Le piante officinali e i loro colori

May 17, 2018 | Author: Anonymous | Category: N/A
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opportunità lavor o e sviluppo DEL TERRITORIO

Le piante officinali e i loro colori

o p p o r t u n i t à l a v o r o e s v i l u p p o D E L TERRITORIO

Le piante officinali e i loro colori

Opportunità lavoro e sviluppo del territorio

Coordinamento del progetto editoriale Francesca Camilli, Tommaso Comunian Redazione dei testi Tommaso Comunian, Rita Melis, Carolina Vagnoli, Francesca Camilli

Questa pubblicazione è stata realizzata dal CNR-Ibimet. Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche, nell’ambito del progetto “Percorsi di Orientamento”, finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. www.percorsidiorientamento.it

Foto Rita Melis, Silvia Baronti Supervisione dell’attività editoriale Manuela Miggiani Direzione Generale per le Politiche per l’Orientamento e la Formazione, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

© 2011 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali © 2011 CNR IBIMET

ISBN 9788890221057

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Si ringraziano: Martina Becucci e Laura Bacci per la revisione dei testi.

Le piante officinali e i loro colori

Sommario Premessa............................................................................................................................................. p. 5 Piante officinali-tintorie: importanza storica e attualità............................................................................ p. 6 Il mercato delle piante officinali-tintorie: struttura, opportunità e criticità. .............................................. p. 8 Aspetti agronomici della coltivazione delle specie officinali........................................................................ p. 9 Aspetti agronomici particolari legati alle piante tintorie............................................................................ p. 10 Focus su alcune specie tintorie di interesse agronomico. ........................................................................... p. 12 La tintura con i coloranti naturali......................................................................................................... p. 22 Considerazioni sulla tintura naturale..................................................................................................... p. 24 Aspetti legislativi legati alla coltivazione, raccolta ed uso delle erbe officinali-tintorie e dei loro derivati....... p. 26 La formazione. ..................................................................................................................................... p. 28 I Progetti di valorizzazione.................................................................................................................... p. 30 I Musei. .............................................................................................................................................. p. 33 Le

associazioni di promozione culturale ................................................................................................

p. 34

Le

aziende agricole , artigiane e tintorie ................................................................................................

p. 35

Le

prospettive , le opportunità di mercato e lo stato dell ’ arte in alcune regioni di progetto . ...................

p. 37

Principali

fonti bibliografiche ..............................................................................................................

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Opportunità lavoro e sviluppo del territorio

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Premessa Contribuire alla conoscenza del mondo delle officinali-tintorie con una descrizione dello stato dell’arte di questo settore con le sue potenzialità e criticità, così come informare chi è interessato a utilizzare tali risorse, come strumento di crescita economica, sono gli obiettivi di questo progetto editoriale che integra l’ampio lavoro del progetto “Percorsi di Orientamento” volto a sostenere lo sviluppo, la creazione di impresa e l’occupazione femminile nelle aree rurali di quattro regioni italiane (Toscana, Emilia Romagna, Sardegna e Campania). Quale strumento di sviluppo del territorio e salvaguardia dei saperi legati alle attività agricole e artigianali - in particolare, quelle relative al tessile -, le imprese agricole, artigiane e i loro territori di appartenenza possono trovare nella coltivazione e nella trasformazione delle piante officinali-tintorie, una risorsa del mondo vegetale che ben si adatta a politiche aziendali di diversificazione e multifunzionalità (si pensi, solo per citare un esempio, allo sfruttamento di queste coltivazioni nelle attività multifunzionali delle fattorie didattiche, ma anche ad applicazioni nei settori fitoterapico, erboristico, cosmetico e, appunto, tessile) e a politiche territoriali votate alla valorizzazione della polifunzionalità delle aree rurali. Se da un lato, infatti, la capacità di diversificare le attività di impresa può offrire, a livello agricolo, un contributo alla tutela del reddito di molti agricoltori, dall’altro, la possibilità di destinare terreni (anche marginali) alla coltivazione di alcune specie vegetali polifunzionali, può costituire una modalità di presidio e salvaguardia del territorio tanto più se tale attività viene correlata ed integrata con altri settori dell’economia rurale quali, per esempio, l’artigianato e il turismo. D’altra parte, la coltivazione di officinali-tintorie può costituire una importante risorsa per lo sviluppo economico del territorio, laddove, possa avviare filiere di trasformazione in grado di incidere a livello economico con uno sviluppo sostenibile delle aziende di estrazione e di applicazione tessile-tintoria sia a livello artigianale che industriale. Numerose piante officinali sono anche piante tintorie. E’ per questo motivo che si è voluto trattare un unico insieme vegetale di riferimento del quale il volume offre anche un excursus tecnico relativo ai processi di trasformazione e di applicazione tintoria.

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Piante officinali-tintorie: importanza storica e attualità L’uomo ha da sempre utilizzato le piante per gli usi più disparati. Esistono testimonianze dell’uso di piante usate nella tintura delle stoffe già dalla preistoria. Fino alla seconda metà del XIX secolo, i coloranti naturali che venivano usati per la pittura e la cosmesi, erano l’unico modo per tingere i tessuti e le pelli. Dunque, coltivare piante tintorie è stata per secoli una delle attività agricole tradizionali legata al settore tessile che, in molte delle regioni italiane, è stato uno dei principali motori trainanti dell’economia. Nell’ultimo secolo, però, si è affermato l’uso dei coloranti di sintesi che offrono risultati più agevolmente riproducibili, una più ampia gamma di colori e permettono di intervenire su tutti i tipi di fibra. Tuttavia, in molte parti del mondo si è continuato ad usare coloranti naturali fino ai nostri giorni, soprattutto per prodotti tessili di particolare importanza culturale ed elevato valore estetico ed artistico. Oggi il ruolo dei coloranti naturali ed il contributo che possono dare in futuro alla nostra cultura ed economia sono argomenti di grande interesse. Data la crescente attenzione ai problemi, sia di inquinamento che di salute, connessi all’utilizzo di coloranti di sintesi, quelli di origine naturale sembrano offrire nuove possibilità di sviluppo per l’impresa agricola e per quella manifatturiera dell’artigianato tessile, con la possibilità di produrre, in loco, materia prima, e di avere ricadute positive in termini economici ed occupazionali. Attualmente, i coloranti naturali vengono applicati in attività produttive di limitato impatto economico e in attività dimostrative ed educativo-didattiche come nel caso della realizzazione di corsi a livello semi-professionale e amatoriale. Le applicazioni rivolte all’attività produttiva vera e propria sono poche, ma alcune aziende che, fino a qualche anno fa, for- Lana sarda tinta con colori naturali (cocciniglia, robbia, mallo di noce, nivano unicamente servizi di tintura con legno di campeggio).

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prodotti sintetici, hanno preso in considerazione la possibilità di tingere con colori naturali dedicando una parte della loro produzione a questo aspetto. A livello industriale, il passaggio da un sistema di tintura con molecole di sintesi a quello con estratti molecolari di origine naturale, è favorito dal fatto che il metodo di applicazione dei due sistemi è identico e non sono necessari adattamenti costosi. Allo stato attuale, un cambiamento drastico da una produzione costituita unicamente da tinture sintetiche ad una di sole tinture naturali non è, comunque, possibile e nemmeno auspicabile, date le grandi quantità di materia prima che si dovrebbero produrre a livello agricolo, per ottenere materiale tintorio sufficiente a raggiungere risultati paragonabili a quelli che si hanno con i coloranti di sintesi. La predominanza dell’uso di coloranti di sintesi ha fatto sì che nel tempo sia stata prestata pochissima attenzione alle fasi agronomiche, produttive e di estrazione dei pigmenti; il materiale tintorio che si ricava, inoltre, è caratterizzato da una purezza più bassa rispetto al prodotto ottenuto per sintesi chimica. Tuttavia, i vantaggi di un ritorno, anche parziale, alle tinture naturali potrebbero essere diversi: un minore impatto ambientale e sulla salute, nuove possibilità di mercato per le aziende del settore tessile, la possibilità di coltivare con piante tintorie terreni marginali garantendo così un maggior controllo del territorio, il possibile sviluppo di un indotto che va dalla coltivazione delle piante all’estrazione delle sostanze tintorie. La reintroduzione di piante officinali-tintorie è, inoltre, favorita dagli indirizzi della attuale Politica Agricola Comune (PAC) che mira a promuovere un tipo di agricoltura non più rivolta alla mera produzione di derrate alimentari, ma multifunzionale. Anche per questo motivo, la superficie investita ad officinali, soprattutto in aree ad agricoltura avanzata, è in aumento e si stima che interessi circa 70.000 ettari del territorio europeo dei quali, secondo alcuni dati recenti dell’IFOAM (2008), 29.054 ettari sarebbero condotti secondo le regole dell’agricoltura biologica. La coltivazione delle officinali interessa non più di 130-140 specie. La scarsità di specie coltivate rispetto a quelle utilizzate in tutto il Lavandula stoechas

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mondo, che si stima siano circa 100.000, dipende dal fatto che, mentre le specie sono state ben caratterizzate dal punto di vista botanico, chimico e applicativo, le informazioni relative agli aspetti agronomici e produttivi sono tuttora poco studiati e per molte specie sconosciuti. Alcune importanti essenze rappresentate in coltura in Europa sono quelle del genere Lavandula (Francia), Papaver somniferum (Francia, Spagna e Germania, ma la coltivazione è permessa solo con licenza statale), Carum carvi (Austria), Matricaria camomilla L. e Calendula officinalis (Polonia), Echinacea angustifolia e Hypericum perforatum (Germania). Relativamente al territorio italiano, mancano dati aggiornati riguardanti le superfici investite e le principali colture presenti: per questo motivo, si possono fornire solo stime approssimative. In Italia, la superficie attualmente investita ad officinali sarebbe di circa 4.500 ettari e, di questi, 2.238 sono in coltiva­zione biologica. Le specie maggiormente coltivate sono frassino da manna, iperico, lavanda e lavandino, liquirizia e menta piperita. Assente in bibliografia anche un riferimento specifico alle piante tintorie a proposito delle quali si sa, per ricerca diretta su Internet, che qualche coltivazione di guado esiste in Francia, nella regione di Poitou-Charentes e nei Midi-Pyrénées, nel Regno Unito (Norfolk) e 4 ettari in Italia (nelle Marche).

Il mercato delle piante officinali-tintorie: struttura, opportunità e criticità Il mercato delle piante officinali-tintorie è caratterizzato da scambi commerciali tra paesi che si trovano in diversi continenti ed ha in genere caratteristiche di scarsa trasparenza e ampia oscillazione di anno in anno, sia per quanto riguarda le quantità scambiate ed il prezzo, sia per quanto riguarda la specie e la tipologia di essenza commercializzata. Dalla parte della domanda operano poche grandi aziende, in genere multinazionali, soprattutto tedesche e francesi, che commercializzano e trasformano la materia prima sia in semi-trasformati che in prodotti finiti e una fitta rete di intermediari (broker, agente di intermediazione) che si occupa della compravendita. L’offerta è, invece, estremamente frammentata e proviene da una moltitudine di raccoglitori-coltivatori di regioni molto povere ed arretrate del mondo, oppure, per quanto riguarda l’Europa, dai Paesi dell’Est che non sono in grado di immettere sul mercato prodotti ad alto valore aggiunto nè di elevata qualità, a causa delle operazioni di pre-essiccazione che si svolgono spesso in condizioni precarie. Nonostante ciò, la vendita delle piante officinali coltivate è in competizione con quella delle specie raccolte allo stato spontaneo che sul mercato spuntano un prezzo inferiore, adottato come riferimento dai broker per l’acquisto di quelle coltivate. È in crescita, comunque, la richiesta di prodotti di elevata qualità derivanti da agricoltura biologica che vengono sempre più preferiti

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dall’industria e da questa pagati meglio. In Europa, i prodotti da raccolta spontanea arrivano soprattutto dall’Albania e da altri Paesi dell’Est, ma anche dalla Turchia e dalla Spagna. In ogni caso, data la struttura oligopolistica, l’ingresso nel mercato delle officinali-tintorie è molto difficile per il singolo coltivatore, a meno questo che non sia in grado di inserirsi nelle sedi commerciali opportune e di superare i problemi di coltivazione legati alla carenza di informazioni tecniche e ai mezzi tecnici disponibili che si traducono in costi di produzione elevati e, a parità di prezzo, in una minore remunerazione per il produttore. Da segnalare, a questo proposito, le attività della Federazione Italiana Produttori Piante Officinali (FIPPO), l’associazione nazionale dei produttori e trasformatori di officinali che nel suo statuto si propone, tra le altre cose, di tutelare gli interessi generali dei produttori, promuovere reti di informazione, assistenza tecnica e partecipazione a programmi di ricerca applicata e la creazione di un marchio unico per la promozione e la tutela delle erbe officinali prodotte sul territorio italiano. Se si vuole entrare in questo settore, dunque, è bene intraprendere l’attività di coltivazione con un approccio di filiera, puntando ad ottenere prodotti di qualità, meccanizzando, per quanto è possibile, le varie fasi colturali per ridurre i costi di produzione e stipulando accordi con i settori industriali per avere la garanzia del ritiro del prodotto ed il pagamento di un prezzo minimo (contratti di coltivazione). La coltivazione delle piante officinali, quindi, se deve essere redditizia, non deve essere vista come coltura marginale o da attuare in ambienti marginali a meno che, come riportato da G. Voltolina nel suo intervento al convegno internazionale del 2009 realizzato nell’ambito del progetto AGRIMONT, “quelli che si considerano ambienti marginali possano essere visti in un’altra ottica, e cioè come territori con aspetti culturali, di tradizione, di ambiente e di vegetazione molto caratterizzanti e che, in quanto tali, possono dare al prodotto elementi di univocità, di esclusività e quindi di valore aggiunto importanti e non soggetti a concorrenza, anche se a volte si tratta di mercati molto orientati o di nicchia”.

Aspetti agronomici della coltivazione delle specie officinali La marginalità del settore delle officinali, così come è attualmente in Italia, ha fatto sì che, oltre ai già menzionati problemi relativi alla conoscenza dell’agrotecnica, non si sia sviluppato un indotto relativo alla selezione delle sementi, del materiale di propagazione e delle varietà. Inoltre, in Italia per la maggior parte delle colture officinali non risultano in commercio sostanze autorizzate attive per la lotta alle malattie e per il diserbo, in quanto le industrie dei fitofarmaci non hanno convenienza a registrare i prodotti per queste colture. Pertanto, non è possibile attuare una tecnica di coltivazione intensiva ed è necessario controllare le malerbe con sistemi meccanici. Se quest’ultimo tipo di operazione è facilmente eseguibile con le macchine normalmente presenti tra le dotazioni di un’azienda agricola, non altrettanto si può dire per l’esecuzione della

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raccolta che richiede macchine specifiche in funzione della specie e delle parti di pianta da raccogliere e che l’industria, sempre per la marginalità di queste colture, non ha sinora messo a punto. La maggior parte dei coltivatori ricorre pertanto a macchine autoassemblate. Un altro aspetto legato alla gestione di queste piante riguarda il post-raccolta, in quanto le officinali sono colture che, per loro caratteristica, richiedono la stabilizzazione del prodotto fresco (surgelazione, essiccazione) oppure l’estrazione delle sostanze di interesse contenute nelle loro cellule (distillazione, altri tipi di estrazione). In genere, le operazioni di stabilizzazione ed estrazione vengono effettuate mediante apparecchiature specifiche (distillatori, essiccatori, ecc.) il cui costo può essere molto elevato, variando dai 25.000 ai 100.000 euro, oltre a richiedere una certa preparazione tecnica per l’uso. Per le specie tintorie in particolare, la gestione colturale presenta aspetti del tutto simili a quelli illustrati.

Aspetti agronomici particolari legati alle piante tintorie Dato che in Italia la coltivazione di specie per applicazioni nel settore tintorio non è più praticata da tempo, è improbabile trovare la disponibilità di semi o piantine presso i vivai locali: infatti, allo stato attuale, coloro che effettuano la colorazione naturale acquistano sul mercato d’importazione i prodotti tintorii in taglio tisana o come estratti in polvere o usano piante spontanee, come nel caso, ad esempio, degli artigiani della Sardegna o i promotori del progetto di valorizzazione delle piante locali avviato in Campania dall’Ente Parco del Cilento e Vallo di Diano. Coltivare le piante officinali-tintorie non è molto diverso dal coltivare qualsiasi altro tipo di specie vegetale. Anche le informazioni di base per poter stabilire se tale coltivazione è possibile sono le medesime: occorre, infatti, conoscere la composizione chimica e la tessitura del terreno su cui si vuole impiantare la coltura e le necessità edafiche e climatiche della specie da coltivare. Solo se corrispondono, la coltivazione avrà buone probabilità di successo. Per quanto riguarda la tecnica colturale, un aspetto non sufficientemente definito è la strategia di controllo delle piante infestanti, la cui presenza può incidere negativamente sulla qualità del prodotto finale. La mancanza di erbicidi registrati può rendere difficile un adeguato controllo delle piante infestanti soprattutto nelle primissime fasi dopo l’emergenza, quando le piante coltivate sono poco competitive. Difficoltà, seppur di minor rilevanza perché ormai quasi completamente risolte, esistono in relazione alla meccanizzazione di queste colture. Gli aspetti legati all’organizzazione aziendale, alla logistica della raccolta, allo stoccaggio e all’estrazione sono importanti, in particolare, per la coltura del guado, le cui foglie fresche devono essere “processate” immediatamente dopo la raccolta poiché i precursori dell’indaco sono molto instabili e vanno incontro a rapida degradazione. Questo comporta la necessità di organizzare le coltivazioni in diversi lotti di produzione, di raccolta ed estrazione in modo commisurato

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alla capacità di lavoro degli impianti. Inoltre, la stagionalità delle produzioni, che comporta una gestione discontinua degli impianti, può essere superata organizzando delle semine scalari con diversi turni di taglio. Meno problematica risulta, invece, la gestione post-raccolta di reseda e robbia dal momento che possono essere essiccate e successivamente trinciate per l’ottenimento di un preparato pronto per l’estrazione del colorante.

• La

raccolta delle piante tintorie

Le informazioni generali di seguito riportate possono riguardare anche la raccolta e l’utilizzo delle piante spontanee. La stagione di raccolta dipende dalla specie, dalla data di semina, dalla durata del ciclo di coltivazione e dalla parte della pianta da raccogliere. Per le colture adatte al territorio italiano, il periodo più indicato va dall’inizio dell’estate fino all’inizio dell’autunno. Le radici, i rizomi e i bulbi si raccolgono in autunno e in inverno, durante il periodo di riposo, prelevandoli da piante che abbiano 2-3 anni. Per quanto riguarda le cortecce, il periodo migliore per la raccolta è l’inizio della primavera, quando la pianta è in succhio ed esse si staccano con maggiore facilità; dovrebbero essere prelevate preferibilmente da rami di 2-3 anni che andrebbero quindi potati, in modo da arrecare il minore danno possibile alla pianta. Le foglie vanno raccolte quando sono completamente sviluppate, cioè dalla fine della primavera all’inizio dell’autunno. I fiori vanno raccolti quando sono in piena fioritura, mentre la raccolta dei frutti è opportuno farla quando sono completamente maturi. Per la raccolta dei licheni non esiste, invece, un momento migliore, poiché si possono cogliere tutto l’anno, preferibilmente dopo una pioggia. Inoltre, come regola generale, il momento migliore per raccogliere le piante tintorie o parti di esse è la mattina presto, allorquando nei tessuti si accumulano le maggiori quantità di pigmento, dopo che la rugiada è evaporata e le piante sono asciutte, ma la temperatura non è ancora alta.

• L’essiccazione

e la conservazione delle piante essiccate

Per essiccare le piante in modo naturale e con i migliori risultati, per disperdere rapidamente l’acqua che evapora dai tessuti vegetali, per impedire la foto-ossidazione delle sostanze di interesse occorre sistemare le piante in un ambiente ben aerato e buio. Il materiale vegetale deve essere disposto in un unico strato su vassoi o rastrelliere di legno, coperti con teli velati. Particolarmente adatte sono le cassette da frutta di legno che possono essere impilate una sull’altra e che consentono un buon arieggiamento. Un altro metodo di essiccazione consiste nel legare steli, radici o fiori in mazzetti e appenderli a testa in giù. In queste condizioni, l’essiccazione dura da 2-3 giorni a una settimana e oltre, a seconda della specie e della parte sottoposta a disidratazione. In alternativa, esistono in commercio degli essiccatori a cassetti che consentono il controllo totale delle condizioni ambien-

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tali. Per evitare che le piante si secchino troppo in fretta, l’operazione - che dura qualche ora - va condotta con gradualità. La temperatura ideale di essiccazione varia tra i 21°C ed i 33°C e non si dovranno mai superare i 36°C-40°C per non danneggiare i pigmenti tintorii. Al termine del processo, le foglie ben essiccate si sbricioleranno facilmente, mentre gli steli si spezzeranno di netto e le radici saranno secche e friabili in tutte le loro parti. Se l’operazione è stata ben condotta, sarà possibile riconoscere il colore originale delle varie parti. La raccolta dei semi è più complicata in quanto, dopo la loro maturazione, questi cadono rapidamente: se, scuotendo leggermente la pianta, se ne vede cadere qualcuno, è il momento di raccoglierli. I semi devono essere messi ad essiccare in un luogo ventilato, senza calore artificiale. Le capsule seminifere prossime a maturazione possono essere avvolte in sacchetti di carta così che, quando sono maturi, i semi cadano all’interno della busta. Prima di poter riporre i semi, questi dovranno essere completamente essiccati per evitare l’insorgenza di muffe; questo processo può richiedere fino a 2 settimane. I frutti e le bacche con capacità tintorie, in genere, non vengono essiccati perché i colori che si ottengono sono molto diversi da quelli dei frutti freschi; pertanto, si usano appena raccolti oppure si congelano o, preferenzialmente, si surgelano. Tutte le parti vegetali essiccate si possono conservare, purché siano poste in un luogo buio, fresco e asciutto, accuratamente riposte all’interno di sacchi di carta o di tela o in scatole di cartone che, opportunamente etichettate, andranno controllate di tanto in tanto per verificare lo stato di conservazione dell’essiccato e la presenza di eventuali attacchi di insetti o muffe.

Focus su alcune specie tintorie di interesse agronomico Le piante in grado di fornire coloranti sono numerose e molto diversificate, sia per caratteristiche botaniche sia per areale di origine ed esigenze climatiche, sia per ciclo biologico e per organi della pianta deputati alla produzione di pigmenti (radice, foglie, infiorescenze, semi, ecc.). Tra le numerose specie in grado di fornire coloranti vegetali ve ne sono alcune che, più di altre, presentano una buona adattabilità alle condizioni climatiche italiane, elevate potenzialità produttive ed un più facile inserimento nei tradizionali ordinamenti colturali. Per dare qualche indicazione più concreta, si riportano le caratteristiche delle tre principali piante tintorie mediterranee, ossia reseda, guado e robbia ed altre piante attualmente in fase di studio anche per applicazioni tintorie quali elicriso, melograno e dafne. Si riportano, altresì, alcune note su mordenti naturali estratti da specie vegetali che si ritiene presentino aspetti economici interessanti per la loro multifunzionalità d’uso, proprietà questa ben rappresen-

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tata dal melograno: dalla buccia del frutto si ottengono i pigmenti tintorii e i mordenti, in quanto la scorza di melograno è ricca di tannini, mentre dal succo si estraggono molecole utilizzate in profumeria ed erboristeria. L’acido tannico o tannino, usato in passato come mordente di colorazioni tendenti al marrone-bruno, si ricava anche dalla corteccia e dalle galle della quercia e della china, dal legno di castagno, dalle foglie di sommacco, dai raspi e dalle bucce dell’uva.

• Reseda

lutea,

Reseda

luteola

Nomi volgari: Reseda biondella, Amorino, Biondella Pigmento principale: luteolina Colore: giallo limone L’utilizzo del pigmento della reseda è tra i più antichi e diffusi metodi di tintura in Europa. Originaria probabilmente dell’area mediterranea, questa pianta è stata utilizzata dall’uomo già dal Neolitico, ma le prime testimonianze scritte sono riportate nella Bibbia e nei testi di autori romani (Plinio il Vecchio, in particolare, la nominò e la descrisse per le sue proprietà fitoterapiche). Il giallo da reseda era il colore con cui le Vergini Vestali romane tingevano i loro abiti e quelli delle giovani spose nella florida Roma degli Imperatori, ma questa specie veniva utilizzata anche ai confini dell’Impero, in particolare dai Galli, nelle aree francesi, insieme alle altre due piante fondamentali della tintura europea, la robbia ed il guado. La reseda si diffuse rapidamente presso tutte le popolazioni europee data la sua facilità di reperimento e la sua economicità rispetto a piante come il cartamo (o zafferanone) che dovevano essere importate. E’ stata ampiamente coltivata fino a tempi relativamente recenti rivelandosi, al contrario della maggior parte delle tintorie, una valida concorrente delle nuove tinture di sintesi che hanno sostituito quasi interamente tutti i pigmenti naturali usati fino al secolo scorso. La pianta di reseda ha un ciclo biennale e cresce spontanea Reseda luteola

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nelle zone abbandonate o sui cigli delle strade e perfino nelle crepe dei muri, perché predilige i terreni calcarei ed i luoghi soleggiati. E’ diffusa in tutta Italia, comprese le isole. I suoi fiori profumati, giallo-verdi, sono riuniti in spighe dritte e grandi: cresce soprattutto nel secondo anno d’età, fino ad un metro e mezzo circa d’altezza. Nel primo anno di vita la pianta produce soltanto una rosetta basale, mentre è proprio nella seconda annata che sviluppa il fiore dalle particolari proprietà coloranti. In realtà, per tingere viene utilizzata tutta la pianta, fresca o essiccata. Infatti, tutte le sue parti, radici, rami, foglie, semi contengono un principio colorante giallo che è il più puro e solido che si possa ottenere in natura. La molecola colorante della reseda si chiama luteolina, parola che deriva etimologicamente dal nome latino del colore ‘giallo’ (luteus), poichè cristallizza in questa tonalità in maniera pura e brillante e decisamente solida. Il pigmento si utilizza per colorare lana, cotone, seta e lino. A seconda dei mordenti utilizzatii, poi, è possibile ottenere dalla stessa pianta anche bellissime tonalità di verde. La coltivazione si effettua in file distanti 15-30 cm. La semina può essere autunnale o primaverile e il momento ottimale per la raccolta dell’intera pianta è la fine della fioritura, al secondo anno dall’impianto.

• Rubia

tinctorum

Nomi volgari: Robbia, Garanza Pigmento principale: alizarina Colore: rosso La robbia è una delle più importanti piante tintorie della tradizione europea: dalle sue radici e dai suoi fusti sotterranei i popoli di tutto il continente hanno tratto per tremila anni il pigmento rosso, impiegato nelle tinture delle stoffe, nella pittura e nella decorazione. Dal Neolitico fino al 1880, insieme al guado e alla reseda, fu tra le tre fondamentali piante da cui estrarre i tre colori principali. Dalla Grecia al Marocco, dalle Highlands alla Gallia e alla Persia, la coltura di quest’erba trovò ampia diffusione, tanto che si può dire che l’industria tessile e tintoria

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Rubia tinctorum

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fu, per secoli interi, letteralmente ‘dipendente’ da questa radice per colorare cotone, lino e lana. Il suo impiego nella tintoria fu un enorme successo perché il colore ottenuto dalle sue radici, anche se sensibile alla luce e all’acqua come tutti i coloranti organici, si presenta molto brillante nei filati, stabile (tende cioè a restare intatto anche dopo il lavaggio prolungato dei filati) ed economico (rispetto, ad esempio, alla porpora animale). In seguito alla scoperta del processo chimico con cui riprodurre l’alizarina, la coltivazione della Rubia tinctorum fu abbandonata e tale specie si inselvatichì nelle zone costiere e submontane dell’Italia peninsulare e insulare, diffondendosi, in special modo, nel sottobosco di ambienti a clima mediterraneo, al pari di una specie assai simile: la Rubia peregrina. La Rubia tinctorum è una pianta erbacea perenne della famiglia delle Rubiacee, alta sino ad un metro, rizomatosa, abbondantemente ramificata, dotata di lunghi fusti rampicanti a sezione quadrangolare e ricoperti da brevi aculei rivolti verso il basso e foglie verticillate. All’ascella delle foglie si formano piccoli fiori bianco-giallastri riuniti in grappoli, che compaiono all’inizio dell’estate e da cui si originano bacche rosso scuro che a maturazione diventano nere. La coltivazione si effettua in file distanti 20-30 cm. La semina viene effettuata in primavera, ma si può fare ricorso anche a talee radicate da mettere a dimora in primavera o in autunno. La raccolta avviene al terzo anno se le piante sono ottenute da semina o già al secondo anno, in caso di avvio della coltivazione mediante trapianto. Le radici cilindriche e i fusti ipogei rappresentano la parte interessante dal punto di vista tintorio: sono i rizomi dall’odore pungente che acquistano la capacità di produrre il pigmento colorante in quantità sostanziali solo dal terzo anno dalla semina. Il colorante alizarina, un glucoside, si deposita con il tempo nella corteccia delle radici, fissandosi. Le radici vengono estratte dalla terra, lavate, essiccate e macinate, per ottenere una sottile polvere colorante, praticamente inattaccabile, che può durare in conservazione per diversi anni. Dalla polvere della radice della robbia, macinata finemente, è piuttosto semplice ottenere una buona colorazione, soprattutto con fibre naturali come la lana e il cotone.

• Isatis

tinctoria

Nomi volgari: Guado, Pastello, Glasto comune Pigmento principale: indigotina Colore: blu Reperti di tessuti di lino e canapa colorati di blu e risalenti al Neolitico documentano l’antico uso del guado dal Mar Nero all’Europa, all’India, all’Africa del Nord. Plinio il Vecchio riporta che gli antichi Britanni, con l’intenzione di incutere terrore ai nemici, usavano questa pianta per dipingere i loro corpi. Il guado è stato ampiamente impiegato in molti modi: nella tintura tessile, ma anche come foraggio, come cosmetico, come pigmento per le belle arti. L’impiego di indaco naturale ha da sempre caratterizzato la storia di molte civiltà, non solo per il commercio di tessuti e manufatti ma anche

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per le implicazioni socio-culturali che rappresentava. L’estrazione e la tintura, infatti, processi piuttosto complicati, facevano dell’indaco un pigmento molto prezioso e il suo colore fu, per questo, legato alla nobiltà terriera. Nel XIV secolo, la coltura del guado si estese soprattutto in Normandia e questa provincia fornì ai tintori di Rouen il blu di Persia, di cui i paesi orientali erano grandi acquirenti. Le regioni maggiormente rinomate per la produzione di guado erano la Germania, la Francia e l’Italia dove il guado divenne quasi indispensabile ai produttori di panni di lana perché ottenevano un bel colore blu in diverse sfumature con un costo di produzione contenuto. In Toscana, tra il 1300 ed il 1500, la lavorazione del guado aveva un ciclo produttivo completo e autoIsatis tinctoria nomo: produzione agricola, raccolta delle foglie nei campi, macerazione e raffinazione, confezione in pani della materia colorante, collocazione del prodotto finito in magazzini adeguatamente allestiti. Appositi statuti, in quel periodo, codificavano con severità le tecniche di produzione ed i criteri di commercializzazione. L’uso del guado crebbe in modo esponenziale fino al 1660, quando l’avvento dell’indaco commerciato dalle Indie (Indigofera tinctoria), già in polvere, soppiantò la coltura del guado in Europa. In realtà, il pigmento che si estrae dall’indigofera, l’indigotina, è esattamente uguale a quello estratto dall’Isatis tinctoria. L’Indigofera tinctoria non era facilmente coltivabile alle temperature europee, essendo una pianta sub-tropicale: per questo, le importazioni dalle Indie crebbero sempre di più, fino a rendere l’indaco da indigofera molto più utilizzato e le colture di guado molto più rare. Durante il periodo napoleonico, però, l’indaco da indigofera cominciò a scarseggiare nel nostro paese e la coltura del guado ritornò a svilupparsi, fino a sparire poi di nuovo insieme a tutte le altre piante tintorie quando si cominciarono a produrre i pigmenti sintetici. Pianta erbacea infestante della famiglia delle Crucifere (o Brassicacee), il guado è nativo, pare, del Mediterraneo, anche se alcune fonti riportano le sue origini alle steppe caucasiche e all’Ovest asiatico. La sua altezza può variare dai 40 ai

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120 cm. Ha un ciclo biennale: nel primo anno sviluppa una rosetta di foglie piccole ed ovate, mentre nel secondo anno emette uno scapo fiorale con foglie allungate, con numerosissimi fiori gialli, dai quali si originano dei semi rivestiti di un tegumento di colore violetto. La coltivazione si realizza in file distanti 15-30 cm. La semina può essere effettuata in autunno o in primavera, e la raccolta inizia già dal primo anno a carico delle sole foglie della rosetta basale, a partire dalla fine di giugno. Se la pianta viene mantenuta in ottime condizioni di disponibilità idrica, la rosetta ricaccia, consentendo un numero di tagli variabile da 2 a 4, intervallati di 5-7 settimane. Sono le foglie fresche della pianta a contenere i precursori del pigmento indaco. Tuttavia, le proprietà coloranti delle foglie diminuiscono con il trascorrere dell’estate: per tradizione, in Italia, l’ultimo taglio veniva fatto il 29 settembre, giorno di San Michele. Le foglie possono essere raccolte a mano, una per una alla loro base, oppure attraverso dei sistemi meccanici più moderni, ma mutuati da altre colture, come ad esempio le macchine per la raccolta dei foraggi. Un tempo, il trattamento delle foglie prevedeva il lavaggio e la macinazione delle stesse sino alla loro riduzione in poltiglia; quindi, venivano confezionate in ‘pani’ per essere essiccate. Durante l’essiccazione lenta, i ‘pani’ venivano continuamente rivoltati, stesi ad asciugare su delle reti, perché rimanessero compatti. Al termine dell’essiccazione, i tintori sbriciolavano i pani con i martelli e poi li facevano sciogliere in acqua e solfato di ferro (prima che questo venisse scoperto si scioglievano in acqua e urina). Infine, filtrando il liquido, si otteneva il bagno di colore. Attualmente, i precursori dell’indaco vengono estratti dai tessuti fogliari attraverso un particolare sistema di macerazione in acqua, in condizioni riducenti. In genere, il bagno di colore viene disidratato fino all’ottenimento del colorante in polvere. L’indaco può essere utilizzato per la colorazione di tutte le fibre naturali.

• Daphne

gnidium

Nomi volgari: Dittinella, Gnidio, Erba corsa Pigmento principale: insieme di flavonoidi Colore: senape Nei tempi antichi la dafne veniva utilizzata come medicamento, con proprietà purgative, emetiche e vescicanti. Tuttavia, la pianta è molto velenosa in tutte le sue parti: infatti è nota per il forte contenuto di veleno presente nelle sue bacche e per la sostanza urticante che si trova nelle radici. Con lo schiacciamento di queste ultime, nel novecento, nell’estremo ponente ligure, veniva praticato un particolare tipo di pesca delle anguille nei piccoli corsi d’acqua (pesca vàregu). La Daphne gnidium è un arbusto sempreverde della famiglia delle Thymelaeaceae, alto dai 50 cm ai 2 m. Cresce soprattutto nel sottobosco della macchia e dei boschi mediterranei, nelle siepi delle regioni costiere, prediligendo suoli poveri e pietrosi. Si presenta come un singolo ramo che spunta dal terreno e si ramifica poi leggermente. I rami sono eretti e

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Opportunità lavoro e sviluppo del territorio

densamente ricoperti da foglie sessili, glabre, coriacee, lineari e strettamente lanceolate, lunghe 20-50 mm e larghe 3-10 mm; la pagina inferiore è più chiara della superiore. I fiori bianchi, raccolti in corte pannocchie, sbocciano all’apice dei rami: i petali sono saldati a formare un tubo bianco lanoso terminante con 4 lacinie ovate di colore bianco giallastro. Calice e peduncolo fiorale sono pelosi. Il frutto è una drupa ovoidale carnosa, dapprima di colore verde, poi arancio, rosso e, a maturazione, nerastro. Le piante di Daphne gnidium contengono molti componenti bioattivi e sono dotate di molteplici attività biologiche e terapeutiche che fin dai tempi antichi sono state utilizzate nella medicina popolaDaphne gnidium re. Ben poco è conosciuto sulle loro proprietà antiossidanti mentre è noto che l’estratto fogliare di questa pianta possiede una discreta attività antibatterica e antimicotica ed una buona tollerabilità cutanea, mentre l’estratto della corteccia induce un danno fotochimico cutaneo. La daphne è una delle principali piante spontanee coloranti utilizzate tradizionalmente in Sardegna per la colorazione della lana.

• Helichrysum

italicum

Nome volgare: Elicriso Pigmento principale: insieme di flavonoidi Colore: giallo paglierino L’Helichrysum italicum è una pianta perenne suffruticosa che, con le sue numerose ramificazioni, contorte ed ascendenti, forma un piccolo cespuglio alto 30-40 cm, di colore biancastro per il tomento di peli lisci grigiastri che la ricoprono, almeno nello stadio giovanile. È uno dei principali componenti della macchia bassa delle regioni costiere e forma, a volte, estese associazioni monofloristiche dal profumo intenso. Nelle zone interne, la pianta diventa più rada e, in genere, si trova in zone rocciose o pietrose. Allo stato naturale l’elicriso è una specie perenne, ma in coltivazione diventa una coltura “sarchiata” la cui massima performance produttiva viene generalmente raggiunta al 3°-4° anno e la cui durata economi-

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Le piante officinali e i loro colori

ca si aggira sui 6 anni. L’allestimento della coltura può avvenire sia per semina diretta che per trapianto di piantine ottenute o da seme o da divisione dei cespi oppure da talea radicata. La preferenza va al trapianto che consente di realizzare un impianto più uniforme e regolare. La resa in piantine e il tempo di radicazione sono molto variabili in funzione delle condizioni di sviluppo. II trapianto a dimora si realizza appena non vi sia più pericolo di gelate o ritorni di freddo. L’elicriso richiede una buona esposizione al sole, specialmente per la produzione e la valorizzazione dell’olio essenziale; predilige terreni leggeri, tendenzialmente calcarei, non Helichrysum italicum eccessivamente fertili. I capolini vengono raccolti in fioritura.I tipi di coltivazione sono principalmente due: 1. impianto fitto (45-50 cm x 15-20 cm) = 12-18 piante/m2 produzione d’olio essenziale; 2. impianto rado (70 x 25-30 cm) = 3-5 piante/m2 produzione di droga secca (rametti fioriti) e/o di fiori secchi. L’elicriso è una delle piante più note per prevenire e curare le scottature solari e altre affezioni della pelle. Presenta, inoltre, proprietà antinfiammatorie, antieczematose, antibatteriche, stimolanti epatiche e gastriche e, per questo, ha trovato posto nel gruppo delle piante più tipiche della tradizione erboristica nazionale ed europea. Viene utilizzata in campo cosmetico (come componente di preparati per pelli atoniche), medicinale (per le sue proprietà antiallergiche, antinfiammatorie, antisettiche, foto-protettive, balsamiche, cicatrizzanti) e alimentare (aromatizzante per cibi, per cui è detta anche “curry plant”).

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Opportunità lavoro e sviluppo del territorio

• Punica

granatum

Nome volgare: Melograno Pigmento principale: vari tannini Colore: dal giallo-arancio al nero Il nome scientifico del melograno, Punica granatum, deriva dal latino “punicus” che significa cartaginese perché Plinio il Vecchio, ritenendola erroneamente una pianta di origine dell’Africa Settentrionale, la chiamava “melo cartaginese” ed affermava che i migliori melograni provenissero da Cartagine. Le notizie relative alla provenienza e alle origini di questa specie, a causa della sua antichità, sono piuttosto frammentarie ed incomplete. Oggi si ritiene che il melograno sia di probabile origine persiana. Coltivato fin dall’antichità in molti paesi a Punica granatum clima caldo e asciutto, già in epoca romana si era diffuso in tutte le zone a clima mite dove col tempo si naturalizzò con grande facilità. In particolare, la Penisola iberica ebbe un tempo il monopolio della sua coltivazione grazie alle buone capacità agricole del popolo arabo. Attualmente, l’area compresa tra le città di Kashan, Saveh e Yazd in Iran ospita la più pregiata coltivazione di melograni al mondo. II melograno è una pianta arbustiva alta fino a 4 m, molto utilizzata in diversi settori, specialmente, nella tradizione medio orientale. Il suo succo è una bevanda molto comune, ricca di fibre, potassio, vitamina C e niacina (vitamina PP). Il succo viene usato anche come antisettico se applicato sulle piccole ferite. I frutti hanno proprietà astringenti e diuretiche ma, in alte dosi e bevuto a lungo nel tempo, possono risultare eccitanti del sistema nervoso e dei battiti cardiaci. La corteccia dell’albero è un potente tenifugo, è velenosa e da usare con molta cautela. I fiori si usano in infuso contro la dissenteria. Il succo addensato e zuccherato è chiamato granatina, sciroppo usato in passato per la preparazione di aperitivi (oggi ottenuto per lo più con agrumi ed essenze aromatiche) Oltre che per uso culinario, medicinale ed ornamentale, il melograno è utilizzato per estrarre il tannino, abbondantemente presente nei bottoni fiorali e nella buccia del frutto: quest’ultima era e, in alcuni paesi, è ancora largamente impiegata nella tintura e, in particolare, per Ia preparazione di giallo-arancio ma anche di colori scuri. Il melograno è una pianta tipica della macchia mediterranea dove si sviluppa su terreni aridi. La crescita è lenta, ma la

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Le piante officinali e i loro colori

sua coltivazione non richiede cure particolari: solo esposizione soleggiata e annaffiature abbondanti in periodi di siccità e nella fase giovanile. Questa pianta si è adattata bene nelle zone a clima mite con esposizione in pieno sole ad un’altitudine compresa tra 0 e 800 m sul livello del mare. Diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo e in Asia, dai Balcani all’Himalaya, ha una buona resistenza alle basse temperature. Il melograno è poco esigente anche per quanto riguarda il suolo, ma preferisce generalmente terreni ben drenati. Il fusto è sinuoso e dotato di scorza giallo rossiccia e di rami moderatamente spinosi. Le foglie sono semplici, brevemente picciolate e caduche; alterne sui rami principali, opposte o verticillate sui rametti, di un colore rosso rame appena emesse, verde brillante e lucide a completo sviluppo. Hanno forma obovata o ovatolanceolata a margine leggermente sinuoso con apice generalmente arrotondato. I fiori sono ermafroditi, solitari, oppure in grappoli di due o tre, posti sulla sommità dei rami giovani ed hanno un diametro di 3-4 cm. La fioritura avviene da giugno a ottobre, in base al clima del luogo dove si sviluppa la pianta. Il frutto è una falsa bacca, detta balaustio, con epicarpo coriaceo, di colore giallo rossiccio, mesocarpo spugnoso di colore giallo ed endocarpo sottile e membranoso che riveste e delimita le logge in cui sono racchiusi numerosi semi angolosi, con polpa esterna gelatinosa di colore rosso rubino. Il frutto ha generalmente un diametro compreso tra i 6 e i 12 cm, risulta più piccolo nelle piante ornamentali e matura in autunno.

• Juglans

spp.

Nome volgare: Noce Pigmento principale: vari tannini Colore: marrone scuro e nero Le piante appartenenti al genere juglans sono alberi decidui i cui frutti sono costituiti da una drupa con un epicarpo ricco di tannino, comunemente detto mallo. Il noce è un albero che può raggiungere l’altezza di 25-30 m; il tronco può misurare 2-3 m di circonferenza ed è rivestito di corteccia di color grigio chiaro che si screpola nell’età avanzata. Le foglie sono composte, imparipennate, cioè costituite da foglioline in numero dispari (da 5 a 9). Le foglioline sono lisce, ovali, muni­te di un brevissimo picciolo. Il seme, edule, è racchiuso in un endocarpo legnoso ed ha un grande valore nutritivo: contiene infatti il 50% di proteine, il 17,7% di idracidi di carbonio, il Juglans spp.

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3,3% di acqua e quantità notevoli di vitamina B1 e C, nonché molti sali minerali. Oltre che come nutrimento, il seme viene utilizzato per l’estrazione dell’olio utilizzato in farmaceutica. Anche le foglie vengono utilizzate in erboristeria, per preparare un infuso usato come astringente. Il legno della pianta poi è utilizzato per realizzare mobili di particolare pregio sia per la sua durezza, sia per la bellezza che assume dopo la lucidatura. I frutti utilizzati per tingere sono quelli di Juglans cinerea (noce bianco) e Juglans nigra (noce nero). Il mallo dei frutti del noce bianco viene utilizzato per conferire al tessuto un colore marrone-rossiccio, mentre quello del noce nero dà una tinta marrone-scuro e nera.

La tintura con i coloranti naturali La colorazione naturale delle fibre passa attraverso una serie di tappe delle quali la colorazione vera e propria rappresenta l’evento conclusivo. Si riporta di seguito una breve descrizione delle varie fasi operative della tintura.

• Preparazione

del bagno

di colore

Seta tinta con colori naturali (cocciniglia, robbia, noce, legno di campeggio)

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Il primo passo per la tintura delle fibre con colori naturali consiste nella predisposizione del bagno di colore. I parametri che caratterizzano questa fase, cioè la quantità di materiale da cui estrarre il colore, la temperatura ed i tempi di estrazione, variano in funzione del tipo di pianta che si utilizza e del suo stato, fresco o essiccato. In genere, le ricette tintorie standard prevedono l’utilizzo di una quantità di pianta fresca pari al doppio del peso delle fibre da

Le piante officinali e i loro colori

colorare, quantità che può essere dimezzata nel caso in cui si utilizzino le piante essiccate. Il materiale vegetale, opportunamente triturato, viene fatto macerare per 12 ore o più in acqua a temperatura ambiente, per essere poi portato ad una temperatura di 90°C per circa un’ora. Il macerato, quindi, viene fatto riposare sino ad intiepidimento ed infine, filtrato. Il bagno di colore ottenuto è così pronto all’uso oppure può essere concentrato, congelato e reso disponibile per successive utilizzazioni. Se si utilizzano gli estratti vegetali già pronti, reperibili in commercio, la preparazione del bagno di colore è molto semplice, in quanto consiste nello scioglimento del colorante nell’acqua portata quasi alla temperatura di ebollizione. La preparazione del bagno di colore con l‘indaco segue, invece, un procedimento particolare. Poiché l’indaco è insolubile in acqua, occorre prima trasformarlo chimicamente in una forma chiamata leuco-derivato, che è solubile e capace di fissarsi alle fibre. Ciò viene realizzato in ambiente alcalino (si aggiunge all’acqua nella quale si deve fare avvenire la reazione della soda) con aggiunta di idrosolfito di sodio. Dopo la trasformazione, il leuco-derivato è pronto per essere disciolto nell’acqua che, a sua volta, deve avere un pH alcalino per la preparazione del bagno di colore.

• Il

lavaggio delle fibre

Qualsiasi materiale tessile prima di essere tinto va lavato per eliminare residui, scorie ed eventuali sostanze grasse che ostacolerebbero la colorazione. Le fibre animali (con l’eccezione della seta, che non può essere trattata a temperature superiori ai 75-80°C) vanno immerse per mezz’ora in acqua saponata, fatta bollire e poi mantenuta a 50°C. Le fibre vanno poi risciacquate molto bene, sempre con acqua a 50°C. Andranno, quindi, strizzate delicatamente o centrifugate ed infine fatte asciugare. Le fibre vegetali vanno immerse in acqua saponata e fatte bollire per un’ora a fuoco lento, poi lasciate raffreddare e risciacquate con acqua fredda. Quindi si può procedere alla fase di mordenzatura.

• La

mordenzatura

La mordenzatura consiste in un trattamento delle fibre con sostanze, chiamate mordenti, che hanno la funzione di facilitare la fissazione del colore, ma che possono essere sfruttate anche per modificare la colorazione impartita dal colorante. Dal punto di vista operativo, la mordenzatura si realizza mediante una bollitura del materiale tessile in acqua in cui sono stati sciolti i mordenti. Può essere fatta prima o durante il processo di tintura (si parla in quest’ultimo caso di tintura a bagno unico), in modo diverso a seconda del tipo di fibra, animale o vegetale. Le fibre vegetali, infatti, necessitano di un trattamento mordenzante più laborioso e intenso, con diversi passaggi e mordenti, in quanto sono meno affini ai coloranti naturali rispetto alle fibre animali. Le sostanze utilizzate durante questa fase possono essere sia naturali che sintetiche (queste ultime sono attualmente le

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più sfruttate per la loro economicità). Un mordente molto utilizzato è l’allume di potassio (noto anche come allume di rocca) e talvolta, per conferire particolari e differenti tonalità alle fibre, si possono usare i sali di ferro o di rame. Tra i mordenti naturali rientrano i tannini: con tale termine si indica un vasto gruppo di molecole di origine vegetale, caratterizzate dalla presenza di vari gruppi fenolici. I tannini vengono utilizzati industrialmente sotto forma di estratti grezzi ottenuti a partire dai materiali vegetali che ne sono ricchi, tramite estrazione con acqua a caldo e concentrando poi adeguatamente le soluzioni acquose così ottenute. Oltre all’impiego come mordenti, i tannini sono usati anche come coloranti veri e propri delle fibre tessili e nella concia delle pelli con il metodo detto, appunto, al tannino.

• La

tintura delle fibre

La fase successiva è il procedimento di tintura vero e proprio che consiste nell’immersione della fibra (in fiocco, in filo o pezza), preventivamente mordenzata, nel bagno di tintura in condizioni di pH, temperatura e tempi variabili a seconda del tipo di fibra e dell’intensità del colore che si vuole ottenere. Lo stesso bagno di tintura può essere utilizzato più volte per ottenere delle colorazioni di intensità decrescente. In rari casi, la fase di mordenzatura non viene eseguita e le fibre vengono colorate direttamente. Si parla in questi casi di tintura diretta. Con questa modalità di tintura si producono colorazioni deboli e poco resistenti tranne che con alcuni coloranti, come ad esempio quelli che si estraggono dallo zafferano.

Considerazioni sulla tintura naturale La tintura con colori vegetali permette la realizzazione di prodotti di ottima qualità sia con fibre animali che vegetali. L’uso di mordenti, nonchè di agenti di finissaggio più eco-compatibili, consente un legame stabile tra colorante e fibra conferendo alla colorazione naturale una solidità alla luce e al lavaggio comparabile con quella ottenuta dalla colorazione con prodotti di sintesi. Per la tintura naturale, le principali difficoltà sono rappresentate dalla dimensione produttiva: finché si considera in termini di impresa artigianale, la tintura naturale si avvale di procedimenti nei quali le conoscenze e l’esperienza del tintore giocano un ruolo cruciale permettendo la realizzazione di prodotti di alta qualità. Più difficile appare il trasferimento su scala industriale della tintura naturale che pone ancora molte problematiche di tipo tecnico quali la difficoltà di standardizzare le procedure attraverso, per esempio, il controllo automatico dei tempi e delle condizioni delle diverse fasi del processo di tintura. Anche la formulazione del colorante, sotto forma di polvere o di estratto, può influire sulla qualità del risultato, essendo in molti impianti difficile (in particolare, a livello dei filtri) effettuare

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Le piante officinali e i loro colori

la tintura con le polveri ricavate dalle piante. A questo scopo, risulta necessario investire in ricerca per l’ottenimento di estratti tintorii da lavorazione semi-industriale1 in modo da poter mettere a punto tecniche di tintura che si adattino agli impianti industriali e garantiscano un livello di standardizzazione del colore. A questo proposito, un estratto tintorio ottenuto da lavorazione semi-industriale può, comunque, favorire anche il lavoro di tintura artigianale, nel caso in cui questo richieda l’ottenimento di standard di colorazione riproducibili per creazioni microseriali. La fase di estrazione, in particolare per l’indaco, richiede ulteriori studi sia di base che applicativi, al fine di definire meglio le condizioni di estrazione ed ottimizzare così la resa (ancora troppo lontana dalla resa potenzialmente ottenibile) nonché la qualità del prodotto ottenuto (in termini di purezza). In questa fase, un altro problema è rappresentato dall’elevato costo di produzione dovuto principalmente alla bassa resa e alla disponibilità di impianti di estrazione che comportano elevati costi di allestimento e di gestione. Nella fase di tintura, un aspetto importante da considerare è la richiesta da parte del mercato di ottenere tinture uniformi, nonché quella di avere a disposizione una vasta gamma di colori per poter rispondere alle continue e diverse esigenze di mercato. Come anche precedentemente rilevato, è dunque necessario investire di più nella ricerca in questo settore e acquisire maggiori conoscenze sulle potenzialità delle specie vegetali e quelle degli estratti da esse ottenibili. Le questioni ancora in sospeso sono legate, da un lato, al fatto che si tratta di una filiera ancora “giovane” e, dall’altro, alla complessità della filiera stessa - attualmente non del tutto articolata - che, in ogni sua fase, presenta implicazioni non solo di tipo tecnico, ma anche di carattere economico, politico-normativo, ambientale e territoriale.

I coloranti naturali in bioedilizia Dalla rivoluzione industriale fino ai primi anni ’70 del secolo scorso, i criteri che stavano alla base della scelta dei materiali da costruzione dipendevano, quasi esclusivamente, dalla loro funzionalità ed economicità. La conoscenza delle capacità tecniche di un determinato materiale, nonché la sua disponibilità sul mercato e dell’investimento finanziario richiesto, erano generalmente considerati sufficienti per determinarne la scelta. Dagli anni ‘70 in poi, a seguito dello sviluppo di una coscienza ecologica, si è lentamente andata delineando,

1. L’ottenimento di estratti tintorii da metodo di lavorazione semi-industriale è un’attività di ricerca del progetto MED Laine, i cui riferimenti sono citati nella sezione dedicata ai progetti e nella parte finale del volume.

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anche nel settore delle costruzioni, una maggior sensibilità nei confronti del rapporto tra processo produttivo ed ambiente naturale. Partendo dall’esigenza di operare nell’intento di ridurre i costi energetici, sia di produzione dei materiali che successivi alla messa in opera degli stessi, è gradualmente maturata la necessità di affrontare più globalmente il problema con una riflessione ampia e approfondita sulle implicazioni che i processi produttivi comportano per l’uomo e per l’ambiente. Per questi motivi, si è sviluppata la necessità di tener maggiormente conto di tutta una serie di aspetti relativi alla compatibilità ambientale del materiale da costruzione. Tra questi, molto importanti sono le pitture naturali composte da materiali dotati di elevata traspirabilità, privi di metalli pesanti e sostanze nocive provenienti da sintesi petrolchimica. Le materie prime utilizzate per tali pitture derivano da sostanze minerali, vegetali e animali, con esclusione di elementi artificiali. Le pitture naturali impiegano terre naturali e colori vegetali per conferire colore. Si possono definire terre coloranti quei pigmenti che si trovano in natura che abbiano opportune caratteristiche di finezza. Anche le piante possono essere usate nelle tinture per pareti. Essenze quali il curry, la curcuma, il sandalo, lo zafferano ed alcuni fiori, opportunamente macinati e polverizzati, sono degli ottimi pigmenti tintorii che, oltre ad offrire un colore vivo, sollecitano la percezione sensoriale continuando, per un tempo più o meno lungo, ad emanare i loro profumi. Le colorazioni ottenibili sono rossi, gialli, blu, viola, marroni e verdi.

Aspetti legislativi legati alla coltivazione, raccolta ed uso delle erbe officinali-tintorie e dei loro derivati La normativa vigente Ad oggi la coltivazione e l’utilizzo di piante tintorie sono regolamentati dallo Stato Italiano secondo le norme vigenti per le piante officinali utilizzate principalmente nel settore erboristico e farmaceutico. Tale insieme di norme, peraltro, trova i suoi primi riferimenti negli anni ‘30: la normativa di base é, infatti, costituita ancora dalla Legge n. 99 del 1931 che indica i requisiti per la raccolta, la coltivazione e il commercio delle piante officinali, individuate nell’elenco riportato dal Regio Decreto n. 772/1932. In particolare, la L. n. 99 conferisce

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Le piante officinali e i loro colori

la facoltà di raccogliere le piante officinali a chi abbia ottenuto la “carta di autorizzazione” dalle autorità competenti, mentre, per coltivare, raccogliere e sottoporre a preparazione dette piante è necessario conseguire il diploma di erborista. Oggi questo titolo di studio è stato sostituito dalle lauree in scienze e tecnologie erboristiche istituite presso le facoltà di farmacia. Con la circolare dell’8 gennaio 1981, il Ministero della Salute ha operato una distinzione tra le piante da cui si ricavano medicinali e preparati ad alto potere tossico, i cui derivati sono soggetti alla normativa sui medicinali e quindi vendibili unicamente in farmacia, e quelle ritenute innocue che non hanno alcun potere terapeutico, ma hanno effetti benefici sull’organismo. Attualmente la definizione dei prodotti erboristici stabilita dalla legge italiana è integrata dalle disposizioni della normativa europea: in particolare dal Regolamento (CE) n. 178/2002 che all’art. 2 definisce “alimento” “qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani”. Ne deriva che i prodotti erboristici, ad esclusione di quelli di uso esclusivamente esterno, rientrano nella definizione di alimento e, pertanto, sono soggetti a tutte le normative applicabili al settore alimentare. Tra queste ricordiamo gli obblighi per gli operatori del settore alimentare derivanti dal Regolamento (CE) n. 852/2004 che detta i requisiti in materia di igiene imponendo, tra gli altri, l’obbligo di applicazione delle procedure di controllo basate sui principi del sistema HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points). Per quanto riguarda la coltivazione, la raccolta e la trasformazione di prodotti erboristici – tra cui ricadono anche quelli ricavabili da piante tintorie - è invece necessario possedere il relativo titolo di studio, cioè, il diploma in erboristeria di cui alla L. n. 99 del 1931, sostituito in un primo tempo dal diploma universitario in tecniche erboristiche (D.M. 6 giugno 1995) e poi dalla laurea in scienze e tecnologie erboristiche (decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca n. 509 del 3 novembre 1999, poi sostituito dal decreto n. 270 del 22 ottobre 2004). Tale titolo di studio è altresì necessario per quegli esercizi di vendita all’interno dei quali viene effettuata la miscelazione e la trasformazione di prodotti erboristici; in tale ipotesi, è pertanto richiesto sia il rispetto della normativa in materia di commercio e, quindi, il possesso dei requisiti di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 114 del 1998, sia il possesso del diploma in erboristeria o dei titoli equipollenti. Un input a favore della coltivazione di piante tintorie è dato dall’indirizzo delle recenti PAC: è infatti nel novembre 1997 che viene espresso, per la prima volta, il concetto di multifunzionalità del settore agricolo. L’agricoltura cioè ritorna ad avere un ruolo polivalente: oltre alla funzione produttiva, le vengono riconosciute

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quella ambientale, paesaggistica e ricreativo–culturale. Il concetto di multifunzionalità è stato poi ripreso nei documenti dell’Unione europea (Agenda 2000, Trattato CE) ed in quelli nazionali (vedi la legge di orientamento e la piattaforma programmatica per gli interventi in agricoltura sottoscritta tra il Governo e le organizzazioni agricole) ed è considerato come presupposto di bilanciamento ed integrazione tra gli obiettivi di efficienza economica, di sostenibilità ambientale e di sviluppo rurale. In questo senso, le proprietà multifunzionali di molte specie officinali tintorie si prestano ad essere rilanciate ed utilizzate in agricoltura secondo le indicazioni sopra citate. A livello normativo, la legislazione italiana ha recepito il nuovo indirizzo europeo con il decreto Legislativo 228 del 18 marzo 2001, che dà una nuova configurazione giuridica e funzionale all’impresa agraria la quale, pur restando ancorata al settore agricolo, può anche realizzare attività che sconfinano nei settori industriale e/o terziario (dalla trasformazione dei prodotti primari a servizi di ospitalità). E’ proprio in quest’ambito che si rende possibile la produzione e la eventuale prima lavorazione delle piante officinali tintorie, anche se per quest’ultima il quadro normativo italiano non è né chiaro né esaustivo, come già detto. Un primo passo in materia di produzione di coloranti naturali all’interno delle aziende agricole è stato fatto dalla Regione Autonoma del Trentino Alto Adige con il Decreto del Presidente della Provincia del 24 settembre 2008, n.41-148/Leg. Il presente regolamento disciplina la coltivazione, la raccolta, la lavorazione, la preparazione, la trasformazione, il confezionamento e il commercio di piante officinali coltivate in Trentino. Per ulteriori approfondimenti sulla normativa inerente gli aspetti applicativi della colorazione si rimanda alla lettura del cap. 5 del volume “Tessile: sostenibilità e innovazione” (Bacci et al., 2009).

La formazione Al momento non esiste un corso, a livello di studi secondari o universitari, dedicato alla coltura delle piante officinalitintorie. I corsi di studio più opportuni sono quelli ad indirizzo agrario: gli Istituti Agrari per quanto riguarda le scuole superiori, la Facoltà di Agraria o i corsi di laurea in Scienze Naturali e Biologia per quanto attiene il livello di formazione universitaria. Talvolta, seminari o conferenze specifiche sull’argomento sono tenute presso le stesse università, gli enti di ricerca e gli enti parco. Una possibile fonte di informazione sono gli enti che partecipano a sperimentazioni riguardanti queste tematiche, sia come prove di coltivazione che di utilizzo: ad esempio, presso il Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosiste-

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ma della Facoltà di Scienze Agrarie dell’Università di Pisa è stata condotta una sperimentazione quinquennale (Progetto di Ricerca sulle Colture Alternative - PrisCA, dal 1992 al 1997) orientata al recupero delle specie tintorie e alla valutazione delle loro caratteristiche agronomiche (esigenze pedo-climatiche, ciclo colturale, produttività, resistenza alle avversità), oltre che allo studio delle metodologie di estrazione e della successiva utilizzazione dei coloranti. Lo stesso dipartimento ha continuato lo studio delle piante da indaco naturale all’interno di un progetto di ricerca finanziato dalla Comunità Europea denominato “Spindigo - Sustainable Production of Plant-derived Indigo” (2001-2004) che ha avuto come obiettivo quello di fornire agli agricoltori europei le informazioni necessarie per produrre indaco di origine vegetale di alta qualità. Significativo anche il progetto europeo “Cilestre” (1997-1999), portato avanti dalla Regione Marche che si è impegnata nello studio per il recupero dell’intera filiera delle piante officinali tintorie. In Sardegna, da marzo 2005 a ottobre 2006, l’Ente di Ricerca e Sviluppo Tecnologico, Sardegna Ricerche, ha invece avviato un progetto pilota “Erbe officinali” sull’impiego di tecniche di estrazione convenzionali ed innovative per la valorizzazione di specie vegetali presenti nell’isola. Tale progetto ha avuto come obiettivo la messa a punto delle condizioni di estrazione di oli essenziali sia in corrente di vapore che mediante l’impiego di anidride carbonica supercritica, il confronto fra le due tecniche di estrazione, la verifica della possibilità di estrazione di principi attivi da piante coltivate e spontanee e da scarti di produzione industriale. Infine, è in corso un progetto transfrontaliero Italia-Francia Marittimo, “MED-Laine. A la recherche des couleurs et des tissus de la Méditerranée” che coinvolge i territori di Toscana (Provincia di Grosseto), Sardegna (Province di Sassari e del Medio Campidano, AGRIS Sardegna) e Corsica (Camera dei Mestieri e dell’Artigianato dell’Alta Corsica) che ha l’obiettivo di sviluppare capacità di innovazione, creazione e applicazione di processi e prodotti nelle piccole e medie imprese dell’agricoltura, dell’artigianato (settore tessile-tintorio e fitoterapico) e del turismo. Un altro progetto è “Linea Parco” che si è sviluppato nell’ambito di progetti di cooperazione interregionale quali Materra (Ecos-Ouverture 2000-2002) e Tools (Interreg IIIC 2005-2007); esso ha avuto come obiettivo la promozione del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, valorizzando il patrimonio umano, artigianale, oltre a quello floristico officinale del parco per mezzo di prodotti tessili tinti con coloranti naturali e prodotti erboristici e fitocosmetici ottenuti da piante del Parco Nazionale stesso. Numerosi sono i corsi sulla preparazione e sull’utilizzo delle tinture naturali, tenuti sia da associazioni museali e/o culturali, che da Orti Botanici e da privati, a dimostrazione del crescente interesse per questo settore. Per maggiori informazioni, si riporta di seguito un elenco completo dei vari progetti conclusi o in corso aventi come oggetto lo studio e la valorizzazione delle piante officinali-tintorie, così come riferimenti di musei, aziende ed associazioni che operano nel settore.

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I Progetti di valorizzazione “Progetto MED-Laine” Il progetto, iniziato nel 2009 e destinato a concludersi nel 2011, mira alla valorizzazione congiunta di produzioni tradizionali locali ad uso no-food e alla promozione di programmi di marketing territoriale ed ambientale che coinvolgano enti pubblici, centri di ricerca e piccole imprese agricole, artigiane e del turismo rurale. I partner coinvolti sono: CNR-Ibimet, la Provincia di Grosseto, la Provincia di Sassari, Agris Sardegna, la Provincia del Medio Campidano, la Chambre de Métiers et de l’Artisanat de Haute Corse. http://www.medlaine.eu “Progetto PRIN” Il progetto PRIN (marzo 2010 - settembre 2012) “Estratti naturali da piante medicinali e tessili-tintorie: caratterizzazione ed usi innovativi di ortica, dafne, lavanda e tannini da castagno”, finanziato dal MIUR (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca), prevede il coinvolgimento del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Firenze e del CNR-Ibimet, con competenze scientifiche che vanno dal campo analitico, fitochimico e biomedico, all’agrometeorologia, sino a toccare argomenti di entomologia, analisi dell’impatto ambientale e della tracciabilità di prodotto, indispensabili alla corretta analisi di filiere produttive integrate. http://www.unifi.it/notiziario/CMpro-v-p-111.html “Progetto Pianta Blu” Si tratta di una sperimentazione sul guado in Valtiberina resa possibile grazie all’iniziativa Comunitaria Leader II, ARSIA e Regione Toscana nel biennio 2006-2007. Con questo progetto si è voluto studiare la produzione e l’utilizzo del colorante derivato da Isatis tinctoria in Valtiberina. http://www.valtiberina.toscana.it/dinstdmenudx.php?COD_PAG=329&grp_sel=4&cod_voc= “Linea Parco” Il progetto ha avuto lo scopo di promuovere il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano valorizzando il patrimonio umano e artigianale, oltre a quello floristico officinale del parco, per mezzo di prodotti tessili tinti con coloranti naturali e prodotti erboristici e fitocosmetici ottenuti da piante del Parco Nazionale. E’ un progetto Interreg IIIC realizzato in partenariato con Finlandia ed Estonia e promosso dalla Provincia di Salerno e dal Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. http://www.missparcodelcilento.it/lineaparco.asp

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“Progetto TeSSITURA” Il progetto TeSSITURA, “Tecnologie per lo sviluppo Sostenibile e l’innovazione nella tradizione e nell’uso delle risorse agri-

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cole” è stato finanziato dalla Fondazione per il Clima e la Sostenibiltà (FCS), nell’ambito di un bando emesso dal Consorzio Arezzo Innovazione e finanziato dalla Provincia di Arezzo nel novembre del 2005. L’attenzione del progetto si è focalizzata sul ripristino della coltivazione del guado nella Valtiberina toscana e sulla valorizzazione del panno casentino. “Progetto Coloranti Naturali: progetto per una valida alternativa. Dal passato una sfida all’innovazione” Il progetto, attivo dal 2005 al 2006, è stato cofinanziato dalla Regione Veneto. L’obiettivo principale è stato quello di fornire alle aziende operanti nel settore tessile le basi necessarie per proporre sul mercato prodotti ad alta connotazione “naturale” quale spunto per un rilancio di manufatti tessili. http://www.labritex.com/attachments/006_Brochure%20Coloranti%20Naturali.pdf “Progetto di Ricerca SPINDIGO” (Sustainable Production of Plant-Derived Indigo) Il progetto, che è stato attivo dal 2001 al 2004, ha interessato undici partners appartenenti a diversi Paesi Europei tra cui, per l’Italia, il Dipartimento di Agronomia dell’Università di Pisa. L’obiettivo del progetto è stato quello di fornire agli agricoltori europei le informazioni necessarie per produrre indaco di alta qualità. http://www.spindigo.net/ “Progetto Cilestre” Il progetto è stato attivo dal 1998 al 2000 ed è stato attuato in collaborazione tra Università di Bologna, ASSAM Marche, imprese locali e nazionali. Sono stati condotti studi sulle piante tintorie da utilizzare come coloranti naturali per l’industria alimentare, tessile, tintoria, farmaceutica, cartaria, ceramica, ecc. Sono state prese in considerazione nove specie vegetali ritenute interessanti (cartamo, reseda, robbia, camomilla, guado, ortica, ginestra, ginepro, cavolo rosso). http://www.ciamarche.org/iniz_progettuali.htm http://www.regione.piemonte.it/parchi/riv_archivio/1999/83gen99/tintorie.htm “Progetto PRIsCA” E’ un progetto promosso dal Ministero delle Politiche Agricole che è stato attivo dal 1992 al 1997 e che si è posto come obiettivo quello di promuovere la conoscenza di colture alternative per la produzione di fibra e cellulosa, di energia, di oli industriali, di amido e biopolimeri oltre alla conoscenza di colture per usi diversi e l’individuazione di nuove colture da inserire negli avvicendamenti agrari, in sostituzione di quelle a destinazione alimentare di cui oggi l’Unione Europea è in eccedenza. http://www.usidellacanapa.it/ricerca/prisca2.html

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“Progetto Piante Tintorie” Progetto finanziato dall’Università di Pisa, Dipartimento di Agronomia, in cui sono state condotte prove di pieno campo su guado, reseda, robbia e altre specie coloranti. Il progetto è iniziato nel 1997 e si è concluso nel 2001. http://www.agr.unipi.it “Progetto Montefeltro Tintorie” Il progetto, finanziato dalla Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro ed iniziato nel 2008, ha avuto come scopo la sperimentazione della coltura del guado su scala territoriale nella zona del Montefeltro al fine di avviare una filiera produttiva. “Progetto agri-color” E’ un progetto finanziato dalla Provincia di Livorno, in collaborazione con CIA ed Università di Pisa, volto alla raccolta e caratterizzazione delle piante coloranti e da fibra della Valle Benedetta, oltre che alla messa a punto di diversi procedimenti di tintura naturale su lana, seta e cotone, con lo scopo di creare nuove opportunità di impresa e di sviluppo rurale. “Progetto ACTIVA” (Analisi delle Colture Toscane per usi Industriali e per la Valorizzazione dell’Ambiente) Il progetto, finanziato dall’ARSIA e coordinato da Legambiente, è iniziato nel 2004 ed ha avuto la durata di 18 mesi. Il suo obiettivo è stato quello di delineare, per alcune tra le più importanti colture no-food presenti in Toscana, tra cui quelle destinabili alla produzione di coloranti naturali, i possibili scenari futuri analizzati a livello di filiera. http://www.arsia.toscana.it/eventiold/activa/activa.htm “Sviluppo di produzioni vegetali di nicchia ad alto valore aggiunto per gli ecosistemi collinari e montani del Lazio” E’ un progetto promosso dall’ARSIAL, iniziato nel 1999 e terminato nel 2003, che ha preso in considerazione la possibilità di coltivare piccoli frutti e piante tintorie (guado, reseda, amaranto e robbia) in aree marginali per cercare di fornire una possibile alternativa economicamente valida alle produzioni delle piccole imprese locali. http://www.maas.ccr.it/agritalricerche/w_4.htm “Programma integrato di innovazione. Abbigliamento tra modernità e tradizione” E’ un progetto promosso da Sardegna Ricerche e CNR-Ibimet rivolto alle imprese sarde operanti nel settore dell’abbigliamento e degli accessori moda. Il programma ha portato all’ideazione e realizzazione di una nuova linea di abbigliamento e accessori che, prendendo ispirazione dai costumi e disegni tradizionali, ha introdotto elementi innovativi in linea con le nuove tendenze. Il CNR-Ibimet si è impegnato a caratterizzare da un punto di vista qualitativo e quantitativo estratti tintori da piante autoctone sarde nell’ottica di un avvio di un percorso di tracciabilità. http://www.sardegnaricerche.it/index.php?xsl=370&s=40222&v=2&c=4184&t=3

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“Progetto ARCAN’ova” Si tratta di un progetto iniziato nel 2002 per la valorizzazione dell’autoctono, la salvaguardia della biodiversità e la valorizzazione delle realtà agro-zootecniche che lavorano a basso impatto ambientale. Promosse dal Parco Naturale dei Laghi di Avigliana (TO) in collaborazione con l’ente “La Nuova Antichi Passi”, le varie attività di ricerca hanno riguardato, tra l’altro, le piante tintorie e le realtà economiche locali che si occupano di riportare in vita prodotti tipici e di crearne di innovativi: tra questi anche i prodotti artigianali tessili. www.arcanova.info

I Musei “Museo dei Colori Naturali “Delio Bischi” Voluto e realizzato dall’Oasi San Benedetto a Lamoli (PU) è un percorso sulla storia dei colori naturali dall’antichità fino ai primi anni del ‘900 periodo in cui entrarono sul mercato i colori sintetici. Il museo propone documenti d’archivio e bibliografici, offrendo un percorso pratico di esperienze per conoscere e approfondire la conoscenza dei colori vegetali, la coltivazione della piante tintorie e l’estrazione del colore. Il museo dispone inoltre di un laboratorio per la realizzazione dei colori e per la loro applicazione su diversi supporti. http://www.museipartecipati.net/musei/lamoli/museo.html “Museo delle Erbe” a Collepardo Nato negli anni ’70, il Museo delle Erbe di Collepardo (FR) raccoglie molte piante officinali essiccate e non, una collezione di strumenti, una serie di scritti che documentano i metodi di lavorazione e trasformazione, quali l’estrazione, con esempi dei prodotti ottenibili che comprendono anche prodotti tintorii per fibre tessili. http://www.collepardo.it/erboristeria.htm “Museo del Tessuto di Prato” Il museo nasce nel 1975 presso l’Istituto Tecnico Industriale Tullio Buzzi e dal maggio 2003 ha trovato la sua collocazione definitiva in una parte dei locali restaurati della ex Cimatoria Campolmi. Il museo rappresenta la memoria storica e l’interfaccia attuale del distretto pratese, un’area impegnata nella produzione tessile da oltre 800 anni ed è il più grande centro culturale d’Italia dedicato alla valorizzazione dell’arte e della produzione tessile antica e contemporanea. Nel corso degli ultimi anni, il museo ha rivolto uno sguardo sempre più attento ai tessuti, alle fibre ed all’abbigliamento eco-sostenibile; per questo motivo, sono state allestite esposizioni che hanno visto esposti capi tinti con colori naturali, come l’indaco derivato da guado. http://www.museodeltessuto.it/

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Le associazioni di promozione culturale Associazione Tintura Naturale Maria Elda Salice E’ un’associazione senza fini di lucro nata nel 1986 allo scopo di promuovere la ricerca, la sperimentazione e la diffusione delle tecniche di utilizzo dei coloranti naturali. http://www.tinturanaturale.it/ Associazione “I colori del Mediterraneo - Tingere con le piante” a Magliano Vetere (SA) E’ un’associazione culturale nata nell’ottobre 2009 incentrata sulla ricerca, la sperimentazione di colori estratti da piante tintorie, individuate sia tra la flora spontanea che tra le piante coltivate. L’associazione è nata con lo scopo di continuare l’idea del progetto “Linea Parco” del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Salerno. Una fase del progetto ha previsto l’individuazione di piante coloranti tra la vegetazione del Parco del Cilento e Vallo di Diano, idonee ad essere utilizzate nella filiera del tessile. Tale fase ha visto impegnato direttamente il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche ed i risultati ottenuti hanno permesso di evidenziare la specificità di resa di numerose piante spontanee della flora mediterranea e dei residui di coltivazione dotati di elevato potere tintorio e buona solidità su filati e tessuti. http://it-it.facebook.com/pages/I-COLORI-DEL-MEDITERRANEO-tingere-con-le-piante/115649751792174 Associazione Tessiture Lucchesi Associazione culturale femminile con sede a Lucca, che intende promuovere la tessitura a mano e l’utilizzo di tinture naturali attraverso l’insegnamento e il recupero di strumenti tessili. Le associate producono tessuti realizzati con telai a mano, tinti con colori naturali. Inoltre, l’associazione organizza corsi per tingere con colori naturali. Associazione Multi Culti L’associazione, nata a Firenze nel 2008, tra i suoi molteplici obiettivi, si propone di valorizzare la creatività femminile attraverso il sostegno delle attività produttive artigianali delle donne del sud del mondo. I prodotti dell’Associazione sono manufatti artigianali, caratterizzati dall’uso di materiali naturali ed eco-compatibili, tinture naturali, filati di fibre animali e vegetali, semi naturali e bambù, ottenuti e lavorati nel rispetto dell’ambiente da cui provengono. http://www.multiculti.it/it/page/28/fatto-a-mano.htm

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Le aziende agricole, artigiane e tintorie Pur essendo ancora poche le aziende che hanno deciso di investire nelle tinture naturali, il loro numero negli ultimi anni è cresciuto. Queste imprese si trovano principalmente nel centro-nord Italia ed in Sardegna, a testimonianza della vocazione storica di questa regione per l’utilizzo delle piante, non solo per uso tintorio. A Usella-Cantagallo (PO) è presente un’azienda che tinge a livello industriale con tinture di sintesi ma che ha deciso di inserire nella propria produzione anche la tintura con colori naturali. Presso Montefiore dell’Aso (AP) c’è un’azienda agrituristica che unisce alla normale attività di ospitalità di un agriturismo quella di sperimentazione, produzione e tintura con colori naturali. A Busto Arsizio (VA), opera un’azienda che effettua trattamenti e tinture anche naturali su tessuti a maglia, ortogonali, stampati, ricamati, sia in pezza che in capo. A Modena e a Carpi (MO) ci sono due aziende che tingono qualsiasi tipo di fibra con tinture sia di sintesi che naturali. Un’azienda che opera nella tintura di sintesi e naturale si trova anche a Quaregna (BI). In Sardegna, diverse sono le aziende, gli agriturismi, i professionisti che si occupano di tinture naturali. A Nule (SS) un’azienda agricola e fattoria didattica propone il percorso didattico “Dalla lana al tappeto” utilizzando la lana prodotta in azienda e realizzando tutto il processo (lavaggio, filatura, colorazione con piante, tessitura). A Oliena (NU) e Orgosolo (NU) sono presenti un agriturismo e un’azienda agricola, ambedue in via di accreditamento come fattorie didattiche, che attiveranno un percorso relativo alle piante tintorie e alla tintura naturale. A Riola Sardo (OR), un agriturismo organizza laboratori didattici, tra cui alcuni relativi alle piante tintorie e alla colorazione naturale. A Villacidro (VS), una tessitrice professionale si occupa anche di tinture naturali. Ad Atzara (NU) opera un laboratorio artigianale che produce filati e oggetti di arredamento tinti con colori naturali e organizza corsi e seminari sulle tinture naturali. In Campania, a Futani (SA), è presente una cooperativa che intende promuovere, fra le altre cose, la tintura naturale attraverso corsi e seminari.

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Distribuzione dei progetti, delle aziende agricole, artigiane e tintorie

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Le prospettive, le opportunità di mercato e lo stato dell’arte in alcune regioni di progetto A partire dagli anni ‘80, in tutti i paesi dell’Unione Europea, si è assistito ad una progressiva evoluzione ed espansione dell’agricoltura biologica. Tali mutamenti hanno riguardato non solo il modo di alimentarci, ma più in generale, il modo di vivere. Ciò ha portato a porre l’attenzione anche alle colture non alimentari. La verifica di medio termine della Politica Agricola Comunitaria può rappresentare una grande possibilità per le colture a destinazione non alimentare, tra cui le piante tintorie. Infatti, il “disaccoppiamento” previsto dalla nuova PAC ed entrato in vigore nel 2005, assegna un premio indipendentemente dal tipo di coltivazione effettuata ed incentiva indirettamente le rotazioni e lo sviluppo di nuove colture; tra queste, possono rientrare la produzione sperimentale di piante da fibra, quali la canapa e il lino, e di specie vegetali tintorie finalizzate alla produzione di estratti coloranti per applicazioni nel settore tessile. I coloranti naturali, infatti, sono percepiti come più salubri e più rispondenti alle esigenze di un consumatore maggiormente attento alla qualità della vita, della salute e alla tutela dell’ambiente. Le caratteristiche di maggiore biodegradabilità e compatibilità ambientale che caratterizzano i coloranti di origine naturale ha aperto, negli ultimi anni, nuove opportunità di impiego in diversi settori industriali che tradizionalmente utilizzano prodotti coloranti di sintesi ricavati perlopiù da sottoprodotti del petrolio, come l’anilina e altri derivati aromatici. I coloranti di origine naturale potrebbero, in parte, sostituirsi a questi ultimi nel settore tessile, venendo incontro alle esigenze e alle manifestazioni di interesse di particolari fasce di mercato costituite da consumatori attenti non solo alla qualità del prodotto finito, ma anche alle caratteristiche di salubrità (alcuni coloranti di sintesi presentano, infatti, problemi legati alla salute dell’uomo; è stato provato che siano causa ad esempio, di dermatiti allergiche da contatto) e di minore impatto ambientale delle materie prime utilizzate, dalla fibra ai prodotti di finissaggio quali mordenti, coloranti e sbiancanti. Pur esistendo realtà industriali che sperimentano ed applicano le tinture naturali (magari in linee di produzione specifiche), molte delle realtà manifatturiere che utilizzano coloranti naturali sono perlopiù attive nel settore dell’artigianato tradizionale e artistico sia sotto forma di microimprese artigiane che di realtà dal profilo associazionistico ed artistico. Le ridotte dimensioni dell’azienda artigiana comportano difficoltà dal punto di vista della capacità produttiva. Peraltro, sia nel caso di quest’ultima che in quello dell’industria, si pone il problema della reperibilità a livello nazionale ed europeo della materia prima giacché, anche nell’ambito della dimensione artigianale del fatto a mano, è difficile ottenere produzioni a costi sostenibili affidandosi alla fornitura di materiale vegetale spontaneo (il che comporterebbe, peraltro, anche il problema di mantenere procedure di reperibilità di materie prime compatibili con l’ambiente). Quindi, allo stato attuale chi applica la tintura naturale si avvale di forniture di materiale colorante nella maggior parte dei casi importato e del quale è difficile attestare un percorso di tracciabilità.

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Filati tinti con colori naturali.

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Nel caso delle produzioni tessili industriali “al naturale” si pone, altresì, la difficoltà di conciliare le produzioni con la richiesta dei mercati: in poche parole, la richiesta di produzioni estremamente ridotte in termini quantitativi, non potrebbe essere sostenuta da sistemi produttivi predisposti e programmati per affrontare le richieste di vasti e complessi bacini di mercato quali quelli della moda-abbigliamento. Attualmente il numero di aziende italiane coinvolte nella produzione di piante officinali-tintorie non è alto, ma d’altra parte in Italia, nonostante i gloriosi trascorsi della tintura naturale e le tradizioni nel settore, si è persa quasi totalmente la cultura della colorazione naturale che, solo ora, con una rinnovata sensibilità sia dei produttori, che dei trasformatori e dei consumatori, apre nuove prospettive al settore. Seppure sia possibile che quest’ultime non si sviluppino con forti impatti immediati sull’economia generale, preme, tuttavia, sottolineare l’importanza che possono avere, invece, a livello delle economie locali di territori rurali svantaggiati nel momento in cui l’economia del settore è considerata in relazione alla salvaguardia della cultura, dell’ambiente e dello sviluppo complessivo dei territori stessi. Per favorire lo sviluppo di questo settore esistono comunque già alcune manifestazioni in cui viene dedicata attenzione ai prodotti realizzati con tinture naturali. Tra queste, la principale è “Sana, Salone internazionale del naturale”, che si tiene in settembre a Bologna, in cui sempre più spesso si possono trovare spazi dedicati alle tinture naturali. Esistono, peraltro, anche numerosi eventi locali dedicati alle piante officinali che si ripetono annualmente come, per esempio, “Quintessenza Erbe, spezie e fiori in città”, organizzata ogni anno dal Comune di Savigliano (CN), la “Fiera Delle Erbe Officinali e Aromatiche di Montagna e Dei Prodotti Naturali” a Mondovì (CN), la Festa delle Erbe Aromatiche, Officinali e Piante antiche in giugno a Borgo di Rollo – Comune di Andora (SV), “Filo lungo filo, un nodo si farà” in settembre a Collegno (TO) organizzata dall’associazione “Amici della Scuola Leumann”, “Tramando Tessendo-Mostra Mercato di Artigianato Tessile” a Zagarolo (RM). Tali manifestazioni offrono l’occasione di vendere i propri prodotti durante un evento dedicato e, quindi, con un pubblico già potenzialmente interessato. Un esempio è il successo della manifestazione “La Fierucola” che ogni anno si tiene a Firenze in diverse giornate durante tutto l’arco dell’anno e che offre la possibilità ad allevatori, artigiani, agricoltori di esporre al pubblico i propri prodotti. Altro sbocco di mercato che può dimostrarsi interessante è quello costituito dai GAS (Gruppi di Acquisto Solidale). Tali gruppi di acquisto sono infatti costituiti da persone profondamente attente alle problematiche legate all’ambiente e che prediligono l’acquisto di prodotti biologici e locali (a Km 0). Infine, le piante officinali per la loro caratteristica di “multifunzionalità”, possono essere sfruttate, nelle loro diverse parti anatomiche e istologiche, per produzioni diversificate: attualmente, tale possibilità è stata studiata solo per alcune specie vegetali, ma costituisce una prospettiva interessante per i coltivatori poiché molte specie potrebbero essere destinate a finalità produttive molteplici, consentendo all’agricoltore una diversificazione produttiva e, quindi, l’accesso a diversi tipi di mercato e a ulteriori potenziali fonti di reddito. Inoltre, la multifunzionalità della pianta officinale tintoria è da considerarsi

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anche a livello molecolare, qualora per esempio, un estratto, oltre alla capacità tintoria, contenga in sé altre proprietà, come quelle antimicrobiche o UV-protettrici potenzialmente capaci di essere sfruttate per la funzionalizzazione di un prodotto tessile, a vantaggio della qualità e del valore del prodotto finale. Campania Il progetto “Linea Parco” Promosso dall’Ente Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, vede coinvolti l’Università di Salerno ed il Parco del Cilento e Vallo di Diano. Il progetto ha avuto l’obiettivo di contribuire allo sviluppo locale sostenibile creando una filiera produttiva corta nel settore tessile. Per caratterizzare territorialmente i prodotti, è stato deciso di includere nel progetto l’uso delle tinture naturali. Si tratta di un’iniziativa volta non solo al recupero di tradizioni tessili che si stanno progressivamente perdendo – per quanto ancora presenti sul territorio - ma anche alla valorizzazione del ricco patrimonio floristico del Parco. Toscana Per quanto riguarda l’analisi della produzione e utilizzo delle tinture naturali, dato che non esiste un vero e proprio settore, è stato fatto un censimento delle aziende toscane che coltivano piante officinali e aromatiche. Infatti, molte piante tintorie o parti di esse, oltre ad essere usate con finalità alimentari, cosmetiche o fitoterapiche, potrebbero essere utilizzate anche per applicazioni tintorie. Le aziende sono state reperite principalmente su internet tramite l’uso di motori di ricerca appositi per aziende. Da tale indagine in Toscana risultano 73 aziende che coltivano piante officinali. Tale tipo di coltivazioni potrebbe in realtà offrire opportunità di sviluppo a numerose altre aziende agricole, nel momento in cui fosse possibile creare una filiera tintoria sostenibile per il tessile che, in Toscana, potrebbe essere trainata dalla presenza a valle di due distretti tessili industriali quali quello di Prato e del Casentino-Valtiberina in provincia di Arezzo. Nel caso dell’opportunità di sviluppo di coltivazioni destinate alla produzione di tannini è, invece, importante la presenza del conciario di Santa Croce sull’Arno in provincia di Pisa. Un’ulteriore agevolazione a tale evoluzione produttiva a livello agricolo è costituita dal fatto che la Regione Toscana, oltre ad aver aderito alla certificazione EMAS 2, ISO 14000 ed Ecolabel, ha definito e aderito alla Certificazione etica e ambientale SA 8000, mettendo a disposizione risorse che consentono alle imprese di coprire il 50% dei costi di certificazione: è stato infatti appurato dalle recenti analisi di mercato, la disponibilità di un certo target di consumatori (ossia quelli predisposti all’acquisto di prodotti naturali a basso impatto ambientale) a spendere fino ad un 20% in più per un prodotto dotato non solo della certificazione ambientale, ma anche di quella etica. Sardegna e Toscana Il progetto “MED-Laine A la recherche des coulers et des tissus de la Méditerranée” è un progetto finanziato dal Fondo

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Europeo di Sviluppo Regionale nell’ambito del Programma di Cooperazione Transfrontaliera Italia-Francia Marittimo della durata di 28 mesi e risponde al bisogno di tutelare in chiave attuale di valorizzazione, nelle aree di Sardegna, Toscana e Corsica, di attività agricole e artigianali legate al settore tessile, altrimenti destinate a scomparire. I soggetti promotori, il CNR-Ibimet, Agris Sardegna, le province di Sassari e del Medio Campidano in Sardegna, la Chambre de Métiers et de l’Artisanat de la Haute Corse e la Provincia di Grosseto in Toscana, mirano a promuovere azioni innovative che, applicate alle microimprese e PMI dell’agricoltura, dell’artigianato e del turismo sostenibile, migliorino la produzione e la commercializzazione di prodotti di qualità e di eccellenza nel settore tessile-tintorio. Tra gli obiettivi del progetto c’è quello di valorizzare alcune specie tintorie autoctone per uso tessile, cosmetico e fitoterapico, attraverso lo studio della composizione e delle proprietà funzionali degli estratti coloranti, tra le quali le attività antiossidanti, UV-protettrici e antitarmiche. Il progetto mira, inoltre, all’esaltazione della multifunzionalità di utilizzo delle specie in esame e alla trasmissione delle conoscenze acquisite nell’ambito dei territori interessati al fine di favorirne il riutilizzo e la coltivazione. Le specie vegetali prese in considerazione sono la dafne, l’elicriso, la robbia e la reseda. Tra le aree di intervento del progetto vi è anche la valorizzazione delle lane locali per la produzione di artigianato tessile tradizionale e per l’impiego nel settore della bioedilizia. A tal fine, verranno messi a punto modelli di marketing territoriale, di promozione del turismo rurale e culturaledidattico legati alle valorizzazione in maniera integrata delle lane autoctone e delle specie vegetali officinali-tintorie. Il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Firenze con cui il CNR–Ibimet collabora per la valorizzazione di specie vegetali autoctone multifunzionali è anche l’unità operativa responsabile del progetto di ricerca finanziato dal MIUR (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca) - nell’ambito dei “Programmi di Ricerca scientifica di rilevante Interesse Nazionale” (PRIN) -, dal titolo “Estratti naturali da piante medicinali e tessili-tintorie: caratterizzazione ed usi innovativi di ortica, dafne, lavanda e tannini da castagno”. Il progetto di cui è partner anche il CNR–Ibimet, ha come obiettivi il recupero di molecole bio-attive, quali i polifenoli, ad elevato interesse biomedico e pigmenti ad uso colorante oltre alla caratterizzazione di piante e fibre vegetali ad uso tessile provenienti da ortica.

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Principali fonti bibliografiche Annovazzi Raffaella, Trattamenti superficiali, tinteggiature e pitture murali in bioedilizia, Ambiente & Bioedilizia, Il Geometra Bresciano, 2009/6. AA VV, Per erbe e per tinture in Sardegna – Colori e tradizioni ad Atzara, Pubblicazione a cura dell’Associazione Tintura Naturale Maria Elda Salice, Milano, 2003. AA.VV., Progetto di ricerca – Simba – Settore bioedilizia, Studi e sperimentazioni, 2007. AA.VV., 2004 - Relazione introduttiva del Progetto Activa promosso e cofinanziato da ARSIA Toscana e coordinato da Legambiente. Abraham D.H., B. M. Edelstein, A.M. Dyestuff Rep., 53, I/1, 19 (1964). A.N.A.B., Dispense Corso Architettura Bioecologica , 20Angelini L., Tozzi S., Nassi N., Le piante da indaco: produzione e controllo di qualità, Aracne Editrice, Roma 2007. Angelini, L., John , P., Tozzi,S., Vandenburg, H. 2005b. Extraction of indigo from Isatis tinctoria L. and Polygonum tinctorium Ait as a basis for large-scale production. Proceedings of 2005 Annual Meeting of the Association for the Advancement of Industrial Crops, Murcia Spain, 17-21 September 2005. M.J. Pascual-Villalobos (Ed.), pp. 521-534. Angelini, L., Tozzi, S., Nassi, N. 2004. Environmental factors affecting productivity, indican content and indigo yield in Polygonum tinctorium Ait., a subtropical crop grown under temperate conditions. J. Agr. Food Chem. 52 (25): 7541-7547. Angelini, L., Tozzi, S., Nassi, N. 2005a. Effect of different sowing dates on leaf yield and indigo production of woad (Isatis tinctoria L.) in the Mediterranean environment. Proceedings of 2005 Annual Meeting of the Association for the Advancement of Industrial Crops, Murcia Spain, 17-21 September 2005. M.J. Pascual-Villalobos (Ed.), pp. 535-545. Bacci L., Baronti S., Crisci A., di Virgilio N., Predieri S., Carreras G., Grifoni D., Viti M. (2009). Tessile: sostenibilità e innovazione. Relazione finale del Progetto Lammatest. CNR-IBIMET, ISBN 978-88-95597-06-5. pp. 684. Bechtold, T., Turcanu, A., Geissler, S., Ganglberger, E. 2002. Process balance and product quality in the production of natural indigo from Polygonum tinctorium Ait. applying low-technology methods. Bioresource Technology 81: 171-177. Bica Daniele, 2009. Il comparto delle officinali in Italia e in Sicilia, in Piante officinali in Sicilia - Studio agronomico, fitochimico e farmacologico mirato alla loro valorizzazione e allo sfruttamento agro-industriale: 17-22 Brunello F., Laniera, n.1, 47, 1974.

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