Almanacco 2

March 20, 2018 | Author: Anonymous | Category: Impresa, Scienze economiche, Macroeconomia
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Sin dall’antichità, nella cultura di massa, gufi e civette hanno sempre rappresentato sapienza, saggezza, erudizione. Un udito sopraffino e una vista eccezionale gli permettono di vedere bene, lontano, anche nell’oscurità, anche nelle notti più profonde.

ALMANACCO DELL’ECONOMIA n. 2 (15 gennaio 2016)

La crisi di domanda insiste: troppa disoccupazione (meno male che ci sono i rinnovi contrattuali) Valore assoluto dell'indicatore

Gennaio 2016

Indicatori

Ultimo periodo di rilevazione

Ultimo mese o trimetre disponibile

Variazione % dell'indicatore

Periodo Periodo precedente corrispondente (mese o trimestre (anno precedente) precedente)

Pre-crisi (2007)

Rispetto al livello Pre-crisi

Tendenziale (periodo corrispondente)

Congiunturale (periodo precedente)

(a)

PIL trimestrale

Q3-2015

386.969

422.353

383.737

386.188

-8,4

0,8

0,2

(b)

Consumi finali trimestrali

Q3-2015

230.314

246.926

227.806

229.379

-6,7

1,1

0,4

(c)

Investimenti fissi lordi trimestrali

Q3-2015

64.355

93.315

63.773

64.595

-31,0

0,9

-0,4

(d)

Importazioni trimestrali

Q3-2015

106.869

116.532

101.685

106.357

-8,3

5,1

0,5

(e)

Esportazioni triimestrali

Q3-2015

117.120

114.933

113.188

118.023

1,9

3,5

-0,8

(f)

Produzione industriale

nov-15

92,3

119,0

91,1

92,8

-22,4

1,3

-0,5

(g)

Produzione nelle costruzioni

ott-15

66,2

119,5

68,9

66,3

-44,6

-3,9

-0,2

(h)

Fatturato dell'industria

ott-15

99,7

112,3

98,2

97,7

-11,2

1,5

2,0

(i)

Ordinativi dell'industria

ott-15

98,8

121,4

94,7

95,4

-18,6

4,3

3,6

(j)

Inflazione (NIC generale)*

dic-15

107,3

94,3

107,2

107,3

-1,8

0,1

0,0

(k)

Inflazione (IPCA generale)*

dic-15

120,1

104,3

120,0

120,1

-2,0

0,1

0,0

(l)

Prezzi alla produzione industriale*

nov-15

101,7

97,0

104,5

102,2

-3,5

-2,7

-0,5

(m)

Deflatore dei consumi*

Q3-2015

105,6

95,0

105,5

105,5

-2,1

0,1

0,1

(n)

Deflatore del PIL*

Q3-2015

105,9

95,4

105,1

105,4

-1,9

0,8

0,5

(o)

Ore lavorate per dipendente*

Q3-2015

99,5

105,0

98,2

99,6

0,5

1,3

-0,1

(p)

Unità di lavoro (C.N.)

Q3-2015

23.495

25.194

23.327

23.449

-6,7

0,7

0,2

(q)

Occupati (FdL)

nov-15

22.480

23.068

22.274

22.444

-2,5

0,9

0,2

(r)

Disoccupati (FdL) #

nov-15

2.871

1.622

3.350

2.918

77,0

-14,3

-1,6

(s)

Forza lavoro

nov-15

25.350

24.690

25.624

25.362

2,7

-1,1

-0,0

(t)

Tasso di occupazione°

nov-15

56,4

58,8

55,7

56,3

-2,4

0,7

0,1

(v)

Tasso di disoccupazione° #

nov-15

11,3

5,9

13,1

11,5

5,4

-1,8

-0,2

(u)

Tasso di disoccupazione giovanile° #

nov-15

38,1

20,0

43,0

39,3

18,1

-4,9

-1,2

(w)

Tasso di inattività° #

nov-15

36,3

37,4

35,8

36,3

-1,1

0,5

0,0

(x)

Retribuzioni contrattuali*

nov-15

106,9

91,2

105,5

106,8

-2,0

1,4

0,1

(y)

Retribuzioni di fatto (C.N.)*

Q3-2015

29.627

25.961

29.362

29.477

-2,0

0,9

0,5

(z)

Costo del lavoro (Oros)*

Q3-2015

108,6

90,9

108,2

108,5

-2,1

0,4

0,1

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT. NOTE: Le frecce colorate indicano la dinamica dell'indicatore rispetto alla rilevazione precedente (verde positiva, rosso negativa, giallo stabile). (*) Variazione pre-crisi rispetto al tasso medio

Da (a) a (e) i valori sono espressi in milioni di euro

Da (p) a (s) i valori sono espressi in migliaia

(°) Variazione per differenza

Da (f) a (o), (x) e (z) i valori sono numeri indice

Da (t) a (w) i valori sono rapporti percentuali

(#) Frecce colorate in modo inverso

Il valore di (y) è espresso in euro

Insiste la crisi della domanda effettiva. Abbiamo più volte sottolineato come la ripresa non sia il semplice cambio di segno del PIL e degli altri aggregati economici [vedi La ripresa dell’anno dopo]. Di certo, per uscire dalla crisi occorre cambiare – e non “riprendere” – il modello di sviluppo [vedi il Libro rosso CGIL]. Tuttavia, per parlare anche solo di ripresa tecnica, occorre ragionare di recupero dei livelli di crescita e di occupazione precedenti alla crisi (nella tabella dell’Almanacco, con riferimento alla colonna che indica il livello pre-crisi 2007). Quindi, per misurare e visualizzare la direzione effettiva dell’economia italiana verso il recupero di livelli pre-crisi si può calcolare se l’andamento congiunturale, ancorché favorevole, colmi o meno i vuoti di domanda e le debolezze dell’offerta di cui soffre il sistema-paese. A tale scopo, facendo appello alla teoria economica [Vedi Nota metodologica], abbiamo elaborato un indicatore, l’Indice di Ripresa della Domanda Effettiva (IRiDE), che esprime il rapporto fra la variazione della domanda interna (misurata come somma di consumi e investimenti) e la dinamica della produttività e del benessere del Paese (misurata con il PIL pro-capite). Lo scopo dell’IRiDE è di predire la “risposta” della domanda effettiva al cambiamento delle variabili sociali, istituzionali e tecnologiche impresso dalle politiche pubbliche nel breve periodo. L’IRiDE corrisponde a un numero che oscilla tra 1 e -1. Per semplificazione espositiva abbiamo scelto di approssimare i risultati a 5 possibilità, in relazione alle ipotesi di significatività e allo spirito d’immediatezza dell’Almanacco: positivo (IRiDE = +1 e simbolo con due occhi di colore verde); parzialmente positivo (IRiDE = +0,5 e simbolo con un occhio verde); stazionario (IRiDE = 0 e simbolo con occhi di colore giallo); parzialmente negativo (IRiDE = -0,5 e simbolo con un occhio rosso); negativo (IRiDE = -1 e simbolo con entrambi gli occhi di colore rosso). Indice di Ripresa della Domanda Effettiva (IRiDE) e PIL (variazioni trimestrali; valori concatenati) 1,5

IRiDE Q3-2015 = 0

1 0,5 0

0

0

0

00

0

-0,5 -1

-1,5 -2 -2,5

IRiDE

PIL Q3-2015

Q1-2015

Q3-2014

Q1-2014

Q3-2013

Q1-2013

Q3-2012

Q1-2012

Q3-2011

Q1-2011

Q3-2010

Q1-2010

Q3-2009

Q1-2009

Q3-2008

Q1-2008

Q3-2007

Q1-2007

Q3-2006

Q1-2006

Q3-2005

Q1-2005

Q3-2004

Q1-2004

Q3-2003

Q1-2003

Q3-2002

Q1-2002

-3

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Conti nazionali.

2

Verificando sul passato la validità dell’IRiDE attraverso l’applicazione alla serie storica dei conti nazionali trimestrali nel periodo 2002-2015 (come illustrato nel grafico precedente), si evidenzia con efficacia – e anche con anticipo – l’effettiva capacità del sistema economico italiano di crescere prima della crisi (in cui l’indice mediamente è pari a 1) e di riprendere a crescere o meno dopo la crisi (in cui, finora, mediamente l’indice è pari a -1). In particolare, nell’ultimo trimestre 2015 l’IRiDE risulta pari a zero, riflettendo il rischio di entrare in una fase di stagnazione – e non di ripresa – attutita solamente da un aumento dei consumi delle famiglie, il cui contributo alla crescita della domanda aggregata, però, potrebbero essere neutralizzato dall’annunciata flessione delle esportazioni e della produzione industriale (malgrado il ribasso dei costi dell’energia), già in calo congiunturale e tendenziale a novembre 2015. La flessione della produzione industriale, peraltro, interessa l’intera Area euro. Il rebus sulle previsioni di Confindustria, purtroppo, è di facile soluzione. Il Centro studi di Confindustria (CsC), il 16 dicembre 2015, ridimensiona le previsioni di crescita per l’economia italiana – dopo tutti i principali istituti nazionali e internazionali – sottolineando che la congiuntura economica favorevole potrebbe essere giunta al termine e che “il vero rebus è il mancato decollo della ripartenza italiana”. Ma non c’è alcun rebus. Rispetto al quadro macroeconomico 2015-2018 del Governo – sulla base delle quali è stata calcolata la sostenibilità finanziaria della Legge di stabilità 2016 – il CsC prevede per i prossimi anni una più alta disoccupazione e una minore inflazione, data la prevista flessione delle esportazioni e la debolezza della domanda interna. Precedentemente, la Confindustria – così come il Governo – aveva sottovalutato le cause e le conseguenze della deflazione. Sin dall’inizio della crisi la CGIL ha compreso la natura strutturale della crisi e il grave errore nella scelta delle politiche di austerità, che non a caso hanno aggravato la crisi di domanda e indebolito ulteriormente l’offerta produttiva, moltiplicando recessione e disoccupazione, oltre che innescare il rischio della deflazione in tutta Europa [vedi Nemmeno l’austerità flessibile può funzionare]. Considerando anche le debolezze strutturali dell’economia italiana, si può ridare slancio alla crescita e all’occupazione solo attraverso un nuovo intervento pubblico, come quello delineato nel Piano del Lavoro della CGIL, ovvero una politica economica di “produzione di lavoro a mezzo di lavoro”. La crisi occupazionale è ancora forte. Malgrado la propaganda governativa, gli ultimi dati sulle forze di lavoro restituiscono un quadro ancora allarmante. A novembre, alla lieve riduzione del tasso di disoccupazione corrisponde un calo dell’occupazione giovanile e un aumento dell’inattività. Anche l’ultimo dato dei conti nazionali (terzo trimestre 2015), che descrive la tendenza dell’occupazione attraverso l’analisi delle unità di lavoro, indica che non c’è nessun aumento dei posti di lavoro. Nonostante i 7 miliardi di euro di incentivi previsti nella precedente Legge di stabilità (sgravi contributivi per nuove assunzioni e deduzione IRAP del costo del lavoro indeterminato), l’incremento annuo dei lavoratori permanenti riguarda meno di 71 mila occupati; a fronte di un nuovo aumento dei lavoratori a termine, pari a circa 115 mila occupati. Oltre le trasformazioni di contratti precari o autonomi e il mero incontro domanda/offerta di lavoro (posti vacanti), per tornare ai livelli pre-crisi restano ancora “da occupare” almeno 900 mila persone, contando i posti di lavoro perduti nella crisi, i nuovi inattivi e le forze di lavoro potenziali. Per questo la CGIL insiste sulla necessità di un piano straordinario di occupazione giovanile e femminile, una modifica radicale della riforma Fornero e una nuova qualificazione del lavoro attraverso un nuovo Statuto dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici come la Carta dei Diritti Universali del Lavoro proposta dalla CGIL. 3

I vuoti della domanda e la tenuta salariale. Con il ridimensionamento del commercio internazionale e la frenata dell’export, la politica economica del Governo scommette tutto sugli investimenti fissi delle imprese e sui consumi delle famiglie. La riduzione delle tasse alle imprese (oltre 10 miliardi solo nel 2015) ancora non ha generato un aumento degli investimenti, sebbene profitti, fatturato e ordinativi siano in aumento. Investimenti pubblici e consumi della P.A. restano negativi. A detta anche dell’Eurostat i consumi privati rappresenteranno la componente principale della crescita congiunturale, sostenuti dalla caduta del prezzo del petrolio e dall’incremento dei redditi da lavoro. In Italia, la variazione positiva de consumi è da attribuire all’aumento del potere d’acquisto, realizzato soprattutto grazie a due leve: il bonus Irpef di 80 euro previsto dal Governo nel 2014, che però gli italiani hanno prevalentemente risparmiato; i rinnovi contrattuali – precedenti a regime e nuovi – che hanno aumentato progressivamente il livello dei redditi da lavoro oltre l’inflazione, alimentando anche l’aspettativa nel tempo di tale incremento del reddito familiare disponibile. Per questo è indispensabile rinnovare i CCNL scaduti e aprire una nuova stagione contrattuale all’insegna di “un moderno sistema di relazioni Industriali, per uno sviluppo economico fondato sull’innovazione e la qualità del lavoro”. Questione di aspettative, altro che fiducia. L’Indice ISTAT del clima di fiducia dei consumatori e delle imprese è stato spesso utilizzato con enfasi dal Governo e dai principali mezzi di comunicazione per affermare il “cambio di verso” dell’economia italiana verso la ripresa. In effetti, tale indice nel corso del 2015 ha registrato importanti variazioni positive. Eppure, nella maggior parte dei casi a tali variazioni non ha seguito un aumento consistente dei consumi o degli investimenti. In ogni caso, a dicembre 2015, l’Indice ISTAT del clima di fiducia dei consumatori e delle imprese diminuisce. La fiducia rappresenta un elemento centrale nella teoria economica liberista, che fonda la capacità di riprodurre crescita e occupazione sull’attitudine del mercato di autoregolarsi. Pertanto, la cosiddetta “economia della psicologia” su cui si basa il condizionamento del clima di fiducia potrebbe bastare a indurre le famiglie a spendere e le imprese a investire. Ma la realtà si basa sulle aspettative, non sulla fiducia. Le aspettative rappresentano un’indicazione delle attese e delle proiezioni degli imprenditori e dei consumatori baste su fatti reali, quali gli aumenti del reddito, dell’occupazione, degli investimenti pubblici e dei consumi collettivi. Di fatti, l’Indagine sulle aspettative delle imprese condotta dalla Banca d’Italia a dicembre 2015 riporta un peggioramento delle attese sull’inflazione e sull’andamento dell’economia, nonché un ristagno della propensione a investire e ad assumere (di fatti, sono tornati a calare i prezzi alla produzione). La FED aumenta i tassi, la BCE si prepara al secondo QE, ma la deflazione non è scongiurata. L’andamento pesantemente negativo dei prezzi alla produzione industriale e la chiusura del 2015 con un’inflazione pari a 0,1% indica che il rischio deflazione è ancora alle porte. Anche il Quantitative Easing della Banca Centrale Europea si è tradotto in un gigantesco acquisto di titoli pubblici da parte delle banche private e così in un immenso “parcheggio” di liquidità che, dai calcoli del CER, gli stessi istituti di credito dellʹArea euro avrebbero poi ridepositato per 2/3 presso la BCE, riducendo lʹimpatto potenziale di questa misura sullʹeconomia reale. D’altra parte, la dichiarazione di insufficienza della politica monetaria era già stata redatta con l’annuncio dell’innalzamento – pur graduale – dei tassi di interesse da parte della FED, che scommette sulla ripresa dell’economia USA e intende arginare la speculazione finanziaria che si agita attorno ai tassi vicino allo zero. In realtà, come testimoniano i dati OCSE, tutti i principali paesi industrializzati registrano un’inflazione molto bassa e subiscono la scelta di una competitività di costo, intrapresa soprattutto dall’Europa, basata sulla guerra tra valute e la svalutazione del lavoro, che accentua le tensioni geopolitiche internazionali. 4

Appendice PIL e principali componenti della domanda (Dati trimestrali; Numeri indice 2007 = 100)

Fonte: Banca d’Italia, elaborazioni su dati ISTAT, Conti nazionali (valori concatenati).

Produzione e clima di fiducia delle imprese industriali (Dati mensili destagionalizzati; Indici 2010 = 100)

Fonte: Banca d’Italia, elaborazioni su dati ISTAT.

Aspettative delle imprese sull’andamento dei prezzi al consumo in Italia (Indagini a confronto; variazioni percentuali sul periodo corrispondente)

Fonte: Banca d’Italia, Indagine sulle aspettative di inflazione e crescita (dicembre 2015).

5

Indice della produzione industriale dell’Area euro

Crescita del PIL dell’Area euro

Fonte: EUROSTAT.

Dispersione e Inflazione (IPCA)

Occupati e Tasso di disoccupazione

Fonte: elaborazioni ISTAT, Nota mensile (dicembre 2015).

Retribuzioni contrattuali e Retribuzioni di fatto (al netto Cig, totale e grandi imprese) (Variazioni percentuali medie annue, valori nominali)

Inflazione (NIC)

Fonte: ISTAT, Annuario statistico italiano 2015.

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