L`encefalite equina West Nile

April 27, 2018 | Author: Anonymous | Category: Scienza, Medicina, Infectious Disease
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L'encefalite equina West Nile: una malattia emergente in Italia di C. Macchi Malattia vescicolare del suino in Lombardia: aggiornamento di G. Zanardi, A. Berlinzani Piano regionale alimenti 1999: alcune considerazioni di M. Astuti, F. Castoldi

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L'Encefalite equina West Nile: una malattia emergente in Italia Le encefaliti equine Sotto questo nome sono comprese varie malattie caratterizzate da un quadro sintomatologico similare, prettamente a carico del sistema nervoso centrale, con un indice di mortalità da moderata ad elevata. Prendendo spunto dalla recente epidemia di encefalite West Nile che ha interessato alcuni cavalli in Toscana, ci proponiamo di rivedere in sintesi quanto a tutt'oggi conosciuto sia riguardo a questo virus che agli altri arbovirus ad esso correlati. Ci auguriamo che ciò possa servire ad approfondire la conoscenza di una malattia che sta destando preoccupazione crescente nei Paesi del Bacino Mediterraneo. Eziologia e patogenesi Le encefaliti equine sono causate da arbovirus. Si tratta di virus a RNA aventi quali ospiti intermedi artropodi ematofagi, in particolare zanzare e zecche. Molti di essi sono patogeni per l'uomo. Gli arbovirus responsabili di encefaliti equine appartengono a due famiglie: Togaviridae e Flaviviridae. I primi sono responsabili delle tre encefaliti più diffuse nelle Americhe: l’encefalite equina dell’Est (EEE), l’encefalite equina dell’Ovest (WEE) e l’encefalite equina venezuelana (VEE). Tra i flavivirus invece si annoverano il virus dell'encefalite giapponese (JE), la Louping ill e le encefaliti della Murray Valley e del West Nile (WN). Tutti questi virus presentano caratteristiche epidemiologiche similari, che verranno esposte di seguito. Il ciclo biologico I vertebrati che possono essere infettati dal virus si distinguono in ospiti di mantenimento o serbatoio e ospiti accidentali. I primi sono quelli che giocano il ruolo primario nel mantenimento del virus in natura. Essi in genere non sviluppano malattia, ma presentano titoli anticorpali e livelli di viremia tali da poter infettare altri insetti succhiatori. Comprendono numerose specie, particolarmente (ma non solo) uccelli, roditori e insettivori. Gli ospiti accidentali invece si infettano sporadicamente e in genere non sviluppano elevata viremia, per cui sono inefficaci nel mantenere il ciclo del virus. Possono o meno mostrare sintomi. L'uomo appartiene a questa categoria; in genere è un ospite terminale. Possono infine esistere ospiti di collegamento, i quali agiscono come intermediari tra gli ospiti di mantenimento e l'uomo, potendo amplificare l'infezione, come avviene per i suini nel caso dell'encefalite giapponese. I vettori invertebrati sono rappresentati principalmente da zanzare, pappataci e zecche. In genere i virus che replicano nelle zanzare non lo fanno nelle zecche, e viceversa. Tuttavia insetti succhiatori diversi possono fungere da vettori meccanici. Nelle zecche è stata dimostrata la trasmissione transovarica. Dopo essersi replicato, durante un periodo detto di incubazione intrinseca (10-14 giorni), il virus si annida nelle ghiandole salivari dell'ospite, da cui viene trasmesso ad un ospite vertebrato mediante la puntura. Il vettore rimane infettante per tutta la vita e non mostra sintomi legati all'infezione. Durante i mesi invernali, a causa dell'irrigidimento delle temperature, il numero di vettori cala drasticamente. Per questo motivo, le infezioni da arbovirus tendono ad essere epidemiche e stagionali. La malattia nell'uomo La maggior parte delle infezioni da arbovirus decorre in modo asintomatico nell'uomo. Ad esempio, si stima che in un'epidemia di JE il rapporto tra individui ammalati e portatori sani sia compreso tra 1:300 e 1:1000. Quando presente, la malattia ha andamento bifasico: la prima fase è associata alla viremia, la seconda alla localizzazione del virus in organi quali fegato e cervello. La sintomatologia osservata varia da una forma acuta che interessa il SNC, con meningite asettica, encefalite ed encefalomielite, a forme simil-influenzali, a febbri emorragiche con patologie a carico dei sistemi cardiovascolare, epatico e renale. Il periodo di incubazione varia da 3 a 21 giorni. Nei casi non letali, l'immunità derivante persiste per tutta la vita. Nella diagnosi di infezione si ricercano gli anticorpi mediante inibizione dell'emagglutinazione, fissazione del complemento e sieroneutralizzazione. 1. Encefaliti da Togaviridae La EEE è stata osservata nell'est degli USA e del Canada, dove la malattia negli equini e nell'uomo era associata a focolai nei volatili domestici. Il virus della EEE è stato isolato anche in vari Paesi dell'America Centrale e Meridionale. Il virus della WEE è ubiquitario nelle Americhe, ma la malattia clinica è stata osservata solo nelle regioni occidentali degli USA e del Canada, in Messico e Sud America. Sintomi neurologici legati alla WEE e alla EEE sono stati osservati nei vitelli e, sperimentalmente, nei suini. La VEE è presente nelle stesse zone nella sua forma apatogena, mentre focolai di malattia in equini e uomo si sono

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verificati solo nella parte settentrionale del Sud America negli ultimi 60 anni. Tra il 1962 e il 1964, ad esempio, Venezuela e Colombia conobbero una gravissima epidemia di VEE: vennero segnalati 30.000 casi umani, di cui 300 ad esito letale, ed un numero indefinito di infezioni negli equini. Le tre encefaliti da Togaviridae vengono trasmesse da zanzare appartenenti a generi diversi, mentre altri artropodi probabilmente hanno un'importanza epidemiologica limitata. I principali serbatoi di questi virus sono i volatili selvatici e, nel caso della VEE, anche i roditori della foresta. I più importanti amplificatori della VEE durante un'epidemia sono però i cavalli, che possono addirittura infettare altri cavalli mediante contatto o aerosol (diversamente da quanto accade per le altre encefaliti). Le epidemie da VEE, EEE e WEE interessano prevalentemente cavalli al pascolo, in zone ricche di zanzare e avvengono per lo più durante i tardi mesi estivi. I sintomi clinici compaiono circa 5 giorni dopo l'infezione e comprendono febbre, difficoltà visive, andamento barcollante e scoordinato, sbadigliamento e digrignamento dei denti. La morte sopraggiunge in genere 2-3 giorni più tardi. La mortalità varia dal 20-50% (WEE) al 90% (EEE). All'esame anatomo-patologico non si osservano lesioni specifiche. Microscopicamente si osservano invece emorragie e degenerazione dei neuroni in varie parti del SNC. È possibile inoltre la presenza di gliosi e la formazione di manicotti perivascolari. La diagnosi si basa su sintomatologia, anamnesi e stagionalità della condizione, nonché sul riscontro di lesioni tipiche. La conferma viene fatta mediante sieroneutralizzazione, inibizione dell'emoagglutinazione o fissazione del complemento su sieri acuti e convalescenti. La diagnosi differenziale comprende epatoencefalopatia, rabbia, mieloencefalite potozoaria, encefalite elmintica e leucoencefalomalacia. Non esistono agenti antivirali specifici per il trattamento. Sono possibili terapie di supporto nei casi lievi. La profilassi deve essere mirata ai vettori, mediante operazioni di disinfestazione e l'applicazione di insetticidi sui cavalli. Esistono vaccini mono-, bi- e trivalenti, che vanno somministrati un mese prima dell'inizio della stagione delle zanzare. 2. Encefaliti da Flaviviridae Il virus della JE è disseminato in tutto il lontano Oriente. Determina aborti nelle scrofe, in assenza di altri sintomi. Negli equini infetti la mortalità oscilla intorno al 5%. Di recente (01/99) è stata segnalata un'epidemia in Cambogia, che avrebbe determinato la morte di circa 600 persone, per lo più bambini. La notizia attende ancora conferma ufficiale da parte della OMS. Altri focolai di encefalite giapponese nell'uomo sono stati riportati in vari Paesi nel corso del 1998, particolarmente in Nepal, India e Malesia, in persone che lavoravano a contatto con suini. In Australia sono stati riconosciuti 5 casi umani nel 1998, corrispondenti al primo isolamento del virus JE sulla terraferma australiana. In questo Paese un organismo di epidemio-sorveglianza, la CDI (Communicable Diseases Intelligence) ha segnalato un aumento allarmante di infezioni da arbovirus nell'ultimo decennio. Un altro esempio di tale situazione è la comparsa dell'encefalite Murray Valley in una zona da cui era assente da 20 anni. Encefalite West Nile Il virus del West Nile (WNV) è stato isolato in vari Paesi del Bacino mediterraneo, dell’India e del continente africano. L'andamento della malattia è endemico nel delta del Nilo, dove sono colpiti prevalentemente i bambini, mentre gli adulti risultano immuni. In Israele i focolai si presentano invece in forma epidemica, e la sintomatologia si osserva in tutte le fasce di età. In Sudafrica si osserva una situazione intermedia, nel senso che l’encefalite WN compare qui sporadicamente, sotto forma di brevi, frequenti epidemie. L'ultima epidemia osservata in Europa, e la prima di tali dimensioni, risale al 1996, in Romania, dove il virus è stato responsabile di malattia in più di 350 persone, rivelandosi letale in 17 casi. Tra gli animali, solo l'equino manifesta sintomatologia clinica, mentre casi di infezione sono stati osservati in numerose specie di uccelli e mammiferi selvatici. Gli uccelli sono considerati il principale vettore vertebrato del virus e le migrazioni sono la modalità più probabile di dispersione virale. Nel 1998 è stato compiuto uno studio in Israele allo scopo di determinare il ruolo epidemiologico della cicogna bianca (Ciconia ciconia) nella diffusione del virus. In questo Paese infatti le cicogne migrano ogni autunno verso il sud in stormi di centinaia di migliaia. Sieri di cicogne catturate presentavano anticorpi neutralizzanti nei confronti del WNV. Contemporaneamente, anticorpi neutralizzanti sono stati isolati nel siero di 18/24 equini con sintomatologia nervosa. Nell'arco dello stesso anno non sono invece stati segnalati casi umani di WN in Israele. Il vettore biologico invertebrato è rappresentato da zanzare del genere Culex e meno frequentemente da zanzare di generi diversi (Aedes, Anopheles, Mansonia) e da numerosi altri artropodi. Sebbene gli uccelli costituiscano il principale serbatoio del virus, elevati titoli viremici sono stati osservati anche nel lemure del Madagascar. In questo Paese, il virus WN è endemico ed è stato isolato anche dall'uomo, dal pappagallo e dall'airone bianco (Casmerodius albus). L’uomo e gli altri mammiferi costituiscono ospiti accidentali, nei quali la

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viremia è bassa e di breve durata. Nell'uomo, la WN è responsabile di malattia clinica in una bassa percentuale degli individui infetti (0,2-0,3%). I sintomi, quando presenti, variano da febbre a linfadenopatia, rash ed emicrania a meningite, encefalite, meningoencefalite, coma e morte. Negli individui giovani la malattia decorre per lo più in forma sub-clinica o lieve. Gli unici fattori di rischio finora associati alla malattia sono età e ipertensione. Non esiste vaccino. L’epidemia osservata in Romania nell’estate del ’96 ha coinvolto almeno 393 persone, risultate sieropositive al virus. Di queste, 352 hanno mostrato sintomatologia acuta a carico del SNC. Diciassette pazienti, tutti di età superiore ai 50 anni, sono morti. In un altro studio, eseguito su 200 sieri umani provenienti da casi sospetti, 168 sono risultati positivi al WNV. Tra le persone sierologicamente positive, il 32% mostrava sintomi di meningite, il 45% di meningoencefalite e il 21% di encefalite. La sieroprevalenza complessiva nella popolazione era pari al 4,1%. Il principale vettore era la zanzara Culex pipiens, da cui sono stati isolati anticorpi specifici. Questi sono stati isolati anche dal 41% dei volatili domestici. In Sudafrica è stata recentemente condotta un'indagine sierologica su 377 cani. Di questi, il 37% ha mostrato la presenza di anticorpi neutralizzanti nei confronti del virus del WN. L'unica alterazione osservata in seguito all'infezione di tre cani con il virus WN, è stata una lieve miopatia ricorrente manifestata da due di essi. In tutti i cani sono stati rilevati anticorpi, mentre solo uno ha mostrato viremia a basso titolo. Ciò rende improbabile il ruolo epidemiologico del cane nel mantenimento del virus in natura. L’encefalite West Nile in Italia Fino al 1998, nessun caso clinico o sierologicamente confermato di West Nile era mai stato segnalato sul territorio nazionale. Tuttavia, il sospetto che un Flavivirus West Nile-simile circolasse in Italia era stato sollevato in passato dal riscontro di positività sierologiche in pazienti umani e in capi ovini. Il fatto però che gli anticorpi isolati non fossero mai neutralizzanti avevano portato gli esperti a formulare l’ipotesi che si trattasse di un virus simile ma distinto dal WNV. I tentativi di isolamento del virus da potenziali vettori invertebrati hanno invariabilmente dato esito negativo. Risale al mese di settembre 1998 la prima comunicazione ufficiale di encefalite da West Nile in alcuni equini allevati in Toscana. L’epidemia avrebbe avuto inizio già nel mese di agosto, secondo testimonianze di casi WN-simili, non denunciati ufficialmente; l’ultimo caso risale al mese di ottobre. I focolai hanno coinvolto varie province toscane (Tabella 1) e, secondo alcune voci non confermate, anche regioni limitrofe (Emilia Romagna e Lazio). Tabella 1. Focolai di encefalite equina WN in Toscana (agosto - ottobre 1998) provincia

n° focolai

n° equini colpiti

n° equini morti

n° equini guariti

Pisa - Firenze

4

7

2

5

Lucca

2

3

1

2

Pistoia

3

4

3

1

totale

9

14

6

8

Le scuderie interessate erano localizzate in terreni attigui o vicini ai paduli di Fucecchio (FI e PT) e Bientina (LU e PI). La malattia esordiva con atassia, per poi degenerare in paraplegia, tetraplegia, paralisi flaccida al labbro inferiore, coma e morte (quasi sempre per eutanasia, su richiesta dei proprietari). In genere non si riscontrava febbre. Risultavano colpiti prevalentemente soggetti di sesso femminile, stressati da intensa attività sportiva o debilitati per altri motivi (parassitosi). (Va comunque notato l’esiguo numero di animali da cui provengono tali osservazioni). I soggetti guariti hanno riacquistato, in tempi più o meno lunghi, le normali funzioni sia statiche che dinamiche. Ad indirizzare verso una diagnosi presuntiva di Flavivirosi furono in primo luogo le indagini istologiche effettuate presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa. Successivamente, l’IZS di Teramo diagnosticò l’encefalomielite WN in seguito al riscontro di positività sierologiche basate sul test della fissazione del complemento (CFT) effettuato su materiale prelevato ai soggetti ammalati. Tale diagnosi fu poi confermata dall’isolamento del WNV da cellule nervose di uno dei cavalli colpiti da parte dell’Istituto Pasteur di Parigi e dalla successiva tipizzazione del virus. Il 20 Settembre la Regione Toscana, con propria ordinanza, instaurò un cordone sanitario che interessava i territori di 20 Comuni delle province interessate (PI, LU, PT, FI). Venne imposto il divieto di spostamento di equini sia in uscita che in entrata, permettendo invece l'attraversamento senza fermata dell'area di protezione e gli spostamenti dei soggetti al suo interno. Furono eseguite accurate disinfestazioni delle scuderie dove si erano verificati i decessi ed in seguito anche degli altri impianti. Il cordone sanitario fu revocato il 19 Novembre ’98, quando

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ormai, a stagione fredda inoltrata, si considerava estinto il focolaio. Nel corso dell’epidemia l'IZS di Teramo procedette al prelievo e successivo esame sierologico di campioni di sangue da un numero statisticamente significativo di equini presenti nelle scuderie interessate dai decessi nell'ambito dei 20 comuni compresi nella zona di protezione. I risultati delle analisi sono riportati nella Tabella 2. Tabella 2. Indagine sierologica (CFT) effettuata su cavalli presenti nella zona di protezione per l'encefalite WN n° campioni esaminati

n° campioni negativi

n° campioni positivi

171

110 (64,33%)

61 (35,67%)

Per i soggetti reattivi, i titoli erano in gran parte compresi tra 1:64 e 1:16. I prelievi furono ripetuti a distanza di 20 giorni sui medesimi soggetti. I risultati delle analisi mostrarono un netto calo dei titoli anticorpali, scesi a valori compresi tra 1:4 e 1:8. Dato l’irrigidimento delle temperature, al tempo della diagnosi non fu più possibile effettuare indagini su artropodi al fine di isolare il virus e identificare i vettori. Tali indagini verranno dunque svolte nel corso della prossima stagione primaverile-estiva. Nel corso dell’epidemia non si verificò alcun caso umano e non furono effettuate indagini sierologiche su persone che, per il loro lavoro, condividevano con i cavalli il rischio delle punture da zanzare. Nel mese di dicembre 1998, il Centro di Referenza per gli arbovirus e le febbri emorragiche dell’Istituto Pasteur di Parigi concluse la tipizzazione del virus isolato dal focolaio. Il ceppo isolato mostrò un’identità nucelotidica pari al 99,2% con un ceppo senegalese isolato nel 1993 da una zanzara (Culex neavei). Tale riscontro indica una correlazione con i virus isolati in Francia (1965), Algeria (1968) e Marocco (1996) e suggerisce l’ipotesi di una introduzione di virus da parte di uccelli migratori che attraversano il Mediterraneo. Numerosi quesiti rimangono dunque ancora aperti, sia riguardo al focolaio in questione che all’epidemiologia dell’encefalite West Nile. Ad esempio, sussistono evidenti differenze epidemiologiche tra l’epidemia italiana e quella che interessò la Romania nel 1996, particolarmente per quanto riguarda i casi di encefalite umana. Vi è chi sospetta una nuova insorgenza del virus nel bacino mediterraneo, non escludendo il fatto che la sua presenza non venga appropriatamente diagnosticata. Questo, in effetti, non sarebbe il primo caso di comparsa o recrudescenza di un'infezione da arbovirus. A livello generale, si ritiene infatti che questi costituiscano un chiaro esempio di come fattori ecologici quali la manipolazione dell'ambiente o un suo naturale cambiamento possano determinare una proliferazione virale inaspettata. In modo particolare, esaminando i vettori invertebrati degli arbovirus, si considerano fattori di rischio principalmente i seguenti: - movimenti umani, con l'introduzione di persone e animali domestici in zone habitat degli artropodi; - deforestazione; - sistemi di irrigazione che non tengano conto del controllo degli insetti; - urbanizzazione incontrollata, con riproduzione degli artropodi in pozze d'acqua urbane; - aumento delle distanze di trasporto, con la possibilità di esportare i vettori a zone lontane; - cambiamento delle traiettorie delle migrazione determinato dalla costruzione di nuove riserve d'acqua. Per quanto riguarda l’epidemia toscana, le ipotesi biologicamente plausibili dovranno essere vagliate, possibilmente attraverso ulteriori studi epidemiologici ed entomologici. Sarà comunque necessario attendere la nuova stagione calda, con la ricomparsa dei possibili vettori invertebrati, per eseguire tali approfondimenti. La bibliografia dell’articolo è disponibile presso l’autore. Per le informazioni riguardanti la situazione nazionale si ringrazia la Drssa. Loredana Nicoletti, Responsabile del Centro di collaborazione dell’OMS per Riferimento e ricerca sugli arbovirus e sulle febbri emorragiche virali, ISS, Roma. Per quanto riguarda il focolaio toscano di WN, la maggior parte delle informazioni sono state cortesemente fornite dal Dr. Mario Giannessi, veterinario di Sanità Animale presso la ASL 3 di Pistoia Zona Val di Nievole, che ringraziamo sentitamente.

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Malattia Vescicolare del Suino in Lombardia : aggiornamento La situazione epidemiologica aggiornata al 09/02/1999 della malattia vescicolare del suino (MVS) in Lombardia è sintetizzata nella tabella 1 e nelle figure 1 e 2. Tabella 1. Cronologia e correlazioni epidemiologiche nei focolai di MVS in Lombardia (aggiornata al 09/02/1999) correlazione epidemiologica focolaio n°

data presunta infezione

data al focolaio mediante operazione conferma n°

1 (10/98)

metà novembre 1998

31/10/1998

2 (11/98)

acquisto suini infetti

località

tipologia allevamento

Volta Mantovana MN

ingrasso

n° n° suini suini abbattuti censiti 12695

12695

riproduzione a 10122 ciclo aperto

10122

2 (11/98)

prima sett. 03/11/1998 ottobre 1998

3 (12/98)

ultima sett. 04/11/1998 ottobre 1998

2 (11/98)

acquisto suini infetti

Lonato BS

ingrasso

7352

7352

4 (14/98)

metà ottobre 10/11/1998 1998

2 (11/98)

acquisto suini infetti

Offanengo CR

riproduzione misto (vendita magroni)

2014

2014

4 (14/98)

movimentazione di carcasse da focolaio 4 (14/98)

Offanengo CR

riproduzione misto (acquisto 2524 magroni)

2524

Soncino CR

riproduzione a ciclo chiuso

6546

6546

FOCOLAIO PRIMARIO

Soresina CR

5 (16/98)

inizio novembre 1998

6 (17/98)

inizio novembre 1998

20/11/1998

4 (14/98)

movimentazione di persone da focolaio 4 (14/98) prima della notifica di focolaio

7 (19/98)

inizio novembre 1998

25/11/1998

6 (17/98)

situato nelle vicinanze del focolaio 6 (17/98)

Soncino CR

ingrasso

560

560

antecedente al 1° 01/12/1998 novembre 1998

6 (17/98)

situato nelle vicinanze del focolaio 6 (17/98)

Soncino CR

riproduzione a ciclo chiuso

735

735

6 (17/98)

situato nelle vicinanze del focolaio 6 (17/98)

Soncino CR

riproduzione a ciclo aperto

1153 1153

8

9

inizio novembre 1998

20/11/1998

02/12/1998

10 inizio ottobre FOCOLAIO PRIMARIO (rilevato Grumello del 10/12/1998 (21/98) 1998 nell'ambito del piano MVS 1998) Monte BG 11 (23/98)

prima del 7 novembre 1998

12 (1/99)

ottobre 1998 08/01/1999

13 (3/99)

ottobre 1998

07/12/1998 10 (21/98)

25/01/1999

13 (3/99)

riproduzione misto

2358

2358

movimentazione di persone e di suini

Bolgare BG

riproduzione misto

214

214

acquisto suini infetti

Quinzano d'Oglio BS

ingrasso

2561

2561

Bassano riproduzione a Bresciano BS ciclo aperto

3722

3722

2952

2952

FOCOLAIO PRIMARIO

14

febbraio 1999

13 (3/99)

acquisto di suini infetti

Pomponesco MN

ingrasso

15

febbraio 1999

13 (3/99)

acquisto di suini infetti Viadana MN

ingrasso

16

febbraio 1999

13 (3/99)

acquisto di suini infetti

Pegognaga MN

ingrasso

circa 2000

17

febbraio 1999

all. Bassano acquisto di suini infetti Bresciano BS*

Roverbella MN

ingrasso

6486

850

850

* si tratta di un allevamento a ciclo aperto risultato sieropositivo al piano straordinario MVS 1999, in assenza di isolamento virale

Come si può notare, il numero complessivo dei focolai in Lombardia è salito a 17, di cui i piu recenti datati all'inizio di febbraio 1999. Le attività di sierosorveglianza e di indagini epidemiologiche attuate negli ultimi due mesi (dicembre 1998 e gennaio 1999) hanno evidenziato, rispetto all'ultimo aggiornamento (vedi

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"L'Osservatorio" n. 2/98) 8 ulteriori focolai di MVS, di cui 2 in provincia di Bergamo nei comuni di Grumello del Monte e di Bolgare, 2 in provincia di Brescia nei comuni di Quinzano d'Oglio e di Bassano Bresciano e 4 in provincia di Mantova nei comuni di Viadana, Pomponesco, Pegognaga e Roverbella. Nella provincia di Bergamo sono coinvolti 2 allevamenti da riproduzione a ciclo misto tra loro correlati per movimentazione di persone. Piu precisamente, il focolaio primario di Grumello del Monte (n. 21/98) c stato evidenziato in seguito a sieropositività riscontrata nell'ambito del piano di sorveglianza MVS 1998, cui è seguito l'isolamento virale a distanza di un mese, mentre nel focolaio secondario di Bolgare (n. 23/98) è stata riscontrata la sola sieropositività. In ambedue gli allevamenti non si è riscontrata sintomatologia riferibile a MVS. Nella provincia di Brescia, sono interessati un allevamento da ingrasso e un allevamento da riproduzione a ciclo aperto, per i quali è stata accertata la sieropositività nel corso dei controlli sierologici previsti dal piano straordinario di eradicazione e sorveglianza della MVS a livello regionale, cui è seguito l'isolamento dell'enterovirus. L'indagine epidemiologica ha permesso di individuare come focolaio primario (n. 3/99) l'allevamento a ciclo aperto situato a Bassano Bresciano, che ha venduto una partita di suini infetti a fine ottobre 1998 all'allevamento da ingrasso sito a Quinzano d'Oglio (n. 1/99); peraltro, solo in quest'ultimo si sono potute rilevare lesioni riferibili a MVS, piu precisamente a livello del cercine coronarico con distacco degli unghielli parziale o completo. Un ulteriore focolaio secondario (n. 4/99) epidemiologicamente correlato per introduzione di suini infetti provenienti dal focolaio n. 3/99 è stato segnalato nella regione Emilia Romagna, in un allevamento da ingrasso in provincia di Reggio Emilia. Nella provincia di Mantova, altri 3 focolai secondari (nei comuni di Pegognaga, Viadana e Pomponesco) in allevamenti da ingrasso sono risultati epidemiologicamente correlati al focolaio primario n. 3/99 di Bassano Bresciano (BS) per introduzione di suini infetti. Nei focolai di Viadana e Pomponesco è stato isolato l'enterovirus, mentre quello di Pegognaga è risultato negativo; in tutti questi casi non si sono rilevate lesioni riferibili a MVS. L'ulteriore focolaio relativo a un allevamento da ingrasso nel comune di Roverbella, in cui sono presenti lesioni recenti riferibili a MVS, è correlato alla introduzione di suini infetti provenienti da un altro allevamento da riproduzione a ciclo aperto ubicato nel comune di Bassano Bresciano (BS), risultato sieropositivo nell'ambito del piano straordinario regionale di eradicazione e sorveglianza per MVS, ma nel quale non si è evidenziata la presenza di enterovirus, né sintomatologia riferibile a MVS. I servizi veterinari delle ASL stanno eseguendo in maniera prioritaria sugli allevamenti considerati piu a rischio, vale a dire quelli da riproduzione a ciclo aperto, i campionamenti previsti dal piano straordinario di eradicazione e sorveglianza della MVS emanato a fine novembre 1998 dal Servizio Veterinario della Regione Lombardia, al fine di avere una fotografia tempestiva circa la diffusione della malattia. Le ipotesi sulla origine e sulle correlazioni tra i focolai primari di recente riscontro nelle province di Bergamo (n. 21/98) e di Brescia (n. 3/99) con quello nella provincia di Cremona (n. 11/98) sono diverse, ma difficilmente documentabili; l'unica evidenza comune a tutti i focolai è il contatto con un trasportatore autorizzato di animali, il cui raggio d'azione peraltro copre buona parte del territorio regionale. E' da sottolineare che la data presunta di presenza della malattia in questi nuovi focolai, sulla base dei risultati sierologici e delle indagini epidemiologiche, risulterebbe temporalmente contestuale se non antecedente al focolaio primario di Soresina (CR), a suo tempo individuato tra la fine di settembre e l'inizio di ottobre 1998. A tutt'oggi , tutti i focolai di MVS verificatisi in Lombardia nel 1998/99 sono stati estinti. Per quanto concerne gli 11 focolai di MVS verificatisi nel 1998 si sono concluse le operazioni di campionamento relative al controllo sierologico degli allevamenti presenti nelle zone di protezione e di sorveglianza, l'ultima delle quali è stata revocata a fine gennaio 1999. In totale sono state controllate 562 aziende suinicole con oltre 30.000 campioni di sangue prelevati ed esaminati. Attualmente, sono ancora in corso i campionamenti nelle zone di protezione e di sorveglianza istituite a seguito dei 2 focolai nella provincia di Brescia e dei 4 nella provincia di Mantova. A conclusione di questa sintetica panoramica sulla MVS, si può affermare che, dai dati epidemiologici complessivi a disposizione, la tipologia di allevamento da riproduzione a ciclo aperto è quella "a rischio" di infezione e diffusione della malattia, mentre la tipologia dell'ingrasso presente in Lombardia rappresenta un punto terminale dell'infezione, ancorchè importante come "spia" della presenza di infezione sul territorio. Non a caso il focolaio primario (n. 3/99) di Bassano Bresciano (BS) è stato individuato tramite il "tracing back" effettuato a partire dall'allevamento da ingrasso di Quinzano d'Oglio (n. 1/99). Un'altra evidenza su cui meditare è che la scoperta dell'epidemia è coincisa con l'autodenuncia del proprietario dell'allevamento da ingrasso sede del focolaio secondario n. 10/98, ma primario in ordine cronologico. Purtroppo, la preoccupazione dei Servizi Veterinari regionali all'inizio dell'epidemia, esplicitata nella tempestiva redazione ed applicazione del programma straordinario di eradicazione della MVS, ha trovato riscontro nella situazione sanitaria fino ad ora evidenziata sul territorio e che sta comportando un duro lavoro per tutti i veterinari direttamente coinvolti in una emergenza sempre piu "di routine".

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Figura 1. Focolai di MVS nelle province di Mantova, Cremona, Brescia, Bergamo al 09/02/1999

Figura 2. MVS in Lombardia: collegamenti epidemiologici tra i diversi focolai

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Piano regionale alimenti 1999: alcune considerazioni La predisposizione dei programmi di controllo ufficiale delle sostanze alimentari coordinati tra i diversi servizi interessati costituisce da alcuni anni un punto di riferimento importante all'interno delle attività del Dipartimento di Prevenzione. In attesa che vengano presentati i dati consuntivi riferiti alle attività svolte nel corso dell'anno appena passato, e alla vigilia della predisposizione dei nuovi piani di attività per il 1999, può essere interessante considerare il cammino coperto e gli obiettivi che il nuovo piano regionale pone ai tre servizi interessati. Il punto di partenza non può che essere l'analisi delle norme di riferimento in tema di pianificazione degli interventi di controllo ufficiale degli alimenti. Come richiamato nella circolare 66/san, i criteri generali per la programmazione dei controlli ufficiali dei prodotti alimentari sono contenuti nel d.lgs 3/3/1993, n° 123 di "Attuazione della direttiva 89/397/CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari", nel d.P.R. 14/7/1995, "Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni e Provincie autonome sui criteri uniformi per l'elaborazione dei programmi di controllo ufficiale degli alimenti e delle bevande", nel d.lgs 26/5/1997, n° 155 di "Attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE concernenti l'igiene dei prodotti alimentari" e nel d.lgs 26/5/1997, n° 156 di "Attuazione della direttiva 93/99/CEE concernente misure supplementari in merito al controllo ufficiale dei prodotti alimentari". Per quanto nessuno dei tre provvedimenti sia di recentissima emanazione, una rilettura attenta del d.lgs 123/93, in particolare dei primi due articoli, può offrire interessanti spunti di riflessione. Il decreto, come noto, disciplina le modalità di svolgimento dei controlli ufficiali sugli alimenti. Il primo motivo di interesse lo troviamo già a livello di definizione di sostanza alimentare. Oltre agli alimenti propriamente detti, vengono infatti inclusi tra le sostanze da sottoporre a controllo ai sensi dello stesso decreto anche gli additivi alimentari e i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti. La prima conseguenza è quindi la grande dilatazione dei confini delle matrici da sottoporre a controllo ufficiale. Se proviamo a trasferire questo principio all'interno del piano alimenti, dobbiamo concludere che le attività di controllo ufficiale dovranno essere coerentemente estese. Andiamo avanti. Poco oltre, al terzo comma dello stesso articolo 1, troviamo l'elenco delle attività nelle quali si può articolare il controllo ufficiale. Al primo posto troviamo l'ispezione. Alla quale viene dedicato l'intero successivo articolo 2. Quindi l'ispezione costituisce il momento centrale di qualsiasi attività di controllo ufficiale sugli alimenti. L'ispezione come primo atto di qualsiasi attività rivolta a verificare la correttezza delle procedure attuate dall'azienda, la sicurezza e l'integrità degli alimenti. Questa concezione di un controllo ufficiale centrato essenzialmente sull'atto ispettivo costituisce una novità rispetto allo spirito della vecchia legge 283/62, che sin dall'articolo 1 poneva l'accento sull'attività di prelievo e di analisi dei campioni, e ben si aggancia al più recente D.lvo 155/97 in tema di autocontrolli nelle industrie alimentari. In effetti sia il decreto 123 che il 155 pongono l'accento sul controllo di processo come modello più efficace di prevenzione e gestione dei rischi connessi al consumo degli alimenti e delle bevande. In pratica si è passati da una visione della tutela del consumatore incentrata sul controllo di prodotto, ad una che si focalizza sul controllo di processo. Non si è trattato di un passaggio rapido. Come ben testimoniato dalle continue resistenze che ancora si incontrano nel fare accettare ad alcuni settori il limitato significato di un controllo basato principalmente sull'attività di campionamento e di analisi, condotta nella quasi totalità dei casi sui prodotti finiti. Eppure i risultati raccolti sino al recente passato non sono molto incoraggianti. Se qualcuno fosse ancora scettico circa l'importanza relativa delle diverse operazioni nelle quali si dovrebbe articolare il controllo ufficiale, forse può valere la pena di dare uno sguardo alle statistiche ufficiali riportanti, sia a livello regionale che nazionale, i dati inerenti le attività di prelievo e di analisi ufficiale dei campioni alimentari. A dar credito ai risultati riportati nelle statistiche ufficiali c'è da pensare che ci si trovi in una situazione a dire poco ottimale. La percentuale di risultati giudicati irregolari per presenza di germi patogeni è dello zero virgola qualche cosa o tutt'al più di pochissime unità percentuali. Delle due l'una. O la situazione igienica sanitaria per quanto riguarda le filiere degli alimenti di origine animale non offre alcun motivo di preoccupazione, e allora non si capisce perchè lo Stato debba investire ancora massicciamente per le attività di prevenzione nel settore, oppure le modalità di indirizzo dell'attività campionaria (la scelta di campioni appartiene ad una branca complessa della statistica che si occupa specificatamente della significatività e della rappresentatività degli stessi) fin qui attuate sono inefficaci e, a questo punto, inefficienti. Ciascuno tragga le proprie conseguenze. Il piano alimenti per l'anno 1998 è partito proprio da queste considerazioni. La novità del decreto 155 ha costituito la sponda per una rivoluzione che si auspica rapida nel modo di fare controlli. Una rete di controlli non è tanto più efficace quanto maggiore è il numero, ma quanto meglio mirati sono i campioni eseguiti. A questo punto è chiaro che l'unico modo di cui disponiamo per garantire una più significativa selezione delle matrici da sottoporre a campione, non può essere che quello di procedere preventivamente ad una approfondita analisi della situazione in grado di svelare le fasi del processo che

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possono costituire un rischio per sicurezza dei consumatori e per l'integrità degli alimenti. In pratica, prima si procede all'ispezione, poi, se i risultati sono tali da fare supporre che possano esistere rischi, si procede al campionamento delle matrici che si riterrà opportuno, indirizzando le analisi di laboratorio alla luce dei riscontri ispettivi. Tornando al piano alimenti per l'anno 1999, la ripetuta sottolineatura dell'importanza dell'attività ispettiva, che deve precedere quella di prelevamento, risponde esattamente alla logica di efficienza e di efficacia alla quale si è appena accennato. Sempre per aumentare l'efficienza dei controlli ufficiali, la programmazione degli interventi dovrà tenere conto della situazione territoriale dell'azienda sanitaria, delle caratteristiche demografiche, della presenza e della distribuzione delle attività produttive suddivise per tipologia. Tutti questi aspetti, che dovrebbero essere specificamente richiamati nel programma annuale di attività come suggerito dalla circolare 66, permettono una pianificazione coerente degli interventi di controllo all'interno dei quali è possibile dare attuazione anche all'attività di esecuzione di campioni su matrici alimentari. Alla luce di questo piano di attività, le indagini suggerite nell'allegato della circolare 3 (e non riportate nelle circolare 66) debbono essere intese esclusivamente come un suggerimento, un indirizzo, che in ogni caso dovrà subire il vaglio di una valutazione critica della situazione così come risultante a seguito dell'ispezione. Massima libertà, quindi, al medico veterinario per quanto riguarda le indagini da effettuare, anche perchè è solo al momento del prelievo che possono essere determinati in concreto i pericoli sulla cui sussistenza si vuole andare ad indagare. Chiaramente, sempre se si accetta il principio secondo il quale l'esecuzione di un prelievo deve essere successiva all'esame della situazione, il fissare a priori il numero esatto di indagini di laboratorio da effettuare suddivise per matrice e per tipologia di esame a livello di piano aziendale, perde ogni significato. Sempre in questa ottica, il numero di analisi concordato inizialmente con i laboratori di riferimento (IZS e PMIP) deve essere inteso esclusivamente come tetto massimo in relazione alle capacità recettive e operative dei laboratori. Sono ovviamente fatte salve le situazioni di emergenza quali gli episodi tossinfettive o i prelievi eseguiti in esecuzione di disposizioni di UVAC/PIF. Un'ultima considerazione in merito alle modalità di programmazione degli interventi di controllo ufficiale riguarda la loro cadenza nel corso dell'anno. L'esame congiunto dei dati epidemiologici disponibili con quelli inerenti le attività di prelievo mette in luce una divaricazione tra le due statistiche in termini temporali. In particolare si sottolinea l'importanza di intensificare le attività di controllo nei mesi estivi e di inizio autunno, quando più numerose sono le segnalazione di episodi tossinfettivi di origine alimentare. Queste brevi riflessioni non hanno ovviamente la pretesa di esaurire tutte le tematiche inerenti il complesso tema dei controlli ufficiali, della loro programmazione e attuazione. Vorrebbero solo fornire alcuni spunti di discussione tra colleghi. Il fine ultimo non può che essere una sempre maggiore coscienza del proprio ruolo e un affinamento della propria professionalità.

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