che sentono. Da ciò deriva lo sviluppo di una maggiore attenzione nei confronti del contesto sociale di appartenenza. Quanto sopra esposto lascia intuire che spesso lo sviluppo di una rete amicale per i giovani gay e lesbiche avviene molto lentamente, soprattutto a causa della paura di essere rifiutati dai propri compagni. Questa fa sì che molti giovani omosessuali diventino spesso dipendenti da una piccola rete di amici ai quali hanno rivelato il loro reale orientamento sessuale. Così, durante l’adolescenza, si trovano a parlare di sé e dei propri problemi con poche persone e, nello stesso tempo, a nascondere la propria sessualità a tutti gli altri (inclusi genitori e familiari). Tale situazione intensifica la percezione della loro diversità. La difficoltà di parlare di sé con gli altri favorisce nei giovani gay e lesbiche l’interiorizzazione acritica degli assunti eterosessisti e omofobi della società, che sono causa dell’isolamento stesso. Oltre alle difficoltà relazionali di tipo amicale, durante l’adolescenza, molti omosessuali soffrono a causa della mancanza di supporto emotivo da parte delle proprie famiglie. A questo proposito, ricerche sulle reazioni dei genitori al momento della scoperta dell’orientamento omosessuale dei figli riferiscono di padri e madri sconcertati che, in molti casi, assumono posizioni di rifiuto nei loro confronti. Dai risultati di un altro studio (D’Augelli e Hershberger, 1993) sembrerebbe che solo un piccolo gruppo di omosessuali (11%) riceva sostegno e conforto dai propri familiari nel momento del coming out. Infine, una ricerca sul disagio giovanile di gay e lesbiche (Savin-Willliams, 1994) sostiene che, a causa della stigmatizzazione sociale

1. I diversi sondaggi sono riportati da Sears, 1997. Ci si può riferire a quel testo per la bibliografia completa.

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Omofobia interiorizzata: definizione e conseguenze fisiche e psicologiche Obiettivo L’omofobia interiorizzata ha un impatto molto forte sulla vita di gay e lesbiche. Nel periodo dell’adolescenza può danneggiare fortemente l’autostima in fieri dell’individuo e può essere una delle fonti di diffusione del bullismo omofobico, per il senso di vergogna della vittima a denunciare gli episodi. Trasmettere agli insegnanti conoscenze basilari su questo fenomeno permette loro di educare gli adolescenti gay e lesbiche sul pregiudizio interiorizzato e mina uno dei pilastri della diffusione del bullismo omofobico. Materiale Scheda e libro “Parlare di omosessualità a scuola”. Metodo Lettura ed eventuale riflessione con i colleghi. Tempo 30 minuti Per omofobia interiorizzata si intende l’ansia, il disprezzo e l’avversione che gli omosessuali provano nei confronti della propria omosessualità e nei confronti di quella di altre persone. Essa deriva dall’accettazione passiva - consapevole e inconsapevole - di tutti i sentimenti negativi, gli atteggiamenti, i comportamenti, le opinioni, i pregiudizi tipici della cultura omofoba. La stigmatizzazione sociale delle persone omosessuali è talmente diffusa all’interno della nostra società che l’interiorizzazione dell’omofobia è stata vista da molti autori come un normale evento del percorso evolutivo di gay e lesbiche: quasi tutte le persone omosessuali hanno assunto un atteggiamento omonegativo in qualche momento della loro vita. Gay e lesbiche sono poco consapevoli di quanto la cultura omofoba possa colpire il loro essere in modo pervasivo. I messaggi negativi trasmessi dalle principali istituzioni, quali la famiglia, la Chiesa e lo Stato, sono incessanti e

agiscono a più livelli. Basta riflettere su questo: che tipo di educazione abbiamo ricevuto sull’omosessualità dalla famiglia, dalla Chiesa, dallo Stato, dai mass-media, dalla scuola? Non c’è mai stato un approccio neutrale all’omosessualità, che, al contrario, veniva considerata un “male” e, in quanto tale, è stata rimossa, nascosta, negata fino al punto da spingere gay e lesbiche a rinunciare a se stessi, in diversa misura. Il grado di omofobia interiorizzata naturalmente è variabile da persona a persona, per cui si è cercato di individuare quali fossero i fattori che contribuiscono al suo sviluppo. Secondo alcuni, sono essenzialmente di tre tipi: fattori sociali (come l’ambiente socio-culturale in cui la persona omosessuale vive), fattori familiari (ad esempio, dei genitori omofobi) e tratti di personalità. Altri, più specifici, sono stati individuati nell’isolamento e nella mancanza di informazione riguardo all’omosessualità, che impediscono agli individui di conoscere in modo adeguato il mondo circostante, relegandoli a spettatori di argomentazioni decise e sostenute da altri. Quali sono gli effetti dell’omofobia interiorizzata sulla persona omosessuale? È opinione condivisa che l’interiorizzazione dell’omofobia possa condizionare pesantemente il funzionamento psicologico di gay e lesbiche. La presenza di omofobia nelle persone omosessuali può essere causa di bassa autostima, atteggiamenti di tipo passivo, difficoltà di tipo relazionale, isolamento e autoesclusione sociale, sensi di colpa e vergogna, sintomi di tipo depressivo o ansioso, angoscia, abuso di alcool e droghe, tentativi di suicidio. Ross (1996) ha definito l’atteggiamento omonegativo interiorizzato come il prodotto delle norme omofobe ed eterosessiste presenti nella società e come il principale responsabile dei disagi psicologici di gay e lesbiche. Per chiarire quali elementi costituivano gli atteggiamenti omonegativi interiorizzati, Ross e Rosser (1996) hanno analizzato i fattori sottostanti la presenza di omofobia interiorizzata nei gay statunitensi e hanno osservato quattro dimensioni: l’identificazione pubblica come gay, la percezione della stigmatizzazione associata all’orientamento sessuale, l’importanza del conforto sociale tra gay e le opinioni riguardo l’accettazione morale e religiosa dell’essere omosessuale. Tali dimensioni sottolineano quanto sia inevitabile per un gay identificarsi come parte di una minoranza stigmatizzata e accettare, in modo incondizionato, l’eterosessismo e le convinzioni omonegative della società.

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La scuola italiana non sembra essere un posto sicuro per i giovani gay e lesbiche. Al di là dei drammatici episodi riportati dalle cronache, basta guardare i risultati della recentissima ricerca di Gay.it e Demoskopea 1. Su circa 2.000 intervistati, il 52% riporta di aver subìto discriminazioni a scuola, a causa della propria omosessualità o bisessualità. Si tratta soprattutto di offese verbali (77%), ma anche di atti di bullismo e minacce (25%) e mancati riconoscimenti (17%). Il 9% riporta di aver subìto aggressioni fisiche. Principali responsabili sono i compagni di scuola (secondo il 90%), ma in alcuni casi anche gli insegnanti (citati dal 15% del campione). Gli stessi docenti - secondo l’85% degli intervistati - pur essendo consapevoli delle discriminazioni di carattere sessuale compiute dai propri studenti, non hanno assunto iniziative a difesa degli alunni discriminati. Dati non dissimili risultano purtroppo anche da studi condotti in altre realtà, talvolta percepite come più avanzate rispetto a quella italiana, come dimostra il recente “The School Report” (2012), condotto da Stonewall nelle scuole della Gran Bretagna.

Bullismo omofobico: come riconoscerlo e intervenire Obiettivo Il bullismo omofobico è molto diffuso. Trasmettere conoscenze basilari agli insegnanti su come riconoscerlo e combatterlo efficacemente permette di contrastare il fenomeno e avere una scuola più giusta e inclusiva. Materiale Scheda e libro “Parlare di omosessualità a scuola”. Metodo Lettura ed eventuale riflessione con i colleghi. Tempo 1 ora

Cosa intendiamo per bullismo omofobico? Il bullismo omofobico può presentarsi sotto diverse forme. La più frequente è quella verbale: insultare qualcuno chiamandolo “lesbica, frocio, checca, ricchione, finocchio”; prendere in giro un ragazzo per atteggiamenti ritenuti troppo effeminati o, al contrario, una ragazza per modi considerati troppo mascolini; fare telefonate di scherno o di insulti; minacciare il soggetto. Purtroppo è diffusa anche una forma fisica di bullismo: aggressioni fisiche di diversa entità (dagli spintoni fino a pugni e calci); danni a oggetti personali dell’adolescente; umiliazioni fisiche a sfondo sessuale che possono sfociare anche in violenze sessuali di gruppo. Questi tipi di bullismo sono, per la loro evidenza, abbastanza semplici da individuare. Vi sono, però, anche delle forme meno dirette, meno esplicite: escludere qualcuno da un gruppo; isolarlo; farlo sentire a disagio; diffondere pettegolezzi sull’orientamento sessuale del soggetto, magari tramite scritte sui muri o sulla lavagna, o tramite bigliettini passati in classe. Inoltre, oggi è presente il fenomeno del cyber-bullismo: inviare foto o sms inappropriati a qualcuno; fare fotomontaggi allusivi o offensivi rispetto al soggetto; creare una pagina facebook o un blog di scherno, a cui hanno accesso tutti gli studenti della scuola. Il cyber-bullismo non è solo in ascesa, ma colpisce gli adolescenti gay e lesbiche in maniera più che doppia rispetto a quelli eterosessuali 2 . Cosa caratterizza tutte queste azioni? Perché costituiscono bullismo? Secondo Fedeli (2007), il bullismo ha 3 caratteristiche principali:



È intenzionale, cioè è messo in atto deliberatamente dal bullo, allo scopo di colpire, umiliare, intimidire il soggetto prescelto;



È sistematico, cioè tende a ripetersi nei confronti dello stesso soggetto da parte del bullo o branco, anche se con diverse modalità (fisiche, verbali, cyber o indirette a seconda dei momenti e dei contesti); 14

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È relazionale, cioè è un atto sociale, compiuto davanti a un pubblico composto da altri studenti, in cui il bullo esprime la propria superiorità rispetto alla vittima. A questa sorta di copione partecipano, in qualità di spettatori o complici del bullo, altri studenti.

Bartkiewicz, 2010), mentre i bulli, perpetuando le loro prepotenze, vanno incontro a comportamenti antisociali che, fuori dalla scuola, possono condurli a percorsi di delinquenza ( Fedeli, 2007; Kim, Leventhal, 2008).

Il bullismo omofobico (che non si rivolge necessariamente a studenti omosessuali, ma anche ad adolescenti “diversi”, con atteggiamenti o abiti percepiti come non perfettamente conformi al sesso biologico, o con familiari apertamente omosessuali) ha inoltre un’altra caratteristica fondamentale, che lo rende particolarmente insidioso: fa leva sull’omofobia interiorizzata della vittima. Ciò vuol dire che spesso quest’ultima non ha il coraggio di denunciare i suoi aggressori, non solo per paura di ritorsioni (che è un elemento tipico del bullismo in generale), ma anche per evitare di mettere ancora di più al centro dell’attenzione pubblica la propria omosessualità vera o presunta, la propria diversità. Naturalmente questo aspetto può assumere varie connotazioni: la vittima può addirittura in qualche modo ritenere di meritarsi gli atti di bullismo, in quanto “sbagliata”. Questo aspetto ha il suo contraltare nell’omofobia che circonda la vittima: il bullo e i suoi complici sono in qualche modo convinti di essere nel giusto (ricordiamo che negli Stati Uniti nelle manifestazioni di oltranzisti religiosi si possono trovare spesso i cartelli “God Hates Fags” (Dio odia i froci); www.godhatesfags.com è il sito della chiesa battista di Westboro), si sentono forti dell’appoggio di parte della società. Purtroppo, in alcuni casi, non sono solo gli studenti a spalleggiare o minimizzare questo tipo di bullismo, ma anche il corpo docente. Gli insegnanti, anche i più bravi e preparati, possono non essere perfettamente consapevoli della propria omofobia e rischiare, perciò, di minimizzare dei comportamenti omofobici, definendoli “ragazzate”. Oppure possono rendersi conto che sta avvenendo un atto di bullismo omofobico, ma si sentono soli e impreparati rispetto alle modalità di intervento. È importante sottolineare che anche un “semplice” insulto omofobico, come “lesbica, checca, frocio”, se avviene davanti a un insegnante che non interviene, può mettere in moto un pericoloso circolo vizioso: da un lato, l’adolescente si sente ferito per l’insulto e potenzialmente esposto a ulteriori atti di bullismo, ma soprattutto sperimenta un senso di abbandono da parte dell’istituzione che dovrebbe difenderlo; in sostanza resta assolutamente solo e in balìa dei suoi bulli. Dall’altro lato, il bullo e i suoi complici si sentiranno ancora più legittimati nei loro comportamenti, che sono rimasti impuniti. La vittima pertanto, oltre a essere più soggetta a problemi quali depressione, ansia, isolamento sociale, disturbi del sonno (Hillier, Turner, Mitchell, 2005; Taylor, Peter, 2011), può potenzialmente allontanarsi dall’istituzione scolastica, da cui è rimasta profondamente delusa, in termini fisici o di impegno e rendimento nello studio (Kosciw, Greytak, Diaz,

1. http://www.gay.it/channel/attualita/34684/Sondaggio-lavita-al-limite-dei-giovani-studenti-gay.html 2. 15% di eterosessuali, 33% di omosessuali e lesbiche. Kessel Schneider, O’Donnell, Stueve, Coulter, 2012.

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Adolescenza e omosessualità Obiettivo L’adolescenza è un periodo della vita in cui si comincia a conoscere e sperimentare la propria sessualità. Talvolta questo può condurre alla consapevolezza di un’identità omosessuale. Trasmettere agli insegnanti delle conoscenze su questo percorso permette loro di essere meglio preparati sull’argomento. Materiale Scheda e libro “Parlare di omosessualità a scuola”. Metodo Lettura ed eventuale riflessione con i colleghi. Tempo 30 minuti

L’adolescenza è il periodo della vita in cui si comincia a cercare una propria identità separata da quella della famiglia di origine e si comincia a sviluppare la propria autonomia. In questo viaggio alla scoperta di se stessi una delle tappe è costituita dalla scoperta della propria sessualità. I primi esperimenti in questo campo inevitabilmente portano con sé molte domande. A volte gli adolescenti hanno delle esperienze o dei desideri omosessuali che possono confonderli riguardo il loro orientamento.

Nel corso di questo percorso di sperimentazione, alcuni possono rendersi conto di essere gay, lesbiche o bisessuali. In qualcuno, riconoscere questa identità può far finire la confusione provata. Tuttavia, è necessario il supporto di genitori e amici, supporto tutt’altro che scontato, perché questi adolescenti possano vivere in maniera serena il processo di sviluppo. Essi infatti, consapevoli delle difficoltà di accettazione che possono trovare, tendono a nascondersi e a non rivelare il proprio orientamento. Ciò nonostante, i loro comportamenti possono essere classificati dai gruppi di pari come “strani, diversi, da checca, da maschiaccio”. In tal caso questi ragazzi e ragazze hanno maggiore probabilità di subire atti di bullismo e di avere esperienze negative a scuola. Queste sono associate a esiti negativi come pensieri suicidi e attività ad alto rischio (ad esempio, sesso non protetto o abuso di alcool o sostanze stupefacenti). Pensieri e comportamenti di questo tipo sono connessi con la riprovazione sociale e il pregiudizio omofobico che possono circondare il ragazzo gay o la ragazza lesbica. Il sostegno da parte degli amici o di adulti significativi (genitori o insegnanti) può essere essenziale per aiutare l’adolescente a controbilanciare i pregiudizi e avere un’immagine positiva di sè. D’altra parte vi possono essere degli adolescenti considerati gay o lesbiche semplicemente perché non rispecchiano lo stereotipo di genere (cioè sono maschi a cui, per esempio, non piace il calcio o che amano i colori vivaci, o ragazze che allo shopping preferiscono una partita a tennis o che vestono in maniera molto sportiva). Anche se questi adolescenti non si identificano come gay o lesbiche, il pregiudizio omofobico, e il conseguente bullismo, possono comunque prenderli di mira, rendendo più difficili le loro vite. Paradossalmente, gli adolescenti che si riconoscono come gay o lesbiche, ma che non presentano comportamenti diversi dal gruppo, possono non subire alcun atto di bullismo. Tutto bene dunque? Non tanto, perché comunque, essendo testimoni degli atti di bullismo che prendono di mira gli altri ragazzi, interiorizzano l’idea che l’omosessualità sia una cosa da tenere nascosta, che dichiararla sia sbagliato e potenzialmente pericoloso. Anche per tutti questi adolescenti, dunque, un clima scolastico sicuro e rispettoso dei diritti di tutti, e molto severo nei confronti di linguaggio e comportamenti discriminatori, può essere di grande aiuto negli anni della crescita.

Alcuni possono provare desideri omosessuali, ma scegliere di non agire sulla base di tali desideri o di farlo solo sporadicamente per paura di identificarsi come gay, lesbiche o bisessuali, a causa dello stigma associato con l’orientamento non-eterosessuale. A volte possono passare degli anni prima che un adolescente con impulsi omosessuali diventi sessualmente attivo o accetti il proprio orientamento sessuale. 16

La cassetta per gli attrezzi Linee guida per implementare un programma di prevenzione e lotta agli episodi di bullismo omofobico Esempio di manifesto scolastico contro il bullismo Questionario Lettera ai genitori FAQ

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Linee guida per implementare un programma di prevenzione e lotta agli episodi di bullismo omofobico Nella cassetta degli attrezzi sono presentate una serie di linee guida e di strumenti per permettere alla scuola di implementare efficacemente una politica di prevenzione e lotta al bullismo. I materiali presenti in questa sezione sono scaricabili all’indirizzo: http://www.istitutobeck.com/progetto-unar.html password: UNAR

1.

Per prima cosa, la scuola dovrebbe fare una dichiarazione in cui si impegna a combattere il bullismo. Tale dichiarazione dovrebbe essere riportata sotto forma di manifesto da affiggere nei corridoi. Nella dichiarazione potrebbero essere riportati alcuni comportamenti che costituiscono bullismo. Inoltre deve essere chiaramente espresso che la scuola vuole garantire a tutti il diritto a un'educazione sicura, senza discriminazioni. Questo passo è estremamente importante per dare l'idea ai bulli che quel tipo di comportamento non verrà tollerato e alle vittime che non sono sole nella loro lotta. Un esempio di manifesto è riportato di seguito.

5.

Attraverso lezioni come quelle proposte nella sezione successiva, i professori dovrebbero coinvolgere gli studenti nella comprensione dei temi omofobici. La conoscenza di queste tematiche può aiutare a smontare molte dinamiche alla base del bullismo, in primis l’omertà e/o la sottovalutazione da parte degli studenti degli episodi di bullismo. Se il bullo sente che il “pubblico” non è dalla sua parte o se è apertamente osteggiato dalla maggioranza degli studenti, è più probabile che abbandoni progressivamente i suoi comportamenti; allo stesso tempo, la comprensione di alcuni temi, grazie alle discussioni e agli esercizi svolti in classe, può diminuire la componente omofobica alla base dei suoi atti di bullismo, permettendo l’instaurarsi di un clima di supporto, condivisione, serenità e armonia.

6.

Inoltre, la scuola può indicare una o più figure tra i docenti a cui gli studenti possono riportare in maniera confidenziale gli episodi di bullismo, in modo che le vittime possano ricevere supporto e possano essere avviate le politiche scolastiche nei confronti dei bulli. Anche il personale non docente può essere coinvolto nelle politiche scolastiche, attraverso una sorveglianza più attenta negli spazi comuni e una pronta rimozione delle scritte offensive nei confronti di studenti. E’ fondamentale anche che la scuola individui tra il personale docente una figura che abbia familiarità con internet e i social network al fine di contrastare i sempre più diffusi episodi di cyber bullismo.

7.

Infine, la scuola potrebbe avvalersi dell’esperienza di alcune organizzazioni esterne, invitando a parlare in un’apposita riunione d’istituto rappresentanti volontari di varie associazioni (gruppi contro la violenza o il bullismo, gruppi in difesa dei minori, associazioni gay e lesbiche).

2.

In aggiunta, la scuola potrebbe proporre un semplice questionario anonimo, per capire l’estensione del fenomeno.

3.

La scuola dovrebbe fornire ai professori un kit come quello che state leggendo, in maniera da avere un corpo docente preparato in materia di omofobia e bullismo omofobico e pronto a intervenire.

4.

Contemporaneamente, la scuola potrebbe inviare a tutti i genitori degli alunni una lettera, in cui spiega cos’è il bullismo, l’estensione del fenomeno nella scuola (tramite i questionari somministrati), e cosa intende fare per combatterlo. Nella lettera si potrebbe indicare una riunione che la scuola potrebbe tenere per spiegare più approfonditamente la questione. Nel corso dell’incontro, uno o più professori potrebbero fare una breve lezione sul bullismo omofobico, preparata in base al kit fornito.

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Esempio di manifesto scolastico contro il bullismo In basso si riporta una tabella con alcuni esempi di comportamenti che costituiscono bullismo. Bisogna che l’insegnante riveda la scheda sul bullismo in modo da essere preparato in classe a spiegare agli studenti l’argomento, evidenziando le diverse forme che può assumere il bullismo. È importante, inoltre, che l’insegnante sia molto chiaro e deciso nello spiegare ai suoi studenti i seguenti punti: • La scuola non tollera questo tipo di comportamenti. • Il bullismo è sbagliato. Prendere in giro, minacciare, picchiare qualcuno, farlo sentire escluso, perché è grasso, perché è un “secchione”, perché è diverso da noi, perché pensiamo che sia omosessuale, è sbagliato. • Ognuno ha diritto di essere com’è, ognuno ha qualcosa da insegnarci. Quanto più qualcuno è diverso da noi, tanto più ha da insegnarci. • Essere bulli non è “figo”, è stupido. • È compito di tutti, docenti e studenti, non permettere a poche persone di rovinare l’ambiente scolastico.

Categoria di comportamenti

Preoccupanti

Molto preoccupanti

Aggressioni verbali

•Prendere in giro •Dare nomignoli •Insultare

•Fare telefonate intimidatorie •Fare battute razziste, sessiste, omofobe •Sfidare qualcuno a fare qualcosa di pericoloso •Minacciare •Estorcere

Cyber-bullismo

•Creare una pagina Facebook su qualcuno •Mandare sms o mms a qualcuno •Far circolare sms o mms su qualcuno

•Creare una pagina Facebook a sfondo razzista, sessista, omofobico •Mandare sms di minaccia a qualcuno •Incitare all’odio via Facebook o via sms/mms •Far circolare immagini di qualcuno in situazioni imbarazzanti o intime

Alienazione sociale

•Fare pettegolezzi su qualcuno •Imbarazzare qualcuno •Escludere qualcuno dal gruppo •Far circolare voci su qualcuno

•Incitare all’odio •Alienazione a sfondo razzista, sessista, omofobico •Umiliazione pubblica

Aggressioni fisiche

•Spingere •Buttare a terra •Sputare •Dare un calcio •Colpire

•Minacciare con un’arma •Danneggiare oggetti della vittima •Rubare

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IN QUESTA SCUOLA NON SI PRATICA IL BULLISMO SI PRATICA IL RISPETTO La nostra scuola è impegnata nel garantire a tutti gli studenti il diritto a un’esperienza di apprendimento serena e sicura. Facciamo della nostra scuola un posto sicuro per tutti.

IL BULLISMO HA MOLTE FORME

• Prendere in giro, minacciare, picchiare qualcuno, farlo sentire escluso, perchè è diverso da noi, perchè pensiamo sia omosessuale, è sbagliato. • Essere bulli non è figo, è stupido. EDUCARE ALLA DIVERSITÀ A SCUOLA - www.istitutobeck.com

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Dipartimento per le Pari Opportunità

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Questionario

5.

Per favore non mettere il tuo nome su questo questionario. Vogliamo rendere la nostra scuola un posto sicuro per tutti. Pertanto, stiamo cominciando un programma di prevenzione contro il bullismo. Il seguente questionario ci aiuterà a capire meglio il fenomeno del bullismo nella nostra scuola. Per ogni domanda ci sono diverse risposte. Per favore fai una crocetta sulla risposta più vicina alla tua esperienza.

Sei un ragazzo o una ragazza? Ragazza Ragazzo

6.

7.

8.

In che classe sei? Prima media Seconda media Terza media

1.

2.

3.

4.

Quante volte quest’anno sei stato vittima di bullismo? Mai stato vittima Una o due volte Diverse volte Di continuo In che modo sei stato vittima di bullismo a scuola quest’anno? Puoi indicare più risposte, se necessario. Mai stato vittima Insultato o preso in giro Ricevuto calci, colpi, pugni Ignorato, escluso Minacciato, intimidito Via sms/mms/email/Facebook

9.

10.

Quanto spesso gli altri studenti hanno cercato di aiutarti quando sei stato vittima di bullismo? Mai stato vittima Mai Ogni tanto Quasi sempre Hai mai parlato a qualcuno della tua famiglia degli episodi di bullismo di cui sei vittima a scuola? Mai stato vittima No Sì, una volta Sì, spesso Cosa fai di solito quando sei vittima di bullismo a scuola? Mai stato vittima Nulla Lo dico a un insegnante Dico al bullo di smetterla Lo dico a un amico Lo dico ai miei genitori Lo dico al preside o al vice-preside Li ignoro In quali aree della scuola sei stato vittima di bullismo più spesso? Puoi indicare più risposte, se necessario. Mai stato vittima Campo da gioco Corridoi Bagni Biblioteca Palestra Classe Quanto spesso hai preso parte in episodi di bullismo nei confronti di altri studenti ? Mai fatto il bullo con altri studenti Una o due volte Qualche volta Spesso Un tuo insegnante o il preside ha mai parlato con te perché qualcuno ha riferito che tu fai il bullo con altri? Mai fatto il bullo con altri studenti No Sì, una volta Sì, diverse volte

In che classe sono gli studenti che si sono comportati da bulli? Mai stato vittima Nella mia classe In un’altra classe, del mio stesso livello (stessa età) In un livello più avanzato (più grandi) In un livello più arretrato (più piccoli) Quanto spesso lo staff scolastico ha cercato di fermare le situazioni di bullismo di cui sei stato vittima? Mai stato vittima Mai Ogni tanto Quasi sempre 21

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Lettera ai genitori Gentili genitori, Vi inviamo questa lettera perché vogliamo rendervi partecipi di un problema molto serio che la nostra scuola sta affrontando: il bullismo. Cos’è il bullismo? È un atto, intenzionale e sistematico, che uno o più studenti aggressori compiono nei confronti di uno o più studenti vittime, molto spesso davanti ad altri spettatori. Ma di che tipo di atti stiamo parlando? Quali sono questi comportamenti che gli aggressori compiono? Si va da insulti verbali, telefonate fastidiose o minacciose, a offese o pagine di scherno su internet, a comportamenti di esclusione dal gruppo o diffusione di pettegolezzi, fino a vere e proprie aggressioni fisiche. Forse voi pensate che una scuola come la nostra ne sia immune. Invece da un recente questionario sottoposto agli studenti è emerso che: ____________________________________________________________________ ____________________________________________________________________ Indicare i dati emersi dal questionario (percentuali degli studenti vittime di bullismo e comportamenti più frequenti)

Magari vi sembra che queste siano solo ragazzate, e che ci sono sempre state. Che ci siano sempre state è vero, anche se oggi la diffusione dei social network ha accelerato e ingigantito alcuni di questi processi. Che siano delle ragazzate, purtroppo è falso. Anche un “semplice” insulto omofobico, come “lesbica, checca, frocio”, soprattutto se avviene nel contesto scolastico, può mettere in moto un pericoloso circolo vizioso: da un lato, l’adolescente si sente ferito per l’insulto e potenzialmente esposto a ulteriori atti di bullismo, ma soprattutto sperimenta un senso di abbandono da parte dell’istituzione che dovrebbe difenderlo, in sostanza resta assolutamente solo e in balìa dei suoi bulli; dall’altro lato, il bullo e i suoi complici si sentiranno ancora più legittimati nei loro comportamenti, rimasti impuniti. La vittima, pertanto, oltre a essere più soggetta a problemi quali depressione, ansia, isolamento sociale, disturbi del sonno, può potenzialmente allontanarsi dall’istituzione scolastica, da cui è rimasta profondamente delusa, in termini fisici o di impegno e rendimento nello studio, mentre i bulli, perpetuando le loro prepotenze, vanno incontro a comportamenti antisociali che fuori dalla scuola possono condurli a percorsi di delinquenza. La nostra scuola si sta pertanto impegnando con forza per combattere questo fenomeno e garantire a ogni studente il diritto a una scuola sicura e a un’esperienza scolastica serena. I nostri professori stanno studiando i diversi aspetti del bullismo con una cartella informativa predisposta dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali e presto cominceranno a tenere in classe delle lezioni su questi temi. Ci piacerebbe coinvolgere anche voi in questo processo, illustrandovi in maniera più articolata i punti delineati in questa lettera. Vi invitiamo pertanto alla riunione per genitori e insegnanti che si terrà il giorno________ alle ore________, presso __________________________________________ Cordiali saluti

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FAQ Esempi di domande e risposte per la discussione in classe. In tutti i casi bisognerebbe far seguire alla risposta che viene data una discussione tra gli studenti. Si può cominciare chiedendo alla persona che ha fatto la domanda il motivo per cui l’ha posta, cercando di evidenziarne gli eventuali pregiudizi alla base. Una volta esplicitata la linea di pensiero dello studente, si può chiedere agli altri se sono d’accordo con quel ragionamento o se alcuni aspetti della risposta data dall’insegnante non sono condivisi o non sono chiari e vanno ulteriormente sviscerati.

Perché alcuni individui sono attratti da persone dello stesso sesso? Per la stessa ragione per cui altri individui sono attratti da persone del sesso opposto. Questa attrazione, emotiva, romantica e/o sessuale, viene chiamata “orientamento sessuale”. Non è noto cosa determini l’orientamento sessuale, sebbene la ricerca negli ultimi decenni abbia cercato delle spiegazioni sociali, genetiche, ormonali, culturali. Quello che la maggior parte degli scienziati condivide in merito è che non si tratta di una scelta, né di una malattia e non è modificabile in alcun modo. In genere l’orientamento sessuale, sia etero che omosessuale, emerge tra la media infanzia e la prima adolescenza. Quindi potremmo ribaltare la domanda chiedendoci: “perché alcuni individui sono attratti da persone del sesso opposto?”. Come si diventa gay o lesbiche? Non si diventa gay o lesbiche, allo stesso modo in cui non si diventa eterosessuali. L’identità sessuale è formata da diverse componenti. Una parte fondamentale di questa identità è costituita dall’orientamento sessuale, cioè dall’attrazione emotiva, romantica e/o sessuale, verso gli individui del proprio sesso o di quello opposto. Nel caso in cui si sia attratti da individui del proprio sesso, si può poi accettare tale orientamento e assumere una identità sessuale gay o lesbica o negare tale orientamento (per pregiudizi di ordine morale, sociale, religioso) e non assumere un’identità omosessuale, pur avendo desideri affettivi e sessuali di natura omosessuale. Quindi potremmo ribaltare la domanda chiedendoci: “come si diventa eterosessuali?”. L’omosessualità è una scelta? Non è una scelta, come non è una scelta l’eterosessualità. Qualcuno di voi ricorda di aver scelto a un certo punto di essere eterosessuale o omosessuale? Quello che le persone omosessuali possono scegliere è se accettare il proprio orientamento omosessuale e, quindi, sviluppare un’identità omosessuale serena e assertiva, in cui tutti i diversi aspetti della propria personalità possano convivere in maniera armonica e integrata, o rifiutarlo per pregiudizi di ordine morale, sociale, religioso. Quindi potremmo ribaltare la domanda chiedendoci: “l’eterosessualità è una scelta?”. C’è una cura per l’omosessualità? Chiariamo subito che non ci può essere una cura per l’omosessualità, perché l’omosessualità non è una malattia. Chiunque dica il contrario diffonde un pregiudizio privo di valore scientifico. La verità dal punto di vista scientifico è che l’omosessualità è considerata una “variante non patologica del comportamento sessuale”, sia secondo l’Associazione Psichiatrica Americana, sia secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Vi sono delle terapie riparative, ad opera di centri di ispirazione religiosa, che cercano di “convertire” gli omosessuali. La ricerca scientifica mostra che è possibile, per una persona fortemente motivata, sopprimere i propri comportamenti sessuali per un periodo, ma, siccome l’orientamento sessuale è un costrutto multidimensionale, non è possibile cambiare le emozioni e i 23

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desideri di base. Tali terapie riparative fanno leva sull’omofobia interiorizzata dei singoli individui gay e lesbiche e rischiano di provocare gravi danni alla loro salute mentale, impedendo lo sviluppo di una sana identità sessuale. Quindi potremmo chiederci: “perché dovrebbe esserci una cura?”. I rapporti sessuali omosessuali sono naturali? Sì. Il sesso tra le persone dello stesso sesso è presente in tutta la storia dell’umanità, sin dall’antica Grecia. Inoltre, molti eterosessuali possono avere sporadiche fantasie omosessuali, così come molti omosessuali possono avere sporadiche fantasie eterosessuali. Un pregiudizio diffuso nei paesi di natura fortemente religiosa è che il sesso vada fatto solo per avere bambini. Di conseguenza tutte le altre forme di sesso, non finalizzate alla procreazione, sono da ritenersi sbagliate. Un altro pregiudizio è che con l’omosessualità si estinguerebbe la società. In realtà, come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la sessualità è un’espressione fondamentale dell’essere umano. L’unica cosa che conta è il rispetto reciproco dei partner coinvolti nel rapporto. Quindi potremmo ribaltare la domanda chiedendoci: “i rapporti sessuali eterosessuali sono naturali?”. Ci sono tanti gay e lesbiche perché è di moda? No. La moda è un’invenzione delle compagnie di marketing che non c’entra con l’orientamento sessuale. Sicuramente negli ultimi decenni la maggiore apertura della civiltà verso i sentimenti omosessuali ha favorito l’“uscita allo scoperto” di molti omosessuali che magari, un secolo fa, sarebbero rimasti nascosti dietro la facciata di un matrimonio di convenienza. Crescere come gay o lesbica è ancora un percorso molto difficile e spesso solitario, dal momento che gli eterosessuali sono più numerosi. Quindi potremmo ribaltare la domanda chiedendoci: “ci sono tanti eterosessuali perché è di moda?”. Come si capisce di essere gay o lesbica? Guardando con sincerità ai propri sentimenti, a cosa si sogna, a chi si trova attraente. Come si capisce di essere eterosessuali? Lo si capisce perché si trovano attraenti le persone dell’altro sesso, si desidera condividere del tempo e delle esperienze, romantiche e sessuali, con qualcuno del sesso opposto. Tuttavia, mentre per gli adolescenti eterosessuali il percorso di scoperta della propria sessualità è incoraggiato dalla società, e quindi è in qualche modo più semplice, per gli adolescenti omosessuali questo è più difficile. Durante l’adolescenza si cominciano a provare con maggiore intensità sensazioni di carattere sessuale. Gli amici e i compagni di scuola possono fare pressioni perché i ragazzi abbiano comportamenti da “macho” e chiedano di uscire alle ragazze. Allo stesso modo queste ultime possono essere spinte dalle proprie amiche a essere “femminili” e a sedurre i ragazzi. Con tutte queste pressioni, può essere pertanto molto difficile avere le idee chiare sui propri sentimenti e a esprimerli con sincerità, quando non sono conformi a quelli del gruppo. Alcuni individui sono molto sicuri dei propri sentimenti

omosessuali già nell’adolescenza, mentre altri possono metterci più tempo a capire il proprio orientamento o semplicemente ad accettarlo ed esprimerlo. Per alcuni può, infatti, essere difficile accettarsi e dichiararsi come omosessuali, anche per molto tempo dopo aver capito di esserlo, proprio a causa delle pressioni a cui si sentono sottoposti da parte dei propri amici. Da cosa si riconoscono i gay e le lesbiche? È impossibile riconoscere i gay e le lesbiche, se non per una piccola parte di individui che presentano caratteristiche e manierismi tipici dell’altro sesso. Questo può verificarsi perché alcuni ritengono, avendo un orientamento omosessuale, di dover assumere caratteristiche del sesso opposto. Nella gran parte dei casi, tuttavia, è impossibile distinguere l’orientamento sessuale di qualcuno semplicemente guardandolo. Da cosa si riconoscono gli eterosessuali? Certo non da caratteristiche fisiche o comportamentali. Non tutti gli uomini sono “macho”, né tutte le donne sono femminili e seduttive. Questo è quello che chiamiamo uno stereotipo. Alcuni uomini eterosessuali sono macho, altri no. Allo stesso modo alcuni uomini gay sono macho e altri no. E questo vale anche per le donne. Che cos’è il coming out? L’espressione coming out si riferisce alla rivelazione agli altri da parte delle persone gay, lesbiche e bisessuali del proprio orientamento sessuale. È un processo che presenta diversi stadi, dalla rivelazione a uno o pochi intimi, all’apertura totale rispetto al proprio orientamento. Molte persone faticano a identificarsi come omosessuali, prima di tutto con se stesse, per i pregiudizi omofobici della società. E, una volta che questa autoidentificazione è avvenuta, molti tendono a non dirlo all’esterno, o almeno a tenerlo riservato in certi ambiti, per paura di venire danneggiati da questa rivelazione. È il caso di adolescenti appartenenti a famiglie molto rigide, che possono temere di venire controllati dai genitori o essere puniti, ad esempio, o di individui che lavorano in ambienti molto conservatori, che possono aver paura di essere licenziati o di subire atti di mobbing. Alcuni scelgono di non dirlo agli amici, per paura dell’isolamento sociale. Il coming out, tuttavia, costituisce un passo molto importante nella vita delle persone omo e bisessuali. L’accettazione e l’integrazione dell’identità omosessuale all’interno della propria vita favorisce il benessere personale e la salute mentale e fisica. Esattamente come gli eterosessuali, anche gay, lesbiche e bisessuali traggono beneficio dal condividere apertamente le proprie vite e ricevere sostegno da parte di parenti, amici e conoscenti. Che cosa vuol dire LGBT (o GLBT)? Con l’espressione LGBT si intende Lesbiche/Gay/ Bisessuali/Transessuali. LGBT è, quindi, un acronimo per indicare gli individui omosessuali (gay e lesbiche), bisessuali e transessuali, e le tematiche attinenti (possiamo parlare di mondo LGBT, diritti LGBT, lotte del movimento LGBT ecc.). 24

Le lezioni 1.

Famiglie in TV

2.

Il gioco delle associazioni di parole

3.

Il gioco dei fatti e delle opinioni

4.

A caccia di stereotipi

5.

Ma davvero è gay?

6.

Homoworld

7.

Laura ha bisogno di un consiglio

8.

Che cos’è il bullismo

9.

Il Bullismo omofobico

10. Rispondere al bullismo: l’assertività 11. Lezioni ulteriori

istituto a.t. beck | Le lezioni

Piano delle lezioni Il piano di lezioni contenuto in questa sezione della cartella mira a guidare gli insegnati a tenere delle lezioni specifiche sul tema del bullismo, dell’omofobia, e della risposta assertiva al bullismo. Le lezioni sono ideate all’interno del programma di lotta al bullismo implementato nella scuola (vedi capitolo ‘Linee guida’), di cui costituiscono il punto 5. Se la scuola non ha implementato il programma, potrebbe essere necessario fare delle modifiche al piano di lezioni presentato o comunque contestualizzarlo. Prima di cominciare a introdurre il piano di lezioni, l’insegnante potrebbe fare un piccolo lavoro su se stesso. Attraverso un ricordo del suo passato di studente, l’insegnante potrebbe prendere consapevolezza di come agisce oggi con i suoi allievi e di cosa può fare per il loro sano sviluppo.

Esercizio per insegnanti Tratto da Dewitt, Lucas, 2012 Ripensate a un episodio di quando eravate a scuola, in cui voi o un vostro compagno di classe siete stati presi in giro per ‘non essere adeguati’. Riuscite a ricordare come vi siete sentiti? Cosa avrebbe dovuto fare il vostro insegnante per interrompere questo comportamento? Come avrebbe potuto utilizzare l’episodio per renderlo un momento di apprendimento per l’intera classe? Ricordare il senso di ingiustizia subìto, il senso di impotenza e di isolamento provato, può essere molto utile per mettersi nei panni degli studenti che oggi sono vittime di bullismo e per provare sulla propria pelle il senso di urgenza che la lotta al bullismo riveste. Chiedersi cosa avrebbe potuto fare il proprio insegnante aiuta a capire quanto l’istituzione scolastica possa essere di supporto per gli adolescenti e come la non-azione da parte della scuola contribuisca in maniera determinante al senso di isolamento e abbandono provato dalla vittima. È con questo senso di importanza che gli insegnanti devono approcciare l’argomento bullismo e le lezioni che vengono proposte nelle schede seguenti.

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1. istituto a.t. beck | Le lezioni

Famiglie in tv

Tratto da Dewitt, Lucas, 2012

Obiettivo Questo esercizio aiuta gli studenti a valutare le immagini delle famiglie rappresentate talvolta nei telefilm, così da poter fare dei confronti con le loro strutture familiari. L’attività aiuterà gli studenti a rispondere alle seguenti domande: • I media ritraggono accuratamente le diverse strutture familiari che esistono? • Che impatto ha sulla nostra visione di famiglia la rappresentazione solo di alcuni tipi di famiglie raffigurate nei telefilm? • Perché i media non ritraggono in Italia diverse strutture familiari? Materiali occorrenti Scheda per l’analisi dei telefilm. (La scheda è scaricabile all’indirizzo: http://www.istitutobeck.com/progetto-unar.html password: UNAR)

Tempo 2 sessioni di 45 minuti ciascuna

PARTE PRIMA 1. L’insegnante spiega che questo esercizio prevede che gli studenti guardino alcune scene di telefilm allo scopo di esaminare i tipi di famiglie che sono ritratti nei filmati che vedranno. Per iniziare, invita gli studenti a prendere un momento per riflettere sulla propria famiglia e per scrivere come questa è strutturata. Possono scrivere, ad esempio, quanti bambini ci sono, chi sono gli adulti presenti, se i genitori sono separati, il tipo di casa in cui vivono, se hanno animali domestici ecc. 2. Una volta che gli studenti hanno completato questa riflessione, l’insegnante traccia i diversi tipi di strutture familiari che condividono. Utilizzando le domande che seguono, inizia un dialogo per espandere la consapevolezza e la comprensione dei diversi tipi di strutture familiari: a. I membri della famiglia si assomigliano sempre? Hanno lo stesso colore di pelle? Lo stesso colore degli occhi?

Perché? Perché no? L’insegnante sottolinea che alcune famiglie si creano attraverso l’adozione di bambini o che sono di diversa razza o di background culturali differenti, per cui le loro caratteristiche fisiche sono diverse le une dalle altre. b. I figli hanno sempre una mamma e una papà? Quali sono altri esempi di famiglia? L’insegnante sottolinea l’esistenza di famiglie in cui i genitori dei bambini sono divorziati e vivono in case separate, oppure l’esistenza di famiglie che hanno due mamme o due papà, oppure che alcuni bambini possono avere una nonna che si occupa di loro o una zia. c. I fratelli hanno sempre la stessa mamma e lo stesso padre? Sottolinea che alcune famiglie sono chiamate “allargate”. Possono, cioè, esserci genitori che si uniscono dopo essere stati sposati con altri partner e hanno figli nati da precedenti relazioni che diventano così parte di una nuova famiglia. 3. L’insegnante spiega agli studenti che, ora che hanno pensato ai diversi tipi di famiglie che possono esistere a scuola, nella comunità e nel mondo, dovranno fare un esercizio a casa. Durante la settimana dovranno guardare dei telefilm (l’insegnante consiglia Giudice Amy; Modern Family; Tutto in famiglia; La vita secondo Jim) per vedere che tipo di famiglie sono rappresentate. 4. Spiega che per la prossima settimana gli studenti devono rispondere alle domande della scheda per almeno tre programmi TV, spot o filmati che seguono normalmente e in cui sono rappresentati nuclei familiari. L’insegnante rivede la scheda e chiarisce tutte le domande. Esorta gli studenti a lavorare su questo compito in modo che ci sia il maggior numero possibile di programmi TV e film esaminati.

PARTE SECONDA 1. Trascorsa una settimana dall’assegnazione del compito, l’insegnante chiede agli studenti di esaminare e condividere le informazioni ottenute. Questo permetterà il confronto tra gli studenti su ciò che hanno visto. In tal modo la classe potrà sviluppare le conclusioni sulla base della discussione e revisione del compito. 2. Conclude utilizzando alcune o tutte le seguenti domande. Un metodo di elaborazione potrebbe essere quello di formare prima dei piccoli gruppi per discutere tra loro dei risultati ottenuti e poi parlarne al gruppo classe. a. Quali strutture familiari hai visto raffigurate più spesso? Meno spesso? Perché pensi che ciò accada? b. Nell’osservare il modo in cui queste famiglie agiscono o comunicano tra di loro, hai trovato delle similitudini o delle differenze con la tua? c. Hai visto famiglie che hanno due mamme o due papà? Se no, perché pensi che sarebbe importante mostrare questo tipo di struttura familiare? 27

istituto a.t. beck | Le lezioni | 1. Famiglie in tv

SCHEDA PER LA COMPILAZIONE DELL’ESERCIZIO A CASA

Famiglie in tv Guarda un telefilm o qualsiasi altro show televisivo che ha all’interno rappresentata la famiglia. Rispondi alle domande riportate di seguito per almeno 3 programmi diversi.

Titolo

Descrivi i diversi membri della famiglia (ad esempio, mamma, nonni, zii ecc.)

Descrivi la casa, il vicinato o la comunità

Descrivi il contesto culturale della famiglia (ad esempio, etnia, lingua parlate ecc.)

Descrivi come ciascun membro della famiglia parla o si comporta con gli altri membri

Descrivi qualsiasi altra osservazione sulla famiglia

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2. istituto a.t. beck | Le lezioni

Il gioco delle associazioni di parole Tratto da Dankmeijer, 2011 Obiettivo Valutare la conoscenza delle tematiche gay e lesbiche e gli atteggiamenti verso le persone gay e lesbiche. Materiali occorrenti Lavagna, gesso. Tempo 1 ora

1. L’insegnante comincia chiedendo alla classe: “Cosa vi viene in mente quando dico le parole: gay, lesbica, bisessuale, trans?”. 2. Si lasciano agli studenti 10 minuti per fare libere associazioni di parole, finché il flusso di parole diminuisce. L’insegnante scrive alla lavagna tutte le parole, anche quelle negative. Non si fanno commenti in questa fase, ma anzi si incoraggiano gli studenti a condividere le loro associazioni. 3. L’insegnante guarda le associazioni e le classifica in termini di: relazioni, apparenza, sesso ecc. Si chiede agli studenti perché hanno fatto una particolare associazione. Cosa c’è dietro queste associazioni? Senza giudicare, l’insegnante cerca di capire da quali presunzioni gli studenti abbiano derivato alcune associazioni. 4. L’insegnante a questo punto può chiedere agli studenti di ragionare sulle proprie associazioni e verificare insieme la loro appropriatezza, coinvolgendo il resto della classe nella discussione ed, eventualmente, offrendo informazioni corrette. Alla fine può discutere su come alcune associazioni siano venute fuori e il ruolo della società e dei media nella formazione di alcuni pregiudizi o modi sbagliati di pensare. Nel caso in cui le libere associazioni iniziali degenerino in maniera improduttiva, l’insegnante può far svolgere la parte iniziale invitando gli studenti alla lavagna uno alla volta a scrivere una o più associazioni, oppure può far scrivere le associazioni a ognuno su un foglio di carta e poi ricopiarle alla lavagna.

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3. istituto a.t. beck | Le lezioni

Il gioco dei fatti e delle opinioni Tratto da Dankmeijer, 2011 Obiettivo Insegnare agli studenti a distinguere i fatti dalle opinioni. Materiali occorrenti Lavagna, gesso. Tempo 1 ora

1. L’insegnante spiega che spesso le persone hanno dei pregiudizi su molte cose e possono non essere consapevoli che alcuni “fatti” sono in realtà delle opinioni e che l’obiettivo dell’attività è proprio insegnare a differenziare i fatti dalle opinioni. Quindi alla lavagna disegna una riga verticale e scrive “fatti” a destra e “opinioni” a sinistra. In alto scrive la parola “gay” (o “lesbica” o “bisessuale” o “trans”, o tutte insieme). 2. L’insegnante chiede la prima parola o frase che viene in mente alla classe. Deve essere scritta a destra o a sinistra? Perché? Se è un fatto, da dove deriva quell’informazione, la fonte è attendibile? L’insegnante può offrire delle contro-informazioni, se è il caso. Quando la classe ha deciso dove, viene scritta la parola o la frase alla lavagna. Se non si raggiunge una decisione, si scrive la parola o la frase in basso; questo è un soggetto su cui gli studenti possono fare ulteriori ricerche. Esempio: uno studente può dire la frase “Due uomini che fanno l’amore sono disgustosi”. A quel punto l’insegnante può far notare che questa è un’opinione, è un giudizio personale, che deriva dal fatto che siamo poco abituati, dal cinema e dalla televisione, a vedere due uomini che si baciano o che fanno l’amore, è un fenomeno che per noi non è stato reso normale. 3. L’insegnante può suggerire alcune parole o frasi, magari alcune parole chiave come “omofobia” o “pregiudizio”, e usare delle frecce per connetterle ad alcune parole sulla lavagna. 4. Per la fine della lezione gli studenti dovrebbero aver imparato alcuni fatti reali sulle tematiche gay e lesbiche, e anche a farsi delle domande sulle opinioni mascherate da fatti che spesso possono avere.

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4. istituto a.t. beck | Le lezioni

A caccia di stereotipi Adattato da Montano, Andriola, 2010 Obiettivo Analizzare gli stereotipi culturali sull’omosessualità, mettere in discussione le false credenze e modificarle. Materiali occorrenti 6 cartelloni, pennarelli colorati e 6 schede sui falsi miti, una per ciascun gruppo. (Le schede sono scaricabili all’indirizzo: http://www.istitutobeck.com/progetto-unar.html password: UNAR)

Tempo 1 ora e 30 minuti 1. La classe è divisa in sei gruppi; all’inizio dell’attività, a ciascun gruppo vengono distribuiti un cartellone, pennarelli colorati assortiti e un testo su uno dei sei miti da leggere e discutere. 2. I gruppi leggono la scheda sul falso mito a loro consegnata e, al termine della lettura, per condividere l’apprendimento, un referente di ciascun gruppo riporta alla classe quanto è stato appena letto. 3. L’insegnante scrive su una lavagna i punti-chiave di ciascuna delle sei esposizioni e il grado di accordo o disaccordo della classe sugli aspetti trattati; spiega, poi, perché i pregiudizi, le credenze o i miti sono sbagliati. 4. Ogni gruppo realizza un cartellone di sintesi suddividendolo in due parti. Nella prima, riporta le idee e le riflessioni sul mito studiato, emerse nella discussione in gruppo. Nella seconda parte, riporta le riflessioni emerse dalla condivisione con il resto della classe, e le spiegazioni e i chiarimenti offerti dall’insegnante.

SCHEDE PER L’ATTIVITÀ IN GRUPPO

I falsi miti sull’omosessualità I MITO L’omosessuale sceglie di esserlo? Quando parliamo di orientamento sessuale intendiamo il tipo di risposta degli individui agli stimoli sessuali. Si tratta di una componente molto importante della sessualità, della quale, tuttavia, attualmente non si conoscono le cause: non si conosce né il perché dell’orientamento omosessuale, né il perché dell’orientamento eterosessuale. Sebbene non esistano ancora nozioni sufficienti sulle cause, la comunità scientifica, formata da psicologi e psichiatri, è generalmente concorde nell’affermare che per molte persone essa si forma nei primi anni di età, tramite complesse interazioni di fattori biologici, psicologici e sociali. Esiste altrettanto accordo nel ritenere che l’orientamento sessuale di una persona si manifesti, nella maggior parte dei casi, nei primi tempi dell’adolescenza, all’epoca in cui solitamente si iniziano a comprendere meglio i propri desideri e avvengono le prime esperienze sessuali. È proprio in questa fase che i giovani omosessuali scoprono che i propri desideri non coincidono con le aspettative della famiglia e della società. Questo può causare un senso di inadeguatezza e di disagio che, spesso, nasce dalla consapevolezza di non accettazione da parte degli altri; di conseguenza, molti giovani cercano di nascondere a se stessi i propri sentimenti o si sforzano di “tornare indietro” per cambiare il proprio orientamento da omosessuale a eterosessuale. Questi tentativi sono destinati a fallire, perché applicati a una componente estremamente intima dell’identità, che non dipende dalla volontà dell’individuo, ma da qualcosa di più profondo e strutturato che non può essere modificato. Vi sono lati della nostra personalità che possiamo cambiare, ma anche aspetti su cui non possiamo assolutamente intervenire; ad esempio, non possiamo scegliere di chi innamorarci e non possiamo smettere di amare qualcuno “a comando”, solo perché il nostro amore non è ricambiato. Allo stesso modo, un gay o una lesbica non possono decidere rispetto ai propri sentimenti nei confronti di persone dello stesso sesso. Di conseguenza, neanche l’omosessualità può essere ritenuta una scelta. L’unica scelta che l’omosessuale può fare è quella di imparare ad accettare questi sentimenti per convivere serenamente con essi, accettando di seguire il proprio orientamento e mostrandosi agli altri per ciò che è, correndo il rischio di essere giudicato e rifiutato, ma (perché no?) anche amato e compreso.

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istituto a.t. beck | Le lezioni | 4. A caccia di stereotipi

II MITO L’omosessuale ha una malattia mentale?

III MITO L’omosessualità può essere curata con una terapia?

In passato l’omosessualità è stata ritenuta, non soltanto dall’opinione pubblica, ma anche dagli stessi psichiatri e psicologi, una patologia psichiatrica. Questo è avvenuto soprattutto perché, per molto tempo, il mondo scientifico ha mantenuto una visione parziale del fenomeno: fino all’ultimo trentennio del secolo scorso, infatti, gli studi sull’omosessualità venivano effettuati solo a partire da persone già coinvolte in una terapia e che, quindi, mostravano difficoltà ad accettare il proprio orientamento sessuale (cioè quella componente della sessualità che fa in modo che il desiderio sia indirizzato nei confronti di un sesso piuttosto che nell’altro). Quando il campione di studio è stato esteso a tutta la popolazione omosessuale, si è potuto osservare quanto fosse riduttivo e sbagliato etichettare l’omosessualità come malattia. Per questa ragione, dal 1973 la comunità scientifica ha eliminato l’omosessualità dal novero dei disturbi mentali contenuto nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) e l’ha definita come “una variante non patologica del comportamento sessuale”. Nonostante ciò, ancora oggi molte persone cercano di scoprire le cause che possono portare una persona a innamorarsi di un’altra del proprio sesso, perché convinte che si tratti di una patologia da curare; molti giustificano quest’idea affermando che la sessualità tra persone dello stesso sesso sia un atto immorale e contro natura, perché una coppia di gay o una coppia di lesbiche non può concepire un bambino. In realtà, è vero che molti omosessuali sono considerati soggetti a rischio di alcune psicopatologie come, ad esempio, la depressione, al punto che alcuni di loro, talvolta, sono portati a tentare il suicidio. Tali conseguenze, tuttavia, non sono direttamente legate all’omosessualità in sé, ma, piuttosto e più di frequente, al contesto in cui l’omosessuale vive, alla consapevolezza di non essere accettato dagli altri (in primis dalla propria famiglia), all’omofobia diffusa che spesso fa sì che i genitori fatichino a comprendere la situazione del ragazzo o della ragazza in questione e tentino addirittura di fargli o farle “cambiare idea”. Inevitabilmente, i ragazzi esposti a simili situazioni sono portati a chiudersi, a non accettarsi, a nascondersi e a far finta di nulla, costretti a sentire che in loro c’è qualcosa che “non va”: non i sentimenti che provano e che vorrebbero poter vivere alla luce del sole, ma i modelli imposti dalla società che sentono di non poter raggiungere. Sposarsi, fare figli, assistere un proprio caro, adottare bambini. Questo li rende naturalmente più sensibili e vulnerabili, maggiormente esposti al rischio di disturbi mentali rispetto ai loro coetanei, che non vivono il disagio del rifiuto da parte della società e delle persone più care.

Molte persone, non solo eterosessuali, sono convinte che gay e lesbiche abbiano bisogno di essere “curati”, e alcuni professionisti affermano di poter aiutare gli omosessuali a “guarire”, mutando il loro orientamento da omosessuale a eterosessuale. Non solo questo non è possibile, ma i tentativi inutili di convertire l’orientamento sessuale si rivelano estremamente dannosi per la salute mentale di chi vi si sottopone. Tuttavia, ormai da oltre trent’anni, psicologi e psichiatri affermano che l’omosessualità non è una malattia, ma una variante non patologica della sessualità umana; ovvero, un modo differente di esprimere la propria sessualità rispetto alle altre persone, anche se sono la maggior parte. Questo accade in presenza di un diverso orientamento sessuale, indirizzato a persone dello stesso sesso (omosessuale) anziché a persone del sesso opposto (eterosessuale). L’orientamento sessuale si forma nella primissima infanzia, si determina in base a caratteristiche biologiche, psicologiche e sociali; rappresenta quindi una sfera intrinseca dell’identità dell’individuo e, di conseguenza, tentare di modificarla significherebbe dover cambiare sensazioni emotive, sentimentali e sessuali. Questo non è possibile. Significherebbe, inoltre, dover ristrutturare l’identità sociale (il modo in cui ci si rapporta agli altri) e tutto ciò che si è costruito nel corso della propria esistenza. Ognuno di noi ha delle caratteristiche che lo rendono unico rispetto agli altri e, se da un lato vi sono aspetti della nostra personalità che possiamo trasformare, dall’altro ne esistono anche altri, sia fisici che caratteriali, che è impossibile modificare nonostante gli sforzi più intensi. Questo accade perché alcuni aspetti fanno parte di noi, si sono strutturati nel corso della nostra vita e dipendono dal nostro codice genetico, dalla famiglia in cui cresciamo e dalla società in cui viviamo. A ognuno di noi sarà capitato di non sentirsi adeguato in una particolare situazione; proviamo a pensare cosa accadrebbe se questo senso di disagio durasse mesi o, addirittura, anni. Forse penseremmo di essere “sbagliati” o “malati”, forse cercheremmo una “cura” per essere più accettati socialmente. È quello che accade a gay e lesbiche che, convinti di essere “difettati”, cercano una terapia che li aiuti a cambiare orientamento sessuale; naturalmente, come già detto, si tratta di tentativi senza alcun risultato e senza dubbio dannosi, perché l’unica “cura” di cui in realtà un omosessuale potrebbe aver bisogno è quella di una buona dose di fiducia da parte di se stesso e del proprio contesto di relazioni per poter vivere senza timori le proprie emozioni.

IV MITO L’omosessuale può contagiare chi gli sta accanto? In molti pensano che bambini e adolescenti che entrano in contatto con gay o lesbiche possano in qualche modo rimanerne influenzati, correndo il rischio di diventare anch’essi, una volta adulti, omosessuali, quasi come se si trattasse di una malattia contagiosa. 32

istituto a.t. beck | Le lezioni | 4. A caccia di stereotipi

L’omosessualità non è un virus, non si può trasmettere come una banale influenza, né si può apprendere osservando un modello. Se l’orientamento sessuale fosse realmente trasmissibile, le persone che hanno avuto modelli eterosessuali non dovrebbero poi essere omosessuali. Quando si parla di omosessualità si intende uno dei tanti modi di vivere i propri affetti e la propria sessualità rivolgendoli al proprio sesso anziché, come accade per la maggior parte delle persone, verso il sesso opposto. L’espressione della propria sessualità verso un’altra persona definisce l’orientamento sessuale; quest’ultimo può essere eterosessuale (verso una persona dell’altro sesso), omosessuale (verso una persona dello stesso sesso) o bisessuale (sia verso i maschi che verso le femmine). Si tratta di una componente sessuale determinata da diversi fattori di origine psicologica, sociale e biologica, che si struttura già nei primi anni di vita. Per tale ragione, è assurdo e non ha alcun fondamento pensare che l’omosessualità sia qualcosa che possa essere trasmesso semplicemente stando accanto a persone gay o lesbiche e interagendo con loro. Per renderci meglio conto di questo, proviamo a pensare alla situazione opposta: ci sono famiglie in cui la sessualità è un tabù e in cui l’omosessualità non è neppure nominata; i modelli genitoriali sono bene definiti: il papà esce per lavorare e mantenere la famiglia e la mamma rimane in casa ad accudire i figli. Come può in una famiglia così “tradizionale”, in cui ci sono mamma e papà eterosessuali ed in cui non ci sono altre figure di riferimento omosessuali, nascere e crescere un ragazzo gay o una ragazza lesbica? Eppure accade. Questo dipende dal fatto che l’omosessualità è una condizione dovuta non ad un’unica variabile che può essere “trasmessa”, ma ad un insieme di fattori che, come abbiamo visto, determinano verso chi verrà rivolta la propria sessualità e di cui non si conoscono le origini e i perché.

V MITO L’omosessuale è anche un maniaco sessuale o un pedofilo? Molte persone hanno paura degli omosessuali perché sono convinte che siano dei “pervertiti” o dei pedofili; questo stereotipo, legato all’idea che i gay possano avere solo relazioni sessuali e non sentimentali, nasce dalla convinzione che l’omosessualità sia un comportamento contro natura e perciò riprovevole, immorale e, per alcuni, addirittura una perversione. Occorre qui comprendere una distinzione fondamentale: le perversioni sono disturbi mentali che non hanno niente a che vedere con l’omosessualità: questa, infatti, non è un disturbo mentale, ma una variante del comportamento sessuale umano. Tra le perversioni sessuali rientra invece la pedofilia, che è la pratica sessuale di un adulto con bambini al di sotto dei 13 anni. Per questo è importante riflettere, prima di etichettare una persona come perversa e “molestatrice” semplicemente perché prova affetto e attrazione per persone del proprio sesso. Questo atteggiamento è

estremamente sbagliato, soprattutto se si tiene in considerazione che l’unica differenza sostanziale tra eterosessuale e omosessuale è che il primo si innamora e viene attratto da persone del sesso opposto al proprio, mentre il secondo viene attratto da persone dello stesso sesso. Credere che un gay sia più propenso a commettere abusi sessuali è quindi, evidentemente, una concezione legata principalmente all’omofobia e agli stereotipi culturali, tanto più che la maggior parte degli abusi sessuali, soprattutto sui minori, avviene all’interno della famiglia e sono ad opera di persone che conoscono bene il bambino e di persone eterosessuali regolarmente sposate e con figli che apparentemente conducono una vita “normale”. In uno studio condotto su 269 casi di bambini molestati sessualmente (Jenny, Roesler, Poyer, 1994), solo due molestatori sono stati identificati come omosessuali, una percentuale, considerato il margine di errore, che va dallo 0% al 3,1%. Nell’82% dei casi, il molestatore era il partner eterosessuale di un partente stretto del bambino o della bambina.

VI MITO Gli omosessuali e le lesbiche sono cattivi genitori? Milioni di bambini nel mondo sono cresciuti da genitori omosessuali (NAIC, 2000). Per alcuni bambini non è un gran problema. Altri bambini possono trovare difficile avere una famiglia che è diversa dalle altre famiglie. Ma in realtà ogni famiglia è diversa dalle altre. Quello che conta davvero è che i bambini possano parlare liberamente dei propri sentimenti con i genitori e che in casa ci sia un clima di amore e sostegno. Diversi studi condotti negli ultimi 30 anni hanno mostrato che i bambini cresciuti da genitori gay e lesbiche sono felici esattamente come i bambini cresciuti da famiglie eterosessuali. Nessuna differenza significativa è stata riscontrata in termini di attività, interessi, compagnie, o scelte di vita, una volta diventati adulti. Né sono risultate differenze in termini di intelligenza, capacità psicologiche e sociali, popolarità tra i pari, orientamento sessuale. Uno studio del 2013 (Perrin, Siegel) sottolinea che il benessere dei bambini è influenzato molto di più dalla relazione con i genitori, dal senso di competenza e sicurezza dei genitori, e dalla presenza di sostegno sociale ed economico per la famiglia, più che dal genere o dall’orientamento sessuale dei genitori. Tuttavia, proprio la mancanza di questi sostegni, e in particolare l’impossibilità di sposarsi, può avere un impatto sul benessere dei genitori, e conseguentemente di tutti i membri della famiglia.

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5. istituto a.t. beck | Le lezioni

cui il personaggio parlava della propria omosessualità, l’insegnante può comunque chiedere se, al di là di questa notizia, ci siano dei “segni rivelatori” dell’omosessualità del personaggio in questione, mettendo in discussione le affermazioni degli allievi. 3. Una volta finita la discussione, l’insegnante può rivelare che tutti i personaggi rappresentati sono gay e lesbiche dichiarati e leggerne le storie (riportate di seguito). Rivede le affermazioni fatte dagli allievi e stimola la discussione finale su quanto appreso durante l’esercizio e se ancora la classe crede che gli uomini gay e le donne lesbiche siano distinguibili dagli eterosessuali a prima vista.

Storie dei personaggi

Ma davvero è gay? Obiettivo Mettere in discussione l’idea che i gay e le lesbiche siano facilmente distinguibili dagli altri per l’effeminatezza (i gay) o la mascolinità (le lesbiche). Materiali occorrenti Diverse copie della scheda con i personaggi. (La scheda è scaricabile all’indirizzo: http://www.istitutobeck.com/progetto-unar.html password: UNAR)

Tempo 45 minuti 1. L’insegnante chiede alla classe se è possibile distinguere i gay e le lesbiche dagli uomini e dalle donne eterosessuali. Se la risposta della classe (di tutti gli alunni) è negativa, allora l’insegnante spiega che in effetti l’orientamento sessuale di un individuo non è visibile dall’aspetto o dagli atteggiamenti, se non in una minoranza di casi. Poi mostra le schede con i personaggi raffigurati, le fa circolare tra gli allievi, spiegando che tutti questi personaggi sono omosessuali e legge le loro storie. Se, invece, la risposta della classe, o di alcuni alunni, è positiva, l’insegnante propone un gioco. Mostra le schede, le fa circolare tra gli allievi e chiede loro di individuare chi tra i personaggi raffigurati è gay o lesbica, senza dare altre indicazioni in merito al numero di gay e lesbiche da individuare. Stimola soprattutto gli allievi che si erano dichiarati in grado di distinguere omosessuali da eterosessuali a trovare i gay e le lesbiche nelle schede. 2. Dopo una decina di minuti in cui gli allievi hanno avuto la possibilità di guardare bene le schede, l’insegnante chiede alla classe di indicare chi sono i gay e le lesbiche. Quando qualcuno indica uno dei personaggi, l’insegnante può chiedere allo studente perché ha pensato che quel particolare personaggio sia omosessuale, quali indizi ci siano della sua omosessualità. Può chiedere ad altri se sono d’accordo con questa analisi. Se qualcuno individua uno dei personaggi perché magari ha letto un articolo in

fonte Wikipedia Le foto sono tratte da internet, al link indicato. 1. Robbie Rogers (1987) è un calciatore statunitense, di ruolo attaccante. Ha avuto la sua prima esperienza professionistica nel 2005. Ha debuttato in nazionale USA nel 2009, in un’amichevole contro la Svezia. Ha dichiarato di essere omosessuale sul suo blog, il 15 febbraio 2013. www.soccerbyives.net/2013/02/rogers-comes-retires.html 2. Cynthia Nixon (1966) è un’attrice statunitense. È nota soprattutto per il suo ruolo di Miranda Hobbes nella serie tv (e nei due film) Sex and the City. Nella sua carriera ha vinto numerosi premi. Nel 2009 ha reso pubblica la sua relazione con la compagna Christine Marinoni, che ha sposato a New York nel maggio 2012, pochi mesi dopo l’introduzione del matrimonio omosessuale nello stato. www.justjared.com/photo-gallery/1433711/cynthia-nixonemmys-2008-red-carpet-01/ 3. Jason Collins (1978) è un giocatore professionista di pallacanestro, un cestista, alto circa 2 metri. Ha cominciato al sua carriera da professionista nel 2001 con i New York Jets, dove ha giocato per sette stagioni, arrivando a disputare le Finali NBA nel 2002 e nel 2003. Il 29 aprile 2013 attraverso un articolo pubblicato su Sports Illustrated ha dichiarato pubblicamente la propria omosessualità. http://www.ajc.com/news/sports/basketball/former-hawkscenter-reveals-he-is-gay/nXbRD/ 4. Samantha Fox (1966) è un ex modella e cantante britannica. Ha ottenuto una grande popolarità negli anni ‘80 con i due singoli Touch me e Nothing’s gonna stop me now. Nel 2003 ha dichiarato di avere una relazione con Myra Stratton, con cui si è fidanzata ufficialmente nel 2009. www.lastfm.it/music/Samantha+Fox/+images/55188973 5. Gareth Thomas (1974) è un ex rugbysta britannico. È stato il primo a superare i 100 incontri disputati nella nazionale del Galles, ha vinto una Coppa Europa con la squadra del Tolosa. Ha dichiarato la propria omosessualità nel 2009. www.guardian.co.uk/sport/2011/oct/25/gareth-thomas-retiresrugby-league-union 6. Portia de Rossi, nata Amanda Lee Rogers (1973) è un’ex modella e attrice. È diventata famosa nel 1998, entrando nel cast della serie televisiva Allie McBeal, in cui è rimasta fino alla conclusione della serie nel 2002. Nel 2005 ha dichiarato di essere lesbica. Nel 2008 ha spostato l’attrice Ellen DeGeneres. www.justjared.com/photo-gallery/53811/portia-de-rossi-oscars2007-04

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istituto a.t. beck | Le lezioni | 5. Ma davvero è gay?

SCHEDA PER L’ATTIVITÀ DI GRUPPO

Ma davvero è gay?

1.

4.

2.

5.

6. 3.

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6. istituto a.t. beck | Le lezioni

Homoworld Tratto da Butler, 2004

Obiettivo Questa lezione mira a far entrare gli studenti in contatto con sentimenti e emozioni che possono provare le persone gay o lesbiche. Materiali occorrenti Lettura della storia Homoworld Tempo 1 ora

STORIA Homoworld, ideato da Butler nel 2004, è la storia di un’eterosessuale che vive in un mondo dove la maggioranza della gente è omosessuale. Ti svegli col suono della radiosveglia che dedica canzoni a coppie dello stesso sesso. Non appena ti siedi per fare colazione, il tuo sguardo cade sulla scatola dei cereali che raffigura i benefici delle vitamine e dei minerali contenuti attraverso una famiglia che corre in un campo di grano: due padri, il loro figlio e un setter irlandese. Accendi la televisione e trovi una trasmissione in cui parlano dei nuovi ritrovati cosmetici per le drag queen. Esci per andare a lavoro, incroci alcuni vicini che ti salutano: Melissa e Iris e più avanti Giovanni e Michele. Non appena sali sulla metro, guardi la pubblicità che hai intorno per passare il tempo: la più conveniente assicurazione di viaggio per le coppie omosessuali, la pubblicità del reggiseno: “Fatevi avanti, ragazze”. Alla fermata successiva sale un uomo e qualcosa ti fa sospettare che anche lui sia eterosessuale. Lui incrocia il tuo sguardo e ti fa un sorriso come segno di averti riconosciuto. Tu pensi: “Allora sei anche tu etero, ma forse nessun altro qui lo ha notato”! Ridi tra te e te e ti diverti dell’esclusività del contatto. Arrivi a lavoro, una tizia dell’amministrazione sta mostrando delle fotografie delle vacanze che ha appena fatto con la sua fidanzata a Lesbo. Non appena ti avvicini al gruppo, ti viene chiesto: “Dove hai trascorso le tue ultime vacanze?”. Tu ammetti che eri a Corfù, una destinazione ben nota per le vacanze eterosessuali, e ti chiedono con chi ci sei stata. Alla fine della giornata, le persone vanno per un drink al gay bar più vicino. Alcuni portano i rispettivi partner. Tu inviteresti il tuo, sapendo che potrebbero esserci in giro dei colleghi? Colleghi di cui non conosci le opinioni sull’eterosessualità. Oppure vai per un paio d’ore e poi vai via? Senza davvero altre valide alternative, decidi di andare dritta a casa. Non appena prendi la decisione, ti arriva un sms del tuo fidanzato che dice di incontrarvi alla fermata della metro sotto casa, visto che anche lui sta rientrando. Tu sorridi e un collega che non conosci bene cattura il tuo sguardo e ti dice: “È un messaggio della tua ragazza? Come si chiama?”. Che fai? Menti o dici di essere troppo impegnata per una relazione? Ti chiedi quale sarebbe la loro risposta se uscissi allo scoperto: accettazione completa; totale mancanza di interesse e cambio di argomento a causa dell’imbarazzo; oppure potrebbero immaginare che adesso hanno la facoltà di farti delle domande personali visto che “alcuni dei loro migliori amici sono eterosessuali” e anche loro sono stati in un bar per etero e non hanno alcun problema, tipo: “Quindi da quando sai di essere etero?” “Che peccato, non avrei mai detto fossi etero” “I tuoi genitori lo sanno?” “Il sesso è meglio?” 36

istituto a.t. beck | Le lezioni | 6. Homoworld

Alla fine raggiungi la fermata della metro di fronte casa e, come promesso, il tuo fidanzato è lì che ti aspetta. Senti un senso di sollievo nel vederlo e realizzi quanto sei stanca. Ma lo accogli baciandolo davanti a tutte le persone che ci sono intorno? Non appena ti incammini verso casa e percorri una strada tranquilla, cominciate a prendervi per mano, contenti del contatto. All’improvviso, un gruppo di giovani gira l’angolo e voi li lasciate passare. Avranno visto che vi tenevate per mano? Andranno a dire qualcosa in giro per deridervi? O peggio ancora, potrebbe degenerare in violenza?

Linee guida per la riflessione • Cosa ti ha sorpreso o colpito? • Qualcosa ti ha infastidito? • Dopo la lettura della storia, quali problemi credi gli omosessuali debbano affrontare (emotivamente, socialmente, politicamente)? • Quali questioni ha sollevato sulla sessualità in generale? • Conduci una discussione in classe rispondendo a eventuali dubbi sollevati dagli allievi.

Subito affrettate il passo, arrivate dietro la porta di casa e ve la chiudete alle spalle insieme a un senso di sicurezza. Decidete di ordinare una pizza. Il tuo compagno è in cucina quando suona il campanello e non realizza che tu hai già aperto. Ti dice che va lui ad aprire e tu noti che l’uomo della pizza sta cercando di nascondere una risata alla vista del tuo fidanzato che entra nell’ingresso dietro di te. Vi sedete sul divano e accendete la TV. Niente incontra il vostro gusto: Rai 1: il film “Quando Giovanni incontra Enrico” Rai 2: una rassegna della versione contemporanea di Romeo e Dario Rai 3: i video più divertenti sui matrimoni omosessuali Canale 5: il Grande Fratello, con la puntata in cui il concorrente etero esce allo scoperto Italia 1: il miglior sesso gay Decidi allora di sfogliare una copia dell’unico giornale per etero che ti sei ricordata di prendere l’ultima volta che sei stata al centro, visto che non puoi prenderlo nel tuo quartiere. Resti sorpresa dalla notizia di una manifestazione di baci dopo che a una coppia etero era stato chiesto di lasciare la sala d’attesa dell’aeroporto a seguito di una manifestazione pubblica di affetto. Comunque, resti delusa quando leggi che la legge 29 ancora una volta non è stata votata dal parlamento, nel timore che, qualora le relazioni etero venissero riconosciute almeno nelle scuole, potrebbero portare le giovani adolescenti a voler sperimentare uomini più grandi, o i ragazzi donne più grandi. “Questo paese ha bisogno di mantenere alti i valori omosessuali che lo fortificano”. Alla fine decidi di non leggere più e prendi il libro che hai appena comprato con tanto entusiasmo perché il protagonista era etero. Alla fine, scopri che il personaggio era una mediocre rappresentazione di tutti i clichès eterosessuali. La fine di un altro giorno nell’Homoworld!

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Laura ha bisogno di un consiglio Tratto da Dankmeijer, 2011 Obiettivo Insegnare agli studenti a esplorare le proprie opinioni riguardo l’orientamento sessuale, in rapporto con altri pari. Insegnar loro a riconoscere come i pregiudizi possono ferire gli altri, compromettendone la salute e il benessere, e aumentare l’empatia verso gli adolescenti gay e lesbiche. Materiali occorrenti Lavagna, gesso, fogli di carta, penne. Tempo 1 ora

1. L’insegnante comincia parlando alla classe del caso di Laura. Laura ha 15 anni e si trova in una situazione difficile. Non si diverte a uscire con i ragazzi, come le sue amiche. Preferisce la compagnia delle ragazze. Ha letto in una rivista che ci sono donne attratte da altre donne e si domanda se questo sia il suo caso. È confusa perché i ragazzi non è che le stiano antipatici, ma non vuole uscirci e certo non vuole avere dei rapporti profondi con loro. Le piacerebbe sapere cosa pensino le sue amiche di tutto questo, ma ha paura di parlare con loro di questo argomento. 2. A questo punto l’insegnante chiede agli studenti di scrivere una lettera a Laura per darle un consiglio. Siccome è una lettera personale, dovrebbe contenere i seguenti elementi: una prospettiva personale della situazione, un’esperienza dello studente in relazione al caso di Laura e un consiglio. 3. Mentre gli studenti scrivono la lettera, l’insegnante gira per la classe e offre assistenza, se richiesto. 4. Dopo 20 minuti, l’insegnante domanda chi vuol leggere la propria lettera oppure chi vuol parlare dei consigli che darebbe a Laura. 5. L’insegnante scrive sulla lavagna le parole chiave delle lettere. 6. Dopo aver letto un po’ di lettere, l’insegnante fa partire la discussione chiedendo agli studenti: • Secondo voi qual è il consiglio più utile e perché? • Come pensate che Laura si sentirebbe riguardo questo consiglio? • Se qualcuno vi desse questo consiglio, come vi sentireste? • Quali consigli non sembrano molto appropriati o efficaci? • Come avete deciso di dare il vostro consiglio? • Se Laura fosse una vostra amica, oltre a scriverle una lettera, come potreste aiutarla?

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Che cos’è il bullismo Tratto da Waterhouse et al., 1998

Obiettivo La lezione mira a insegnare agli studenti a riconoscere le diverse forme di bullismo. Materiali occorrenti Lavagna, gesso, scheda. (La scheda è scaricabile all’indirizzo: http://www.istitutobeck.com/progetto-unar.html password: UNAR)

Tempo 1 ora

1. L’insegnante comincia a parlare agli studenti di un problema che talvolta possono avere, chiamato bullismo. Il docente racconta una storia, chiedendo agli allievi di fare attenzione ai diversi modi in cui il bullismo si manifesta. La storia: Giulio ha fatto delle cose crudeli a Marco, un nuovo studente. Ha iniziato facendogli lo sgambetto in classe o in corridoio. Poi Giulio ha spinto Marco a terra un paio di volte. Qualche settimana fa Giulio ha iniziato ad afferrare lo zaino di Marco ogni giorno, tirando fuori il suo pranzo e altre cose che voleva. Giulio gli ha detto di non dirlo a nessuno. Marco non porta più uno zaino a scuola. Oggi, Giulio e altri due ragazzi stanno di nuovo infastidendo Marco. Lo spingono contro il muro, bloccandolo. Giulio dice a Marco che deve dare loro del denaro. Un sacco di altri ragazzi si trovano nelle vicinanze e vedono ciò che accade, ma non fanno nulla. Sembra che Marco sia sempre preso di mira. Inoltre, non ha molti amici a scuola. Come pensi che si senta Marco? L’insegnante scrive alla lavagna i sentimenti di Marco (spaventato, intimidito, triste, sconvolto, arrabbiato, riluttante a venire a scuola, solo).

In che modo Giulio e i suoi amici stanno facendo bullismo nei confronti di Marco? (facendogli lo sgambetto, buttandolo a terra, prendendo le sue cose, bloccandolo, minacciandolo, chiedendogli dei soldi). In che modo gli altri studenti sono coinvolti? (Pur assistendo a molti episodi non intervengono, né offrono la loro amicizia o sostegno a Marco, e forse in qualche modo possono arrivare a pensare che sia colpa sua, che si mette sempre nei guai). 2. L’insegnante a questo punto divide gli studenti in 5 gruppi a cui assegna una delle storie riportate nella scheda. I gruppi devono identificare e scrivere i sentimenti della vittima e i comportamenti dei bulli. L’insegnante dà 15 minuti di tempo per leggere la storia e rispondere alle domande. 3. L’insegnante, passati i 15 minuti, chiede a ogni gruppo di leggere la propria scheda e le risposte alle domande. Ogni volta che un gruppo identifica i sentimenti della vittima, l’insegnante li scrive alla lavagna. Quando descrive i comportamenti dei bulli, l’insegnante sottolinea che il bullismo non deve essere necessariamente fisico: può prendere la forma di molestie, di isolamento sociale della vittima, di pettegolezzi, di sms, di post scritti sulla bacheca Facebook. Il bullismo, nelle sue diverse forme, ha tre caratteristiche principali: • È intenzionale, cioè è messo in atto deliberatamente dal bullo, allo scopo di colpire, umiliare, intimidire il soggetto prescelto; • È sistematico, cioè tende a ripetersi nei confronti dello stesso soggetto da parte dello stesso bullo o branco, anche se con diverse modalità (fisiche, verbali, cyber o indirette a seconda dei momenti e dei contesti); • È relazionale, cioè è un atto sociale, compiuto davanti a un pubblico composto da altri studenti, in cui il bullo esprime la propria superiorità rispetto alla vittima. A questa sorta di copione partecipano, in qualità di spettatori o complici del bullo, altri studenti.

Marco si sente solo, triste e spaventato a venire in un posto dove Giulio gli fa male e prende le sue cose e dove ha pochi amici. A volte gli studenti che non sembrano avere amici e che sono spesso soli diventano vittime di bullismo. Essere isolati o da soli può fare sembrare qualcuno impotente e più facile da infastidire, ma non è colpa di Marco se è vittima di bullismo. 39

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SCHEDA

Che cos’è il bullismo Storia 1 Maria e Giovanna hanno incontrato Daria al cinema in compagnia di una ragazza dall’aspetto molto mascolino. Maria e Giovanna da allora hanno cominciato a mettere voci in giro sul conto di Daria. Dicono alle altre ragazze di non uscire con Daria, se non vogliono essere scambiate per lesbiche. Adesso ragazze che erano amiche di Daria cominciano a evitarla in classe e non le rispondono al telefono. Come pensate si senta Daria? Provate a pensare almeno a cinque sentimenti che potrebbe provare. In che modo Maria e Giovanna stanno facendo bullismo nei confronti di Daria?

Storia 2 Lea vede Giacomo, Pamela, e Teresa all’ingresso dell’aula. Lea vorrebbe non dover passare davanti a loro da sola per entrare in classe, ma le sue amiche sono già entrate. Negli ultimi tempi, questi studenti stanno dando fastidio a Lea. Ogni volta che la vedono, la prendono in giro per i capelli, gli occhiali, il peso. A volte fanno il verso della papera e le dicono che cammina come una papera. In classe, la guardano male o le lasciano dei bigliettini di scherno sul banco. L’altra sera qualcuno ha telefonato a casa di Lea facendo il verso della papera. Come pensate si senta Lea? Provate a pensare almeno a cinque sentimenti che potrebbe provare. In che modo questi studenti stanno facendo bullismo nei confronti di Lea?

Storia 3 Emanuele sembra mettersi sempre nei guai e poi dice che non è colpa sua. A volte si mette a piangere, anche se è già al terzo anno. Ecco perché nessuno vuole essergli amico, anche se Emanuele vorrebbe tanto avere degli amici. Massimo, Michele, e Lucia sanno che è facile far arrabbiare Emanuele. Spesso gli nascondono la giacca o gli rubano delle cose dallo zaino. Massimo e i suoi amici lo prendono in giro, dicendogli delle cose sgradevoli in faccia e alle spalle. La scorsa settimana hanno scritto una frase oscena su di lui sul muro di fronte alla scuola. Ogni tanto gli danno degli spintoni nel corridoio o in palestra. A volte Emanuele si arrabbia così tanto che comincia a piangere. A volte comincia a tirare delle cose, a urlare o si difende e cerca di colpire Massimo e i suoi amici. È allora che si mette nei guai.

Storia 4 Eduardo ha cercato di diventare amico degli altri ragazzi della classe, ma questi lo ignorano e sembrano ridergli alle spalle. La scorsa settimana, durante l’ora di educazione fisica, Enrico ha imitato la maniera in cui corre Eduardo. Eduardo ha visto che tutti gli altri ragazzi si sono messi a ridere della sua imitazione. Negli ultimi giorni, Enrico ha cominciato a chiamare Eduardo ‘grassone’ o ‘maiale’ e gli ha detto di mettersi a dieta. Eduardo ha paura di riferire tutto all’insegnante, perché Enrico gli ha detto che se parla se ne pentirà. Eduardo ora sta cominciando ad avere problemi a concentrarsi sui compiti e sta cominciando a fare assenze da scuola. Come pensate si senta Eduardo? Provate a pensare almeno a cinque sentimenti che potrebbe provare. In che modo Enrico sta facendo bullismo nei confronti di Eduardo?

Storia 5 Paolo sta tornando a casa a piedi con i suoi amici Giorgio e Marco. Due ragazzi dell’ultimo anno, Renato e Maurizio, si avvicinano. Paolo cerca di pensare a un modo per evitarli. Negli ultimi tempi questi due ragazzi hanno cominciato a seguire Paolo quando torna a casa e a prenderlo in giro. Spesso lo insultano, chiamandolo ‘frocio’ o ‘checca’. Paolo è sicuro che siano stati loro a fare pettegolezzi imbarazzanti sul suo conto. Stavolta ricominciano a insultarlo e ripetono i pettegolezzi a Giorgio e Marco. Paolo nega i pettegolezzi. Paolo comincia ad arrabbiarsi. All’improvviso Renato blocca Paolo per il braccio mentre Maurizio gli dà un pugno nello stomaco. Paolo cerca di difendersi, ma finisce a terra. Ci prova, ma non riesce a evitare di mettersi a piangere. Renato e Maurizio dicono che se Paolo o i suoi amici raccontano qualcosa dell’episodio, diranno a tutti che Paolo si è messo a piangere come una checca. Giorgio e Marco non sanno cosa fare. Come pensate si senta Paolo? Provate a pensare almeno a cinque sentimenti che potrebbe provare. In che modo Renato e Maurizio stanno facendo bullismo nei confronti di Paolo?

Come pensate si senta Emanuele? Provate a pensare almeno a cinque sentimenti che potrebbe provare. In che modo Massimo e i suoi amici stanno facendo bullismo nei confronti di Emanuele?

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Il bullismo omofobico Tratto da Homophobic bullying lesson plan Obiettivo Questa serie di attività fornisce agli insegnanti l’opportunità di discutere con i propri allievi del bullismo omofobico in modo aperto e in un ambiente protetto al fine di poter affrontare gli stereotipi e i pregiudizi spesso profondamente presenti in alcuni studenti. Può anche essere visto come un sostegno per i giovani gay e lesbiche. L’attività potrà aiutare a: • Aumentare la consapevolezza dell’esistenza del bullismo omofobico • Aumentare la comprensione del bullismo omofobico e del cyber-bullismo • Definire cosa sia l’omofobia e il bullismo omofobico e l’impatto sui giovani • Riconoscere le influenze e le pressioni sui giovani dei principali problemi che riguardano le persone LGBT • Favorire una politica anti-bullismo all’interno della scuola Materiali occorrenti Una lavagna, la scheda del manifesto del bullismo omofobico, delle penne, e almeno un telefono cellulare con funzionalità Bluetooth e fotocamera. È possibile disporre le sedie in semicerchio così da rendere l’ambiente meno formale. Tempo 2 ore

L’attività si divide in vari brevi esercizi: 1. Che cosa è l’omofobia? Tempo 15-30 minuti L’insegnante scrive su una metà della lavagna “Che cos’è l’omofobia?”. Poi chiede a ciascun partecipante cosa pensa sia l’omofobia e scrive i punti chiave alla lavagna. Scrive poi “Che cos’è il bullismo omofobico?” In questa colonna scrive le seguenti categorie: • Verbale • Cyber • Alienazione sociale • Fisico Definizione di bullismo omofobico Cosa intendiamo per bullismo omofobico? Il bullismo omofobico può presentarsi sotto diverse forme. La più frequente è quella verbale: insultare qualcuno chiamandolo “lesbica, frocio, checca, ricchione, finocchio”; prendere in giro un ragazzo per atteggiamenti ritenuti troppo effeminati o, al contrario, una ragazza per modi considerati troppo mascolini; fare telefonate di scherno o di insulti; minacciare il soggetto. Purtroppo è diffusa anche una forma fisica di bullismo: aggressioni fisiche di diversa entità (dagli spintoni fino a pugni e calci); danni a oggetti personali dell’adolescente; umiliazioni fisiche a sfondo sessuale che possono sfociare anche in violenze sessuali di gruppo. Questi tipi di bullismo sono, per la loro evidenza, abbastanza semplici da individuare. Vi sono, però, anche delle forme meno dirette, meno esplicite: escludere qualcuno da un gruppo; isolarlo; farlo sentire a disagio; diffondere pettegolezzi sull’orientamento sessuale del soggetto, magari tramite scritte sui muri o sulla lavagna, o tramite bigliettini passati in classe. Inoltre, oggi è presente il fenomeno del cyber-bullismo: inviare foto o sms inappropriati a qualcuno; fare fotomontaggi allusivi o offensivi rispetto al soggetto; creare una pagina facebook o un blog di scherno, a cui hanno accesso tutti gli studenti della scuola. Il cyber-bullismo non è solo in ascesa, ma colpisce gli adolescenti gay e lesbiche in maniera più che doppia rispetto a quelli eterosessuali. Una volta chiarito cosa siano l’omofobia e il bullismo omofobico, l’insegnante chiede degli esempi per le diverse categorie (è opportuno avere sottomano la scheda del manifesto del bullismo omofobico). L’obiettivo è impiegare almeno 15 minuti su questo, stimolando una discussione con la classe. L’insegnante deve assicurarsi che questi concetti siano chiari agli allievi. 2. Questioni fondamentali che riguardano i giovani LGBT e l’impatto del bullismo omofobico Tempo 30 minuti Inizia una discussione sui seguenti argomenti: Paura dell’isolamento a scuola Se e quando i giovani LGBT dichiarano il proprio orientamento sessuale a scuola, la reazione più comune è isolarli. Questo può accadere sia da parte degli insegnanti che degli studenti. 41

istituto a.t. beck | Le lezioni | 9. Il bullismo omofobico

Discriminazione Se e quando una persona LGBT fa coming out si ritrova spesso a essere oggetto di discriminazione da parte di amici e familiari. Successo scolastico Quando si è vittime di bullismo omofobico, come di qualsiasi altra forma di bullismo, il rendimento scolastico e il livello di attenzione iniziano a diminuire. Benessere emotivo Giovani gay e bisessuali hanno probabilità più alte di tentare il suicidio (Russel, Joyner, 2001; Eisenberg, Resnick, 2006); il bullismo omofobico è uno tra i fattori che contribuiscono al fenomeno. Segnalazione di bullismo omofobico Risulterà sempre molto difficile per una persona LGBT denunciare atti di bullismo omofobico perché equivale a fare un coming out forzato per poter chiedere aiuto. Inoltre gli insegnanti potrebbero comunicare ai genitori gli episodi e, dunque, costringere i ragazzi al coming out. 3. Messaggi positivi Tempo 1 ora A questo punto, l’insegnante divide la classe in tre gruppi e chiede di immaginare due scene che mostrino l’impatto del bullismo omofobico. Possono lavorare in coppie o in piccoli gruppi (si possono utilizzare alcuni degli esempi riportati di seguito). Una volta che le scene sono state immaginate, il gruppo le rappresenta e scatta due foto - l’ideale sarebbe utilizzare dei telefoni cellulari. Il gruppo poi inventa un messaggio positivo da assegnare alle foto. A questo punto le foto e i messaggi positivi possono essere diffusi all’intera scuola mediante sms. Se si dispone, ad esempio, di una newsletter della scuola, potrebbero essere inviati come se fossero dei fumetti, creando così una piccola campagna di prevenzione del bullismo omofobico. Potrebbero, inoltre, essere inserite sul sito web della scuola o sui singoli profili degli studenti. Il punto interessante è che gli allievi utilizzerebbero uno strumento a loro molto familiare, come Facebook ad esempio, che spesso usano per inviare messaggi negativi, per diffondere, invece, dei messaggi positivi, sentendosi dunque più utili e importanti. Se, come scuola, si preferisce non adottare questo approccio, le immagini potrebbero essere stampate e affisse su un tabellone all’ingresso così che tutti possano vederle. Questa attività potrebbe facilmente essere estesa a una seconda lezione, portando avanti così una campagna anti-bullismo.

Esempi di scenari LGBT Andrea è uno studente di 11 anni ed è sempre l’ultimo a essere scelto per giocare a calcio: i suoi compagni di classe credono sia gay perché indossa sempre una fascia per il sudore di colore rosa. Per questa situazione si potrebbero rappresentare Andrea lasciato come ultimo e poi Andrea che fa goal. Un messaggio positivo potrebbe essere: “Non importa il colore della tua fascia, ma quanto veloce sai correre”. Simona è una brava giocatrice di calcetto. Recentemente, le ragazze della sua squadra sono diventate gelose perché lei è stata scelta per la prima squadra della scuola. Hanno iniziato così a diffondere la voce che è lesbica. La mamma e il papà di Nicola recentemente hanno divorziato perché suo padre è attratto dagli uomini. Nicola è davvero sconvolto e si è confidato con uno dei suoi migliori amici, Mario. Successivamente a questa confidenza, Mario ha smesso di andare in giro con Nicola e ha riferito a tutti i suoi amici che è gay come suo padre. Giulia è una ragazza molto popolare a scuola e ha molti amici su Facebook. Recentemente due delle sue compagne l’hanno bloccata come amica. A Giulia questo non è andato giù e così ha creato un falso profilo per diffondere la voce che queste due ragazze sono fidanzate. Marco e Andrea sono migliori amici, e si conoscono da quando avevano cinque anni. Poiché fanno tante cose insieme, i compagni di scuola hanno diffuso la voce che sono gay. Lorenzo è un ragazzo gay molto popolare a scuola, e ha creato un gruppo dopo la scuola per chi ha bisogno di aiuto e di sostegno perché vittima di bullismo dentro e fuori scuola. Giulio è un nuovo studente, e recentemente è stato vittima di bullismo perché troppo intelligente. Ha sentito parlare del gruppo di Lorenzo e ha deciso di chiedere aiuto. Lorenzo, però, gli ha impedito di partecipare dicendo: “Questo club è solo per le persone omosessuali e non per nerd come te”. I compagni di classe di Giovanni sono soliti urlargli il termine “omo”, perché in classe canta sempre e desidera diventare un cantante come Beyonce. Pietro non viene mai invitato alle partite di calcio locali, perché i suoi compagni pensano che i suoi vestiti siano troppo stretti, troppo colorati e vistosi. Non indossa, infatti, felpe e pantaloni larghi come fanno loro. Michele è molto popolare tra le ragazze della sua scuola: questo rende i ragazzi gelosi e pensano che sia gay perché non ha mai frequentato i ragazzi. Così, quando vedono Michele fanno di tutto per farlo inciampare. Giulio è un ragazzo gay ben voluto nella scuola. Recentemente ha ricevuto delle telefonate di scherno e delle mail minacciose da una persona anonima, dicendo: “tutti gli omosessuali devono morire”. Gianni è un ragazzo molto popolare e indossa sempre le ultime novità della moda. Gianni ha deciso di forare entrambi i lobi delle orecchie come il suo idolo David Beckham. I ragazzi della sua classe ora gli stanno lontano, e dicono che sia gay perché ha le orecchie forate. 42

10. istituto a.t. beck | Le lezioni

Quali abilità ha utilizzato Davide per formulare una risposta assertiva? • È rimasto calmo • Ha usato una voce chiara e sicura • Ha guardato Daniela negli occhi • Ha chiamato Daniela per nome • Ha identificato il comportamento (“Stai facendo pettegolezzi su di me”) • Ha detto di smetterla” 2. L’insegnante chiede agli studenti di trovare delle frasi per descrivere tipici comportamenti di bullismo e le scrive alla lavagna (es., umiliare, insultare, aggredire, fare telefonate oscene).

Rispondere al bullismo: l’assertività Tratto da Waterhouse et al., 1998

Obiettivo La lezione mira a insegnare agli studenti a difendersi dal bullismo. Materiali occorrenti Lavagna, gesso, scheda. (La scheda è scaricabile all’indirizzo: http://www.istitutobeck.com/progetto-unar.html password: UNAR)

Tempo 1 ora 30 minuti 1. L’insegnante comincia a parlare agli studenti di come difendersi dal bullismo. “Abbiamo parlato di bullismo. Come sapete, ci sono vari modi per rispondere o reagire ai tentativi di bullismo. Oggi faremo pratica di risposte verbali assertive. Vi darò una dei riferimenti verbali con cui lavorare. Di fronte a una situazione di bullismo, il primo passo è quello di valutare la situazione. • Siete in pericolo fisico? • Sono le persone o l’ambiente circostante familiari o estranei? Se decidete che non siete in una situazione pericolosa e vi sentite in grado di rispondere, una risposta assertiva verbale spesso può funzionare bene. Potrete utilizzare questi comportamenti la prima volta che qualcuno fa il bullo con voi. Se, però, vi rendete conto che potreste essere in pericolo allora rivolgetevi sempre a un adulto. Ascoltate questa storia: Daniela ha continuato a spettegolare. Questa volta sta dicendo a tutti che Davide ha un fidanzato che non va a questa scuola, che li ha visti insieme durante il fine settimana. Ora un sacco di ragazzi stanno prendendo in giro Davide per il suo “fidanzato”. Davide decide di interrompere il pettegolezzo e la presa in giro in modo assertivo. Affronta Daniela, la guarda e le dice con voce chiara e forte: “Daniela, stai facendo dei pettegolezzi su di me. Stai cercando di mettermi in imbarazzo. Smettila”. Poi Davide è andato via. Da allora i pettegolezzi sono finiti.

3. L’insegnante chiede agli studenti di formulare delle frasi per dire al bullo di smetterla coi suoi comportamenti e le scrive alla lavagna. Una volta individuate un po’ di frasi, l’insegnante chiede a ogni studente di identificare le due o tre espressioni che potrebbe usare in una situazione in cui è vittima di bullismo. L’insegnante può fare un gioco di ruolo con qualche studente (il docente recita la parte della vittima ovviamente, mentre lo studente lo prende in giro per un taglio di capelli o perché porta gli occhiali), mostrando alla classe come formulare le frasi in maniera assertiva: • Posizione del corpo eretta • Sguardo fisso sull’altra persona • Voce chiara e decisa • Chiamare il bullo per nome • Identificare e nominare il comportamento • Definire il limite al comportamento L’insegnante descrive a voce alta tutti i passi sopra elencati, in modo che gli studenti li abbiano ben chiari. A volte può essere necessario ripetere un paio di volte i due passi finali, in modo che il bullo presti attenzione e la vittima rinforzi l’atteggiamento assertivo. 4. L’insegnante chiama alla cattedra gli studenti a coppie. Ogni coppia a turno recita il ruolo della vittima e dell’aggressore in una delle cinque situazioni-tipo descritte sotto. È importante che ogni studente abbia la possibilità di praticare queste abilità di assertività. Non c’è bisogno che gli allievi utilizzino le esatte parole che sono state scritte alla lavagna. Ognuno potrà usare quelle che gli sembrano più appropriate, che con ogni probabilità userebbe nelle situazioni reali, purché identifichino con chiarezza il comportamento e ne definiscano il limite. Se uno studente utilizza parole diverse da quelle scritte alla lavagna, l’insegnante può aggiungerle a quelle già scritte. L’insegnante presta, inoltre, attenzione al linguaggio del corpo degli studenti (postura eretta, sguardo fisso negli occhi dell’altro, voce chiara e ferma) e ricorda che l’assertività è una combinazione di ciò che si dice e di come lo si dice. 5. L’insegnante conclude l’attività ricordando agli studenti che possono utilizzare un comportamento assertivo ogni volta che qualcuno li infastidisce, ma che talvolta questo può non bastare e che se, dopo un paio di volte che sono stati assertivi, il bullo continua a infastidirli, devono chiedere aiuto a un adulto. 43

istituto a.t. beck | Le lezioni | 10. Rispondere al bullismo l’assertività

SCHEDA

Rispondere al bullismo: l’assertività Situazioni-tipo







 

Hai comprato un paio di scarpe nuove. Sono diverse da quelle che sono molto diffuse tra i tuoi compagni. Dal primo giorno che le hai messe, ti ha preso in giro per le scarpe, dicendoti: “Dove hai preso quelle scarpe? Scommetto che te le ha comprate tua madre. Solo i mocciosi si fanno comprare i vestiti dalla madre”. In palestra, spesso si mette di fronte a te e ti fa delle smorfie ogni volta che guardi nella sua direzione.

dice a tutti che giochi malissimo a calcio e che sei un moscio, negato per lo sport. Adesso nessuno degli altri ragazzi ti vuole in squadra.

continua a toccare le cose sul tuo banco. Un paio di volta hai visto con le mani nel tuo zaino. Adesso, spesso ti spintona quando vi incontrate nel corridoio, e poi ride e ti prende in giro.

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L’altra altra metà del cielo (2009) L’altra altra metà del cielo… continua (2012) Regia di Maria Laura Annibali

Lezioni ulteriori

Un modo utile di informare gli adolescenti, di mostrare aspetti della realtà omosessuale che non conoscono, di favorire empatia nei confronti dei vissuti delle persone omosessuali, e di far emergere discussioni e punti di vista diversi è la visione di film e documentari a tematica omosessuale. Di seguito si presentano le schede per due documentari (L’altra altra metà del cielo e L’altra altra metà del cielo… continua) e tre film (Kràmpack, Billy Eliot, Beautiful thing). Idealmente le attività con la visione di film dovrebbero essere condotte in questo modo: • l’insegnante introduce il film o il documentario, anticipandone brevemente i contenuti, in modo da suscitare curiosità nei ragazzi • dopo la proiezione può avviare la discussione su alcuni episodi specifici del film, o partire da un inquadramento generale, chiedendo poi commenti su singoli momenti salienti del film. È sempre importante stimolare l’empatia, chiedendo magari agli studenti che tipo di emozioni immaginano possa provare il protagonista nei diversi momenti. Si può inoltre chiedere in che modo l’omofobia sociale operi all’interno del film, rendendo la vita difficile ai protagonisti.

In questi due documentari la regista sceglie di raccontare delle storie. Storie normali, di donne che vivono accanto a noi, e allo stesso tempo storie emblematiche, di donne straordinarie, che attraverso le loro scelte di vita, di amore, raccontano non solo se stesse, ma un enorme pezzo di storia della nostra società. Sono donne che si confrontano con i temi della vita di ogni donna, la scelta di una persona da amare, di avere un figlio, di diventare indipendenti, di essere persone libere. Temi comuni, no? Eppure questi temi sono tutto fuorché banali, perché raccontano le vite di donne che amano altre donne. Per queste donne la ricerca della partner giusta si è scontrata con l’omofobia della propria famiglia, della società, e soprattutto con quella vocina in se stesse che diceva “sei sbagliata”; la decisione di avere un figlio ha significato un viaggio a Londra per trovare un donatore e lo scontro con strutture sanitarie pubbliche dove una scelta ‘altra’ sembrava marziana; la ricerca della propria indipendenza è maturata attraverso un confronto familiare difficile, carico di dolore, di vergogna, di non detti; la voglia di essere persone libere è una lotta quotidiana, contro l’ignoranza, la superficialità, la stupidità, le paure, il silenzio, una lotta che ricade interamente sulle spalle della persona che la compie. Quindi, queste storie semplici, singole, individuali, in realtà risuonano di temi sociali molto più grandi: esprimono, col loro valore di straordinaria testimonianza, la condizione delle donne lesbiche in Italia nei primi anni nel 2009 e nel 2012. È importante sottolineare che queste storie, nonostante raccontino di sofferenze, travagli e lotte, parlano in fondo di donne fortunate, che per nascita o per decisione vivono in contesti urbani, che hanno avuto la fortuna o la capacità di individuare la propria strada affettiva, e hanno trovato la forza di raccontarsi in un documentario. Sono donne, queste intervistate dalla Annibali, che hanno trovato la propria voce, precocemente o con difficoltà, e hanno voglia di usarla. Ciò che purtroppo non si riesce a raccontare, invece, è quell’invisibile universo di donne silenziose, nubili o invischiate in un matrimonio di convenienza, che, indebolite e spaventate dalla pressione omofobica sociale, dubbiose del proprio valore, hanno preferito rinunciare all’espressione reale della propria sessualità. Queste sono le donne che si sono fatte la stessa domanda di Janette Winterson: “Perché essere felice quando puoi essere normale?” (2012). Temi di discussione Omosessualità, omosessualità e pregiudizi sul lavoro, omosessualità e minoranze etniche, omosessualità e genitorialità.

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istituto a.t. beck | Le lezioni | 11. Lezioni ulteriori

Kràmpack (2000) Regia di Cesc Gay

Billy Eliot (2000) Regia di Stephen Daldry

Il film racconta del passaggio dal mondo dell’adolescenza a quello della prima età adulta. Nico e Dani sono due sedicenni che si apprestano a trascorrere le vacanze insieme. È l’estate della perdita della verginità e l’occasione sembra arrivare con due ragazze attratte dai due amici. I due in passato avevano condiviso giochi di masturbazione reciproca (che chiamavano appunto ‘kràmpack’). Quel tempo, però, è finito: per Nico, che è eterosessuale, quel gioco fa parte del passato, Dani invece si rende conto che prova per Nico un’attrazione che va al di là del gioco. Dani quindi oscilla tra la paura dei sentimenti che sente dentro di sé, l’attrazione nei confronti dell’amico, ma anche la paura di rivelare le proprie emozioni. Assistiamo alla storia di Nico, che a sua volta s’avvicina alla sua ‘prima volta’ con maggiore sicurezza, ma comunque con tutte le ingenuità e le incertezze dell’età. Il film si regge sulle storie parallele di due amici, o meglio su due storie che dovrebbero a rigor di logica essere parallele, e che invece divergono a causa del differente giudizio sociale e morale rispetto all’orientamento sessuale. Il tema del film è, quindi, la scoperta e l’accettazione di sé nell’età adolescenziale, un sé che cambia velocemente e talvolta in modo del tutto inatteso, come è nel caso di Dani.

Billy, orfano di madre, vive col padre e il fratello, entrambi minatori. Il film è ambientato nel 1984, durante il lungo sciopero dei minatori contro il governo Tatcher. Billy viene mandato a fare boxe, ma la sua passione è il ballo. Questo gli crea enormi problemi in casa, a causa dei pregiudizi che vedono nella danza un’attività femminile. Sarà una maestra di ballo locale ad aiutare Billy a realizzare il suo sogno e a entrare alla scuola del Royal Ballet di Londra. Temi di discussione La cosa interessante è che alla fine non sappiamo se Billy sia gay o meno. Il film si interrompe quando Billy entra alla scuola e, nell’epilogo finale, ce lo mostra nelle vesti di protagonista del Lago dei cigni. Il nucleo del film è il pregiudizio sul ruolo di genere, cioè su come i maschi e le femmine dovrebbero comportarsi e a quali attività dovrebbero dedicarsi.

Temi di discussione La scoperta della sessualità e i pregiudizi omofobici, la maggiore difficoltà per gli adolescenti omosessuali di affrontare le sfide della crescita. Beautiful thing (1996) Regia di Hettie MacDonald Jamie è un adolescente solitario, vive con la madre in un quartiere popolare, e subisce atti di bullismo a scuola. Ste è un suo compagno di scuola, suo vicino di casa, che vive con un padre e un fratello violenti. Dopo l’ennesima violenza subita in casa, Ste va a stare per qualche giorno a casa di Jamie, condividendone il letto. I due ragazzi piano piano s’innamorano e insieme scoprono la propria sessualità e le difficoltà legate all’essere omosessuali. Temi di discussione La scoperta della sessualità e i pregiudizi omofobici, la maggiore difficoltà per gli adolescenti omosessuali di affrontare le sfide della crescita.

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