Ricordando i “bambini nascosti” della Shoah

March 20, 2018 | Author: Anonymous | Category: N/A
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Ricordando i “bambini nascosti” della Shoah Approfondimento della classe III D di Anticoli Corrado

RICORDANDO I “BAMBINI NASCOSTI” DELLA SHOAH. Si indica con Shoah il progetto messo in atto dal regime nazionalsocialista tedesco di sterminare nella sua totalità il popolo ebraico. Più di cinque milioni di Ebrei europei vennero assassinati dai nazisti perché considerati una massa pericolosa, ammorbata da tare ‘genetiche’. Gli Ebrei furono tutti arrestati con l’accusa di alto tradimento per essere stati nemici del popolo tedesco e per aver mandato in rovina l’economia della Germania. In realtà, dopo la sconfitta subita nella prima guerra mondiale, la Germania era in gravissime difficoltà e Hitler aveva bisogno di un capro espiatorio sul quale scaricare le responsabilità. La persecuzione degli Ebrei era iniziata fin dai giorni successivi alla presa del potere da parte di Hitler, poi aveva subito un’accelerazione dopo la promulgazione delle Leggi di Norimberga che prevedevano numerose restrizioni di carattere sociale e civile. Dopo la “notte dei cristalli” (9-10 novembre 1938) le restrizioni si ampliarono e successivamente cominciarono le deportazioni, ma i sentimenti degli Ebrei erano ancora di speranza perché essi continuavano a pensare che Hitler sarebbe durato poco. Molte famiglie nascosero i propri figli sotto falsa identità nella speranza di salvarli: li portarono in conventi cattolici, li affidarono a famiglie “ariane” disposte ad aiutarli, li fecero espatriare in Paesi alleati o neutrali.

Ricordando i bambini nascosti Questa settimana abbiamo sospeso tutti i programmi che stavamo svolgendo per occuparci esclusivamente del tema della Shoah. La professoressa di Lettere ci ha proposto di partecipare al concorso “i giovani ricordano la Shoah” indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione e noi abbiamo subito deciso di aderire perché l’argomento ci aveva molto coinvolto già lo scorso anno quando avevamo commemorato le vittime dell’Olocausto il 27 gennaio. In quell’occasione la prof ci aveva introdotto l’argomento raccontandoci ciò che era successo e poi ci aveva fatto vedere il film “Jona che visse nella balena”. La visione del film ci ha “presi” molto, tanto che successivamente abbiamo letto dei libri sull’argomento, in particolare “Un bambino nei lager”, di Jona Objerschi.

Le nostre fonti Joseph Joffo, “Un sacchetto di biglie” Maurice e Joseph Joffo sono due fratelli che vivono in Francia in una famiglia numerosa; il padre, ebreo di origini russe, è fermamente convinto che la Francia sia un paese nel quale trionferanno sempre le parole Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. Ma inevitabilmente la guerra giunge nel loro paese e Maurice e Joseph sono costretti a scappare, a nascondersi in diversi luoghi, a negare la loro identità, ad arrangiarsi per guadagnarsi il pane e mettere da parte qualche spicciolo. Trascorreranno gli anni dell’occupazione tedesca tra il timore di essere scoperti, l’ansia per la sorte dei familiari lontani, la speranza della libertà vicina, la convinzione di poterne uscire vivi. Fred Hulman, “L’amico ritrovato” Due ragazzi sedicenni frequentano la stessa scuola esclusiva. L’uno è figlio di un medico ebreo, l’altro è di ricca famiglia aristocratica. Tra loro nasce un’amicizia del cuore, un’intesa perfetta e magica. Un anno dopo, il loro legame è spezzato. Questo accadde in Germania nel 1933... Racconto di straordinaria finezza e suggestione, “l’amico ritrovato” è apparso nel 1971 negli USA e in altri Paesi. Ovunque lo stesso entusiasmo della critica. Tra i romanzi più belli che si possano raccomandare ai lettori dai 12 in su.

Luigi Fleishmann, “Un ragazzo nelle retrovie” Luigi, quindicenne nato nel 1928 internato con la famiglia in Abruzzo, nascosto sotto falsa identità. Dopo l’8-9-1943 l’arrivo in paese dei Tedeschi comporta in Luigi una brusca comprensione del pericolo che sta correndo e del significato di essere ebrei. Lui prova un senso di impotenza e ha paura di essere tradito da quanti hanno scoperto la sua vera identità.

Renzo Modiano, “Di razza ebraica” A sette anni scopre i pericoli che corrono gli Ebrei. Nascosto presso conoscenti, trascorre con il fratello un autunno relativamente sereno turbato dalla mancanza di notizie dei genitori. In seguito è costretto a cambiare continuamente nascondiglio, perde compagni di gioco ed è costretto a rimanere sempre in casa. Percepisce un forte senso di ingiustizia per non poter vivere insieme alla madre e al padre e prova una forte gelosia nei confronti del fratello perché era nascosto con i genitori.

Donatella Levi, “Vuole sapere il nome vero, o il nome falso?” L’autrice si immedesima in sé stessa bambina per suggerire meglio il senso di straniamento e di incapacità dell’infanzia della piena comprensione razionale dei fatti visti o raccontati, che non sempre appaiono credibili. Nel libro si percepisce l’angoscia di dover nascondersi in una nuova casa sconosciuta e con grandi spazi vuoti. Lei ha paura di rimanere sola e lontana dai suoi genitori, che l’avevano battezzata alla nascita e le facevano frequentare la chiesa. Lei evita di fare domande, ma la sua origine ebraica si scontra inevitabilmente con le tesi cattoliche. Donatella non comprende la necessità della sua falsa identità, si trova con un nome nuovo, ha paura di sbagliarlo o di dimenticarlo, si convince che ci sono nomi pericolosi (quelli veri) e che per uscire di casa è assolutamente necessario avere un nome adatto.

Emanuele Pacifici, “Non ti voltare” Scrive le sue memorie sia per onorare le vittime della Shoah sia perchè i giovani facciano tesoro delle vicende narrate e se ne tramandino il ricordo. Egli viene nascosto in un convento e sopravvive alla guerra. E’ nascosto sotto falsa identità, ma la sua fede lo aiuta sia a mantenere segreta la sua origine ebraica, sia a non lasciarsi attrarre dal cattolicesimo per riconoscenza o desiderio di appartenenza.

Edith Velmans, “Il libro di Edith”

Edith, una ragazzina olandese di tredici anni, cominciò a scrivere il suo diario nel 1938. Come tutte le adolescenti della buona borghesia ebrea conduce una vita spensierata e felice, fatta di amici, gite in barca e in bicicletta, delle prime infatuazioni e di qualche preoccupazione per gli esami scolastici. Ma la Storia entra nella storia di Edith, dapprima in sordina, poi di prepotenza. Edith si preoccupa quando i trasporti pubblici, la spiaggia e persino la scuola vengono preclusi agli Ebrei, ma nell’estate del 1942 appare chiaro che sono tutti in pericolo. Una mattina Edith stacca con cura la stella gialla dai vestiti e lascia la sua casa per andare a vivere presso una famiglia cristiana in una cittadina dell’Olanda del sud. Porta con sé dei documenti falsi con la sua nuova identità: Nettie Shierboom, di professione domestica. Iniziano mesi di paura e di silenzio, interrotto solo dalle lettere dei genitori che le infondono forza e speranza.

“La fuga degli angeli”, vincitore dell’Oscar come migliore documentario del 2000 Poco prima della Seconda Guerra Mondiale una straordinaria operazione di salvataggio soccorse le vittime più giovani del terrore nazista. Diecimila bambini ebrei, insieme ad altri, furono trasportati dai paesi occupati dalla Germania in rifugi e case d’accoglienza in Gran Bretagna. Alcuni strinsero nuovi legami familiari. Altri dovettero soffrire il Blitz. Altri ancora trovarono modi incredibili per salvare i propri genitori dalla tirannia di Hitler. E tutti hanno storie indimenticabili. Mark Jonatahn “Long Way Home”, insieme alla produttrice Deborah Oppenheimer (la cui madre fu una dei 10.000 bambini) sono gli ideatori di questo eccezionale documentario vincitore dell’Oscar 2000, ricco di immagini d’archivio e testimonianza avvincente dell’esperienza dei bambini sopravvissuti, dei loro salvatori e dei genitori dell’eroico Kindertrasport. Narrato da Judi Dench(nella versione originale).

Il diario di Anne Frank Durante l’occupazione nazista dell’Olanda, mentre la guerra divampava in tutto il suo furore, due famiglie ebree, i Frank e i Van Daan, si rifugiano in un nascondiglio nella vana speranza di sfuggire alla Gestapo. Braccati dalle SS, murati vivi in pochi metri quadrati. In questo clima nascono i singolari appunti di Anna, una bambina di tredici anni che giorno per giorno, dal 12 giugno 1942 al 1 agosto 1944, trascrive in un grosso diario la sua scoperta del mondo: angosce, sogni e speranze rivelate a un’immaginaria amica di nome Kitty. “Non ho affatto intenzione di far leggere ad altri questo quaderno rilegato di cartone,” scrisse Anna all’inizio del diario: non poteva certo immaginare, allora, che quelle pagine non solo sarebbero scampate al saccheggio della Feld-Polizei, ma avrebbero costituito un documento impressionante e vivo, una pura voce di poesia nella tremenda realtà di un odio implacabile.

Un’infanzia buia Durante i terribili anni del regime nazista, milioni di persone, tra cui Ebrei, Zingari ed omosessuali, sono stati sterminati perchè considerati di razza inferiore. L’artefice di tutto ciò non poteva essere altri che Hitler, l’uomo più spregevole che abbia mai incontrato nei miei studi. Migliaia di bambini sono stati costretti a fuggire e a nascondersi, o per lo meno hanno tentato di farlo, spesso separandosi da genitori e parenti. Da un giorno all’altro hanno avuto la necessità di crescere, di diventare improvvisamente adulti. È la fine dell’infanzia, di un’ epoca serena, con l’amore dei genitori e il divertimento che lasciano il posto alla realtà più crudele e violenta, che secondo me i bambini non potevano neanche ben comprendere in tutta la sua gravità. Ho letto molti libri riguardanti questo tema, e spesso i protagonisti scrivono che da piccoli non sapevano neanche cosa significasse la parola “Ebreo”, un termine così semplice che non poteva spiegare in alcun modo la tragedia a cui sono andate incontro tantissime persone. Non è possibile considerare una persona diversa, discriminarla e allontanarla perché ebrea. E il peggio è che anche i bambini, gli unici su questo terra che non hanno nessuna colpa e che hanno la coscienza a posto, sono stati coinvolti. Con i kindertransport molti di loro sono stati costretti ad abbandonare la propria famiglia, a vivere lontano da essa e a dimenticarla, soffrendo di nostalgia e per la mancanza d’affetto. All’inizio solo con qualche lettera potevano esprimere il loro amore per i genitori e i fratelli, poi neanche più quello! Bambini di pochissimi anni che hanno saputo affrontare da soli la vita, scoprendone solo i lati più oscuri e terribili. L’angoscia e la paura erano gli unici sentimenti che la maggior parte delle persone provava, ma attraverso delle foto si può vedere nei volti dei bambini un’incredibile e inaspettata luce di speranza. Gli Ebrei dovevano portare una stella gialla, e i bambini che andavano a scuola con questa cucita sul bavero del cappotto, venivano allontanati e chiamati “bastardi ebrei”. Un misto di incredulità e d’incomprensione per questi atti accomunava tutti. Perchè sterminarci? Perchè veniamo considerati diversi? Domande a cui nessuno diede una risposta, e molte volte furono le ultime parole che un uomo pronunciò nella sua vita prima di essere ucciso. Le poche persone che sopravvissero a questa strage o che riuscirono a fuggire ebbero difficoltà a rifarsi una nuova vita, e tante volte ebbero un invincibile timore del futuro che li attendeva. Tante volte penso che i nazisti e tutte le persone che hanno contribuito a questo annientamento, dovessero essere veramente dei malati per arrivare a questo livello di crudeltà.

‘I bambini sono la gioia di tutti perché portano serenità, e per questo sono sempre al centro dell’attenzione… Ma non è stato sempre così, perché durante il periodo della dominazione di Adolf Hitler i bambini si nascondevano con il terrore di essere maltrattati e uccisi, e la cosa peggiore era che spessissimo vivevano queste paure da soli, perché i loro genitori erano già stati deportati’. Molti dei bambini nascosti erano piccoli e ripensando a cosa era accaduto nelle città prima che i loro genitori venissero catturati (distruzione dei loro negozi, divieto di entrare in luoghi pubblici, scritte ingiuriose sui muri) si facevano mille domande, si chiedevano cosa ci fosse di strano ad essere ebrei, si sentivano diversi dai loro coetanei che li maltrattavano, insultavano, li allontanavano, li disprezzavano… Pensate a bambini che si facevano queste domande e che hanno vissuto questo periodo senza i genitori, chiedendosi in ogni istante se fossero vivi: questa era la loro peggiore angoscia. Oggi sui diari scriviamo cosa abbiamo fatto durante la giornata, descriviamo gli amici nuovi che abbiamo, il ragazzo carino che abbiamo incontrato… I bambini nascosti nei loro diari manifestavano le loro paure, i loro pensieri, il loro stato d’animo, la loro vita che fino a qualche giorno prima era normalissima e ad un tratto è cambiata completamente, si sono ritrovati in una realtà che non avrebbero potuto mai immaginare… Erano molto confusi, non sapevano dove fossero i loro genitori, se fossero vivi o meno, se un giorno avrebbero potuto rivederli. Se le SS avessero scoperto che erano nascosti, cosa gli avrebbero fatto? Pensavano ai loro amici ebrei che erano stati catturati: li avrebbero incontrati di nuovo? Sarebbe mai finito quell’incubo? Un’altra domanda che si ponevano spesso era: ”Se mi dovessi salvare, con chi starò, se i miei genitori non ci saranno più? Alcuni erano oppressi dai sensi di colpa perché loro erano vivi mentre la loro famiglia era stata sterminata. A questi bambini è stata negata una fase della loro vita, la più bella, quella nella quale non ti fai domande perché stai semplicemente bene, sei spensierato e pensi solo a divertirti e a portare tanta gioia, tanta allegria, tanta confusione, tanto amore, tanta dolcezza… L’infanzia… Quella che milioni di persone vorrebbero rivivere. Molti bambini che si sono nascosti si sono salvati, sono cresciuti… Moltissimi di loro sono stati accolti da famiglie a loro sconosciute che gli hanno dato tanto amore e tanto affetto… Ma nessuno potrà mai cancellare dalla loro memoria quel periodo doloroso della loro vita. E anche se è stato per loro il più brutto, hanno conservato un bellissimo ricordo dei loro veri genitori. La loro testimonianza mi ha fatto capire che se nella vita si è forti, si può sopravvivere a tutto e a tutto e che la vita va avanti nonostante tutto.

Bambini nella Shoah Documentandomi con le memorie di queste persone e vedendo filmati, ho capito cosa significasse essere un bambino ebreo in quel periodo: non poter uscire da casa, essere cacciato da scuola, discriminato e picchiato da coetanei che fino a qualche tempo prima erano tuoi amici, passare compleanni aspettando che qualche amico partecipasse alla tua festa, per poi rimanere molto deluso perché nessuno arrivava. Queste sono cose che rimarranno sempre impresse nella mente delle persone, perché il dolore che hanno provato in quei momenti non potranno mai cancellarlo. Questi bambini furono privati della loro infanzia e dell’affetto dei propri parenti, e tutto ciò venne sostituito con un periodo di paura, dolore e angoscia. Molte persone decisero di nascondere i loro figli, mandandoli in altri Paesi, come l’Inghilterra, dove avrebbero potuto crearsi una nuova vita e una nuova famiglia. Il governo inglese aveva deciso di accogliere i bambini per motivi umanitari ma anche perchè essi non avrebbero creato problemi al mercato del lavoro. I bambini potevano portare con sé una sola valigia, non potevano portare oggetti di valore e molti dovettero cambiare identità. Venivano trasportati o con aerei o con i treni e tutti loro facevano la promessa di trovare in Inghilterra un posto per i loro parenti in modo da farli scappare da quell’ inferno che era diventata la Germania sotto il governo di Hitler. Tutti i genitori promettevano ai loro figli che un giorno li avrebbero raggiunti, ma molto spesso tutto questo rimase solo un desiderio. Una volta arrivati, se non avevano già dei contatti con una famiglia che li avrebbe ospitati, venivano mandati in ostelli dove vivevano in molti e dove il sabato arrivavano le famiglie che volevano adottare qualche bambino. Quando venivano adottati, potevano diventare parte della famiglia o potevano semplicemente diventare domestici, o giardinieri di chi li aveva accolti. Alcuni bambini però non ebbero scampo dalle grinfie del nazismo, e furono uccisi. Altri bambini non poterono espatriare e si nascosero insieme al resto della famiglia nelle soffitte sperando che i nazisti non li trovassero, ma la maggior parte delle volte questo non accadeva. Nei periodi passati nei loro nascondigli a volte scrivevano dei diari in cui parlavano delle condizioni in cui vivevano: il più famoso è quello di Anne Frank che, scrivendo il suo diario, ha fatto conoscere la verità a noi che non c’ eravamo in quel periodo. Molte altre persone, bambini ai tempi del nazismo, ricordano la loro infanzia scrivendo dei libri in cui raccontano le loro memorie: tra questi anche un’Ebrea olandese scampata all’Olocausto, Edith Velmans. Tutti questi bambini non credevano che “l’ inferno nazista” potesse durare molto, ma purtroppo si sbagliarono perché i nazisti ebbero tutto il tempo per sterminare 6 milioni di persone da loro ritenute “diverse”, “indegne di vivere”, di appartenere ad un popolo. Io ritengo che questo sia stato il periodo più buio della storia mondiale perché caratterizzato dall’ uccisione di 6 milioni di persone morte ingiustamente, che avevano il diritto di vivere tanto quanto ne avevano le persone definite di razza “ariana”. Ma c’ è una cosa che ancora non riesco a capire, come una razza si possa ritenere superiore ad un’ altra.

Riflessioni Come si può godere e divertirsi vedendo uccidere persone, vedendo morire di dolore donne, anziani e bambini...? Se allora avessero solamente provato a ragionare con la loro testa e non con quella dei capi più potenti, tutti gli aderenti al Partito nazista avrebbero capito che il crimine che stavano compiendo senza nessuna ragione valida, non era un bene per la comunità, non portava a cambiamenti positivi nella nazione. E anche se avessero avuto un buon motivo per nutrire quell’odio profondo verso gli Ebrei, non credo che la soluzione migliore per manifestarlo sia stata quella di sterminare senza pietà un popolo indifeso. I momenti di angoscia e di timore, la paura di morire, sono sensazioni che tutti hanno provato in quel periodo buio. I bambini non esistevano più, neanche le donne, gli uomini e gli anziani; esistevano solo i colpevoli (gli Ebrei in generale), che dovevano morire. Ho due cuginetti, di due e cinque anni, e provo ad immaginarli in quel periodo, e penso con incredulità alle guardie tedesche che non ebbero pietà di bambini piccoli che, mentre piangevano e urlavano, venivano condotti in camere a gas. Come si possono uccidere bambini innocenti, come si può riuscire ad assistere alla luce della vita che abbandona i loro occhi senza replicare su questa terribile ingiustizia? Oggi, in tutto il mondo, sappiamo cosa è stato l’Olocausto, ogni essere umano sa cosa è successo in quel periodo, ma esistono ancora molte persone che sostengono i crimini imperdonabili di Hitler, che dicono che abbia fatto bene, pur conoscendo la verità. Chiedo solo una cosa a tutti coloro che sanno: non dimenticate cos’è successo, non modificate la passata realtà, parlate ai giovani di tutto il dolore e l’odio che nazisti e fascisti hanno seminato in tutta Europa, facendo comprendere loro che è stata, e che lo sarà se si dovesse improbabilmente riverificare, una cosa ingiusta; battetevi sempre per la libertà e la giustizia, diritti che ogni uomo sulla faccia della terra deve avere, opponetevi a ciò che per voi non è veramente giusto, ovvero accettate anche ciò che non condividete se ritenete che questo sia un bene per la comunità. Questa è, secondo me, l’unica via per un mondo migliore, percorriamola insieme e tutto sarà più semplice.

P:S: Abbiamo ricevuto solo da qualche giorno l’invito a partecipare al concorso, ma quando l’ho proposto ai miei alunni della classe III D di Anticoli Corrado, essi, pur sapendo che il limitato tempo a disposizione ci avrebbe costretti a lavorare con ritmi intensi, hanno accettato con entusiasmo. Abbiamo unito i banchi al centro della classe e vi abbiamo raccolto tutto il materiale che avevamo a disposizione. I ragazzi hanno cominciato a ricercare, leggere, sottolineare, commentare, discutere; hanno proposto la tipologia testuale, organizzato i materiali e i gruppi di lavoro, si sono riuniti a casa e hanno prodotto insieme ciò che avete appena visto. E’ stata per tutti un’esperienza coinvolgente, perché ognuno ha lavorato mettendo a disposizione le proprie competenze, ma soprattutto perché la riflessione ha fatto emergere “valori” che i ragazzi possedevano ma dei quali non avevano consapevolezza. Ora hanno maggior coscienza del valore della famiglia, dell’amicizia, dell’essere parte di una comunità di uguali, della solidarietà e della giustizia. Se riusciranno a serbare vivo ciò che hanno provato e compreso in questa settimana, potranno essere certamente degli adulti migliori. L’insegnante

STEFANO GIANLUCA ANDREA LUIGI ARIANNA EMILIANO

FIORENZA LARA SILVIA

CAMILLA MARTA

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