il museo racconta definitivo - Istituzione Culturale Educativa

April 2, 2018 | Author: Anonymous | Category: N/A
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Comune di Castiglion Fiorentino Istituzione Culturale ed Educativa Castiglionese

MUSEO ARCHEOLOGICO CASTIGLION FIORENTINO

IL MUSEO RACCONTA… GLI

ETRUSCHI

La Scrittura La Pesca La Filatura e la Tessitura

Quaderno didattico “Le notti dell’Archeologia” Castiglion Fiorentino, 1 – 9 luglio 2006

Ideazione, progettazione e testi

Margherita Gilda Scarpellini

Redazione e impaginazione

Fabio Salvietti

Si ringrazia per i suggerimenti ed il sostegno alla realizzazione

Piero Fusi - Direttore Istituzione

Le immagini sono state riprodotte per uso puramente didattico ed esplicativo.

IL MUSEO RACCONTA ... Premessa Il Museo Civico Archeologico Castiglionese si caratterizza per la peculiarità del suo sistema informativo attraverso il quale è stato privilegiato il percorso didattico rispetto a quello di ricerca, senza tuttavia cadere in una semplicistica divulgazione. Il frequentatore di questa esposizione troverà sia notizie di medio livello ( corrispondente al grado di scolarizzazione obbligatorio) costituite dalle didascalie ragionate dei singoli reperti e dai pannelli esplicativi, sia ricostruzioni, plastici e piante nonché sequenze multimediali che permettono una migliore lettura e decodifica dei materiali esposti. Si tratta di un museo in cui è stato superato il concetto del “feticcio”, della cultura materiale fine a se stessa; un museo in cui i reperti esposti siano di supporto al discorso esplicativo e che pertanto sono stati scelti secondo una loro valenza informativa per evitare ammassi di oggetti all’insegna di un inutile “horror vacui”. Il Museo racconta di Castiglion Fiorentino le origini, attraverso il percorso espositivo che si articola in cinque sale dedicate a varie tematiche inerenti l’antico nucleo abitato e il suo territorio costellato di insediamenti che vanno dall’Età del Ferro all’epoca tardo antica ed oltre: i bronzi degli Etruschi con il deposito di Brolio, il tempio etrusco dell’area del Cassero, l’insediamento antico di Castiglion Fiorentino dalle origini all’incastellamento e l’agro castiglionese, Brolio Melmone insediamento etrusco di produzione e commercio lungo il Clanis. L’abitato del Melmone, preso ad esempio tra tanti simili del territorio castiglionese, attesta una serie di attività del quotidiano e quindi della vita privata degli antichi abitanti etruschi di quest’area. Attività che vengono presentate nelle vetrine dedicate appunto alla filatura e tessitura, alla pesca e all’uso della scrittura sulla ceramica. La sala che ospita queste tematiche non è al momento dotata di postazione multimediale, per cui è stato ideato e quindi realizzato il presente supporto didattico, in cui si continua ad incrementare ed a far metabolizzare il principio ispiratore dell’esposizione archeologica castiglionese: il museo racconta...

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LA SCRITTURA I reperti recuperati nell’agro castiglionese, in particolare nell’area sacra del tempio etrusco del Cassero ( fine VI - II sec.a.C.) e nell’abitato di Brolio Melmone, attestano la frequenza dell’uso della scrittura soprattutto su supporto ceramico di epoca ellenistica ( IV - I sec.a.C) a testimonianza della diffusa alfabetizzazione di questo distretto della Valdichiana aretina. Ad oggi , l’esempio più antico di iscrizione etrusca castiglionese è rappresentato da un fondo di piattello in bucchero del pieno VI sec.a.C. rinvenuto nell’area sacra del tempio etrusco al Cassero. L’iscrizione, graffita dopo la cottura con punta sottile, è sinistrorsa ed in scriptio continua. Vi si legge mi Thanukhvilus che significa io sono di Thanaquilla.

E’ facile riconoscere un prenome femminile che termina con il morfema del possessivo ( s) ad indicare la proprietaria del piattello. La formula mi (io sono) è tipica delle iscrizioni etrusche in cui è l’oggetto che parla. La grafia e quindi la lettura va da destra verso sinistra. Inoltre considerato il luogo del rinvenimento, un’area sacra, l’iscrizione oltre ad essere di possesso è da considerarsi anche di tipo votivo in cui compare il nome individuale della dedicante. Guardando attentamente le lettere si nota che molte di esse sono simili alle nostre. Infatti, gli Etruschi hanno ripreso l’alfabeto dai Greci euboici delle colonie di Cuma e Pithecusa (Ischia) con cui avevano avuto contatti commerciali durante il tardo-villanoviano. Le prime testimonianze scritte risalgono intorno al 700 a.C. Ovviamente in questa fase più antica la scrittura è un segno distintivo della classe sociale elevata di tipo aristocratico che fonda la propria ricchezza sui commerci. Gli Etruschi hanno però adattato l’alfabeto greco alle loro esigenze linguistiche eliminando alcune lettere come la o, la b, la d e la g e aggiungendone altre come la f ad otto ( 8). La differenza tra i cosìdetti alfabeti-modello e gli alfabeti-pratici è proprio rappresentata dai primi che ornano materiali scrittori, come la tavoletta eburnea della Marsiliana d’Albegna (670-650 a.C.) ed i calamai di Viterbo e di Cerveteri (630-600 a.C.), ed i secondi che si ricavano dall’effettivo uso delle lettere nelle iscrizioni.

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Le parole etrusche finora note sono circa ottomila; esse sono ricavate da oltre 7500 testi ,tutti epigrafici,eccetto il Liber linteus della mummia di Zagabria, redatti tra il VII sec.a.C. ed il I sec.d.C. e provenienti dall’Etruria, dalla Campania, Lazio,Umbria, Liguria, Corsica e Tunisia. La lingua non ha etimologie indoeuropee; si riesce a leggere e ad interpretare quando si tratta di iscrizioni brevi di dono o di carattere funerario in cui compaiono soprattutto nomi propri individuali (prenome) e di famiglia (gentilizio). Purtroppo la difficoltà della completa conoscenza della struttura linguistica crea problemi di interpretazione quando si tratta di testi lunghi come il Liber linteus, la Tegola di Capua, il cippo di Perugia,il piombo di Magliano e la tabula cortonensis,di cui per ora si riesce a comprendere il senso generale del testo senza però arrivare ad una vera e propria traduzione.E’ comunque dalle iscrizioni funerarie che si ricavano i termini di parentela, i nomi di magistrature, l’età del defunto a volte espressa in cifre ed in lettere, i verba faciendi, mentre dalle iscrizioni di dono e di offerta i verba donandi come mulu muluvanice ( donare) e turce (dedicare), nonché zichu zichuche che significa scrivere.

Liber Linteus della mummia di Zagabria

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Tabula Cortonensis (III – II a.C.)

Particolare dell’ iscrizione dedicatoria presente su una statuetta di fanciullo con anatrella da Montecchio oggi a Leida (metà II sec. A. C.)

Nel 1964 la scoperta delle lamine d’oro di Pyrgi,rinvenute presso l’area sacra del tempio B, fece sperare nella risoluzione della conoscenza della lingua etrusca. Purtroppo non si trattava della “stele di Rosetta” cioè di una vera bilingue. Infatti due lamine presentano iscrizioni etrusche, una breve ed una lunga, la terza è iscritta in caratteri fenici che non corrisponde ad una traduzione letterale dell’iscrizione etrusca. Si comprende però che si tratta della dedica di un simulacro ad Uni- Astarte da parte del re di Cerveteri Thefarie Velianas.

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Nel Museo castiglionese la vetrina dedicata alla scrittura esibisce reperti ceramici da Brolio Melmone di cui si ipotizza una produzione locale,quale la ceramica grigia, a vernice nera ed acroma di uso comune. Molti frammenti presentano segni alfabetici e numerali graffiti o incisi. Si tratta di singole lettere con valore di contrassegni di possesso, nonché di formule onomastiche con il solo nome individuale come Ave ed un gentilizio come Vethalu, graffite sul fondo interno ed esterno di ciotole e piattelli.

Una significativa iscrizione etrusca di tipo funerario è esposta nella Cripta della Chiesa di S.Angelo al Cassero dove è stata rivenuta durante i lavori di restauro della chiesa. Si tratta di due frammenti pertinenti al coperchio di una urna cineraria in pietra arenaria databile al III sec.a.C. Sullo spessore liscio corre un’iscrizione etrusca incisa con andamento sinistrorso e segni d’interpunzione. Vi si legge il prenome ed il gentilizio di un personaggio maschile certo Vel Tetnie ed il nome del padre del defunto Velche.

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LA PESCA Il Museo Archeologico castiglionese offre una serie di reperti rinvenuti negli insediamenti posti lungo il fiume Clanis che ben documenta la pratica della pesca in epoca etrusca e romana. L’esemplificazione di tale attività ci è fornita essenzialmente dall’abitato antico rinvenuto in località Brolio Melmone. Il fiume Clanis, fondamentale via di transito commerciale ed elemento unificatore delle strutture insediative dell’intera valle, ha rappresentato un ambiente di notevole approvvigionamento alimentare per le popolazioni che hanno abitato le zone limitrofe fino alla metà del secolo scorso. Infatti le acque del fiume erano ricche di pesci quali lucci, carpe, persici, anguille; le sponde erano frequentate da numerose specie di uccelli acquatici.

Gli Etruschi, signori incontrastati dei mari, hanno dimostrato attraverso i loro manufatti di avere una particolare predilezione per le raffigurazioni legate al mondo marino (delfini, ippocampi, tritoni) ma forse più per vero valore decorativo. Si cita per tutti il vivace e realistico affresco della Tomba della Caccia e della Pesca di Tarquinia da considerarsi la rappresentazione di un vero repertorio ittico con delfini, polpo, murena ed altri pesci non identificabili. Interessante è vedere il tipo di pesca praticata dall’imbarcazione con la lenza e la fiocina.

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I reperti soprattutto fittili ritrovati nell’agro castiglionese richiamano invece un altro tipo di pesca eseguita sicuramente per mezzo di reti: quella a posta fissa.

La pesca a posta fissa veniva svolta in acque non paludose ma lente, con rete in filo di lino dalle maglie non troppo larghe per pesci di medie dimensioni. Come propone il pannello, posto all’interno della vetrina dedicata alla pesca, la rete era caratterizzata dall’applicazione, in alto, di pezzetti di sughero o di legno con funzione di galleggianti per rimanere tesa a pelo d’acqua ed, in basso, da anelli fittili di varia calibratura posti a distanza regolare per poter essere mantenuta in posizione verticale. Le reti da posta venivano probabilmente distese durante il giorno, a semicerchio, soprattutto lungo le rive, spesso tra i canneti. I pescatori costringevano i pesci contro le reti: li spaventavano lanciando pietre in acqua e battendo con bastoni sulle canne, o dalla barca rumoreggiando con i remi. Esisteva però anche un altro genere di pesca a posta fissa che è quella di uso passivo. In pratica le reti venivano calate durante la notte, legate le une alle altre e raccolte al mattino seguente, ricche di pesci rimasti aggrovigliati durante i movimenti erratici notturni. Le reti, realizzate in filato di lino ed i galleggianti, essendo in materiali deperibili, non sono ovviamente giunti fino a noi dall’antichità. Mentre consistente è stato il recupero dei pesi da rete di pietra, di piombo ma soprattutto di terracotta.

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Si tratta di pesi da rete di forma discoidale con foro eccentrico e di anelli di misure standardizzate. Essi risultano di argilla poco depurata, forse realizzati direttamente in casa dal pescatore e cotti tra la cenere del focolare piuttosto che nei forni degli artigiani ceramisti. Esistono inoltre pesi sempre ad anello eseguiti in argilla più depurata e cotti in forni ad alta temperatura che si possono ricondurre per peculiarità tecniche ad epoca etrusco-romana. I pesi menzionati sono simili se non identici a quelli presenti negli abitati spondali del vicino lago Trasimeno e del lago di Bolsena. Anche per la pesca praticata al fiume Clanis possono essere in parte valide le notizie tramandateci dal poeta Silio Italico (I sec.d.C.) che narra della pesca attuata al Trasimeno con l’uso di reti (filum); ovviamente per il Trasimeno menziona le reti da lancio (iaculum) e quelle a strascico (tragum) sicuramente non usate in un fiume come il Clanis. La pesca era senz’altro praticata dagli uomini ma la lavorazione delle reti doveva essere di ambito muliebre. Interessante sarebbe indagare anche le attività ad essa connesse come la coltivazione di piante erbacee quale il lino necessario per l’esecuzione delle reti nonché quella culinaria sempre di ambito domestico e femminile.

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Si presentano a corredo di quanto appena ricordato alcune ricette etrusche di pietanze con pesce di acqua dolce. Si noti il piatto con decorazioni ittiche per servire il pesce con al centro una piccola depressione in cui venivano messe le salse. BRUSTICO di PESCE PERSICO Ricetta molto diffusa nelle zone di laghi e fiumi d’Etruria. Il pesce persico viene direttamente adagiato su un fuoco ottenuto con canne secche. Il pesce ben abbrustolito all’esterno verrà raschiato, spinato e poi insaporito con olio, aceto e sale. CARPA CON FOGLIE D’ALLORO Questo pesce risulterà al meglio se cosparso con un miscuglio di aglio,aceto e vino. La carpa ben insaporita,va avvolta con foglie di alloro e messa al fuoco in un tegame coperto. Servirla a fine cottura dopo aver tolto le foglie di alloro e cosparsa di olio.

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LA FILATURA E LA TESSITURA Nell’Odissea, poema al quale dobbiamo ricorrere per supporre un’analoga situazione presso le famiglie aristocratiche etrusche dell’Orientalizzante, Penelope si occupa come padrona di casa di filare e tessere(Odissea XXI, 350-353). Penelope lavora al telaio come il suo sposo è in grado di costruire il letto. Per Omero, la pratica della tessitura e le competenze ad essa inerenti rientrano tra le caratteristiche più illustri di una donna di nobili origini.La filatura e la tessitura sono prerogative delle matrone anche nella società principesca dell’Italia antica. Lo stesso Plinio parlando della Roma dei primi re ricorda Tanaquilla, moglie etrusca di Tarquinio Prisco, intenta a tessere la toga regale usata da Servio Tullio. In molte tombe etrusche dell’Orientalizzante sono presenti, come pertinente al corredo funerario femminile, non solo ricche oreficerie ma anche la conocchia ed il fuso in bronzo, ambra e paste vitree.

Il tintinnabulo bronzeo dalla necropoli dell’Arsenale Militare di Bologna pertinente al corredo femminile di una tomba del 625-600 a.C. presenta scene figurate che riproducono le diverse fasi di lavorazione delle fibre tessili, in particolare della lana. Dopo essere satata cardata, cioè pulita e pettinata tramite la pianta del cardo, essa veniva attorcigliata in fili grezzi e poi filata con il fuso (in legno, osso o bronzo); il filo così ottenuto ,avvolto sui rocchetti, era quindi utilizzato per la tessitura, eseguita per lo più mediante telai verticali, nei quali i fili erano tenuti in tensione, a gruppi, dagli appositi pesi.

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Si possono ripercorrere in modo elementare le varie fasi ricordate. Dopo la pulitura della lana, una piccola quantità veniva messa sulla conocchia (un bacchettino di legno o di metallo) che nella parte superiore poteva essere biforcuta o terminare con una specie di bottone. Tenendo la conocchia con una mano si passava la lana, tirandola attorcigliata, al fuso. Questi lasciato libero si faceva girare in modo uniforme grazie all’applicazione in fondo di un contrappeso in terracotta, la fuseruola. Queste operazioni corrispondono alla filatura.

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Per tessere è necessario un telaio. Una struttura molto semplice in legno: due bastoni verticali ed un terzo in alto orizzontale (A). Da quest’ultimo pendevano fasci di fili che formavano l’ordito e che rimanevano tesi grazie a dei pesi soprattutto in terracotta: i pesi da telaio.

La forma più comune dei pesi da telaio è quella troncopiramidale, ma è documentata anche quella a disco lenticolare (B). Alcuni pesi recano dei segni o delle lettere impresse sulla base minore, per essere visibile dall’alto durante la tessitura. Tali segni indicavano l’ordine secondo il quale dovevano essere messi in opera, precauzione utile nel caso di tessuti colorati sul tipo dei plaids. Esemplari di questo genere sono stati rinvenuti nell’area sacra del tempio etrusco al Cassero, in questo caso da interpretarsi sia come strumenti di lavoro delle vergini tessitrici dei panni usati nel santuario, sia come dono votivo di ambito femminile.

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Continuando nell’analisi dell’attività tessile, era poi necessario prendere due canne più larghe del telaio (C) e legarle alternativamente ai fili dell’ordito. Le canne andavano poi tirate in maniera da far passare un bastoncino, la spola (D), munita di filo tanto da creare la trama. Perché la trama sia ben intrecciata, dopo ogni passaggio, dovrà essere usato un pettine. Il tessuto sarà così terminato. Per cucire i pezzi di tessuto si useranno aghi in metallo od osso ed il filo avvolto in rocchetti di terracotta.

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A Castiglion Fiorentino e nel suo agro sono testimoniati numerosi ritrovamenti che riconducono a quanto sopra menzionato. Fuseruole, rocchetti, pesi da telaio indicano concretamente l’attività domestica femminile svolta in numerosi insediamenti antichi quali Collesecco, Brolio via del Porto, Brolio Melmone, Brolio I Ricciotti e l’area del tempio del Cassero e documentano non solo la filatura e la tessitura, ma, indirettamente, la coltivazione di piante erbacee per fibre tessili e l’allevamento ovino per la produzione della lana.

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