Appunti di Anatomia Patologica

April 16, 2018 | Author: Anonymous | Category: Scienza, Medicina, Immunologia
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Appunti di Anatomia Patologica Canale B

A cura di: G. Mazzanti C.A. Mazzoli

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NOTA: Gli appunti presenti in questo documento sono relativi al programma di Anatomia Patologica del canale B. Non tutti gli argomenti trattati corrispondono a lezioni svolte dai Docenti, per questo motivo alcuni argomenti non sono altro che la schematizzazione ottenuta dalla lettura e dalla successiva rielaborazione di più testi trattanti la materia tra cui, soprattutto, il testo consigliato per la preparazione dell’esame (Robbins- Le basi patologiche delle malattie). Questo non significa in nessuna maniera che questo documento si prefigge di sostituire il testo consigliato!. A causa della continua evoluzione della materia, dell’aggiornamento dei testi consigliati e degli argomenti trattati a lezione si consiglia di utilizzare questi appunti come un supporto allo studio della materia e non come unico punto di riferimento nella preparazione dell’esame. Buona Lettura.

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Cardiopatia ischemica (Prof. XXX) Termine generico utilizzato per indicare una serie di sindromi derivanti da un’ischemia miocardica. Con il nome ischemia non si considera solamente l’insufficienza di ossigeno, cioè l’ipossiemia, ma anche una ridotta disponibilità di substrati nutritivi ed un’indeguata rimozione di metaboliti. Dunque con il nome ischemia si considera la riduzione della perfusione rispetto alle richieste nutritive del miocardio medesimo. Le cardiopatie ischemiche sono la prima causa di morte nei paesi evoluti, costituendo la causa di 1/3 dei decessi. Le manifestazioni cliniche della cardiopatia ischemica possono essere divise in quattro sindromi - angina pectoris: l’ischemia non è in grado di provocare la necrosi del muscolo cardiaco - infarto miocardico: la durata e la gravità dell’ischemia sono in grado di provocare la morte del muscolo cardiaco - cardiopatia ischemica cronica - morte cardiaca improvvisa Di queste l’infarto miocardico acuto, l’angina pectoris di tipo instabile e la morte cardiaca improvvisa sono dette sindromi coronariche acute.

CAUSE DELLE CARDIOPATIE ISCHEMICHE

Aterosclerosi delle coronarie La principale causa delle cardiopatie ischemiche è la riduzione del flusso ematico coronarico dovuta ad aterosclerosi arteriosa coronarica. L’aterosclerosi, venendo ad essere un ostruzione al flusso sanguigno, costituisce di per sé una causa di ischemia miocardica, che però nelle fasi iniziali è generalmente compensata da meccanismi fisiologici. Il passaggio ad un processo non più compensato e dunque evidente clinicamente, può avvenire attraverso diversi meccanismi. • Restringimento aterosclerotico fisso di dimensioni tali da provocare stenosi permanente delle arterie coronariche (più del 75% del lume ostruito). • Modificazioni acute della morfologia della placca, che passa da una condizione di stabilità ad una di instabilità. La placca può andare incontro a: a) emorragia interna dell’ateroma: conseguente crescita di dimensioni della placca che può dunque provocare stenosi permanente erosione/ulcerazione della placca: vengono esposti i componenti della mbr basale endoteliale con conseguente 3

attivazione di un processo di cicatrizzazione ed aumento delle probabilità di formazione di un trombo. b) Fissurazione: emorragie che espongono le strutture connettivali dell’endotelio, con conseguente cicatrizzazione ed aumento delle probabilità di formazione del trombo. c) Rottura: esposizione delle strutture connettivali dell’endotelio, con conseguente cicatrizzazione ed aumento delle probabilità di formazione del trombo. Dunque queste modificazioni acute della morfologia della placca si traducono in tutti i casi in un processo trombotico che comporta ostruzione del lume e dunque stenosi coronarica. La trombosi intraluminale che sovrasta la placca aterosclerotica rotta o ulcerata può dare anche esiti di embolizzazione del trombo. • aggregazione piastrinica • vasospasmo Normalmente questi quattro meccanismi interagiscono fra loro e concorrono reciprocamente a causare un processo aterosclerotico.

Processo infiammatorio persistente Un processo infiammatorio persistente e dunque cronico comporta una lesione endoteliale a cui deve conseguire un processo continuo di riparazione. Secondo una moderna teoria la lesione infiammatoria vedrebbe riparazione attraverso la migrazione delle cellule muscolari lisce dello strato subendoteliale verso gli strati superficiali dell’endotelio. Queste cellule mimano le normali cellule muscolari, ma si differenziano in modo tale da avere nel citoplasma una minore quota contrattile ed una maggiore possibilità di sintesi del connettivo e del collagene. Sono denominate miofibroblasti: una volta giunte negli strati superficiali riparano la lesione producendo grandi quantità di collagene di tipo I che è più fibroso del normale collagene di tipo III prodotto dai fibroblasti e normalmente presente a livello endoteliale. La secrezione di collagene di tipo III si traduce dunque in un processo di fibrosi cronica che comporta sclerosi della parete del vaso: la maggiore quantità di collagene fibroso porta infatti ad una diminuzione dell’elasticità della parete vasale. Nel momento di insorge di una contrazione muscolare della parete vasale, dunque di un vasospasmo, la perdita di elasticità provoca un ritorno elastico più lento della parete vasale e dunque uno stato di costrizione più prolungato. Oltre a queste cause primarie di cardiopatia ischemica vi sono condizioni che concorrono ad aumentare l’ischemia: - aumento della richiesta energetica cardiaca (ipertrofia, esercizio fisico, emozioni, stress) 4

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diminuzione della disponibilità di sangue ed ossigeno, per diminuzione della pressione arteriosa sistemica (shock) - ipossia - aumento della frequenza cardiaca che: • aumenta la richiesta energetica cardiaca (maggior numero di contrazioni al minuto) • riduce l’apporto di sangue (diminuzione della durata relativa della diastole)

Restringimento aterosclerotico fisso La placca aterosclerotica può provocare progressiva ostruzione del lume che porta a stenosi. Le occlusioni che si sviluppano lentamente nel tempo possono stimolare lo sviluppo di circoli collaterali che proteggono dall’ischemia miocardica distale. L’aterosclerosi coinvolge spesso tutti e tre i rami principali coronarici: discendente anteriore sinistra, circonflessa sinistra, coronarica destra. Talvolta sono anche interessate le principali diramazioni epicardiche secondarie.. Non vi è solitamente aterosclerosid ei rami intramurali. Lesione ostruttiva del 75% o maggiore: ischemia sintomatica indotta dallo sforzo. L’aumento del flusso coronarico fornito da meccanismi di vasodilatazione compensatoria non è sufficiente a fronteggiare anche modesti aumenti di richiesta del miocardio Lesione ostruttiva del 90%: ischemia sintomatica anche a riposo.

Modificazioni acute della placca Le modificazioni acute della placca sono l’evento scatenante di quasi tutte le sindromi coronariche acute. La placca, precedentemente stabile, diviene una lesione aterotrombosica potenzialmente pericolosa per la vita a causa di: - emorragia intramurale - erosione superficiale - ulcerazione - fissurazione - rottura della placca aterosclerotica.

Stabilità della placca: Le placche che: - contengono grandi quantità di necrosi, di cellule schiumose e lipidi extracellulari nel loro nucleo centrale - sono provviste di un cappuccio fibroso molto sottile o con poche cellule muscolari liscie 5

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presentano ammassi di cellule infiammatorie nel nucleo centrale sono più predisposte alla rottura e dunque sono dette placche vulnerabili.

Influenze intrinseche sulla stabilità della placca: Infiammazione:

la formazione di una placca aterosclerotica richiede comunque la presenza di un lesione iniziale o comunque un’alterazione dell’endotelio che provoca aumento della sua permeabilità, aumento dell’espressione di molecole di adesione endoteliale, che facilitano l’interazione con cellule dell’infiammazione circolanti, aumento del rilascio di chemochine. Di conseguenza nel momento di creazione della placca aterosclerotica, si ha: • - Interazione cellule endoteliali-leucociti circolanti. • - Accumulo di cellule T e macrofagi nella parete dell’arteria • - Fagocitosi di lipidi da parte dei macrofagi e trasformazione in cellule schiumose • - Danno tissutale mediato da fattori rilasciati dalle cellule infiammatorie e comparsa di aree di necrosi. Il cappuccio fibroso della placca si forma ad opera dei miofibroblasti, migrati nell’intima endoteliale dallo strato muscolare liscio dell’endotelio stesso. Esso è il principae responsabile della stabilità della placca. Il cappuccio fibroso è però in continuo rimodellamento: è continuamente prodotto dalle cellule muscolari lisce e degradato ad opera di metallo proteasi secrete dai macrofagi. Una destabilizzazione della placca può facilitare il rilascio di metallo proteasi ad opera dei macrofagi e di conseguenza spostare l’equilibrio verso la distruzione del cappuccio fibroso medesimo facilitando ulteriormente la rottura della placca. Inoltre la presenza di forte infiammazione provoca aumento delle aree necrotiche nel nucleo centrale della placca, ceh dunque diviene meno consistente e più fragile agli stimoli meccanici. Un’infiammazione persistente provoca infine fibrosi e dunque sclerosi della placca, con tardivo rilasciamento successivamente ad un vasospasmo.

Influenze estrinseche sulla stabilità della placca Statine

Le statine sono farmaci con effetto ipolipemizzante e anti-infiammatorio. Per queste due caratteristiche contribuiscono a stabilizzare la placca

Stimolazione adrenergica

Può aumentare lo stress meccanico sulla placca attraverso vasospasmo ed induzione di ipertensione.

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Trombosi L’effetto delle modificazioni acute della placca è in tutti i casi ( tranne emorragia intraluminale) l’esposizione delle componenti interne dell’endotelio, con conseguente esiti cicatriziali trombotici nella maggior parte dei casi. Il trombo che si sovrappone alla placca rotta, prima solo parzialmente stenotica può provocare: - occlusione completa → trombo transmurale - occlusione incompleta → trombo murale che può anche andare incontro ad aumento o riduzioni nel tempo. Il trombo murale può andare incontro ad embolizzazione. Il trombo è inoltre potente attivatore di molti segnali che inducono proliferazione delle cellule muscolari lisce, che possono contribuire alla crescita delle lesioni aterosclerotiche.

Aggregazione piastrinica Sempre presente in seguito a ulcerazione, fissurazione o rottura della placca, poiché queste modificazioni comportano la necessità di un processo cicatriziale. Le piastrine attivate producono fattori pro-infiammatori e fattori che inducono vasospasmo, dunque che contribuiscono alla destabilizzazione della placca e ad una sotanziale ischemia cardiaca.

Vasospasmo Fattori che stimolano un vasospasmo: - Agonisti adrenergici circolanti - Fattori rilasciati localmente in seguito all’aggregazione piastrinica. - Alterato rapporto nella secrezione endoteliale di fattori vasocostrittori rispetto a quelli vasodilatanti, dovuta alle disfunzioni endoteliali associate alla formazione dell’ateroma. - Mediatori rilasciati dalle cellule infiammatorie La vasocostrizione contribuisce al processo ischemico: • riducendo le dimensioni del lume • aumentando le forze meccaniche locali sulla placca e facilitandone la rottura.

Angina pectoris Sindrome clinica caratterizzata da attacchi parossistici e recidivanti di dolore toracico retrosternale o precordiale (descritto come oppressivo, costrittivo, soffocante o

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trafittivo) causati da ischemia miocardica transitoria (15 secondi-15 minuti) che dura troppo poco per indurre necrosi del miocardio. L’angina pectoris si divide in: Angina stabile • è la forma più comune anche detta angina pectoris tipica • è provocata dalla riduzione della perfusione cardiaca ad un livello critico a causa di aterosclerosi coronarica stenosante cronica e fissa • il cuore è vulnerabile a qualsiasi aumentata richiesta energetica • è una forma alleviata dal riposo o dalla nitroglicerina, potente vasodilatatore. Angina variante di Prinzmetal • è una forma rara • è provocata da vasospasmo coronarico e si verifica a riposo • i soggetti affetti possono avere aterosclerosi coronarica ma ciò non è determinante; è dimostrato dal fatto che il dolore non è influenzato da attività fisica, frequenza cardiaca, pressione arteriosa • è alleviata dalla nitroglicerina a cui risponde prontamente Angina instabile o ingravescete • è una forma che presenta frequenza e durata progressivamente crescenti ed è scatenata da sforzi progressivamente minori. • è indotta da rottura della placca a cui si sovrappone trombosi e successiva embolizzazione e/o vasospasmo. • è un’ischemia molto vicina ad indurre infarto acuto di cui spesso rappresenta il prodomo tanto da essere anche definita angina preinfartuale.

Infarto miocardico Necrosi di un’area del muscolo cardiaco causata da ischemia locale. Le dimensioni dell’area necrotica perché si possa parlare di infarto devono essere maggiori di 3 cm. Le lesioni minori di 3 cm. infatti non sono necessariamente dovute ad ischemia, ma possono riconoscere altre causa

Incidenza e fattori di rischio Si tratta della forma più importante di cardiopatia ischemica essendo da sola la principale causa di morte negli USA e nei paesi industrializzati. I fattori di rischio coincidono con quelli dell’aterosclerosi: ipertensione, diabete mellito, ipercolesterolemia, iperlipoproteinemia, fumo. Il rischio dunque cresce progressivamente con l’età. I maschi sono più colpiti delle femmine, le quali sono protette durante l’età fertile, ma il cui rischio aumenta molto durante la menopausa per il calo dei livelli estrogenici.

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Interessamento della parete cardiaca Gli infarti miocardici possono suddividersi in: Infarti transmurali: • sono la prevalenza • la necrosi interessa l’intero spessore della parete ventricolare • solitamente l’area necrotica corrisponde al territorio di irrorazione di una singola arteria coronaria • sono correlati all’aterosclerosi coronarica, con rottura della placca e successiva sovrapposizione trombotica. Infarti subendocardici (non transmurali): • sono più rari • l’area di necrosi è limitata al terzo più interno della parete ventricolare • frequentemente l’area necrotica si estende lateralmente rispetto al territorio di irrorazione di un singola coronaria • la regione subendocardica è la prima ad essere colpita da ischemia perché sviluppa meno facilmente circoli collaterali e perché durante la sistole si ha compressione delle strutture vascolari al suo interno con conseguente riduzione della perfusione • le cause che possono determinare infarto subendocardico sono: - rottura della placca aterosclerotica e formazione di un trombo che va però incontro a lisi prima che la necrosi si sia estesa a tutto lo spessore della parete ventricolare. - stato ipotensivo importante e prolungato (shock) che causa ridotta perfusione complessiva ed un infarto subendocardico tendenzialmente circonferenziale

Eziologia Le cause dell’infarto sono paincipalmente: occlusione delle coronarie (85%) tromboembolia (10%) vasospasmo (5%) inspiegati Occlusione delle coronarie -

Formazione della placca aterosclerotica. Modificazione acuta della placca che implica esposizione del collagene subendoteliale e del suo contenuto interno. Adesione delle piastrine, con formazione di un monostrato e loro attivazione con rilascio di potenti fattori aggreganti (TXA2). Aggregazione piastrinica con rilascio di mediatori che inducono: - vasospasmo: riduzione del lume endoteliale - attivazione della via estrinseca della coagulazione: cicatrizzazione 9

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e formazione del trombo. In pochi minuti il trombo diviene occludente.

Tromboembolia Per rottura di un frammento del trombo e formazione di un embolo Vasospasmo Isolato, intenso, relativamente prolungato, può essere in associazione o meno con aterosclerosi coronarica. Spesso associato all’uso di cocaina ed a fattori rilasciati dall’aggregazione piastrinica. Inspiegati Sono infarti senza riscontro di aterosclerosi o trombosi, che possono essere causati per esempio da malattie dei piccoli vasi coronarici intramurali.

Localizzazione del danno ischemico Frequenza delle stenosi critiche e trombosi di ognuno dei tre tronchi coronarici principali e corrispondenti aree di necrosi miocardica: -

coronaria discendente anteriore sinistra (40-50%): parete anteriore del ventricolo sx ed apice; porzione anteriore del setto interventricolare. Coronaria destra (30-40%): parete inferiore/posteriore del ventricolo sx (base); porzione posteriore del setto interventricolare Coronaria circonflessa sinistra (15-20%) parete laterale del ventricolo sx, senza apice.

Risposta del miocardio Generale L’occlusione di un’arteria coronarica principale determina ischemia e potenzialmente necrosi nell’area interessata dalla sua irrorazione. Le lesioni ischemiche hanno inizio a livello subendocardico e mano a mano la necrosi avanza come un fronte d’onda coinvolgendo progressivamente uno spessore più ampio.

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Approssimativamente la risposta del miocardio può essere così schematizzata: tempo secondi < 2 minuti 10 minuti 40 minuti 20-40 minuti > 1 ora

Modificazioni chiave Cessazione della glicolisi aerobia Innesco della glicolisi anaerobia, con mancata produzione di ATP ed accumulo di prodotti tossici, come l’acido lattico. Perdita di contrattilità del miocardio, che a volte può provocare comparsa di insufficienza cardiaca acuta prima dell’insorgenza della ncrosi miocardica Diminuzione dell’ATP fino al 50% del normale Alterazioni ultrastrutturali del danno reversibile (deplezione di glicogeno, rigonfiamneto cellulare e mitocondriale…) Diminuzione dell’ATP fino al 10% del normale Alterazioni ultrastrutturali del danno reversibile (deplezione di glicogeno, rigonfiamneto cellulare e mitocondriale…) Comparsa di danno cellulare irreversibile (principalmente difetti strutturali del sarcolemma) Necrosi coagulativa dei miociti (in minore misura anche apoptosi Danno microvascolare

Dunque in sintesi si ha che ¾ La necrosi coagulativa con morte dei miociti si verifica dopo 30 minuti dall’inizio

dell’infarto.

¾ L’infarto miocardico che presenta una necrosi estesa, si verifica in seguito ad

un’ischemia severa prolungata, per almeno 2-4 ore. ¾ La necrosi porta a perdita permanente della funzionalità della regione interessata. In alcuni casi questa perdita di funzionalità si può accompaganare anche a presenza di aritmie. In studi sperimentali in 6 ore si ha la necrosi dell’intera regione irrorata dall’arteria coronarica occlusa. In alcuni pazienti invece la necrosi completa insorge in tempi molto più lunghi (10-12 ore o più), perché la presenzadi stenosi parziale ed aterosclerosi ha indotto lo sviluppo di circoli collaterali. Modificazioni macroscopiche Le modificazioni macroscopiche dovute a infarto miocardico sono così schematizzabili: tempo 1-4 ore 4-12 ore 12-24 ore

Modificazioni macroscopiche Nulla Occasionalmente si ha marmorizzazione scura: comparsa sui prelievi fissati di chiazza rosso-bluastre, dovute alla presenza di sangue stagnante o intrappolato Evidente marmorizzazione scura. Presenza di aree anemiche, pallide del mocardio 11

1-3 giorni 3-7 giorni

7-21 giorni 2-8 settimane > 2 mesi

Comparsa di aree centrali di rammollimento necrotico, giallo-brunastre Estensione delle aree centrali di rammollimento necrotico, giallobrunastro Comparsa di un bordo iperemico rosso, che delimita la zona necrotica, costituito da abbondante tessuto di granulazione molto vascolarizzato. Questo è un momento pericoloso in quanto l’area necrotica richiama abbondante infiltrato infiammatorio. Una situazione di infiammazione si accompagna dunque ad un rammollimento della struttura ed alla mancanza di strutture resistenti. Qui si rischia la rottura. Massima estensione dell’area necrotica giallo-bruna delimitata da bordi iperemici depressi soffici colore rosso scuro Cicatrice grigio-biancastra che progredisce dalla periferia verso il centro dell’infarto. All’infiammazione segue dunque la riparazione in quanto non vi è la possibilità di sostituire i miociti, che sono cellule perenni Cicatrice completa Una volta guarita la lesione non è più databile.

Modificazioni al microscopio ottico Le modificazioni microscopiche visibili al microscopio ottico sono così schematizzabili: tempo 1-4 ore

4-12 ore 12-24 ore

1-3 giorni 3-7 giorni 7-21 giorni

Modificazioni microscopiche (m.o.) Comparsa ai margini di fibrocellule ondulate, per l’effetto delle fibre vive hanno sulle fibre morte. Le fibre morte non sono contrattili. Le fibre vitali adiacenti alle fibre morte, stirano le stesse nella sistole producendo effetto ondulato. Miocitolisi: degenerazione vacuolare reversibile, con comparsa di vacuoli entro le cellule. È più frequente nella zona di miociti vitali subendocardici Necrosi coagulativa iniziale evidente, con comparsa delle prime alterazioni della colorazione Estensione necrosi coagulativa ( nuclei picnotici e citoplasma eosinofilo). Comparsa della necrosi a bande di contrazione: le bande di contrazione sono bende trasversali, eosinofile, composte da pacchetti di sarcomeri ipercontratti. Sono probabilmente dovute all’alterazione della permeabilità della membrana che provoca esposizione delle cellule morenti ad elevate concentrazioni di calcio, con conseguente ipercontrazione. Iniziale infiltrato neutrofilo Necrosi coagulativa con perdita dei nuclei e delle striature trasversali. Infiltrato neutrofilo Disintegrazione dei miociti e dei neutrofili morti. Fagocitosi macrofagica delle cellule morte. Formazione di tessuto di granulazione Tessuto di granulazione ben sviluppato con abbondante vascolarizzazione e depositi di collagene 12

2-8 settimane > 2 mesi

Aumento dei depositi di collagene con riduzione della cellularità Cicatrice densa collagene

Modificazioni l microscopio elettronico Le modificazioni microscopiche visibili al microscopio elettronico sono così schematizzabili: Fase reversibile: perdita di glicogeno, rigonfiamento cellulare e mitocondriale, rilassamento delle miofibrille. Fase iireversibile: rottura del sarcolemma

Riperfusione del miocardio La perfusione del tessuto in corso di ischemia cardiaca consente di limitare al massimo il danno prodotto dall’infarto. Tecniche per ripristinare il flusso: ¾ Trombolisi: dissoluzione del trombo per azione della streptochinasi o dell’attivatore tissutale del plasminogeno, che consentono attivazione del sistema fibrinolitico. ¾ Angioplastica con il palloncino (percutaneous transluminal coronary angioplastic o PTCA): consente non solo di eliminare il trombo, ma anche la placca sottostante. ¾ Bypass aorto-coronarico: consente di ristabilire il flusso a valle. Poiché ad un determinato momento dall’inizio dell’infarto non tutto il miocardio è ugualmente ischemico (regione subendoteliale, colpit per prima, avrà ischemia più avanzata etc..) gli esiti della riperfusione varieranno a seconda della rapidità con cui il cuore viene riperfuso ed a seconda della regione miocardica.

Riperfusione miocardica entro 15-20 minuti: Prevenzione della necrosi in tutto lo spessore della parete cardiaca. Nelle aree più danneggiate alla riperfusione segue stordimento miocardico o disfunzione ventricolare prolungata post-ischemica. Questo consiste nella persistenza di alterazioni biochimiche e funzionali dei miociti salvati dalla riperfusione che si possono tradurre in uno stato di scompenso cardiaco reversibile. La situazione può essere superata mediante temporanea assistenza cardiologica.

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Riperfusione miocardica entro 3-6 ore: Salvataggio del tessuto ischemico ma ancora vitale, che però rimane stordito. Le aree necrotiche non sono salvabili e tali rimangono anche dopo riperfusione Riperfusione miocardica dopo 6 ore: Non riduce apprezzabilmente le dimensioni dell’infarto. Può tuttavia avere un effetto benefico limitando l’estensione dell’infarto.

Danni causati da riperfusione ¾ Stravaso emorragico dell’infarto incompleto: alcuni vasi colpiti dall’ischemia hanno alterate condizioni di permeabilità ¾ Accelerazione della morte dei miociti già danneggiati ¾ Aumento della necrosi a bande di contrazione nei miociti già danneggiati: per l’eumentata esposizione al calcio dovuta alla maggiore presenza di sangue. ¾ Lesione di una certa quantità di cellule ex-novo, per la maggiore produzione di radicali liberi da parte dell’infiltrato leucocitario trasportato dal sangue: si parla in questo caso di danno da riperfusione. ¾ Riginfiamento endoteliale con occlusione dei capillari ed ostacolo alla riperusione medesima (miocardio non perfuso, no-reflow.

Diagnosi La diagnosi si fa in base a tre parametri: ƒ Caratteristiche cliniche ƒ ECG ƒ Esami di laboratorio

Caratteristiche cliniche Quelle tipiche di ogni infarto sono: - polso debole e rapido - profusa sudorazione - dispnea

ECG Comparsa di nuove onde Q

Esami di laboratorio 14

Misurazione dei livelli plasmatici di alcune macromolecole plasmatiche che fuoriescono dalle cellule danneggiate dall’ischemia. In partcolare si utilizzano: TroponinaI e troponinaT Sono i marker di danno cardiaco più utilizzati in quanto altamente sensibili (non sono normalmente dosabili in circolo) e specifici (sono assolutamente cardio-specifici). Dopo infarto miocardico i loro livelli aumentano entro 2-4 ore raggiungendo il picco in 24-48 ore. I livelli rimangono elevati nei 7-10 giorni dopo l’evento acuto. Frazione MB della creatina chinasi Questo isoenzima è presente nel miocardio, ma anche in quantità variabili nel muscolo scheletrico. Il suo dosaggio dunque è sensibile, ma non specifico (i livelli di CK-MB sono elevati alche in condizioni di lesione del muscolo scheletrico). Dopo infarto miocardico i loro livelli aumentano entro 2-4 ore raggiungendo il picco in 24 ore. I livelli tornano normali dopo circa 72 ore.

In assenza di aumento dei livelli sierici delle CK-MB nei primi due giorni di dolore toracico e delle troponine nei giorni seguenti si può escludere la diagnosi di infarto.

Conseguenze e complicanze dell’infarto Disfunzione contrattile: alterazioni della funzionalità ventricolare sx proporzionali alle dimensioni della necrosi. Si può giungere a scompenso cardiaco sx (ipotensione, congestione ed edema polmonare) o addirittura nel 10% dei casi ad una grave insufficienza di pompa, generalmente associata ad infarti di grandi dimensioni. Aritmie: disturbi della conduzione o dell’eccitabilità miocardica dovuti a squilibri elettrolitici, all’uso di farmaci o all’aumento della tensione del muscolo cardiaco. Le aritmie possono tradursi in fibrillazione Rottura del miocardio: avviene generalmente a 3-7 giorni dall’inizio dell’infarto, quando si ha necrosi ed infiammazione che rammoliscono il tessuto e non si ha alcun processo riparativo completo. Può avvenire: nella parete libera del ventricolo: si ha emopericardio (versamento di sangue nello spazio compreso fra pericardio e muscolo, spesso fatale). nel setto interventricolare: shunt sx-dx. nel muscolo papillare: insufficienza mitralica acuta, di grado severo a cui fanno seguito rigurgiti. Pericardite: negli infarti transmurali dopo 2-3 giorni sviluppo di una pericardite che costituisce l’epifenomeno della infiammazione evocata dal sottostante infarto miocardico. Estensione dell’infarto: nuove necrosi nelle aree adiacenti a quelle del precedente infarto che infine confluiscono. Re-infarto: dovuto ad una situazione di eccitabilità e di conduzione elettrica alterata. Trombosi murale: la combinazione di anormale contrattilità miocardica regionale che provoca stasi di sangue, con un danno endocardico, che crea una superficie trombogenica porta alla creazione di un trombo murale che può embolizzare.

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Cardiomiopatia ostruttiva: è una complicanza tardiva che si può verificare se le cicatrici fibrotiche sono molte o molto estese. I miociti cercano di compensare la mancanza di tessuto cardiaco funzionante andando incontro ad ipertrofizzazione, con conseguente diminuzione delle dimensioni delle camere cardiache e possibile ostruzione delle medesime. Insufficienza cardiaca congestizia: è una complicanza tardauva dovuta alla coesistenza di fenomeni fibrotici e di ipertrofia (non ostruttiva), i quali provocano alterazioni del rientro o diminuzione della compliance cardiaca, con conseguente aumento della pressione polmonare ed eventualmente congestione ed edema polmonare. Aneurisma ventricolare: dilatazione patologica circoscritta a carico della parete del ventricolo, delimitata da miocardio cicatrizzato. Può realizzarsi in due modi: • protrusione della parete ventricolare in corrispondenza dell’area dell’infarto→ l’aneurisma produce irregolarità del profilo della parete e può essere occupato da un trombo murale. • Mancanza di protrusione e dunque di irregolarità del profilo della parete, che rimane abbastanza omogenea. Presenza però di fibroblastosi e dunque inspessimento della parete senza trombosi murale associata.

Cardiopatia ischemica cronica È la condizione dei pazienti, prevalentemente anziani, che sviluppano insufficienza cardiaca progressiva, come conseguenza di danno miocardico da ischemia severa. Nella maggior parte dei casi si tratta di pazienti che sono andati incontro a grave infarto pregresso, coinvolgente tutte le branche principali delle coronarie, con conseguente inadeguato apporto sanguigno e perdita di miociti a livello dell’intero miocardio, fibrosi cicatriziale diffusa e diminuzione progressiva ed omogenea della compliance cardiaca.

La reazione post-infartuale del cuore è dunque quella di tentare un ipertrofia compensatoria. L’esaurimento funzionale dell’ipertrofia compensatoria comporta scompenso cardiaco, conseguente cardiomiopatia dilatativa e dunque infine insufficienza cardiaca. Il cuore di questi pazienti infatti si presenta sempre ingrossato e pesante (ipertrofia) ed enormemente aumentato di dimensioni (dilatazione). C’è sempre aterosclerosi stenosante grave, associata alle maggiori richieste energetiche del cuore ipertrofico. Solitamente sono presenti le cicatrici dei pregressi infarti.

Morte cardiaca improvvisa Si tratta della morte inattesa per cause cardiache, che si verifica immediatamente dopo la comparsa dei sintomi (entro 1 ora) o anche senza l’insorgenza degli stessi.

Cause Principalmente è dovuta ad un ischemia cardiaca cronica che comporta come complicanza la comparsa di aritmie letali, come asistolia o fibrillazione ventricolare. 16

La prognosi di questi pazienti è migliorata dall’impianto di un defibrillatore elettrico. Altre cause che si fanno via via più frequenti con il decrescere dell’età possono essere: - malattie delle coronarie (malformazioni congenite, vasculiti, embolia…) - stenosi valvolare aortica - alterazioni ereditarie o acquisite del sistema di conduzione - altre malattie specifiche del miocardio (miocarditi, cardiomiopatie ipertrofiche o dilatative) - malattie valvolari (insufficienza valvolare, prolasso della mitrale) - ipertensione polmonare

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Valvulopatie Sono le patologie a carico delle valvole cardiache. Possono determinare: - stenosi: impossibilità della valvola di aprirsi completamente, ostacolando il flusso anterogrado. - Insufficienza: incapacità della valvola di chiudersi completamente determinando flusso retrogrado. Le anomalie delle valvole cardiache possono essere: - pure: se è presente solamente la stenosi o l’insufficienza - miste: se insufficienza e stenosi coesistono nella medesima valvola, con prevalenza eventuale di uno dei due difetti sull’altro. La patologia può essere: - isolata: se viene colpita una sola valvola - combinata: se siano colpite più valvole contemporaneamente (compromissione plurivalvolare). La patologia può essere dovuta a : - anomalia primitiva delle valvole: quasi sempre nella stenosi - anomalia delle strutture di sostegno senza correlata anomalia delle valvole: può succedere nell’insufficienza cardiaca. Il flusso retrogrado infatti può essere causato anche da • Dilatazione della camera ventricolare con spostamento associato dei muscoli papillari verso il basso e verso l’esterno, impedendo l’accollamento dei lembi valvolari→ insufficienza atrio-ventricolare • Dilatazione dell’aorta o dell’arteria polmonare con conseguente allontanamento delle commessure valvolari→ insufficienza aortica o polmonare • Alterazioni nelle corde tendinee e nei muscoli papillari. • …… La patologia può essere: - congenita - acquisita Le alterazioni del flusso sono speso riscontrabili per la produzione di rumori cardiaci detti soffi. Le più frequenti valvulopatie in assoluto sono: - stenosi acquisita della valvola aortica: per calcificazione di una valvola aortica normale o congenitamente bicuspide - insufficienza aortica: per diltazione dell’aorta ascendente conseguente all’ipertensione arteriosa ed all’età. - Stenosi mitralica: conseguente a malattia reumatica - Insufficienza mitralica: conseguente a degenerazione mixomatosi o prolasso mitralico.

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Degenerazione valvolare conseguente a calcificazione Le valvole sono sottoposte a notevoli stress meccanici ripetitivi a causa di: - > 40 milioni di cicli cardiaci/ anno - deformazione tissutale meccanica ad ogni ciclo - gradiente presso rio transvalvolare presente nella fase di chiusura. Le valvole dunque soffrono di danno meccanico cumulativo, che viene ad esplicarsi spesso in una calcificazione senile.

Stenosi aortica calcifica Stenosi aortica acquisita conseguente al processo di “usura e lacerazione” progressivo e conseguente l’invecchiamento, con conseguente calcificazione della valvola aortica. La valvola aortica interessata da stenosi calcifica può essere: - Normale: nella maggior parte dei casi. La stenosi aortica diviene evidente intorno ai 70-80 anni. - Congenitamente bicuspide: • presente nell’1,4% dei nati vivi. • Formata solamente da 2 cuspidi, solitamente asimmetriche; la cuspide di dimensioni > presenta spesso un rafe mediano, residuo dell’incompleta separazione delle cuspidi durante lo sviluppo. • Il rafe rappresenta la sede più frequente di calcificazioni e predispone la valvola congenitamente bicuspide ad una calcificazione più precoce, che si manifesta dunque intorno ai 60-70 anni. • Necessaria differenziazione con le valvole bicuspidi acquisite (divengono bicuspidi in seguito a lesioni infiammatorie, a cui segue la fusione cicatriziale), che presentano una cuspide di dimensioni dopie rispetto all’altra, con commessura fusa nel suo centro.

Morfologia Presenza di masserelle calcifichi soprattutto alla base delle cuspidi, con protrusione all’interno dei Seni di Valsala, impedendo così l’apertura delle cuspidi. Perché si parli di stenosi aortica l’area valvolare funzionale si deve ridurre al punto di costituire evidente ostacolo all’efflusso, con progressivo sovraccarico del ventricolo sx. Diagnosi differenziale con la stenosi aortica conseguente al malattia reumatica rispetto alla quale la stenosi calcifica senile vede: - mancanza di fusione delle commessure - assenza di anomalie strutturali a carico della mitrale.

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Clinica i. ii. iii.

Ostacolo all’efflusso del ventricolo sx. Sovraccarico presso rio del ventricolo sx. Sviluppo compensatorio di ipertrofia concentrica per mantenere costante la gittata cardiaca. Ipertrofia che predispone il miocardio all’ischemia → angina pectoris e deficit miocardio. Insufficienza cardiaca cronica. Scompenso cardiaco.

iv. v. vi.

In questo caso la presenza o l’assenza di una sintomatologia evidente è un fattore predittivo fondamentale della prognosi: -

-

presenza di sintomatologia evidente: l’inizio della presentazione dei sintomi preannuncia l’esaurimento delle capacià compensatorie del cuore. Prognosi sfavorevole, a meno di non intervenire chirurgicamente mediante sostituzione valvolare. Assenza di sintomatologia evidente: prognosi favorevole.

Calcificazione anulus mitralico Depositi calcifici degenerativi nell’anello fibroso della valvola mitrale. Più comune: - nelle donne, di età > 60 anni - nei pazienti con prolasso mitralico (degenerazione mixomatosa) - nei pz con elevata pressione interventricolare sx. Morfologia: noduli di 2-5 mm. irregolari, duri, localizzati dietro ai lembi valvolari. In genere non compromette la funzione valvolare. Raramente provoca: - stenosi: riduzione dell’aperture dei lembi - reflusso retrogrado: interferenza con la contrazione sistolica dell’anello valvolare - aritmie - morte improvvisa: molto rara, solo se i depositi di calcio sono così profondi da ledere il sistema di conduzione atrio-ventricolare. I pz con calcificazione dell’anello mitralico sono a maggiore rischio di: - ictus: i noduli calcifici sono sede di apposizione trombotica con possibilità di embolizzazione - endocardite infettiva

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Degenerazione mixomatosa (prolasso) della valvola mitrale Processo patologico molto diffuso che è denominato:

- prolasso mitralico: punto di vista clinico - degenerazione mixomatosi: punto di vista anatomo-patologico. È caratterizzato dal fatto che uno o entrambi i lembi mitralici sono di consistenza molle (“floppy”) e prolassano, sporgendo come un palloncino nell’atrio sx, durante la sistole ventricolare.-

Morfologia Caratteristiche primarie:

lembi colpiti che si presentano slargati, ridondanti ( a cappuccio), ispessiti. Corde tendinee allungata, assottigliate, occasionalmente si rompono. Anello valvolare allargato Non vi è fusione delle commessure (caratteristica della valvulopatia conseguente a malattia reumatica) Caratteristiche secondarie: - ispessimento fibroso dei lembi valvolari, soprattutto nei punti di sfregamento ed attrito reciproco - ispessimento fibroso dell’endocardio a livello del ventricolo sx, dove schioccano le corde tendinee enormemente allungate - ispessimento fibroso dell’endocardio a livello dell’atrio sx, per lo sfregamento dei lembi che prolassano - formazione di trombi nella spf atriale dei trombi -

Eziologia

Associata a: - disturbi ereditari del tessuto connettivo - alterazione primitiva emodinamica, cellulare o metabolica che induce danneggiamento e/o rimodellamento del tessuto valvolare mitralico Clinica

La maggior parte dei pz si presenta asintomatica. A volte insufficienza mitralica: • auscultabile come soffio sistolico telesistolico • sintomatologia: dispnea, dolore simil-anginoso, affaticabilità, sintomi psichiatrici Nel 3% dei casi si sviluppa una di queste complicanze gravi • Aritmie • Ictus: per embolizzazione aprtire dai trombi valvolari • Endocardite infettiva • Insufficienza mitralica grave, chirurgica: ad inizio lento: deformazione delle cuspidi, dilatazione dell’anello, allungamento delle corde ad esordio improvviso e brusco: rottura delle corde

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Febbre reumatica e cardiopatia reumatica La febbre reumatica è una malattia infiammatoria acuta, immunomediata, multiorgano, che segue di alcune settiamne un episodio di faringite da streptococco di gruppo A. Si manifesta generalmente nei bambini tra i 5 ed i 15 anni, con un 20% degli episodi che si verifica in età adulta. Clinica È una malattia che colpisce molti organi e che dunque è caratterizzata da molti elementi. Manifestazioni maggiori (sintomatologia specifica): - poliartrite migrante delle grandi articolazioni: una grande articolazione dopo l’altra diviene dolorante e gonfia per alcuni giorni, per poi guarire spontaneamente senza limitazioni funzionali residue. - Cardite acuta: infiammazione acuta che colpisce pericardio, miocardio ed endocardio, da cui la comune denominazione di pancardite. Caratterizzata da sfregamenti pericardici., rumori cardiaci deboli, aritmie. In alcuni casi la miocardite acuta può essere causa di dilatazione cardiaca, che può evolvere in scompenso cardiaco. - Noduli sottocutanei - Eritema migrante della cute - Corea di Sydenham: anche detto Ballo di S. Vito, è un disordine neurologico caratterizzato da movimenti involontari, rapidi e non finalizzati.

Manifestazioni minori (sintomatologia non specifica): - febbre - artralgia - livelli plasmatici elevati, per quanto riguarda le proteine della fase acuta. La febbre reumatica acuta, si sviluppa pincpalmente dopo 10 giorni, 6 settimane, dopo l’episodio di faringite acuta da streptococco di tipo A. Si ritiene che essa sia una reazione di ipersensibilità indotta dagli streptococchi di tipo A. Gli anticorpi diretti contro la proteia M streptococcica, cross-reagiscono con anitigeni self del cuore, delle articolazioni e degli altri tessuti. Si tratterebbe dunque di una reazione auto-immune. Dopo il primo episodio acuto la vulnerabilità dell’organismo alla riattivazione della malattia è notevolmente aumentata e si verificano episodi ricorrenti. Nel corso di questi episodi si può avere una progressione da una cardite reumatica acuta ad un quadro di cardiopatia reumatica cronica. Questo è generalmente asintomatcio, pur provocando valvulopatia fibrosa deformante, che provoca in particolare stenosi mitralica, che può comportare a distanza di decenni problemi cardiaci severi e talora fatali. Diagnosi

Si basa sui criteri di Jones: 22

Storia di una precedente infezione da streptococchi di gruppo A associata a 2 manifestazioni maggiori o 1 manifestazione maggiore + 2 manifestazioni minori. Morfologia

Cardite reumatica acuta: Presenza a livello di endocardio, miocardio e pericardio (pancardite) di un quadro infiammatorio acuto. Le lesioni infiammatorie hanno morfologia caratteristica e vengono dunque denominate corpi di Aschoff. I corpi di Aschoff sono lesioni granulomatose, caratterizzate da focolai di collageno, circondati da linfociti T, rare plasmacellule e macrofagi gonfi, patognomici di FR (cellule di Anitschow), che talora divengono multinucleati diventando le cosiddette cellule giganti di Aschoff. Nel pericardio→ essudato fibrinoso o siero-fibrinoso (pericardite a “pane e burro”) che generalmente si risove senza organizzazione e senza sequele. Nel miocardio→ abbondanzadi corpi di Aschoff, soprattutto nel connettivo interstiziale perivascolare. Nell’endocardio→ lesioni subendocardiche nell’atrio sx, continuamente sollecitate dal reflusso che danno luogo ad ispessimenti (placche di MacCallum). Cardiopatia reumatica cronica: Conseguente all’organizzazione dell’essudato fibrinoso, con conseguente fibrosi e deformazione permanente. Caratterizzato da: - lembi valvolari ispessiti e retratti - fusione delle commessure → stenosi a bocca di pesce o ad asola. - accorciamento, inspessimento ed avolte fusione delle corde tendinee. - Cicatrizzazione fibrotica dei corpi di Aschoff. Nel 65% dei casi vi è interessamento della sola valvola mitrale (che è sempre deformata), nel 25% dei casi anche di quella aortica, a volte clinicamente più significativa.

Endocardite infettiva Dovuta a colonizzazione o invasione delle valvole cardiache o dell’endocardio parietale da pare di microbi, con formazione di vegetazioni voluminose e friabili, formate da fibrina, cellule infiammatorie e ricche di microbi, spesso associate alla distruzione dei sottostanti tessuti. Le endocarditi sono divise in : 23

Endocarditi acute: • infezione a carattere tumultuoso e distruttivo sostenuta da microrganismi molto virulenti • colpisce generalmente valvole cardiache normali • porta a morte più del 50% dei pz in giorni/settimane nonostante terapia antibiotica o chirurgica. • Determina la formazione di lesioni necrotizzanti e ulcerative, difficili da trattare con gli antibiotici e che dunque richiedono la chirurgia. Un esempio è rappresentato da un erosione a carico del sottostante miocardio, con creazione di una cavità ascessuale (ascesso anulare). Endocardite subacuta: • infezione a decorso insidioso che può essere protratto per settimane o mesi sostenuta da microrganismi meno virulenti • colpisce generalmente cuori già affetti da lesioni, come deformità valvolari • il trattamento con antibiotici è utile e spesso le lesioni guariscono anche spontaneamente • causa minore distruzione valvolare dell’endocardite acuta

Eziologia Fattori predisponesti: -

diverse alterazioni cardiache: cardiopatia reumatica, prolasso mitrale, stenosi calcifica aortica neutropenia, immunodeficienza diabete mellito abuso di alcolici o di droghe intravenose depositi sterili di fibrina e piastrine che si formano nelle sedi di lesione da urto del flusso

Nella maggior parte dei casi nel’eziologia delle endocarditi infettive sono implicati i batteri: 1. Streptococcus aureus: • colpisce valvole danneggiate, così come valvole sane • è responsabile del 10-20% di tutte le endocarditi infettive 2. Streptococcus viridans o Colpisce valvole danneggiate precedentemente (endocardite subacuta principalmente) 3. Batteri del gruppo HACEK (Haemophilus, Actinobacillus, Cardiobacterium, Eikenella, Kingella) • Caratterizzati dall’essere commensali del cavo orale. 4. stafilococchi coagulasi negativi • endocardite su protesi valvolari 24

Clinica Sintomatologia generale: -

febbre astenia, perdita di peso, sindrome simil-influenzale soffi: nel 90% dei pz

Vegetazioni non infettive Sono caratterizzate dalla assenza di microrganismi a livello delle lesioni valvolari.

Endocardite trombotica non batterica (ETNB) Caratterizzata dalla deposizione di piccole (1-5 mm.) masserelle composte da materiale trombotico (fibrina, piastrina ed altre componenti del sangue), singolarmente o a gruppi lungo il margine di chiusura dei lembi delle valvole cardiache. Le vegetazioni dell’ETNB non contengono microrganismi e non sono accompagnate da reazione infiammatoria. Eziologia e patogenesi

L’ETNB è spesso associato a trombosi venosa o ad embolie polmonari e questo suggerisce che la sua causa sia uno stato di ipercoagulabilità, come può essere la CID, con conseguente attivazione sistemica della coagulazione anche a livello del cuore. Per questo motivo l’ETNB si riscontra spesso in pz debilitati da: - neoplasie: • adenomi mucinosi: in relazione con l’effetto procoagulante della mucina circolante • leucemia promielocitica acuta stati di sepsi: danneggiamento dell’endotelio→ liberazione fattore tissutale in grandi quantità→ ipercoagulabilità - ustioni estese: danneggiamento dell’endotelio→ liberazione fattore tissutale in grandi quantità→ ipercoagulabilità. -

Endocardite in corso di lupus eritematoso sistemico (morbo di Libman-sacks) In corso di LES a volte si verifica una valvolite mitralica e tricuspidalica con piccole vegetazioni sterili, detta endocardite di Libman-Sacks. Morfologia

Lesioni singole o multiple di piccole dimensioni (1-4mm.) 25

Lesioni sterili ( no microrganismi) a spf granulosa e di colore rosa Localizzazione: spf ventricolare delle valvole atrioventricolari e corde tendinee. Può essere associata un’intensa valvulite, con necrosi fibrinoide del tessuto valvolare adiacente le vegetazioni. Diagnosi differenziale con endocardite infettiva ed endocardite trombotica non batterica. Talora gli esiti cicatriziali e la deformazione valvolare possono creare un problema di diagnostica differenziale con la cardiopatia reumatica cronica. Eziologia

Di tipo autoimmunitario.

Complicanze delle valvole artificiali Tipi di protesi 1. protesi meccaniche: sono composte da biomateriali non fisiologici, come palline ingabbiate in un anello, dischi inclinabili, lembi semicircolari incardinati nell’anello valvolare. Utilizzano sistemi di chiusura rigidi e mobili. 2. bioprotesi: lembi valvolari animali trattati chimicamente ( valvola aortica porcina, conservata in soluzione diluita di gliceraldeide e poi montata su supporto meccanico.

Complicanze Sviluppate dal 60% di portatori di protesi entro 10 anni daal’intervento sostitutivo. i.

Complicanze troboembolitiche: ƒ ostruzione trombotica della valvola o tromboembolizzazione a distanza ƒ problema principale delle valvole meccaniche ƒ necessitano di terapia anticoagulante a lungo termine che a sua volta può creare problemi emorragici.

ii.

Endocardite infettiva: ƒ complicanza infrequente ma grave ƒ infezione a livello dell’interfaccia protesi-tessuto, con formazione di ascessi anulari ed eventuale perforazione della valvola con reflusso di sangue. A volte vegetazioni anche sulle cuspidi proteiche. ƒ Provocata principalmente da stafilococchi della cute (S. aureus, S. epidermidis), streptococchi, funghi.

iii.

Deterioramento strutturale: ƒ principale causa di fallimento della bioprotesi: calcificazioni o rottura responsabili di rigurgito. ƒ Raramente nelle protesi meccaniche 26

Malattie primitive del miocardio Miocarditi Sotto questo processo sono raggruppati quei processi infiammatori a carico del miocardio, che inducono danno ai miociti cardiaci. Bisogna però sottolineare che la presenza isolata di uno stato infiammatorio non è diagnostica di miocardite: lo stato infiammatorio può infatti essere la risposta e non la causa di un danno al miocardio. Nelle miocarditi l’elemento caratteristico è che il processo infiammatorio è la causa del danno miocardico. Il processo infiammatorio che interessa il miocardio nelle miocarditi è caratterizzato da: - infiltrato infiammatorio interstiziale leucocitario, costituito nelle forme più comuni prevalentemente da linfociti - necrosi focale dei miociti adiacenti alle cellule infiammatorie. Le miocarditi possono colpire qualsiasi fascia di età, in quanto molto spesso costituiscono conseguenze di una malattia infettiva che viene a dare complicanze.

Sintomatologia: La sintomatologia associata alla miocardite è estremamente ampia. Se da un lato la malattia può essere completamente asintomatica, dall’altro può vedere rapida insorgenza di insufficienza cardiaca con conseguente morte improvvisa. Tra i due estremi si colloca una sintomatologia generalmente caratterizzata da: • febbre • dolore toracico pericardico • segni di scompenso cardiaco: sincopi e palpitazioni • aritmie severe Le caratteristiche cliniche della miocardite richiedono dunque diagnosi differenziale con lo scompenso cardiaco di altra natura, dovuto a differenti cause. Frequentemente la diagnosi differenziale è fatta in base a queste caratteristiche distintive delle miocarditi: - insorgenza in età giovane - frequenza di eiezione minore del 4,5% - esclusione della presenza di malattie coronariche o valvulopatie Clinicamente le miocarditi possono essere classificate in : - miocarditi fulminanti - miocarditi acute 27

- miocarditi subacute - miocarditi croniche o ricorrenti Generalmente le miocarditi vanno frequentemente incontro a guarigione completa. A volte sono presenti esiti cicatriziali, per la formazione di una cicatrice fibrosa che provoca alterazioni del meccanismo di pompa con rientri del sangue e dunque aritmie. Se la miocardite va incontro a cronicizzazione si ha un continuo crearsi e ricrearsi di aree di necrosi che vanno incontro a cicatrizzazione fibrotica. Viene ad essere così perso progressivamente tessuto contrattile con conseguente ipertrofia compensatoria delle aree non fibrotiche. Questa reazione ipertrofica può comportare un insufficiente nutrimento della parete cardiaca, ispessita con conseguente generazione dello scompenso cardiaco. Il sovraccarico cardiaco non più compensato genera dilatazione cardiaca, con assottigliamento delle pareti e passaggio ad una cardiomiopatia dilatativa inequivocabile.

Eziologia Le miocarditi possono essere suddivise in: Miocarditi ad eziologia nota: ¾ infettive: • da batteri (Staphylococcus aureus, corynebacterium diphtariae, neisseriae meningitidis, borrelia9 • virali: sono le più frequenti (coxsackievirus, echovirus, adenovirus, citomegalovirus, HIV) • da parassiti (toxoplasma, tripanosoma –malattia di Chagas-) • da funghi (candida) ¾ tossiche: • da increzione di catecolamine • da antracicline • sali di litio: nei pz psicotici • interferone α • cocaina nei tossico dipendenti ¾ da ipersensibilità: • a farmaci: penicilline, sulfamidici, streptomicina, isoniazide, tetracicline ¾ da agenti fisici • ipotermia • radiazioni • colpo di calore 28

Miocarditi idiomatiche: Hanno causa sconosciuta e dunque sono identificate in base al tipo di infiltrato ad esse associato. Da sottolineare il fatto che anche le miocarditi ad eziologia nota danno infiltrato differente a seconda dell’agente eziologico. • • • • • •

infiltrato linfocitario: infiltrato neutrofilo: importanti effetti tossici dei polimorfonucleati sul miocardio infiltrato eosinofilo infiltrato a cellule giganti: di origine miogena di origine macrofagica

Diagnosi La diagnosi di miocardite attualmente si basa sui criteri di Dallas, in accordo ai quali la miocardite “attiva” viene definita come infiltrazione di cellule infiammatorie del miocardio con associata necrosi e degenerazione dei miociti adiacenti, senza che si realizzi il quadro tipico della lesione ischemica da malattia coronaria. Secondo i criteri di Dallas l’infiltrato deve trovarsi all’interno delle cellule contrattili. La conseguenza è la presenza di vacuolizzazione dei miociti, presenza di margini cellulari irregolari, nuclei presenti. Vi è inoltre necrosi per disintegrazione dei miociti, con presenza di linfociti e macrofagi dentro le cellule miocardiche. La diagnosi viene sempre fatta mediante biopsia cardiaca. Alla prima biopsia a seconda che la miocardite sviluppi o meno i criteri di Dallas si può avere: • - Certezza di miocardite (con o senza fibrosi) • - Miocardite border-line: vede assenza di degenerazione dei miociti, con infiltrato infiammatorio moderato con linfociti scarsi. In questo caso può essere necessario ulteriore prelievo bioptico • - No miocardite

Alle successive biopsia si può avere un quadro di: • - Miocardite persistente: quadro simile alla prima biopsia con o senza fibrosi • - Miocardite in via di risoluzione: con o senza fibrosi. • - Miocardite guarita: con o senza fibrosi.

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Tutti i quadri di miocardite possono essere accompagnati da fibrosi, dunque presenza di tessuto di connettivo che viene gradualmente a sostituire il tessuto necrotizzato, formando focolai fibrotici confluenti. Secondo i criteri di Dallas nel quadro istologico della miocardite abbiamo: Infiltrato infiammatorio

Composizione prevalente: • • •

linfociti ( prevalentemente linfociti T) granulociti neutrofili (PMN) granulociti eosinofili e plasmacellule e macrofagi.

Intensità • • •

Lieve Moderato Severo

Estensione • • •

Focale Confluente Diffuso

Si può avere una progressione attraverso i tre stadi: inizialmente si hanno piccoli infiltrati focali che confluiscono l’uno con l’altro dando un quadro di infiltrato diffuso. La diagnosi differenziale con un infiltrato di tipo ischemico può essere fatta sulla base di due caratteristiche istologiche delle miocarditi: - presenza di depositi di emosiderina - i miociti subendocardici, dunque quelli che sono rivolti verso la cavità, sono risparmiati. Necrosi • a singoli elementi miocitari • a gruppi Fibrosi Dipende dalla durata della malattia. Può essere: • endocardica • sostitutiva • interstiziale

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Grading delle modificazioni ultrastrutturali 0 1 1,5 2 2,5 3

Ultrastruttura normale Alterazione di miociti isolati < 5% Dilatazione reticolo sarcoplasmatico ed iniziale lisi miofibrillare Alterazione di miociti isolati 6-15% Dilatazione reticolo sarcoplasmatico ed iniziale lisi miofibrillare Alterazione di aggregati di miociti 6-15% Lisi miofibrillare, vacuolizzazione Alterazione di numerosi miociti 26-35% Lisi miofibrillare, vacuolizzazione Necessaria dose aggiuntiva di farmco Alterazione di miociti >35% Danno severo No dose aggiuntiva di farmaco

Diagnosi differenziale in associazione al tipo di infiltrato infiammatorio Infiltrato linfocitario • Miocardite idiopatica ad infiltrato linfocitario • Miocardite provocata da virus • Miocardite provocata da sarcoidosi: si tratta di un granuloma del muscolo cardiaco • Miocardite tossica, da svariati tipi di farmaci • Linfoma con metastasi al miocardio Infiltrato neutrofilo • Miocardite idiopatica ad infiltrato neutrofilo • Miocardite provocata da batteri • Miocardite ischemica • Miocardite provocata da virus nella sua fase iniziale. Inizialmente la miocardite virale vede un infiltrato formato da neutrofili e soltanto in un secondo momento subentrano i linfociti. Infiltrato eosinofilo ¾ Miocardite idiopatica ad infiltrato eosinofilo ¾ Miocardite da parassiti ¾ Sindrome ipereosinofila che colpisce più organi compreso il miocardio ¾ Miocardite da ipersensibilità Miocardite a cellule giganti • Miocardite idiopatica a cellule giganti • Miocardite da funghi • Malattia reumatica • Tubercolosi • Sarcoidosi: in questo caso le cellule giganti si ritrovano in associazione ai linfociti

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Trattamento e prognosi La miocardite si tratta pricipalmente con agenti immunosoppressivi essendo la sua eziologia legata all’infiammazione. A volte una miocardite fulminante può presentare prognosi migliore a lungo termine e migliore risposta ai farmaci rispetto ad una miocardite acuta che frequentemente evolve in cardiomiopatia dilatativa.

Miocarditi virali Le infezioni virali sono fra le cause più comuni di miocardite, in particolare negli Stati Uniti. I maggiori virus responsabili sono: - Coxsackievirus A e B ed altri enterovirus - Adenovirus - Herpes Simplex Virus - Citomegalovirus (CMV) che provoca uno stato di immunosoppressione e meggiore sensibilità ad ulteriori infezioni virali - HIV che provoca uno stato di immunosoppressione e maggiore sensibilità ad ulteriori infezioni virali - Virus influenzali - Agenti virali di malattie esantematiche dell’infanzia Il meccanismo mediante il quale i virus provocano la miocardite non è ancora chiaro. Le ipotesi sono due: - risposta auto-immune virus indotta contro le cellule miocardiche - infezione miocardica diretta virale: nel modello murino un trattamento con interferon γ inibisce la miocardite, dunque è il virus medesimo, infettando le cellule miocardiche a provocare l’infiltrato infiammatorio.

Miocardite a cellule giganti Può essere: - idiopatica (miocardite isolata di Fredor) - secondaria a malattie sistemiche a patogenesi auto immune Età: colpisce prevalentemente giovani o adulti (età media: 43 anni). Prognosi: rapidamente fatale. Istopatologia: esteso infiltrato infiammatorio cronico (cellule giganti multinucleate frammiste a linfociti citotossici, eosinofili, plasmacellule, macrofagi), associato a necrosi frequentemente estese. Le cellule giganti si trovano nelle zone marginali della necrosi e possono avere origine: - dai macrofagi: cellule giganti istiocitarie. 32

-

dai miociti: cellule giganti miogene

Bisogna fare diagnosi differenziale con: - malattia reumatica: nella quale le cellule giganti, o di Aschoff, si ritrovano al centro del focolaio e vi è sarcoidosi, fibrosi, presenza di granulomi e mancanza di eosinofili - granuloma da funghi - granuloma da micobatteri - granuloma da corpo estraneo

Miocardite tossica da catecolamine Le catecolamine hanno un effetto tossico diretto nei confronti dei cardiomiociti. Questo tipo di miocardite è riscontrabile nei pazienti affetti da feocromocitoma, a causa delle catecolamine secrete dalla neoplasia e nei tossicodipendenti che fanno uso di cocaina, che induce ipersecrezione di catecolamine.

Miocardite tossica da antracicline Gli agenti chemioterapici della famiglia delle antracicline sono causa riconosciuta di danno tossico, potenzialmente causa di cardiomiopatia dilatativa. L’effetto tossico è dose-dipendente ed è attribuito soprattutto alla perossidazione lipidica del sarcolemma miocitario, poiché le antracicline, come farmaci antineoplastici provocano la liberazione di radicali liberi. Questo tipo di miocardite colpisce prevalentemente soggetti di età maggiore di 70 anni, che siano stati sottoposti a cicli multipli di chemioterapia. È necessaria la diagnosi differenziale con la controparte da ipersensibilità, che si può fare per la frequente presenza di vasculite necrotizzante in questo tipo di miocardite. Un altro farmaco chemioterapico dotato di cardiotossicità è la ciclofosfamide che non produce però tossicità diretta ai miociti, bensì ha un effetto tossico sul sistema vascolare, determinando emorragia miocardica.

Miocardite da ipersensibilità È correlata a reazioni allergiche nei confronti di un particolare farmaco, dunque è dose-indipendente e caratterizzata da alta percentuale di eosinofili nell’infiltrato infiammatorio. Nell’infiltrato infiammatorio vi possono anche essere granulomi

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Miocardite eosinofila idiopatica Frequentemente conseguenza dell’ipereosinofilia idiopatica (malattia di Loeffler), che provoca ipereosinofilia periferica in diversi distretti dell’organismo. Da un punto di vista istopatologico, vi è necrosi tossica dei miociti, provocata da proteine contenute nei granuli liberati dagli eosinofili, che agiscono su sarcolemma e mitocondri. Vi è la presenza di trombi eosinofili delle arterie coronariche miocardiche.

Miocardite neutrofila idiopatica Può rappresentare la fase inizialae di una miocardite massiva idiopatica, dato che i granuli all’interno dei neutrofili inducono un danno molto abbondante oltre la normale necrosi, che richiama molte cellule dell’infiltrato infiammatorio. È necessaria la diagnosi differenziale con la malattia reumatica nella sua variante a decorso fulminante.

Miocardiopatie Nella maggior parte dei casi le disfunzioni del miocardio insorgono secondariamente ad altre patologie cardiache. Con il termine cardiomiopatia si intende invece una cardiopatia derivante da un’alterazione primitiva del miocardio, dunque una malattia che coinvolge primitivamente il miocardio. Le cardiomiopatie si distinguono in tre profili clinici funzionali e patologici: • cardiomiopatia dilatativa • cardiomiopatia ipertrofica • cardiomiopatia restrittiva

La diagnosi delle cardiomiopatie viene fatta attraverso le biopsie endomiocardiche: inserimento transvenoso di uno strumento detto biotomo, sino al cuore destro e prelievo con le pinze di piccoli frammenti di miocardio settale, che dunque vengono analizzati dal patologo.

Cardiomiopatia dilatativa (CMPD) È la forma più comune di cardiomiopatia costituendo il 90% dei casi.

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È caratterizzata da progressiva dilatazione cardiaca e disfunzione della contrattilità sistolica, solitamente associata ad ipertrofia. Si può verificare ad ogni età, ma colpisce più frequentemente soggetti tra i 20 ed i 50 anni.

Morfologia Cuore voluminoso (ampia dilatazione), con peso aumentato di 2-3 volte (ipertrofia e dilatazione), flaccido (disfunzione della contrattilità sistolica). Poiché l’ipertrofia si associa alla dilatazione lo spessore delle pareti può essere maggiore, uguale o minore. I trombi murali sono frequenti e possono dare origine a embolia. Le arterie coronarie sono generalmente libere da stenosi significative.

Eziologia ¾ Miocarditi: è dimostrata una possibile progressione da miocardite a CMPD. Frequentemente nei reperti bioptici delle cardiomiopatie dilatative sono stati trovati reperti bioptici di coksackievirus B o di altri enterovirus. ¾ Alcool: l’abuso di alcool è fortemente associato a CMPD (anamnesi di etilismo nel 10-20% dei pz). I metaboliti dell’alcool hanno effetto tossico sul miocardio ed inoltre l’abuso di alcool può causare uno squilibrio nutrizionale a cui consegue cardiomiopatia dilatativa. ¾ Altre sostanze tossiche: per esempio agenti chemioterapici, come l’adriamicina che contribuiscono alla patogenesi delle miocarditi e dunque della CMPD. ¾ Peripartum: frequentemente si verificano cardiomiopatie nelle fasi tardive della gravidanza o dopo settimane o mesi dal parto, a causa di un insieme di condizioni favorenti come ipertensione, sovraccarico di volume, carenze nutrizionali, disordini metabolici o eventi immunologici non ancora chiariti molto bene. ¾ Fattori genetici: costituiscono il 25-35% dei casi. Si tratta nella maggior parte dei casi di patologie a trasmissione autosomica dominante e di casi più rari di forme X-linked. Solitamente le alterazioni geniche sono correlate a difetti nelle proteine del citoscheletro. La CMPD x-linked è la forma meglio caratterizzata ed è associata al gene che codifica per la distrofina, colpendo tipicamente gli adolescenti. ¾ Idiopatica: causa sconosciuta.

Clinica • •

insufficienza cardiaca congestizia a lento sviluppo inizialmente compensata ma comunque con sintomi evidenti: respiro corto, facile affaticabilità, capacità fisica ridotta. Passaggio in tempi brevi ad uno stato di scompenso.

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• •

Riduzione della frazione di eiezione a causa della ridotta contrattilità sistolica fino ad una frazione di eiezione < 25% (dove quella normale è del 50-60%) A volte presenza di insufficienza mitralica secondaria, aritmie ed embolie a partenza dai trombi intracardiaci.

Cardiomiopatia ipertrofica (CMPI) Presenta ipertrofia miocardica, con conseguenti alterazioni del riempimento diastolico e circa in un terzo dei casi ostruzione intermittente del tratto di efflusso ventricolare sinistro. La disfunzione è diastolica, mentre solitamente la funzione sistolica è conservata Richiede DD con amiloidosi e cardiopatia ipertensiva.

Morfologia Cuore con ipertrofia massiva, ma non dilatato. Ipertrofia settale asimmetrica: inspessimento del setto interventricolare sproporzionato rispetto a quello della parete ventricolare sx libera, localizzato prevalentemente nella regione sub-aortica. Sezione trasversa: ventricolo sx che non ha più la normale forma globosa, ma assume forma a banana per la protrusione del setto interventricolare inspessito nel lume ventricolare. Frequenti inspessimenti dell’endocardio o vere e proprie placche fibrose nel tratto di efflusso del ventricolo sx, con associato inspessimento del lembo anteriore della mitrale: ciò è dovuto al frequente contatto, durante la sistole del lembo mitralico anteriore con il setto→ ostruzione del tratto di efflusso del ventricolo in un terzo dei casi.

Eziologia La CMPI è sempre dovuta ad una mutazione di uno dei qualsiasi geni che codificano per le proteine strutturali dei sarcomeri, dunque è sempre una malattia genetica

Clinica • • • • • • •

riduzione del volume cavitario scarsa compliance parietale diminuzione della gittata sistolica dovuta all’alterato riempimento diastolico, per la massiccia ipertrofia ventricolare sx ostruzione funzionale del tratto di efflusso ventricolare sx nel 25% dei casi→ aspro soffio sistolico da eiezione all’auscultazione. Aumento secondario della pressione venosa polmonare (per la diminuzione della gittata sistolica sx) con consgeuente dispnea da sforzo. Ischemia miocardica focale, dovuta a massiccia ipertrofia (aumentate richieste), aumento della pressione nella camera ventricolare sx, possibili anomalie a carico delle arterie intraluminali. Conseguente dolore anginoso. Complicanze: fibrillazione atriale, trombi murali con embolizzazione, insufficienza cardiaca intrattabile, morte improvvisa.

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Terapia Terapia medica che facilita il rilasciamento ventricolare. Resezione chirurgica riduttiva della massa muscolare del setto ventricolare, effettuata solo in alcuni casi.

Cardiomiopatia restrittiva Riduzione primitiva della compliance ventricolare con alterato riempimento ventricolare nella diastole, mentre la funzione sistolica è generalmente mantenuta.

Morfologia I ventricoli hanno dimensioni normali, le cavità non sono dilatate ed il miocardio ha maggiore consistenza. Frequentemente dilatazione di entrambi gli atri.

Eziologia Può essere idiopatica (cause sconosciute) o presentarsi in associazione con altre malattie che colpiscono il miocardio.

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Scompenso cardiaco È un risultato finale estremamente comune di molte patologie cardiache.

Scompenso cardiaco o insufficienza cardiaca congestizia: -

situazione di sovraccarico cardiaco non compensato. il cuore non è più in grado di pompare sangue in quantità commisurata alle richieste metaboliche dei tessuti periferici o lo può fare solo con elevate pressioni di riempimento.

Il cuore possiede diversi meccanismi fisiologici di mantenimento della pressione arteriosa e della perfusione periferica in condizioni di sovraccarico: -

meccanismo di Frank-Starling aumento della massa muscolare cardiaca attivazione di sistemi neurormonali (rilascio di noradrenalina, attivazione sistema renina-angiotensina, rilascio del peptide natriuretico atriale).

Tuttavia se il cuore è sottoposto troppo a lungo o in modo troppo intenso ad un sovraccarico funzionale questi meccanismi di compensazione possono non bastare. Si può avere dunque • un progressivo deterioramento della funzione di contrazione cardiaca → •

disfunzione sistolica

un’incapacità crescente delle camere cardiache ad espandersi e riempirsi sufficientemente nella diastole→ disfunzione diastolica È a questo punto che soppraggiunge una situazione di scompenso cardiaco.

Qualunque ne sia la causa lo scompenso cardiaco viene però ad essere cartterizzato da: • diminuita gittata cardiaca (insufficienza anterograda) o da; • ristagno di sangue nella circolazione venosa (insufficienza retrograda) o da; • entrambe le situazioni Dunque lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica che viene ad avere i suoi maggiori risvolti soprattutto al di fuori del sistema cardiovascolare, sia in senso anterogrado (scarsa perfusione d’organ), sia in senso retrogrado (dispnea, edema periferico). Avviene in molte situazioni patologiche che lo scompenso cardiaco sia preceduto da ipertrofia cardiaca, essendo questa una delle risposte compensatorie principe del cuore in una situazione di sovraccarico cardiaco.

Ipertrofia cardiaca: progressione fino allo scompenso Il miocita cardiaco è una cellula a differenziazione terminale, che non si può dividere. 38

Di conseguenza in risposta ad un aumento del carico meccanico sul cuore i miociti non possono rispondere con iperplasia, ma solo con ipertrofia, dunque aumento delle dimensioni cellulari.

Grado dell’ipertrofia Viene a variare in base alle patologie che sono alla base dell’ipertrofia medesima. Il peso normale del cuore è di 250-300g. nella donna, 300-350g. nell’uomo. Grado di ipertrofia (peso del cuore) 350-600g (fino a 2 volte il peso del cuore) 400-800g. (fino a 2-3 volte il peso del cuore) 600-100g. (3 o più volte il peso del cuore)

Patologie alla base dell’ipertrofia Ipertensione polmonare Cardiopatia ischemica Ipertensione sistemica Stenosi aortica Insufficienza mitralica Cardiomiopatia dilatativa Insufficienza aortica Cardiomiopatia ipertrofica

Tipo di ipertrofia Viene a riflettere la natura dello stimolo. 1. Stimolo pressorio: Se lo stimolo è un sovraccarico di pressione si ha sviluppo dell’ipertrofia da sovraccarico pressorio o ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro. Questa è caratterizzata da aumento della superficie trasversale dei miociti, senza aumento della lunghezza cellulare. Dunque si ha aumento dello spessore parietale del ventricolo sx che può anche comportare riduzione del diametro della cavità 2. Stimolo volumetrico: Se lo stimolo è un sovraccarico di volume si ha sviluppo dell’ipertrofia da sovraccarico di volume. Questa è caratterizzata da un aumento della lunghezza dei miociti per deposizione di nuovi sarcomeri, senza aumento delle dimensioni degli stessi. Dunque si ha aumento del diametro del ventricolo sx: lo spessore parietale sarebbe aumentato in proporzione al diametro della camera, ma data la dilatazione esso può risultare normale o inferiore alla norma.

Alterazioni che accompagnano l’ipertrofia Le alterazioni che accompagnano l’ipertrofia sono le seguenti: 1. Alterazioni trascrizionali: • aumento della sintesi proteica con produzione di proteine anomale • attivazione dei geni precoci 39



attivazione del programma genico tipico dello sviluppo cardiaco fetale

2. Alterazioni morfologiche: sono dovuta all’aumento delle dimensioni dei miociti che provoca • Riduzione della densità capillare • Aumento della distanza intercapillare • Deposito di tessuto fibroso Una dunque ridotta perfusione cardiaca si accompagna ad un maggiore consumo di ossigeno del cuore dovuto a: - aumento della massa muscolare - aumento della tensione parietale - aumento della frequenza cardiaca - aumento della contrattilità

L’ipertrofia cardiaca dunque viene a costituire un meccanismo di adattamento fisiologico al limite con una situazione potenzialmente patologica. La formazione di nuovi sarcomeri o l’aumento delle dimensioni dei miociti rientrano nell’adattamento fisiologico. Il ridotto apporto capillari-miociti, l’aumento del tessuto fibroso e le sintesi proteiche alterate sono meccanismi potenzialmente dannosi.

L’ipertrofia protratta dunque può evolvere nello scompenso cardiaco, perché vi sono una serie di alterazioni che inizialmente mediano l’aumento della funzione, ma che possono col tempo contribuire allo scompenso. Si possono verificare indipendentemente uno scompenso destro ed uno sinistro anche se generalmente, poiché il sistema cardiovascolare è un circuito chiuso, l’insufficienza di una sezione (in particolare sx) comporta eccessivo carico sull’altra e conseguente scompenso cardiaco globale.

Scompenso cardiaco sinistro Cause • • • •

Cardiopatia ischemica Ipertensione Valvulopatie aortiche e mitraliche Miocardiopatie non ischemiche

Effetti Derivano principalmente da: • progressivo ristagno di sangue nel circolo polmonare ( il cuore sx non è più in grado di raccogliere sangue dal circolo polmonare) • riduzione del flusso e della pressione sanguigna sistemica in periferia.

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Polmone a. patogenesi: i. progressivo aumento della pressione nelle vene polmonari ii. trasmissione dell’aumento pressorio per via retrograda a capillari ed arterie iii. congestione polmonare ed edema b. sintomatologia: i. dispnea: esagerazione del noramle affanno dopo lo sforzo. È il primo sintomo a comparire ii. ortopnea: dispnea che insorge quando ci si sdraia e trova giovamento da sdraiati o da seduti. Insorge quando vi è peggioramento ulteriore. iii. dispnea parossistica notturna: estensione dell’ortopnea che consiste in attacchi di dispnea notturna che arrivano quasi al soffocamento. La tosse è frequente sintomo Reni Patogenesi: riduzione della gittata cardiaca riduzione della perfusione renale attivazione sistema renina-angiotensina-aldosterone ritenzione di sale ed acqua espansione del volume ematico peggioramento dell’edema polmonare Questa reazione è controbilanciata dal rilascio di ANP Cervello Solo nello scompenso molto avanzato l’ipossia cerebrale può causare encefalopatia ipossica

Scompenso cardiaco destro Cause Generalmente secondario ad uno scompenso cardiaco sinistro per aumento del carico sulle sezioni destre del cuore ad esso conseguente. Primitivo tipicamente nel caso di ipertensione polmonare cronica per sovraccarico della pressione sul cuore destro dovuto ad aumento delle resistenze polmonari.

Effetti Generalmente vi è una congestione polmonare minima, mentre la congestione è marcata a livello di altri tessuti. Fegato i. Aumento edematoso di dimensioni e peso→ eptomegalia congestizia ii. Necrosi delle regioni più distanti dalla vena centrolobulare che appaiono giallastre. iii. Nei casi più gravi necrosi centrolobulare 41

Sistema Portale Vi è elevata pressione nella vena porta e nei suoi rami tributari che comporta: i. aumento edematoso di dimensioni e peso della milza→splenomegalia cronica ii. edema cronico della parete intestinale, che può influenzare l’assorbimento di nutrienti iii. accumulo di trasudato nella cavità peritoneale Reni La congestione dei reni è marcata Cervello Vedi scompenso cardiaco sx Spazi pleurici e pericardici Si può avere accumulo di liquido nello spazio pleurico ( in maggiore misura in quello destro) e nello spazio pericardico (effusioni).

Tessuti sottocutanei Tipici è edema delle porzioni declivi del corpo, soprattutto delle caviglie e degli spazi pre-tibiali. Si può avere poi edema massivo e generalizzato del tessuto sottocutaneo (anasarca).

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Patologia del pericardio Generalmente le patologie del pericardio sono quasi sempre secondarie ad altre malattie. La malattia isolata del pericardio è rara.

Emopericardio Pericardio normale: nel sacco pericardico normalmente vi sono circa 30-50 ml. di un liquido limpido, trasparente, color paglierino. In alcune situazione si ha versamento pericardico (accumulo di liquido nel sacco pericardico): - di sangue→ emopericardio - di pus→ pericardite purulenta Le conseguenze dell’accumulo di liquido dipendono: - capacità di dilatazione del pericardio parietale - velocità di accumulo del liquido - quantità di liquido che si accumula Se il liquido si accumula lentamente e non supera i 500ml. si ha solo ingrandimento globoide dell’ombra cardiaca. Se il liquido si accumula velocemente (emopericardio dovuto a rottura), anche un versamento del volume di 200-300ml. può determinare compressione sulle pareti degli atri e dei ventricoli o delle vene cave, con conseguente ostacolo al riempimento cardiaco → tamponamento cardiaco potenzialmente fatale.

Pericardite Infiammazione del pericardio. Generalmente secondaria: solo raramente primitiva e generalmente di origine virale. Cause di pericardite: Agenti infettivi: virus, batteri piogeni, tubercolosi, funghi…. Cause immunomediate: febbre reumatica, lupus eritematoso sitemico, scerodermia, post-infarto miocardico (sd di Dressler) Altri: infarto miocardico, uremia (insufficienza renale che provoca pericardite), post intervento cardiochirurgico, neoplasia, trauma.

Pericarditi acute Pericardite sierosa Caratteristica dei processi infiammatori , ma non infettivi. Il liquido contiene rari leucociti e macrofagi, ha un volume modesto (50-200ml.) e si accumula lentamente. Non vi è quasi mai organizzazione dell’essudato con formazione di aderenzee fibrose. 43

Cause: - malattia reumatica, LES, sclerodermia - insufficienza cardiaca congestizia - ipoalbulinemia - uremia Pericardite fibrinosa e siero-fibrinosa Sono i tipi più frequenti di pericardite. Il liquido è sieroso e misto ad un essudato fibrinoso. La fibrina può essere digerita con risoluzione dell’essudato oppure andare incontro ad organizzazione. Il segno più caratteristico di pericardite fibrinosa è la comparsa di rumore di sfregamento pericardico, che però può essere eventualmente mascherato da una raccolta sierosa che separi i due foglietti pericardici. Cause: - malattia reumatica, LES, post-infarto miocardico - infarto miocardico acuto - uremia - traumi Pericardite purulenta Caratteristica dei processi infiammatori infettivi, acuti. L’essudato può essere liquido o formato da un pus cremoso, con volume che può raggiungere i 500ml. Il pericardio sieroso è rossastro, granuloso e ricoperto dall’essudato. Cause: - presenza di microrganismi infettivi nel cavo pericardico (batteri, funghi, virus) che possono provenire anche da focolai infiammatori contigui Pericardite siero-emorragiche Essudato composto da sangue misto a fibrina o a pus Cause: - trauma - neoplasia maligna che si estende al cavo pericardico. Pericardite caseosa Dovuta all’infezione tubercolare, che raggiunge il pericardio per diffusine diretta da focolai tubercolari nei linfonodi tracheo-bronchiali. Chilopericardite Dovuta ad ostruzione linfatica mediastinica

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Pericarditi croniche In alcuni casi il processo di organizzazione della fibrina può portare a formazione di - placche di inspessimento fibroso delle sierose - formazione di aderenze - completa obliterazione del sacco pericardico con adesione fra il foglietto parietale e quello viscerale → pericardite adesiva Mediastinopericardite adesiva Può fare seguito a pericardite purulenta o caseosa. Il sacco pericardico è obliterato e presenta aderenze con le strutture circostanti. Il cuore è sottoposto ad un notevole incremento di lavoro poiché per contrarsi deve vincere le resistenze offerte dal pericardio parietale e la trazione esercitata dalle strutture circostanti. L’aumento del carico di lavoro comporta ipertrofia e dilatazione cardiaca che possono essere massive e mimare una cardiomiopatia dilatativa Pericardite costrittiva Il cuore è intrappolato in una denso strato cicatriziale del pericardio, fibroso, o fibrocalcifico, dello spessore di 0,5-1 cm., che in alcuni casi può divenire un calco calcifico (concretio cordis). Il cuore è dunque limitao nell’espansione diastolica e la sua gittata cardiaca è severamente ridotta in modo da simulare una cardiomiopatia restrittiva. La principale terapia è la pericardiectomia, cioè la rimozione chirurgica della corazza di tessuto fibroso.

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Il polmone Anatomia normale Il polmone è un organo formato da: - 3 lobi a dx - 2 lobi a sx Sebbene la lingula presente a sx sia l’equivalente del lobo medio a dx, il polmone destro ha volume < rispetto al polmone sinistro. Allo stesso modo il bronco principale dx è più diretto ed allineato con la trachea rispetto al bronco sx (tendenza del materiale estraneo eventualmente aspirata ad entrare nel polmone dx). All’interno del polmone si distribuiscono le vie aeree. Si ha ramificazione e divisione dicotomica dei bronchi principali, a formare bronchi che a loro volta si suddividono in modo dicotomico, dando luogo ad un’estesa arborizzazione. Il diametro e la lunghezza dei bronchi si riducono progressivamente ad ogni successiva divisione, assieme al supporto cartilagineo, che scompare del tutto nei condotti di circa 1mm. Tutti i condotti aerei successivi sono detti bronchioli terminali e sono dunque caratterizzati da: - mancanza di scheletro cartilagineo - piccolo diametro - ghiandole sottomucose nello spessore delle pareti - sono immersi nella matrice connettivale del polmone e dunque il loro diametro dipende strettamente dal volume polmonare. Dai bronchioli terminali hanno origine i bronchioli respiratori, così chiamati perché partecipano agli scambi gassosi; infatti nelle loro pareti si cominciano ad aprire i primi alveoli, il cui numero va aumentando con le successive divisioni, fino a che le pareti dei bronchioli sono quasi del tutto occupate dalle aperture degli alveoli. Queste branche terminali sono dette dotti alveolari e proseguono in un sacco alveolare a fondo cieco, la cui parete è costituita da una successione di alveoli. Si chiama acino polmonare la parte terminale del polmone (bronchioli respiratorisacco alveolare), che è coinvolta attivamente negli scambi gassosi. È detto lobulo un gruppo di 3-5 bronchioli terminali ognuno con il rispettivo acino. La ramificazione delle vie aeree è accompagnata dalla doppia vascolarizzazione arteriosa del polmone: 1. arterie polmonari 2. arterie bronchiali Le vie aeree sono inoltre dotate di: - nervi motori: il muscolo liscio è innervato da fibre del nervo vago (divisione parasimpatica)

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-

nervi sensoriali: nelle giunzioni intercellulari e sotto le cellule epiteliali e sono sensibili allo stiramento ed alle sostanze irritanti.

Mucosa bronchiale: - epitelio colonnare ciliato pseudostratificato - cellule caliciformi muco-secernenti nelle vie aeree con scheletro cartilagineo - cellule neuroendocrine contenenti granuli neurosecretori (serotonina, calcitonina) Pareti alveolari (versante ematico→versante gassoso) - endotelio capillare - membrana basale e circostante tessuto interstiziale: nelle parti più sottili le mbr basali dell’endotelio e dell’epitelio alveolare sono fuse, mentre nelle porzioni più spesse sono separate dall’interstizio polmonare - epitelio alveolare: formato da • Pneumociti di tipo I: appiattiti e sottili, funzionali allo scambio gassoso, ricoprono il 95% della spf delle pareti alveolari. • Pneumociti di tipo II: fonte del surfactante polmonare e principali cellule coinvolte nella riparazione dell’epitelio alveolare dopo eventule distruzione. - macrofagi alveolari: adesi alle cellule epiteliali, o liberi nel lume alveolare Pori di Kohn: perforazioni della parete dei diversi alveoli che permettono il passaggio di batteri ed essudato tra alveoli adiacenti.

1. Danno polmonare acuto In seguito a danno polmonare acuto possiamo avere uno spettro di manifestazioni cliniche, a partire dall’edema e congestione, che dunque possono progredire fino alla sindrome da distress respiratorio acuto e fino alla polmonite acuta interstiziale.

1a. Edema polmonare 1) edema polmonare emodinamico o cardiogeno: è dovuto a scompenso, insufficienza cardiaca sx, o qualsiasi causa che comporti aumento della pressione idrostatica del circolo polmonare con conseguente stravaso di essudato, che avviene prima nelle regioni basali, dove la pressione idrostatica è maggiore. Macroscopicamente: polmoni pesanti ed imbibiti. Istologicamente: - capillari alveolari ingorgati - lume alveolari con eventuali microemorragie e macrofagi ripieni di emosiderina - fibrosi ed inspessimento delle pareti alveolari in caso di congestione cronica. 2) edema da leisoni microvascolari: lesioni dei capillari dei setti alveolari che comportano aumento della permeabilità capillare, con consueguente fuoriuscita di liquidi e proteine nello spazio interstiziale e dunque nello spazio alveolare. Può progredire nel caso di forme generalizzate in sindrome da distress respiratorio acuto.

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1b. Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) Sindrome clinica caratterizzata da danno diffuso dei capillari alveolari. Cause Le principali cause, di cui l’ARDS rappresenta una complicanza, sono: 1. sepsi 2. infezioni polmonari diffuse 3. aspirazione di contenuto gastrico 4. trauma meccanico

Patogenesi Stimoli infiammatori infettivi o non infettivi ↓ Entro 30 minuti: attivazione della risposta infiammmatoria acuta: ƒ produzione di citochine ad azione chemiotattica (IL-8) ƒ produzione di citochine flogistiche (IL-1 e TNF) ƒ sequestro di neutrofili a livello del microcircolo polmonare→marginazione→fuoriuscita nello spazio alveolare→attivazione ↓ liberazione di prodotti da parte dei neutrofili che causano: ↓ danno alla mbr dei capillari alveolari ƒ permeabilità vascolare ƒ essudazione intra-alveolare ƒ perdita della capacità di essudazione ↓ diffusa distruzione tissutale ƒ alterazioni della distribuzione del sulfactante Dunque vi è presenza di uno stimolo che induce danno iniziale che viene amntenuto dalla risposta infiammatoria dell’organismo. L’essudato e la diffusa distruzione tissutale in questo caso non sono facilmente risolvibili ed il risultato è un’organizzazione con cicatrizzazione, che conduce a pneumopatia cronica.

Evoluzione clinica Di solito i pz che sviluppano ARDS sono già ricoverati per una delle condizioni elencate prima. Sintomi precoci: dispnea e tachipnea (difficoltà negli scambi gassosi) Sintomi tardivi: cianosi, ipossiemia ingravescente, refrattaria all’ossigenoterapia, insufficienza respiratoria, che può evolvere in insufficienza multiorgano (MOFS Multiple Organ Failure Sindrome). Radiografia: comparsa tardiva di infiltrazione radiografica diffusa. Istologia: danno alveolare diffuso.

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Morfologia 1. fase acuta. - polmoni pesanti, rossi, imbibiti - edema interstiziale ed intra-alveolare→depositi di fibrina→formazione di membrane ialine (essudato ricco in fibrina, con residui delle cell epiteliali necrotiche) nelle pareti alveolari. 2. fase organizzativa - proliferazione pneumociti II per rigenerare il rivestimento alveolare - organizzazione dell’essudato fibrinoso→fibrosi alveolare→inspessimento dei setti alveolari.

1c. Polmonite acuta interstiziale Lesione acuta del parenchima polmonare con decorso acuto e rapidamente progressivo, simile a quello dell’ARDS. L’eziologia è solitamente sconosciuta, ma spesso segue ad un’infezione delle vie respiratorie superiori (rinite, faringite, laringite) di durata < alle 3 w. I pz presentano un quadro di insufficienza respiratoria acuta. Mortalità del 50% con la maggior parte dei decessi entro 1-2 mesi.

2. Malattia polmonare ostruttiva È caratterizzata da un aumento della resistenza al flusso, dovuto alla parziale o totale ostruzione che si può verificare ad ogni livello. I test di funzionalità polmonare manifestano una riduzione del picco massimo di flusso durante un’espirazione forzata, misurata con il volume espiratorio forzato in 1 sec. Le malattie ostruttive più diffuse sono: 1. broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO): vede frequentemente il sovrapporsi di due patologie con caratteristiche cliniche ed anatomiche distinte: enfisema (a livello acinare), bronchite (a livello bronchiale). 2. Asma: è una patologia totalmente distinta e solo in alcuni casi può sovrapporsi alla BPCO. 3. Bronchiectasia. Il rapporto tra BPCO, enfisema, bronchite ed asma è piuttosto complesso. I pazienti che manifestano segni di bronchite cronica o di enfisema senza ostruzione al flusso aereo hanno una di queste patologie o entrambe ma non la BPCO. La maggior parte dei pazienti con BPCO, che per definizione ha un'ostruzione al flusso aereo, ha segni sia di bronchite cronica che di enfisema. I pazienti affetti da asma caratterizzato da un'incompleta reversibilità dell'ostruzione bronchiale sono considerati affetti da una forma di BPCO (chiamata bronchite asmatica), dal momento che spesso non possono essere differenziati dai bronchitici cronici ed enfisematosi con ostruzione bronchiale reversibile e iperreattività bronchiale. Quelli con ostruzione bronchiale completamente reversibile senza segni di bronchite cronica o di enfisema sono affetti da asma ma non da BPCO.

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2a. Enfisema Ingrandimento anomalo e permanente dello spazio aereo distale ai bronchioli terminali, accompagnata da distruzione delle pareti alveolari, ma senza evidenza di fibrosi.

Classificazione dell’enfisema L’enfisema viene caratterizzato secondo la sua distribuzione anatomica nel contesto del lobulo. 1) enfisema panacinare: gli acini sono uniformemente e tutti dilatati, dal bronchiolo respiratorio fino agli alveoli respiratori. È più comune e grave nelle regioni anteroinferiori del polmone. È associato a deficit di alfa1-antitripsina. 2) Enfisema centrolobulare: coinvolge solo le regioni centrali degli acini, in corrispondenza dei bronchioli respiratori, mentre le regioni terminali sono risparmiate. È più comune e grave nelle regioni apicali del polmone. Colpisce soprattutto i forti fumatori, spesso in associazione a bronchite cronica; costituisce il 95% dei casi di enfisema causante ostruzione di flusso rilevante. 3) Enfisema lobulare distale (parasettale): coinvolge in modo > le regioni distali degli acini, mentre la parte prossimale di solito è risparmiata. Si manifesta in sede sottopleurica o lungo i setti fibrosi interlobulari. Il resto del polmone è spesso risparmiato, cosicché la funzione polmonare può essere ben conservata nonostante molte aree di malattia localmente grave. Questo tipo di enfisema, che interessa spesso gli apici, causa pneumotorace spontaneo nelle persone giovani e può produrre bolle giganti. 4) Enfisema irregolare: l’acino è interessato in modo irregolare in modo invariabilmente associato a fenomeni di cicatrizzazione. Di fatto è la forma più comune di enfisema, perché le lesioni cicatriziali sono un riscontro molto comune in seguito a processi infiammatori guariti. Tuttavia è nella maggior parte dei casi asintomatico e clinicamente irrilevante.

Patogenesi a. enfisema panacinare La teoria più accreditata è che si tratti di uno squilibrio proteasi-antiproteasi, dovuto a deficit genetico di alfa1-antitripsina, e che dunque coinvolge l’intero acino. L’alfa1-antitripsina è una proteina plasmatica sintetizzata dal fegato: si tratta di una proteina dell’infiammazione acuta dato il suo ruolo di grande importanza nella regolazione del processo flogistico. Su tratta infatti di una dei principali inibitori delle proteasi secrete dai neutrofili durante l’infiammazione e dunque anche dell’elastasi, di cui i PMN sono fra i principali produttori e che sarebbe in grado di degradare anche il tessuto polmonare. Si spiega dunque come nei soggeti con carenza di alfa1-antitripsina qualsiasi stimolo in grado di aumentare il numero di PMN nei polmoni e di provocare rilascio dei loro granuli contenenti elastasi, provoca distruzione tissutale incontrollata, perché - è presente una bassa attività anti-proteasica di regolazione - i PMN attivati rilasciano radicali liberi che ↓ l’attività delle poche alfa1antitripsine presenti. b. enfisema centrolobulare In questo caso il fattore eziologico principale è il fumo di sigaretta. Nei fumatori si ha: 50

1. effetto chemiotattico della nicotina su PMN e macrofagi nell’alveolo polmonare: • PMN→ produzione di elastasi → produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROI) che inibiscono alfa1antitripsina • macrofagi → produzione di proteasi resistenti all’azione dell’ alfa1-antitripsina e in grado di esercitare attività proteolitica su alfa1-antitripsina medesima. 2. Presenza di numerosi ROI nel fumo: • inibizione dell’azione dell’ alfa1-antitripsina • consumo del corredo fisiologico di anti-ossidanti presenti a livello polmonare 3. Stimolazione dell’attività elastasica macrofagica da parte del fumo. Il deposito delle particelle di fumo avviene principalmente a livello della biforcazione dei bronchioli respiratori con conseguente aumento dell’attività proteolitica soprattutto centroacinare

Morfologia Macroscopica: - enfisema panacinare: in fase avanzata ↑ volume dei polmoni con parziale sovrapposizione al cuore. - enfisema centroacinare: meno peculiare. Parte superiore del polmone più colpita - enfisema lobulare distale o irregolare: formazione di bolle (blebs), spazi aerei che possono diventare enormi, occupando un intero emitorace. Le bolle possono essere degli spazi completamente vuoti o attraversate da tralci di tessuto polmonare. Microscopica: - alveoli molto dilatati separati da setti sottili - pori di Kohn enormemente ingranditi - presenza di bolle talvolta - spesso bronchioli respiratori e vasi alterati, compressi dall’alterazione enfisematosa.

Clinica -

Dispnea: è il primo sintomo; compare insidiosa, ma è sempre ingravescente. Tosse o sibili: presente di solito tardivamente e con scarso espettorato. Calo ponderale: sempre presente. Cuore polmonare (insufficienza cardiaca dx, dovuta a ipertensione polmonare secondaria) ed insufficienza respiaratoria: in fase terminale ed associati a prognosi infausta.

Il paziente con enfisema tipicamente presenta torace a botte, ed ha imparato a compensare la sua patologia espirando lentamente ed in modo prolungato; si siede dunque con il busto in avanti, in posizione incurvata ed espira attraverso le labbra corrugate. Tipicamente con la spirometria, si vede che il suo massimo flusso espiratorio è diminuito, ma in molti casi attraverso l’iperventilazione la sua ossigenazione può rimanere buona; questi pz sono detti pink puffers.

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2b. Bronchite cronica Condizione caratterizata da una tosse cronica produttiva per almeno 3 mesi di 2 anni successivi, quando altre possibili cause, come le infezioni da Mycobacterium tuberculosis, il cancro del polmone o lo scompenso cardiaco cronico, sono state escluse. È definita: - bronchite cronica semplice: tosse produttiva senza segni di ostruzione delle vie aree - bronchite asmatica cronica: caratterizzata da iperreattività delle vie aeree con broncospasmo intermittente e sibili espiratori. - Bronchite cronica ostruttiva: caratterizzata da ostruzione cronica del flusso. Tipicamente associata all’enfiema nella BPCO.

Patogenesi Sostanze irritanti ( fumo, silicio, polvere di granaglie)che provocano lesione dei bronchi e dei bronchioli ↓ reazione dei PMN con conseguente produzione di proteasi che aumentano il danno ed inducono ƒ reazione metaplastica della mucosa bronchiale: ƒ ipertrofia della ghiandole sottomucose di trachea e bronchi ƒ ipersecrezione di muco delle grandi vie respiratorie ↓ Lesione continua e ripetuta da parte delle sostanze irritanti Sovrapposizione di infezioni batteriche e virali ↓ Piccoli bronchi e bronchioli: ƒ aumento in numero e dimensioni delle cellule caliciformi (metaplasia) ƒ formazione di tappi mucosi nel lume ƒ infiammazione e fibrosi della parete bronchiolare ƒ ostruzione precoce e reversibile ↓ Lesione continua e ripetuta (sosatnze irritanti) ed infezione continua e ripetuta ↓ Bronchite cronica Se la bronchite cronica comporta ostruzione delle vie aeree allora è associata a broncopneumopatia cronica ostruttiva.

Morfologia: Macroscopica: - iperemia→ tumefazione → edema della mucosa (reazione flogistica) - ipersecrezione mucosa o mucopurulenta - bronchioli a volte ripieni di cilindri di materiale purulento Microscopica: - ipertrofia delle ghiandole sottomucose muco-secernenti di trachea e bronchi - ↑ dimensioni e numero delle cellule caliciformi a livello bronchiale e bronchiolare→ eventuale formazione di tappi mucosi

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marcato restringimento dei bronchioli con a volte obliterazione completa per fibrosi → bronchiolite obliterante

Clinica -

Tosse produttiva persistente: è il sintomo cardinale Dispnea: lieve, si sviluppa tardivamente Infezioni: ricorrenti e recidivanti Insufficienza respiratoria con ipossiemia, ipossia e lieve cianosi: compaiono spesso Cuore polmonare: è una complicanza frequente

I pazienti con questo tipo di patologia sono anche detti blue bloater per il qudro di cianosi associato all’espettorazione purulenta.

2c. Asma Malattia infiammatoria cronica delle vie aeree dovuta probabilmente al fatto che l’infiammazione provoca iperreattività bronchiale (broncospasmo) a diversi stimoli, altrimenti innocui. Di solito è associata a broncocostrizione ed ostruzione diffusa e di grado variabile, ma generalmente reversibile spontaneamente dopo adeguato trattaemento.

Classificazione dell’asma Non esiste una vera e propria classificazione dell’asma, ma ve ne sono molte nessuna delle quali è completa. 1. classificazione basata su frequenza e gravità dei sintomi - lieve, moderata e grave - intermittente, persistente 2. classificazione basata sulla terapia - asma steroido-dipendente - asma steroido resistente - asma difficile - asma instabile 3. classificazione su base eziologica - asma estrinseca: iniziata da reazione di ipersensibilità di tipo I, indotta da esposizione ad antigene estrinseco - asma intrinseca: iniziata da meccanismi diversi da quelli immunitari: ingestione di aspirina; freddo; infezioni; irritanti; stress; attività fisica) 4. classificazione in base all’agente scatenante - asma stagionale, indotta dall’attività fisica, farmaco-indotta, professionale, bronchite del fumatore

Patogenesi Le principali condizioni che portano allo sviluppo di asma sono: 1. predisposizione genetica all’ipersensibilità di tipo I: Poiché la maggior parte delle asme è di tipo estrinseco (atopico), un predisiposizione all’ipersensibilità di tipo I comporta è un fattore importante di genesi dell’asma. Normalmente esistono due classi di linfociti, TH1 e TH2, le quali rispondono a stimoli differenti e cosituiscono un circuito di immunoregolazione, per cui le citochine secrete da una delle due classi vanno ad inibire il differenziamento nell’altra classe e viceversa. 53

Probabilmente la predisposizione all’ipersensibilità di tipo I nasce da uno squilibrio della regolazione reciproca: i linfociti TH1 non secernono più le citochine inibitorie della risposta di tipo TH2 e dunque si ha differenziamento delle cellule T francamente deviato in direzione TH2. Questo comporta il facile instaurarsi di: 2. stato di flogosi acuta o cronica delle vie aeree: Lo stato infiammatorio che può essere indotto anche in assenza di una ipersensibilità di tipo I, in risposta a differenti stimoli (infezioni, farmaci, inalazione di sostanze tossiche) è un fattore chiave della patogenesi dell’asma poiché conduce alla sua condizione caratteristica che è quella di una 3. iperreattività bronchiale: aumentato aumento della reattività bronchiale (broncocostrizione, secrezione di muco) in risposta a diversi stimoli. Inoltre sembra sia possibile riscontrare la presenza di modificazioni strutturali delle parete dei bronchioli (includenti ipertrofia della muscolatura liscia bronchiale ed ipertrofia delle ghiandole), a seguito, ma anche precedentemente l’instaurarsi dello stato flogistico. Dunque sembra che questo “rimodellamento bronchiale” possa essere: - una conseguenza dello stato infiammatorio - in alcuni casi un fattore determinato geneticamente che predispone allo sviluppo di infiammazione e dunque di asma. 1. Asma atopica È il più comune tipo di asma ed insorge prevalentemente durante l’infanzia. È frequente un’anamnesi familiare positiva per atopia perché vi può essere una predisposizione genetica a questo tipo di patologie (vedi predisposizione verso la differenziazione in direzione delle cellule TH2). Il modello di patogenesi per l’asma atopica è il seguente: A. sensibilizzazione all’antigene: • • • -

inalazione di antigeni irritanti (allergeni) risposta di tipo TH2 preponderante attivazione delle cellule TH2 e rilascio di citochine, come: IL-4 che induce produzione di IgE da parte dei linfociti B; la porzione Fc delle IgE si viene dunque a legare alla superficie dei mastociti, la cui proliferazione è indotta sempre dall’IL-4 IL-5 che induce reclutamento e proliferazione degli eosinofili

In questo modo la mucosa bronchiale è sensibilizzata all’antigene e pronta ad evocare una risposta infiammatoria in seguito a successivo contatto. B. asma scatenata dalla successiva esposizione all’allergene: a. risposta acuta (entro pochi minuti): • L’esposizione dei mastociti presensibilizzati e ricoperti di IgE al medesimo antigene scatena cross-linking delle IgE e rilascio dei mediatori dei mastociti, che si trovano sulle spf mucose (antigene inalato) • I mediatori provocano - allentamento del le tight junction con passaggio degli allergeni verso i più numerosi mastociti nella sottomucosa - stimolazione diretta dei recettori subepiteliali vagali che provocano broncocostrizione. 54

Effetti complessivi della risposta acuta: - broncocostrizione - aumento della permeabilità vascolare ed edema - ipersecrezione di muco - ipotensione in condizioni estreme (→ edema) b. risposta tardiva (comincia dopo 4-6 e persiste fino a 12-24 h o più) • Il rilascio di citochine dai mastociti nella risposta acuta provoca anche afflusso di altri leucociti, soprattutto eosinofili e loro attivazione. • Si ha rilascio di nuovi mediatori da parte di leucociti, endotelio e cellule epiteliali. Questi mediatori provocano la reazione tardiva o ritardata. - leucocotrieni C, D, E: bronoccostrizione prolungata ed ↑ permeabilità vascolare - acetilcolina; broncocostrizione - istamina: broncocostrizione - prostaglandina D: broncocostrizione e vasodilatazione - PAF: aggregazione piastrinica e liberazione di istamina e serotonina dai granuli piastrinici. 2. Asma non atopica In genere scatenato dalle infezioni dell’apparato respiaratorio, generalmente dovute a virus e dunque alla conseguente flogosi virus-indotta della mucosa respiratoria che riduce la soglia dei recettori vagali subepiteliali per gli stimoli irritanti (iperreattività). Mentre nel caso precedente lo stato infiammatorio era dovuto alla esposizione agli allergeni, qui lo stato infiammatorio è dovuto ad un’infezione virale: c’è un elemento predisponente in meno. 3. Asma farmaco-indotta La più comune è quella indotta dall’aspirina, poiché l’aspirina inibisce la via metabolica dell’acido arachidonico nella sua variante ciclo-ossigenasica, senza tuttavia influenzare la via lipossigenasica e spostando l’equilibrio verso la sintesi di leucotrieni broncocostrittori. 4. Asma professionale Provocata dall’esposizione ripetuta ad agenti irritanti che causa una iperreattività nei confronti dei medesimi

Morfologia Macroscopica: - iperdistensione dei polmoni - occlusione di bronchi e bronchioli da parte di tappi mucosi Microscopica: - tappi mucosi formati da aggregati vorticoidi di cellule epiteliali (→ spirali di Curshmann) - numerosi eosinofili - numerosi aggregati di materiale cristalloide → proteine di mbr degli eosinofili - rimodellamento bronchiale: 55

• • • •

inspessimento mbr basale edema ed infiltrato infiammatorio della parete dei bronchi e bronchioli ipertrofia ghiandole sottomucose ipertrofia parete muscolare liscia del bronco

Clinica Tipicamente si intervallano crisi asmatiche ( specialmente durante la notte o alle prime ore del mattino) tra le quali i pz possono essere del tutto asintomatici. A volte si ha uno stato asmatico prolungato (giorni-settimane) che può portare anche a morte. Attacco asmatico: - dispnea - sibili espiratori - fame d’aria - senso di costrizione - tosse con eventuale espettorazione delle secrezioni mucose (notevole riduzione della difficoltà respiartoria) Diagnosi: analisi dell’espettorato e riscontro di eosinofili, spirali di Curshmann e aggregati cristalloidi Terapia: anti-infiammatoria, per alleviare gli attacchi. Di solito comunque la broncocostrizione è spontaneamente reversibile.

2d. Bronchiectasie Dilatazione permanente di bronchi e bronchioli per distruzione del tessuto muscolare ed elastico, associata ad infezioni croniche necrotizzanti.

Eziologia e patogenesi Può essere associata a : 1. malattie congenite o ereditarie: per esempio fibrosi cistica: difetto genetico nel meccanismo di secrezione dei cloruri ↓ ↓ secrezione di ioni cloruro nel muco e ↓ intake cellulare di sodio ed acqua ↓ accumulo di secrezioni dense e viscose che ostruiscono le vie aeree ↓ ↑ suscettibilità alle infezioni batteriche ↓ ulteriore danneggiamento della parete bronchiale e distruzione del muscolo liscio, dei tessuti elastici e fibrosi ↓ dilatazione dei bronchi ↓ progressiva ostruzione dei bronchi a causa della fibrosi di riparazione 2. stati postinfettivi: per ampia distruzione indotta direttamente dai patogeni o indirettamente dalla reazione infiammmatoria 3. ostruzione bronchiale: neoplasie, corpi estranei, ritenzione di muco 56

Morfologia Macroscopica: - vie aeree dilatate fino a 4x (bronchiecatsie cilindriche→ slargamenti a forma di tubo; bronchiectasie sacculari → slargamenti fusiformi o sacculari). Microscopica - intensa essudazione infiammatoria nelle pareti bronchiali→ desquamazione epiteliale → ulcerazione necrotizzante → aree fibrotiche nei casi più cronicizzati - spesso flora mista che può essere isolata dai bronchi

Clinica -

tosse intensa e persistente con espettorato maleodorante dispnea occasionalmente emottisi a volte febbre , nel caso vi siano patogeni virulenti

Comunque rimane sempre associata ad uno stato infiammatorio che comporta distruzione delle pareti delle vie aeree.

3. Malattia polmonare restrittiva Comprendono un gruppo di malattie caratterizzate da ridotta espansione del parenchima con diminuzione della capacità polmonare totale, e della compliance polmonare, mentre il flusso massimo espirato è normale o proporzionalmente diminuito. Le malattie restrittive si possono osservare generalmente in due condizioni: 1) malattie della parete toracica in presenza di un normale parenchima polmonare→ malattie neuromuscolari come la poliomielite, malattie della pleura. 2) Malattie infiltrative o interstiziali acute o croniche Si tratterà solo delle malattie interstiziali. Acute: se ne è già parlato. Sono classici esempi di questo tipo di patologia l’ARDS e la polmonite acuta interstiziale. Croniche: sono un grande gruppo di malattie caratterizzate dalla compromissione cronica del parenchima polmonare soprattutto a livello interstiziale. Fisiopatologia: impedimento all’espansione dei polmoni, per un aumento della rigidità polmonare dovuto a incremento della componente collagene su quella elastica; ne consegue riduzione della capacità polmonare totale e della compliance polmonare. Manifestazione clinica: dispnea, tachipnea, difficoltà nell’inspirazione, senza sibili o segno alcuno di broncocostrizione. La diffusa fibrosi o cicatrizzazione può provocare restringimento delle arterie con conseguente possibilità di ipertensione polmonare ed insufficienza polmonare destra terminale (cuore polmonare). RX: diffusa infiltrazione dell’interstizio polmonare (da cui il termine malattia interstiziale infiltrativa). Istologia: nelle fasi precoci sono distinguibili, nelle fasi tardive sfociano tutte in cicatrici e distruzione massiva del polmone. In base alle carattersitiche istologiche possono essere classificate in: - malattia cronica polmonare interstiziale fibrosante (fibrosi polmonare) 57

• • • • •

Polmonite interstiziale comune (fibrosi polmonare idiopatica) Polmonite interstiziale aspecifica (fibrosi interstiziale diffusa) Polmonite criptogenetica in via di organizzazione Associata a collagenopatie Pneumoconiosi - malattia cronica polmonare interstiziale granulomatosa • sarcoidosi • polmonite da ipersensibilità - malattia cronica polmonare interstiziale eosinofila - malattia cronica polmonare interstiziale correlata al fumo Patogenesi: indipendentemente dall’agente eziologico noto o sconosciuto di ognuna di queste patologie, si ritiene che la patogenesi di tutte le interstiziopatie converga in un’alveolite, cioè in un infiammazione a livello delle pareti e degli spazi alveolari. Si ha dunque accumulo di cellule dell’infiammazione e immunitarie nella parete e negli spazi alveolari che comporta: - distorsione della normale struttura alveolare - rilascio di mediatori infiammatori con conseguente danno del parenchima Se questo danno e questa condizione infiammatoria è cronica la risposta del tessuto è il tentativo di riaparazione attraverso la formazione di una cicatrice e dunque la fibrosi. FIBROSI POLMONARE

3a. Fibrosi polmonare idiopatica La fibrosi polmonare idiopatica (Idiopathic Pulmonary Fibrosis, IPF), o alveolite sclerosante criptogenica , è un termine che si riferisce ad una specifica sindrome causante il 50-60% di tutti i casi di malattia polmonare interstiziale idiopatica. La IPF ha specifiche caratteristiche cliniche e anatomo-patologiche, perciò questo termine non deve essere utilizzato per descrivere tutte le malattie interstiziali polmonari di eziologia ignota. La polmonite interstiziale comune (Usual Interstitial Pneumonia, UIP), un particolare quadro istopatologico di polmonite interstiziale, è il classico quadro osservato alla biopsia polmonare nella IPF. Il riscontro di questo quadro è necessario ma non sufficiente a fare diagnosi di IPF: un quadro simile infatti si può riscontrare anche in altre patologie (patologia polmonare associata a collagenopatie ed asbestosi).

Patogenesi Gli agenti eziologici sono sconosciuti. Si pensa però che la genesi dell’IPF sia dovuta a cicli ripetuti di infiammazione alveolare acuta (alveolite), provocata da stimoli non identificati. La riparazione del danno provocherebbe proliferazione fibroblastica con formazione di “foci fibroblastici”. Alla formazione di queste zone di proliferazione fibroblastica seguirebbe dunque la fibrosi e dunque la formazione di aree di collagene denso, con perdita della funzionalità polmonare.

Morfologia Macroscopica 58

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spf pleurica con aspetto ad “acciottolato”, per la retrazione cicatriziale lungo i setti interlobulari - la fibrosi del parenchima polmonare è diffusa soprattutto lungo i setti e nelle regioni subpleuriche Microscopica - presenza di fibrosi interstiziale a chiazze, non omogenea - le lesioni fibrotiche variano d’intensità con il tempo. • Lesioni precoci: foci fibroblastici caratterizzati da alta cellularità e proliferazione fibroblastica esuberante • Lesioni tardive: cicatrizzazione e formazione di aree di fibrosi più ricche di collagene e meno cellulari • Infine: la densa fibrosi può provocare collasso della parete alveolare e formazione di aree a nido d'ape, formate da spazi aerei fibrotico-cistici, frequentemente rivestiti da epitelio bronchiolare e pneumociti di tipo II iperplastici (riparazione)e riempiti di muco→ polmone a favo d’api. - infiltrato flogistico lieve delle aree necrotiche La distribuzione sottopleurica e parasettale, il carattere disomogeneo e l'eterogeneità temporale sono le caratteristiche più utili per identificare la UIP.

Clinica Le manifestazioni cliniche della IPF comprendono la dispnea da sforzo, la tosse non produttiva e i crepitii inspiratori simili al suono del velcro all'auscultazione del torace. Nelle fasi avanzate della malattia, possono comparire i segni dell’ipossiemia , l'ippocratismo digitale (perdita del normale angolo a livello del letto ungueale) e la cianosi. Il decorso della IPF è nella maggior parte dei casi progressivo, nonostante la terapia farmacologia e la media di sopravvivenza è < 3 anni. L’unica terapia definitiva è il trapianto di polmone.

3b. Polmonite interstiziale aspecifica Gruppo di malattie interstiziali polmonari diffuse, ad eziologia del tutto sconosciuta. Le biopsie polmonari non riescono a dimostrare un quadro sovrapponibile a nessuna delle patologie interstiziali ben caratterizzate. La diagnosi è molto importante però perché questi pz presentano una prognosi decisamente migliore rispetto ai pazienti con UIP.

Morfologia Flogosi interstiziale cronica lieve o moderata, con distribuzione uniforme. Fibrosi interstiziale diffusa ed uniforme, senza eterogeneità temporale (assenza di focolai fibroblastici)

Clinica Dispnea e tosse per molti mesi. Prognosi decisamente migliore rispetto a quello della UIP.

3c. Polmonite criptogenetica in via di organizzazione La polmonite criptogenetica in via di organizzazione (Cryptogenic Organizing pneumonia COP) è anche detta bronchiolite obliterante evolutiva in polmonite. 59

Clinica: dispnea e tosse Rx: aree non uniformi di addensamento parenchimale in sede subpleurica o peirbronchiale Istologia: fibrosi intralveolare→ formazione di tappi polipoidi di connettivo lasso fibrotico nei dotti alveolari e negli alveoli, mentre la sottostante architettura polmonare è mantenuta normale. Non vi è fibrosi interstiziale o polmonite a favo d’api. Terapia: guarigione spontanea o dopo trattamento steroideo.

3d. Interessamento polmonare nelle collagenopatie vascolari Sclerosi sistemica: malattia cronica ad eziologia sconosciuta caratterizzata da abnorme accumulo di tessuto fibroso nella cute ed in molti organi. Probabilmente è dovuta ad accumulo di risposte immunitarie anomale e danno vascolare, che portano ad accumulo locale di fattori di crescita che agiscono stimolando la produzione di collagene. I polmoni sono coinvolti nel 50% dei pz: può provocare ipertensione polmonare (disfunzione endoteliale vascolare dei polmoni→ vasocostrizione polmonare) e fibrosi polmonare. Il quadro della fibrosi polmonare, quando presente è indistinguibile da quello della polmonite interstiziale aspecifica. Lupus eritematoso sistemico: malattia di origine multifattoriale che vede attivazione delle cellule T helper e B con conseguente produzione di auto anticorpi di diverse specie e che reagiscono contro numerosi organi. Il polmone è frequentemente coinvolto con pleurite e versamenti pleurici e meno frrequentemente con fibrosi interstiziale cronica, che si manifesta istologicamente con un quadro di infiltrati parenchimali disomogeni e transitori. Artrite reumatoide: malattia infiammatoria cronica, dovuta a meccanismi autoimmuni a loro volta scatenati dall’esposizione di un ospite geneticamente sensibile ad un antigene artritogenico. Aggredisce principalmente le articolazioni anche se può colpire in realtà molti organi, fra cui anche il polmone. A livello polmonare può causare: 1. pleurite cronica, con o senza versamento 2. fibrosi interstiziale diffusa 3. noduli reumatoidi intrapolmonari 4. ipertensione polmonare L’interessamento polmonare in queste malattie è solitamente associato a prognosi peggiore, anche se sempre migliore della UIP idiopatica

3e. Pneumoconiosi Termine che comprende uno spettro di patologie causate dall’inalazione di particelle organiche e inorganiche, fumo, vapori chimici.

Patogenesi La patogenesi risulta differente per ogni tipo di pneumoconiosi, ma alcune caratteristiche patogenetiche accomunano tutte queste patologie. Lo sviluppo e la gravità della pneumoconiosi dipendono da: a. quantità di polvere trattenuta nei polmoni: a sua volta influenzata da • concentrazione della polvere nell’aria 60

• durata dell’esposizione • efficacia dei meccanismi di clearance. b. Dimensioni, forma e galleggiabilità delle particelle: le particelle più dannose hanno diametro di 1-5 µm. → riescono a raggiungere gli alveoli e possono localizzarsi nei setti in condizioni normali i macrofagi alveolari sono pochi, ma se la polvere raggiunge gli alveoli il loro numero aumente rapidamente → induzione di una risposta infiammatoria c. Solubilità e reattività biochimica delle particelle Tanto più piccola e più solubile è la particella, tanto più facilmente si scioglie nei liquidi polmonari, raggiungendo rapidamente effetti tossici → danno polmonare acuto Se invece la particella è grande e poco solubile, resiste con facilità alla dissoluzione e persiste nel parenchima polmonare per molto tempo → danno polmonare cronico Il tutto è anche influenzato dalla reattività della particella d. possibili ulteriori effetti di altri irritanti (fumo) Il fumo di tabacco peggiora gli effetti di tutte le polveri minerali inalate, poiché blocca le ciglia dell’epitelio respiratorio e dunque diminuisce la clearence delle vie respiratorie nei cfr delle particelle inalate. Tuttavia il fumo viene ad esercitare il > effetto peggiorativo se sommato agli effetti dell’asbesto. Alcune particelle non vengono ad esercitare solo un’azione irritante locale, ma possono scatenare reazioni infiammatorie sistemiche, una volta raggiunto il circolo linfatico o ematico (direttamente o trasportate dai macrofagi). PNEUMOCONIOSI da MINATORI DI CARBONE Si possono presentare 3 quadri clinici in seguito all’esposizione prolungata a polvere di carbone nelle miniere di carbone: 1) antracosi asintomatica: di comune riscontro in tutti coloro che vivono in un ambiente metropolitano. 2) pneumoconiosi semplice dei minatori di carbone (coal worker’s pneumoconiosis CWP) → scarsa o assente disfunzione polmonare 3) CWP complicata o fibrosi progressiva polmonare (progressive massive fibrosi PMF) → funzionalità polmonare compromessa. Il termine PMF è genereico e caratterizza una condizione istologica che si può verificare come complicanza di qualsiasi pneumoconiosi

Morfologia 1) antracosi: - facogitosi ed accumulo del carbone inalato da parte dei macrofagi alveolari o interstiziali. - Deposito dei macrofagi lungo i linfatici o nel linfoide organizzato lungo i bronchi o all’ilo→ strie lineari ed aggregati di pigmento antracotico nei linfatici e linfonodi polmonari. 2) CWP semplice: - macule di carbone (1-2mm.): macrofagi ripieni di carbone - noduli di carbone (> 2mm.) : macrofagi ripieni di carbone tenuti insieme da una sottile rete collagene

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lesioni distribuite uniformemente nel polmone, ma con > concentrazione nei lobi superiori, soprattutto vicino ai bronchioli respiratori, sede dell’iniziale accumulo di polvere. 3) CWP complicata: - cicatrici nere (> 2 cm e fino a 10 cm) multiple formate da collagene denso e pigmentato, con al centro spesso aree di necrosi - la fibrosi coinvolge gradualmente vasi sanguigni e vie aeree.

Clinica La CWP semplice non si associa ad alcun sintomo respiratorio o la riduzione della funzionalità polmonare è davvero modesta La CWP complicata mostra disfunzione polmonare, ipertensione e cuore polmonare nel 10% dei casi associato a PMF SILICOSI La silicosi, la malattia professionale respiratoria più diffusa al mondo, insorge in genere dopo inalazione prolungata di piccole particelle di silice cristallina libera nelle miniere di metalli (di piombo, antracite, rame, argento, oro), nelle fonderie, nelle fabbriche di ceramica e vetro e nelle industrie estrattive delle rocce arenarie e del granito. Dunque le categorie professionali più a rischio sono minatori e soffiatori di vetro. Di solito, sono necessari 20-30 anni di esposizione prima che la malattia si renda manifesta, sebbene si sviluppi in < 10 anni quando l'esposizione alle polveri è molto alta. Molto meno comunemente, l’esposizione da mesi fino a pochi anni può provocare silicosi acuta.

Patogenesi La silice è presente in forma cristallina e amorfa; le forma cristalline ed in particolare il quarzo che ne è la più diffusa, sono molto più fibrinogeniche di quelle amorfe. Le particelle di silice respirabili sono fagocitate dai macrofagi alveolari: parte dei macrofagi muore per gli effetti tossici della stessa silice ma rimagono macrofagi vitali, nei quali la silice causa attivazione e rilascio di enzimi citotossici e mediatori che inducono fibrosi del parenchima polmonare. Quando un macrofago muore, le particelle di silice vengono liberate e fagocitate da altri macrofagi e il processo può ripetersi. Se unito ad altri minerali il quarzo ha ridotto effetto fibrogenico e questo è importante perché negli ambienti lavorativi esso non è quasi mai puro.

Morfologia Macroscopica - Fasi iniziali: noduli piccoli e ialini appena palpabili nelle zone superiori dei polmoni - Fasi successive: fusione dei noduli fibrotici con formazione di cicatrici dure e fibrotiche che possono presentare rammollimento centrale (sovrapposizione di TBC o di ischemia)→ marcata distorsione dell'architettura polmonare - Eventuale presenza di calcificazioni a guscio d’uovo nei linfonodi: sottili lamine di calcificazioni che circondano aree dove la calcificazione è assente. - Fase terminale: PMF Microscopica 62

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noduli: strati concentrici di collagene ialinizzato circondati da una capsula di collagene più denso.

Clinica I pazienti con silicosi nodulare semplice non presentano né sintomi né, solitamente, compromissione respiratoria. Essi possono lamentare tosse ed espettorazione, ma tali sintomi sono dovuti alla bronchite industriale e si presentano con la stessa frequenza nei soggetti con rx normale. La silicosi a noduli confluenti, al contrario, può determinare grave dispnea, tosse ed espettorato. La gravità dell'affanno è correlata alla dimensione delle masse confluenti nei polmoni. Quando le masse sono molto estese, il paziente raggiunge una grave invalidità. Man mano che le masse invadono e obliterano il letto vascolare, si instaurano ipertensione polmonare e ipertrofia ventricolare destra. L’esordio clinico comunque avviene sempre con dispnea ed avviene negli stati finali della malattia: da quel momento in poi la malattia è progressiva anche se il paziente non è più esposto. La silicosi porta ad aumentata predisposizione alla TBC che molto spesso si sovrappone al quadro di silicosi. Questo avviene perché la silicosi deprime la risposta cellulo-mediata e perché i cristalli di silice inibiscono la capacità, già limitata, dei macrofagi di uccidere i micobatteri. È controverso un eventuale ruolo della silicosi nella patogenesi del carcinoma polmonare.

Malattie legate all’asbesto Asbesto (amianto): cristalli idrati di silice L’esposizione professionale all’asbesto può provocare: - placche pleuriche: placche ben circoscritte di collagene denso e calcio sulla zona anteriore e postero-latreale della pleura parietale e sulla cupola diaframmatica. Non contengono evidenze che le correlino alla patologia da asbesto (corpi asbestosici), ma si manifestano quasi sempre in pz con storia di esposizione all’asbesto. - Fibrosi pleurica viscerale diffusa: molto rara, può portare alla formazione di aderenze polmone-cavità toracica - Versamenti pleurici: solitamente sierosi, a volte ematici - Carcinoma polmonare: rischio 5x nei lavoratori dell’asbesto. Se in associazione con fumo di sigaretta rischio 55x - Mesoteliomi: sono rari tumori del tessuto mesoteliale (pleura e peritoneo). Rischio 1000x. Il fumo di sigaretta non aumenta il rischio

Patogenesi Vi sono 2 distinte forme di asbesto: 1) serpentino: fibre ricche e flessibili, più frequenti negli ambienti lavorativi. La struttura flessibile ed allungata rende più facile il loro intrappolamento nelle vie respiratorie superiori ed eliminazione dall’apparato mucociliare.

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Sono maggiormente solubili, dunque anche se penetrano a livello polmonare, vengono gradualmente eliminati. Di conseguenza sono fibre meno patogene; in elevata concentrazione sono comunque associate a tutte le patologie amianto-correlate, tranne che al mesotelioma 2) anfibolo: fibre dritte e rigide, fragili, meno frequenti negli ambienti lavorativi. La struttura dritta e rigida permette loro di rimanere nel flusso aereo e di essere trasportati in profondità nei polmoni, dove possono penetrare nelle cellule epiteliali e raggiungere l’interstizio. Sono poco solubili, dunque non vengono facilmente eliminati. Di conseguenza sono fibre più patogene, in particolare associate all’induzione di mesoteliomi. Il meccanismo patogenetico è il seguente: arresto delle fibre asbestosiche a livello della biforcazione delle piccole vie aeree ↓ penetrazione delle fibre con lesione ↓ attivazione di macrofagi che tentano di fagocitare ed eliminare le particelle ↓ produzione di citochine pro-infiammatorie (amplificazione della risposta) e fibrogeniche da parte dei macrofagi. ↓ Deposizione di fibrina e instaurarsi di una reazione infiammatoria cronica, dunque persistente, che mantiene lo stimolo flogistico e fibrogenico ↓ Fibrosi interstiziale Se le fibre asbestosiche assorbono sostanze potenzialmente tossiche e cancerogene, come quelle contenute nel fumo, potenziano i loro effetti, trasportandole nella profondità del polmone: è per questo che l’esposizione ad asbesto associata al fumo aumenta in modo così ingente il rischio di carcinoma polmonare.

Morfologia -

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fibrosi interstiziale polmonare diffusa, indistinguibile da quella dovuta ad altre cause patognomonica la presenza in grande quantità di corpuscoli asbestosici: corpi filiformi marroni-dorato, traslucidi. Sono formati da fibre di asbesto ricoperte da materiale proteinaceo contenente ferro. Si formano nel tentativo dei macrofagi di fagocitare ed eliminare le fibre di amianto (ferro dalla ferritina dei macrofagi) inizia intorno ai bronchioli respiratori e poi diffonde a sacchi alveolari ed alveoli, dando luogo ad un quadro molto simile alla UIP: presenza di focolai fibroblastici alternati a vari gradi di fibrosi→ fibrosi diffusa che distorce l’architettura polmonare→formazione di spazi cistici racchiusi in pareti fibrose→ polmonite a favo d’api la caratteristica distintiva è la presenza di corpuscoli asbestosici.

Clinica La dispnea è il primo sintomo ( di solito dopo 10-20 anni dalla prima esposizione). 64

La malattia può rimanere stabile o progredire verso insufficienza respiratoria→cuore polmonare→morte. MALATTIE GRANULOMATOSE

3f. Sarcoidosi Malattia sistemica ad eziologia ignota, caratterizzata dalla formazione di granulomi non caseosi in molti tessuti ed organi. L’interessamento polmonare si può vedere nel 90% dei casi. Prevalenza più alta nelle donne e nei neri americani degli Stati Uniti. È invece molto rara nei cinesi e negli abitanti del Sud Est asiatico.

Eziologia e patogenesi L’eziologia è sconosciuta. Sono stati individuati alcuni fattori sicuramente predisponenti: 1. fattori immunologici: nel granuloma sarcoidotico vi sono numerose alterazioni immunologiche che suggeriscono sviluppo di una risposta cellulo-mediata di tipo TH ad antigeni ambientali, come base per la formazione del granuloma medesimo. Questi fattori sono: - accumulo di cellule T CD4+ - espansione oligoclonale delle cellule T - ↑ livelli di citochine prodotte dai TH1 (IL2→ espansione T-cellulare; IFNγ→attivazione dei macrofagi) 2. fattori genetici: la predisposizione genetica è dimostrata da - raggruppamento di casi in gruppi familiari - associazione con alcuni genotipi HLA 3. Fattori ambientali: ruolo incerto

Morfologia Granuloma non caseoso: caratterizzato dalla presenza di: - cellule epitelioidi molto raggruppate - cellule di Langhans o cellule giganti da corpo estraneo - rara necrosi centrale - reazione fibrosclerotica perifierica o, nelle fasi più avanzate, cicatrici fibrose ialine che sostituiscono completamente il granuloma - corpi di Schaumann: concrezioni lamellari composte da calcio e proteine - corpi asteroidi: inclusioni stellate dentro le cellule giganti. Nessuno di questi reperti è patognomonico di sarcoidosi perché può essere riscontrato anche a livello di altri tessuti. Il quadro suddiviso per i diversi organi interessati è il seguente: a. polmone: macroscopica→ non vi sono alterazioni dimostrabili. Raramente piccoli noduli dovuti alla coalescenza dei granulomi microscopica→ granulomi diffusi soprattutto lungo i linfatici, i bronchi ed i vasi sanguigni. Forte tendenza a guarire delle lesioni a livello polmonare, dunque marcata fibrosi e ialinizzazione b. linfonodi: interessati nel 90% dei casi (soprattutto ilari e mediastinici). 65

Sono aumentati di volume, separati, talvolta calcificati c. milza: coinvolta microscopicamente in ¾ dei casi. Ingrandita macroscopicamente in 1/5 dei casi d. fegato: coinvolto un po’ meno della milza. Può essere leggermente ingrandito e. midollo osseo: frequente sito di coinvolgimento f. lesioni cutanee assumono aspetti macroscopici diversi→ noduli sottocutanei palpabili, placche eritematose leggermente rilevate, lesioni piane un poco arrossate e desquamate g. occhio, ghiandole lacrimali, ghiandole salivari: h. interessamento muscolare: spesso sottodiagnosticato, perché può essere asintomatico

Clinica La malattia ha diverse presentazioni cliniche a causa della varietà di organi e tessuti interessati. Gli esordi clinico più diffuso sono insidiosi e vedono: - alterazioni respiratorie: affaticamento, tosse, dolore toracico - sintomatologia generale: affaticamento, febbre, calo ponderale, anoressia, sudorazioni notturne Il decorso può essere anch’esso molto vario: - progressivo e lentamente peggiorativo - presenza di periodi di acutizzazione alternati a remissione Il 70% dei pz guarisce con reliquati minimi o nulli. 20% guarisce con alterazioni permanenti della funzionalità polmonare o visiva 10-15% morte per fibrosi polmonare progressiva, o più raramente per patologia cardiaca.

3g. Polmonite da ipersensibilità è una malattia granulomatosa interstiziale diffusa del polmone, determinata da una reazione allergica all'inalazione di polveri organiche inalate o, meno frequentemente, di sostanze chimiche semplici. In realtà definisce uno spettro piuttosto ampio di malattie, provocate da prolungata esposizione (mesi o settimane) a polveri. Le più comuni sono: - polmone del contadino: per inalazione di polveri generate dal fieno raccolto umido e tiepido, che ospita e permete la proliferazione di spore di actinomiceti termofili. - Polmone dell’allevatore di piccioni: per inalazione di polveri contenenti le proteine del siero, delle secrezioni o delle piume dei piccioni - Polmone da aria condizionata/umidificatore: inalazione di polveri contenenti batteri termofili presenti nell’acqua riscaldata dei serbatoi. La caratteristica comune è che la sovraesposizione provoca aumento della risposta immunomediata contro l’antigene inalato e dunque infiammazione ed iperreattività che si manifesta a livello alveolare; l’esposizione continua anche successivamente agli attacchi acuti, può determinare progressione verso malattie polmonari croniche 66

fibrotiche. L’allontanamento dall’agente ambientale è una forma di prevenzione sempre efficace, previo sviluppo della forma cronica.

Patogenesi La polmonite da ipersensibilità è considerata immunologicamente mediata, sebbene la patogenesi non sia completamente chiarita. Di solito si dimostrano Ac precipitanti contro gli Ag responsabili, il che depone per una reazione allergica di tipo III, sebbene la vasculite non sia un reperto frequente. La risposta granulomatosa primaria del tessuto e i riscontri nei modelli animali indicano una reazione di ipersensibilità di tipo IV. Si pensa dunque che rappresenti una risposta immunomediata ad un Ag estrinseco che stimoli sia reazione da immunocomplessi, sia reazione di ipersensibilità ritardata.

Morfologia 1) polmonite interstiziale con accumuli di linfociti, plasmacellule e macrofagi (ipersensibilità III) 2) granulomi non caseosi molto frequenti 3) nelle fasi avanzate fibrosi interstiziale ed eventuale bronchiolite obliterante

Clinica Nella forma acuta si manifestano episodi di febbre, brividi, tosse e dispnea in un soggetto già sensibilizzato, tipicamente 4-6 h dopo la riesposizione all'Ag. Possono essere presenti anche anoressia, nausea e vomito. Alla radiografia del torace si vedono infiltrati diffusi e nodulari. Le prove di funzionalità respiratoria mostrano un quadro restrittivo con volumi polmonari ridotti L'ostruzione delle vie aeree è infrequente nella malattia acuta, ma può svilupparsi nella forma cronica. Nella forma cronica, si possono sviluppare nel giro di mesi o anni di prolungata esposizione, dispnea da sforzo ingravescente, tosse produttiva, astenia e perdita di peso; la malattia può evolvere fino all'insufficienza respiratoria. Nella forma cronica non si hanno più riacutizzazioni in deguito all’esposizione all’antigene.

4. Malattie di origine vascolare 4a. Ipertensione polmonare Si parla di ipertensione polmonare quando la pressione polmonare media raggiunge o supera ¼ di quella sistemica (normalmente 1/8). Pressione polmonare normale: 20cm.) ma contenuta interamente nel mediastino (no metastasi). iv. In 1/3 dei casi al momento dell’esordio clinico è presente la sindrome della vena cava superiore che vede reflusso di sangue a livello della vena cava superiore con edema. v. Terapia: prevede la possibilità di tre approcci: • Protocollo CHOP: è molto utilizzato dagli americani ma garantisce solo un 40% di guarigione • Protocollo MACOP-B + radioterapia: è il protocollo più utilizzato in ambito europeo. Garantisce un 80% di guarigioni. • Terapia sovramassimale: prevede trapianto di midollo osseo generalmente autologo e porta a guarigione una percentuale di pazienti di poco maggiore del protocollo MACOP-B vi.

Ricadute frequenti in sedi extranodali: polmone, fegato, reni, intestino, gonadi.

Morfologia -

Cellule di grandi dimensioni. Rima citoplasmatica evidente e chiara Cellule delimitate da ampi tralci fibrosi: sclerosi da compartimentalizzazione.

Sono confusi molto spesso con 1. tumori di derivazione da cellule germinali 2. tumori di origine epiteliale (carcinoma timico nella variante a cellule chiare) data l’aggregazione adesiva delle cellule e la reazione fibrotica.

Fenotipo Marcatori generali B

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Marcatori comuni al DLBCL Bcl-2 (78%) Bcl-6 (55%) IRFA4 (75%) Marcatori comuni al linfoma di Hodgkin CD30 Presente nell’86% dei linfomi a grandi cellule B primitivi del mediastino. È comune anche al linfoma di Hodgkin con il quale è necessaria fare diagnosi differenziale. Mancanza completa di espressione delle Ig. Sono presenti tutti i fattori di trascrizione che dovrebbero portare alla produzione di Ig, ma vi è incapacità della loro produzione, probabilmente a causa di un riarrangiamento. Questo è un carattere in comune con il linfoma di Hodgkin di tipo classico anche se in esso è dovuto ad un difetto trascrizionale e non di riarrangiamento. Marcatori che permettono diagnosi differenziale con LdH CD45+ presente su tutti i leucociti, anche noto come antigene comune ai leucociti (LCA). Non espresso nei linfomi di Hodgkin CD15 tipico dei granulociti. Anche espresso in alcune varianti del linoma di Hodgkin. Marcatori specifici Proteina MAL ( dal nome dello scopritore, Miguel Alonso): è espressa nel 70% dei casi di linfoma a grandi cellule B primitivo del mediastino. Compare difficilmente nei DLBCL e nei linfomi di Hodgkin.

Genotipo Amplificazione di c-rel Costantemente presente l’amplificazione di c-rel, che entra a fare parte della via di traduzione del segnale Nfκβ che conduce all’apoptosi cellulare. Non si tratta dunque di un tumore protetto dall’apoptosi Sovraespressione del gene FIG1 Assolutamente caratteristica e peculiare di questo tumore Anomalia a livello di p9 È un amplificazione a livello del braccio corto del cromosoma 9, con conseguente guadagno, che si osserva anomalia cromosomica ricorrente caratteristica. La firma genomica di questo tumore è assolutamente diversa da quella dei DLBCL, mentre invece anche nella firma genica si ha ampia corrispondenza con i linfomi di Hodgkin.

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Probabilmente tutte e due le patologie derivano da cellule dendritiche presenti: - a livello del timo : sono molto abbondanti e dette cellule B asteroidi - in altre sedi

Linfoma di Burkiit Linfoma di Burkiit tipico (LBT): Clinica: E’ il più aggressivo! 1) Endemico: - In Africa Centrale ovvero in territorio malarico. - Colpisce principalmente i bambini. - Si localizza tipicamente a livello della mandibola e delle Gonadi. 2) Sporadico: - In Occidente. - Età variabile. - Si localizza nell’intestino (tumefazione addominale), gonadi ed SNC (in particolare in corso di HIV). ** I soggetti con infezione da HIV sono la principale categoria a rischio nel linfoma con interessamento del SNC, tanto che nei primi studi sull’HIV era stata ipotizzato il linfoma di Burkitt come causa dell’HIV medesimo. Questa correlazione ha determinato un aumento del numero dei casi di questa forma di linfoma negli ultimi anni, in associazione con l’aumento dell’HIV. E’ altamente invasivo, cresce a macchia d’olio Æ in età pediatrica si tratta con successo con terapie aggressive. (+ arduo in età adulta)

Morfologia: Endemico e sporadico sono istologicamente identici. • • • • • • • • •

Cell con dimensioni simili Diversi nucleoli Cromatina densa e reticolare Rima citoplasmatica estremamente basofila Limiti cell poco definitiÆ simile a un sincizio Numerose mitosi X campo Numerosi corpi apoptotic Macrofagi adibiti allo smaltimento dei corpi mitotici Aspetto a “Cielo Stellato” Æ Dovuto al citoplasma chiaro dei macrofagi

Fenotipo: • •

Bcl-6 e CD10+ Æ Marcatori tipici del centro germinativo Bcl-2¯ Æ Spiega le numerose mitosi osservabili. 240

• •

C-myc+ Mib-1+ 100% Æ ???

Linfoma di Burkiit atipico (LBA): Clinica: Si differenzia per una maggiore differenza di volume cell. Occorre sempre in età adulta. Richiede terapie molto aggressive (megaterapie).

Morfologia: Cell con dimensioni variabili. Alcune cell sono grandi con differenziazione plasmoblastica.

Fenotipo: • • • •

CD10¯ Bcl-6¯ Bcl-2+ Æ ma non soggetto a traslocazione Mib-1+ 90% Æ E’ un valore comunque alto che giustifica le numerose mitosi.

Æ Genotipo: •

Endemico: - Vi è la traslocazione del gene dell’oncogene c-myc vicino al promoter del gene per la porzione costante della catena pesante delle I Ig (t8-14). La sovrapproduzione di c-myc comporta l’entrata in circolo di tutte le cell portanti la traslocazione. - Il genoma cell è EBV+!!!



Sporadico: - Vi è una deregolazione di c-myc causata dalla t.8-14 dalla t2-8 (catena leggera k) o dalla t8-22 (catena leggera λ). - EBV+ negli HIV+ (50%) e negli HIV- (25%).



Atipico: - t8-14 sempre presente!

**Ipotesi sulla patogenesi della forma endemica: Questa forma di tumore è costantemente associata alla coinfezione latente del virus EBV. 241

Secondo un ipotesi del 2004 pubblicata da “the Lancet Oncology” l’integrazione del virus EBV è un fattore predisponente ma non sufficiente per generare da sola il linfoma. EBV ha funzione immortalizzante nei confronti dei linfociti infettati, favorendone la proliferazione, ma vi è necessita di altre interazioni. All’infezione da EBV segue spesso l’infezione da plasmodi, che causano la malaria. La malaria fornisce un’ulteriore spinta proliferativa ai linfociti B, indebolendo oltretutto l’azione dei linfociti T, che eliminerebbero le cellule infette. Segue in molti casi l’infezione da Arbovirus, trasmessa dalle mosche; essa fornisce alle cellule immortalizzate e proliferanti uno stimolo immunitario, cioè le porta ad un processo di maturazione. La maturazione comporta anche processi di ipermutazione e scambio di classe della catena pesante, che aumentano le possibilità di rischio di insorgenza di alterazioni nel DNA, come la traslocazione del gene c-myc. Infine un ulteriore fattore predisponente può essere il contatto con Euphorbia tirucalli, un vegetale utilizzato nella zona africana come medicamento e come gioco. Ognuno di questi fattori è predisponente ad un danno al DNA, non riparato dai sistemi enzimatici cellulari, con conseguente definitiva trasformazione in senso neoplastico: l’insorgenza del tumore è un processo multistep. Ricapitolando…. • • •

EBV: immortalizza le cell Malaria: causa una spinta proliferativa nelle cell dell’ S.I. Arbovirus: anche questi scatenano una proliferazione delle cell dell’S.I.



Euphorbia Tirucalli: vegetale usato come decotto o come gioco dai bambini

inoltre le loro epidemie sono correlate a picchi di LBT.

ed è capace di danneggiare il DNA facilitando le traslocazioni.

Linfoma da cellule mantellari (LCM) *Mantello: Porzione del follicolo non omogenea a causa delle due tipologie di cell presenti; Cell vergini e Cell della memoria. La disomogeneità cellulare è riflessa a livello molecolare, per quanto riguarda l’espressione fenotipica. A dispetto della disomogeneità vi è però un elemento comune. Gli elementi B che entrano nel mantello cominciano ad esprimere la molecola CD5 (molecola che fu individuata come caratteristicamente T dipendente e poi fu trovata espressa anche da alcune popolazioni B). 242

Clinica: • • •

Consiste nel 3-10% dei linfomi non-Hodgkin a livello mondiale (3% USA, 7-9% UE) Colpisce prevalentemente maschi in età avanzata (5°-6° decade di età). Al momento della diagnosi la malattia è già diffusa a livello sistemico interessando: - anello del Waldayer - milza (polpa bianca) - midollo osseo (70%) - componente circolante (10%) - intestino (poliposi linfomatosa di cui è la causa principale!)

Morfologia: • • •

Cell piccole con profilo ripiegato (asse max 8 µm) Nucleo ripiegato Scarso citoplasma

ÆLe cell possono essere di tre varietà:

1. Classico 2. Blastoide: Simile al linfoma linfoplastico (cell precursori) 3. Polimorfa: Più voluminose, simili al linfoma a DLBCL

Æ All’inizio accresce a livello del mantello (crescita mantellare) dopodichè si espande in direzione centripeta verso il centro germinativo formando dei noduli (crescita nodulare). Infine, in una fase tardiva, i noduli si fondono tra loro (crescita diffusa). Nel 70% dei casi la diagnosi avviene in questa fase.

Fenotipo: • •

CD5+ e CD23¯ Æ per distinguerlo dalla leucemia linfocitica cronica Ciclina D1+ (95%) Æ quasi sempre diagnostica per questo linfoma

Genotipo: Si ha una t11-14. Sul cromosoma 11 vi è il gene B1-1 che codifica per la Ciclina D1. Il gene per la Ciclina D1 viene traslocato sul cromosoma 14 finendo sotto il controllo del promoter del gene per la porzione costante delle catene pesanti delle Ig. La sovraespressione del gene comporta una sovrapproduzione di Ciclina D1 che promuove il passaggio G1-S. Bcl-2+ è normale perché sia le cell vergini che le cell della memoria sono cell che devono vivere a lungo e questa proteina li preserva dall’apoptosi.

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Prognosi e Terapia I casi con cospicue frazioni di crescita (Ki-67) nel 50% dei casi muoiono entro l’anno. Questi casi, se trattati in maniera convenzionale, hanno poche chance. In generale possiamo avere due derivazioni utili ai fini diagnostici: • Cell non-mutate (vergini) : 75% dei casi, sono le + aggressive • Cell altamente mutate (cell della memoria): forme meno aggressive Una terapia convenzionale con questo tipo di tumore dà poche possibilità di guarigione. Normalmente vengono soprattutto trattati con terapia sovramassimale.

Linfoma Della Zona Extranodale (LZME) Questi linfomi derivano dalla zona marginale dei follicoli del MALT. La zona marginale è la porzione più periferica del follicolo secondario. E’ molto sviluppata nella milza, nelle placche di Peyer e nei linfonodi mesenterici. In questi organi linfoidi vi è una concentrazione di plasmacellule superiore a quella presente nei cordoni della midollare perché il tratto gastroenterico viene a contatto ripetutamente con elementi potenzialmente infettivi. Æ Il MALT è diviso in due tipi: • Congenito: rappresentato da aggregati linfoidi nella mucosa del tenue e del colon • Acquisito: rappresentato da masse di tessuto linfoide che si possono localizzare in sedi disparate (polmoni, tiroide, ghiandole salivari, stomaco, cute) in seguito a un processo infettivo o autoimmune. Questi due fenomeni possono anche comparire associati. ¾ A seguito del fenomeno flogistico e/o autoimmune si organizza un tessuto linfoide precedentemente assente. ¾ Questo nuovo sistema è organizzato in focolai. ¾ La sua organizzazione interna è differente dalle linfoghiandole. ¾ Possiede sistemi di ricircolo peculiari. ¾ Possiedono componenti linfocitari regolatori (CD4 e CD8 soppressori) Dopo la maturazione i linfociti migrano nella zona marginale e in seguito nei linfonodi regionali. Da questo punto in poi possono intraprendere due vie per maturare a plasmacellule: Æ 98% ritornano nell’organo di provenienza. Æ 2% penetra nel dotto toracico e migra verso disparate zone anatomiche. L’intero processo è regolato dai recettori α4β7 e dalla molecola di adesione MAdCAM-1

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Il 2% degli elementi linfoidi che migra verso sedi anatomiche differenti da quella di provenienza servono per proteggere gli altri organi da una seconda eventuale esposizione all’Ag in una sede diversa da quella del contatto primario. In sostanza cercano di anticipare e prevenire una seconda infezione rendendo immunocompetenti tutti gli organi nei confronti di quel determinato Ag!! Gli LZME sono spessi correlati alla presenza di microrganismi: • Gastrico: Helycobacter Pilorii • Cutaneo: Borrelia Burgdoferi • Oculare: Chlamydia Psittacii • Intestino: Campylobacter Jejuni

LZME Gastrico: Correlazioni con infezione da H. Pilorii Questo linfoma è associato alla formazione di MALT gastrico che causa, a lungo termine, fenomeni autoimmuni. Vi è anche una correlazione con l’infezione da Helycobacter Pilorii in particolare dello stipite CagA+ che risulta essere il più virulento. Questo stipite stimola una massiva produzione di IL-8 che, a sua volta, stimola massivamente l’attività ossidativa dei neutrofili aumentando le probabilità di danno al genoma dei linfociti B! L’infezione da H. Pilorii è causa, più frequentemente, di LZME che di carcinoma a livello gastrico e, nelle zone ad alto tasso d’infezione da questo microrganismo, gli LZME raggiungono il 20% dei linfomi totali! Si è notato che mettendo in coltura le cellule del linfoma da sole esse morivano. Se, invece, le cellule venivano messe in coltura con h. Pilorii ed elementi del sistema T linfocitario (CD40-CD40 ligando/CD153) il tumore proliferava. Ciò portò a scoprire che l’uso della terapia antibiotica volta a eliminare H. Pilorii causa anche remissione del linfoma in una porzione significativa dei casi! Sono documentati anche casi correlati all’infezione da HCV che regrediscono dopo trattamento con ribavirina.

Morfologia Cell di piccola taglia con diversi profili e forme: > simili ai centrociti: confondibili con linfoma mantellare > simili a plasmacellule >… La patologia è la medesima nonostante la forma!

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Vi sono, inoltre, diversi elementi strutturali: ¾ Hanno la tendenza ad aggredire le strutture ghiandolari della mucosa gastrica causando lesioni linfoepiteliali normalmente assenti. ¾ Assumono una distribuzione focale che interessa estesamente il parenchima dell’organo; per questo motivo in passato la gastrectomia parziale risultava inefficace.

Diagnosi e Trattamento Serve l’endoscopia con prelievo di materiale bioptico per verificare il livello di penetrazione nella parete gastrica. ÆLe lesioni molto infiltrative e con interessamento delle linfoghiandola di rado regrediscono con la terapia antibiotica, servono altre soluzioni terapeutiche. In caso di funzionamento dell’antibiotico il linfoma va in necrosi. Dopo è opportuno eseguire biopsie a intervalli regolari per tenere sotto controllo la situazione e prevenire eventuali recidive: • 1° biopsia a distanza di un mese per valutare l’eradicazione del batterio. • 2° biopsia 3 mesi dopo per valutare la risposta del tessuto neoplastico (nel caso non risponda serve il cambio della terapia). • 3° biopsia sempre a distanza di 3 mesi per controllare • 4° biopsia si possono cominciare ad effettuare a intervalli di 6 mesi/1 anno per tutta la vita. In alcuni casi la PCR può evidenziare una piccola banda monoclonale che può rappresentare lo stipite linfoide alterato ma in realtà non è predittivo, serve sempre e comunque la biopsia.

Fenotipo Il marker principe di questa patologia è IRTA-1 espresso dagli elementi della zona marginale.

Genotipo In questo tipo di linfoma si hanno cell che non vanno più incontro a ipermutazioni, le mutazioni somatiche che presentano sono stabili. Vi è un riarrangiamento dei geni per le Ig in particolare per le IgVh in concomitanza con tre differenti tipi di traslocazioni: • t14-18: è una traslocazione differente da quella del linfoma follicolare che porta il gene MALT1 sotto il controllo del promoter delle catene H delle Ig causando la sua sovraespressione. • t1-14: questa traslocazione porta il gene Bcl-10 sotto il controllo del promoter per le catene H delle Ig che porta a una sovraespressione di MALT1 • t11-18: questa traslocazione si riscontra nel 35% dei casi e porta alla creazione di un gene di fusione API1-MALT1 che porta a una sovraespressione di MALT1.

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Tutte e tre le traslocazioni portano alla sovraespressione del gene MALT1 che porta alla sovrapproduzione di NFK-β che protegge la cell dall’apoptosi.

Schema di Isaacsson E’valido nel 55% dei casi perché nel restante 45% la malattia non regredisce in seguito a terapia antibiotica. Vi sono due elementi discriminanti: ¾ Profondità dell’infiltrato ¾ Anomalie cromosomiche I casi in cui la malattia non risponde alla terapia antibiotica sono tre: • La malattia è occorsa in assenza di H. Pilorii • Il linfoma si altamente infiltrativi • Le cellule neoplastiche portino nel loro genoma t1-14 o t11-18

Linfoma di Hodgkin Così chiamato perché scoperto nel Gennaio del 1832 da Thomas Hodgkin, che lo descrisse sulla base di sette casi studiati, dei quali ancora oggi 5 sono validi e sono riconosciuti come casi facenti parti del LH. È un tumore del tessuto epiteliale che è del tutto sui generis in quanto presenta: - molte poche cellule neoplastiche (1-2%) del tessuto esaminato - un abbondante pabulum reattivo che contiene le cellule neoplastiche.

Cellule neoplastiche Sono di due tipi : 1) cellule di Hodgkin: unilobate 2) cellule di Reed-Stenberg: plurilobate Le caratteristiche comuni ai due tipi di cellule sono le seguenti: 1) si tratta di cellule molto grandi (in particolare le cell. RS hanno diametro > 60µm. 2) Hanno nucleoli molto sviluppati che occupano più del 50% della spf del nucleo ed in particolare vi è presenza sempre di un grande nucleolo con le caratteristiche di un inclusione aventi le dimensioni di un piccolo linfocita. 3) La loro particolare morfologia fa sì che ci si possa riferire a loro come a cellule diagnostiche. 4) Sono contenute in un pabulum citologico reattivo (infiammatorio) non neoplastico. Questo fa sì che la loro presenza, sia diagnostica della malattia.

Pabulum reattivo È formato da elementi linfoidi e non linfoidi. Si tratta di un corteo infiammatorio che è dovuto all’elevato scambio di mediatori chimici fra il tessuto neoplastico ed i tessuti limitrofi. 247

I mediatori chimici possono essere prodotti sia da cellule neoplastiche, sia da cellule dei tessuti limitrofi, e possono avere azione paracrina, così come azione endocrina, di autostimolaziione. Bisogna comunque sottolineare che le cellule di accompagnamento contenute nel pabulum reattivo costituiscono la grande prevalenza celllulare e che le cellule neoplastiche si trovano ad essere in netta minoranza.

Istogenesi del LH L’istogenesi del LH è stata a lungo sconosciuta, tanto che inizialmente si parlava di malattia di Hodgkin. Solo in un secondo momento si è scoperta la derivazione linfoide di questa malattia e le si è dato il nome di Linfoma di Hodgkin.

Classificazione del LH Il linfoma di Hodgkin si può sostanzialmente dividere in due tipi principali, a loro volta suddivisibili in sottotipi. A. LH a prevalenza linfocitaria • Nodulare • Diffusa B. LH di tipo comune ( di più frequente osservazione • Forma ricca di linfociti (RL): la componente reattiva è rappresentata da linfociti • Forma a sclerosi nodulare (SN): vi è tendenza della popolazione reattiva e neoplastica ad aggregarsi in noduli circondati da tralci fibrosi molto grossolani • Forma a cellularità mista (CM): pabulum molto ricco con popolazione reattiva molto varia. • Forma a deplezione linfocitaria (DL) la componente reattiva ha pochi linfociti. Linfoma di Hodgkin a prevalenza linfocitaria -

è una varietà rara che costituisce il 4-5% dei casi di LH. Le caratteristiche cliniche distintive sono: I. picco di incidenza verso i 40 anni → distribuzione unimodale che è rappresentabile con una curva gaussiana. II. Tendenza alla diffusione nell’organismo uguale a quella dei LNH. Il LH non insorge mai primitivamente nel midollare ma sempre in una linfoghiandola e da qui può quindi distribuirsi variamente all’organismo. III. Decorso indolente.

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IV. Spesso presenta recidive a distanza di anni dal momento della remissione completa (anche dieci anni o più), ma la prognosi è migliore di quella della forma comune. V. La malattia ha evoluzione trpida che dunque non progredisce in modo rapido e sistematico. VI. Nella sua evoluzione può anche progredire in un linfoma a grandi cellule B secondario. Dunque questa forma di tumore ha un decorso clinico del tutto peculiare, per molti lati dissimile da quello della forma comune del linfoma di Hodgkin. Quindi il problema nel trattamento di questa forma è rilevante. Su di esso vengono applicate le medesime terapie utilizzate per la forma comune ma si tratta molto speso di terapie sovradosate. Nella terapia vengono utilizzati farmaci tossici che a loro volta possono essere causa di tumori secondari. Attualmente è in via di definizione una terapia ottimale nel rapporto costi/benefici.

Forma nodulare Costituisce l’80% delle forme a prevalenza linfocitaria. È caratterizzata dalla presenza di un infiltrato di noduli costituiti da piccoli linfociti B (cellule di accompagnamento)frammisti ad un numero variabile di istiociti benigni ed alle cellule neoplastiche. Cellule neoplastiche: le cellule diagnostiche qui sono molto difficili da ritrovare e sono invece più comuni cellule definite cellule pop-corn. Le caratteristiche delle cellule pop-corn sono le seguenti: - cellule voluminose. - Presenza di un nucleo polilobato ed alla periferia policiclico., simile ad un nocciolo di pop-corn. - Nucleoli appariscenti - Cromatina finemente dispersa. - Citoplasma relativamente abbondante Le cellule pop-corn sono cellule neo-plastiche e sono le cellule che si riscontrano più comunemente nel nodulo. I noduli delle forme a prevalenza linfocitaria entrano in diagnosi differenziale con l’involuzione del centro germinativo. Terminata la sua funzione infatti il centro germinativo evolve in diversi modi uno dei quali viene definito, centro germinativo progressivamente trasformato. La denominazione è infausta poiché fa pensare ad una trasformazione neoplastica, quando in realtà si tratta di una normale involuzione del centro germinativo e sua sostituzione con linfociti del mantello. La diagnosi differenziale sembra facile, poiché nel LH a prevalenza linfocitaria vi è presenza delle cellule pop-corn, che sicuramente sono assenti nell’involuzione normale del centro germinativo.

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Tuttavia la diagnosi differenziale è complicata dal fatto che può capitare di vedere le due strutture contemporaneamente in un medesimo linfonodo. Si possono trovare soggetti: - soggetto con un linfoma di Hodgkin che nella precedente biopsia mostrava centri germinativi progressivamente trasformati. - Soggetto nel quale il linfoma di Hodgkin sia stato trattato con successo, che nelle biopsie successive presenta centri germinativi progressivamente trasformati. Questo ci porta a concludere che sebbene il centro germinativo progressivamente trasformato non sia un elemento neoplastico, né sia la causa del LH a prevalenza linfocitaria, costituisce tuttavia un fattore di rischio, che può involvere in questa forma di tumore.

Forma diffusa Costituisce il 20% delle forme a prevalenza linfocitaria. È dovuta alla diffusione ed alla fusione dei diversi noduli contenenti cellule pop-corn, dunque la sua realizzazione spesso rappresenta una progressione della malatia. La progressione biologica e clinica comporta anche ad una variazione delle cellule reattive di accompagnamento: - perdita delle cellule follicolari dendiritiche - mutazione Linfociti B → Linfociti T. Questo porta ad una necessaria diagnosi differenziale con il T cell rich B linphoma (linfoma a grandi cellule B ricco in linfociti T). Oggi esistono marcatori molecolari che consentono una distinzione con questo tumore ( e con altre forme di tumori): ciò è molto importante da un punto di vista terapeutico perché il linfoma a grandi cellule B ricco in linfociti T è molto più aggressivo e va dunque trattato diversamente.

Immunofenotipo delle forme a prevalenza linfocitaria -

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Ag comune linfocitario: questo è un Ag molto espresso dagli elementi emolinfopoietici e presente anche nelle cellule pop-corn. Costituisce inoltre un elemento distintivo, poiché la varietà comune manca di esso. Marcatori dei linfociti B: • CD20→ cellule pre-B e cellule B mature non plasmacellulari. • CD79→ cellule pre-B e cellule mature EMA ( Epithelial Mbr Antighen) o Ag epiteliale di membrana: scoperto per la prima volta su elementi epiteliali, ma non ristretto agli stessi. È caratteristico del linfoma di Hodgkin. Bcl-6: molecola che connette il linfoma di Hodking alle cellule del centro germinativo. Questa correlazione è confermata da dati di biologia molecolare. Oct-2, BOB1, PU1 sono molecole facenti parte di un sistema trascrizionale che codifica per i geni che regolano la trascrizione delle Ig. È integrato ed altamente conservato.

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Le cellule neoplastiche (forma nodulare) si trovano immerse in un pabulum reattivo costituito da linfociti, principalmente B, ma anche linfociti T. In particolare nell’intorno della cellula neoplastica vi è una rosetta di cellule che non esprimono i marcatori B. Si tratta di una rosetta di T linfociti (esprimenti CD57) e di cellule follicolari dendritiche, presenti in grande quantità, le quali confermano la correlazione fenogenetica del tumore con le cellule del centro germinativo.

Genotipo delle forme a prevalenza linfocitaria La derivazione da cellule del centro germinativo è confermata d studi di biologia molecolare. Solitamente gli studi di biologia molecolare sono compiuti tramite estrazione del DNA o dell’mRNA neoplastico, dal campione patologico, poiché le cellule neoplastiche sono le cellule prevalenti nei campioni. In questa forma di linfoma però le cell. neoplastiche rappresentano solo l’1-2% delle cellule presenti, dunque l’estrazione di DNA o mRNA dal campione porta lettura del genotipo solo degli elementi reattivi. Dunque deve essere utilizzata una metodologia differente: 1. le cellule sono scontornate: dunque vengono prelevate da materiale fresco crioconservato singole cellule tumorali. 2. una decina di cellule neoplastiche sono poste in provetta 3. Dunque viene fatta estrazione del DNA o dell’mRNA solo da cellule tumorali. DNA: il processo di processazione dl DNA e riconoscimento del profilo di espressione genica è stato del tutto completato. Si è utilizzata single-PCR cioè reazione polimerasica a catena sul DNA estratto da singole cellule. Ciò permette i capire che le cellule neoplastiche del LH a prevalenza linfocitaria sono: a. tutti linfociti B b. monoclinali c. portano molte mutazioni somatiche le quali spesso sono in fieri e non del tutto completate (iopening mutations). Tutto ciò permette di ricondurre questo tumore ad una derivazione dalle cellule del centro germinativo. De resto il CG da origine a molti tumoi di diversa natura proprio per la sua intrinseca instabilità.

Terapia Viene erroneamente affermato che dal linfoma di Hodgkin si guarisce con grande frequenza. In realtà il 30% dei pz con LH non risponde alla terapia e va incontro a morte.

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Questo è vero in particolare modo per il tipo comune di LH, che è anche quello di assoluto maggiore riscontro. LH a prevalenza linfocitaria → se recidiva (cosa abbastanza frequente) risponde nuovamente alla medesima terapia. LH di tipo comune → non sempre risponde alla terapia: - fin dall’inizio - dopo recidive: esse non rispondono a terapie anche sovramassimali. - Andamento strisciante: nonostante la terapia il tumore rimane torpido o crea uno strano equilibrio con l’ospite. Attualmente si sta cercando di raccogliere una casistica ampia di pz che non rispondono con successo alla terapia in modo da creare un confronto efficace fra: - profilo di espressione genica dei pz che rispondono alla terapia - profilo di espressione genica dei pz che non rispondono alla terapia. La terapia del LH si è cmq molto modificata dagli anni 60 in poi: -

-

una volta veniva utilizzata la terapia MOPP: questa sembrava dare un enorme numero di risultati positivi, ma successivamente ha determinato un 20% di tumori secondari di altro tipo. Attualmente si sta ancora studiando la terapia. Il linfoma di Hodgkin presenta ancora problemi e ciò è dimostrato dalla larga fetta di persone non responsive alle terapie, nonostante la prevalenza di una prognosi positiva.

Linfoma di Hodgkin di tipo comune Presente in 4 varietà istologiche fondamentali: -

ricco in linfociti RL a sclerosi nodulare SN a cellularità media CM a deplezione linfocitaria DL

le quali presentano un progressivo aggravamento da un punto di vista prognostico. La distribuzione con l’età è bimodale, dunque vede due picchi: - nel passaggio fra la seconda e la terza decade : fra i 16 ed i 25 anni - nel passaggio fra la sesta e la settima decade: fra i 60 ed i 70 anni Questa forma di neoplasia presenta una possibile correlazione con il virus EBV e ciò è dimostrato dall’età prevalente di manifestazione del tumore: Il primo picco del tumore si ha infatti nell’età in cui si ha più frequentemente il primo contatto con EBV, e si contrae inizialmente la mononucleosi infettiva. 252

Il secondo picco del tumore si ha invece ad un età in cui si ha spesso un fisiologico abbassamento delle difese immunitarie, con conseguente riattivazione del virus latente. La modalità di diffusione di questo tumore è ordinata e progressiva (sulla base del postulato di Kaplan???) Questo significa che il tumore ha inizio da una stazione linfonodale e progressivamente, seguendo l’andamento della linfa coinvolge i nuovi linfonodi. È proprio sulla base di questa diffusione ordinata e progressiva del LH di tipo comune che è stata enunciata una stadiazione dei tumori,che risulta applicabile a molti tumori, ma valida soprattutto per il LH di tipo comune. Grado I: interessamento di una sola regione linfonodale (I) o interessamento di un singolo organo o sito extralinfatico (IE). Grado II: interessamento di due o più regioni linfonodali dal medesimo lato del diaframma (sotto o sopra) (II) o interessamento del solo organo e tessuto extralinfatico contiguo (IIE) Grado III: interessamento delle regioni linfonodali su entrambi i lati del diaframma (III), o interessamento che comprende la milza (IIIs), o/e interessamento che comprende il solo organo o sito extralinfatico contiguo (IIIE, IIIES). Grado IV: focolai multipli e disseminati di interessamento di uno o più organi o tessuti extralinfatici, con o senza coinvolgimento linfatico. Questa stadiazione comporta il fatto che non vi può essere coinvolgimento contemporaneo di un solo linfonodo e del midollo osseo. La milza viene a costituire un coinvolgimento importante. Naturalmente via via che si avanza di grado si hanno prospettive prognostiche peggiori. La stadiazione è dunque predittiva della prognosi e molto importante da un punto di vista terapeutico. Essa richiede un attento esame obiettivo e diagnostico, comprendente procedure di imaging radiologico dell’addome, della pelvi e del torace nonché biopsia del midollo osseo.

LH di tipo comune ricco in linfociti È una forma rara di LH di tipo comune. Veniva in passato inserita nella più ampia categoria di LH a prevalenza linfocitaria, poiché le cellule di accompagnamento sono piccoli linfociti. Ha assunto successivamente autonomia poiché: - non ci sono cellule pop-corn - le cellule diagnostiche sono di frequente osservazione e non eccezionali. - L’espressione fenotipica è quella del normale LH. Risulta tuttavia necessaria diagnosi differenziale con LH a prevalenza linfocitaria.

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Nella maggior parte dei casi i linfonodi sono infiltrati diffusamente, però può essere a volte osservata vaga nodularità. È associata all’EBV nel 40% dei casi ed ha una prognosi da molto buona ad eccellente.

LH tipo comune a sclerosi nodulare È la forma più comune costituendo il 65-70% dei casi. Presenta varietà di distribuzione geografica con grande prevalenza in Italia, Francia U.S.A. Nel Nord Europa invece rappresenta solo un 20-30% dei casi di LH. Interessa prevalentemente giovani donne. Nella maggior parte dei casi esordisce con una massa neoplastica mediastinica, il che dimostra una correlazione con il linfoma a grandi cellule B di tipo diffuso a prevalenza mediastinica. L’integrazione del virus EBV è dimostrata nel 33% dei casi, fra cui la quasi totalità dei casi presenti in Africa. La morfologia di questo tumore è caratterizzata da: 1) struttura del linfonodo con • aggregati nodulari • reazione fibrotica ordinata, con formazione di bande di sclerosi, che di solito originano dalla capsula, che circondano e dividono i noduli. 2) si trovano poche cellule diagnostiche 3) si ritrova grande prevalenza di un tipo particolare di cell. neoplastiche, le cellule lacunari, caratterizzate da: • un solo nucleo, leggermente ripiegato o multilobato. • Citoplasma chiaro con pochi organuli. • Se si esegue trattamento con mezzi chimici aggressivi il citoplasma si raddensa intorno al nucleo, lasciando lacune nello spazio citoplasmatico (artefatto di fissazione, che attualmente non si riscontra più, per l’uso di mezzi chimici più delicati). 4) il pabulum è molto variabile e le cellule neoplastiche sono circondate da un vero e proprio corteo di cellule reattive: linfociti, plasmacellule, eosinofili, macrofagi.

Grading del LH-SN Fornisce fattori prognostici: SN di tipo I: - più comunemente poche cell. neoplastiche in abbondante pabulum reattivo.

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SN di tipo II: - Si verifica quando si presenta un quadro citologico differente; noduli che contengono molte cellule neoplastiche e molte cellule fibrose o istiocitarie. -

più dell’80% dei noduli deve avere composizione fibro-istiocitaria. Più del 25% dei noduli deve avere prevalenza di cellule neoplastiche

È più aggressivo e richiede dunque un trattamento diversificato.

Linfoma di tipo comune a cellularità mista Costituisce circa il 25-30% dei casi di linfoma. È di più comune osservazione nei soggetti di sesso maschile. Il coinvolgimento linfonodale prende la forma di un coinvolgimento più o meno diffuso e più o meno composto della struttura delle linfoghiandole. L’infiltrato cellulare è molto eterogeneo comprendendo: piccoli linfociti, eosinofili, macrofagi, plasmacellule, frammiste a cellule neoplastiche. Le cellule neoplastiche in questo tumore sono facilmente identificabili, ma non prevalenti. Vi è un maggior numero di cellule di Reed-Stenberg. Vi è integrazione del virus EBV nel 90% dei casi. La prognosi è molto buona

Linfoma di tipo comune a deplezione linfocitaria È molto raro venendo a costituire meno del 5% dei casi di linfoma. È caratterizzato dalla scarsità di linfociti contrapposta ad una relativa abbondanza di cellule neoplastiche.

Ve ne sono due sottotipi: 1. fibroso o fibro-istiocitario: composto da fibroblasti e da cellule istiocitarie. 2. sarcomatoso prevalenza di cellule neoplastiche Queste due varianti sembrano riunire quella che è l’istologia del linfoma di tipo comune a sclerosi nodulare di tipo II: la differenza fra questa due forme è però fondamentale perché nel linfoma DL non vi è presenza di noduli. La componente fibrosa o sarcomatosa si diffonde in modo uniforme in ogni tessuto interessato dal tumore, sostituendosi omogeneamente ai linfociti, senza dare luogo ad alcun aspetto nodulare. Questo linfoma è un linfoma più aggressivo e con prognosi meno favorevole dei precedenti. In particolare la forma sarcomatosa, che è la più aggressiva, entra in 255

diagnosi differenziale con il linfoma a grandi cellule B di tipo diffuso e con il linfoma a cellule anaplastiche. DL va riconosciuto, perché si tratta invece di una forma più aggressiva. È spesso associato con l’integrazione del virus EBV.

Fenotipo del Lh di tipo comune CD30+: i linfomi di Hodgkin di tipo comune hanno costante espressione di questa molecola, inizialmente descritta come caratteristica esclusiva dei LH su “Nature”.

In realtà anche se questa molecola è sempre presente nei Lh di tipo comune, non è ristretta ad essi. Si può trovare anche in situazioni neoplastiche linfoidi di altro genere o in espressioni non neoplastiche. È infatti una molecola caratteristicamente espressa da elementi linfoidi attivati celllule B attivate, cellule T e monociti). È espressa in modo variabile anche dalle cellule diagnostiche. Può essere utilizzata anche come bersaglio terapeutico di Ac monoclinali. Si tratta di una immunoterapia ancora gestita da un numero limitato di centri ed utilizzata come terapia integrativa, volto all’eliminazione di malattia residua. La sua espressione nel linfoma di Hodgkin va di pari passo con la negatività dello stesso per: Ag comune linfocitario – Ema espressa eccezionalmente. CD15+: è una molecola normalmente espressa dai granulociti. È presente almeno nel 75% dei Lh di tipo comune. CD45 – questo differenzia nettamente la forma a prevalenza linfocitaria da quella di tipo comune. Marcatori di linea B (CD20, CD79) o di linea T: - 75% dei casi fenotipo NULL: negatività per l’espressione di marcatori B e T - 23% dei casi espressione di marcatori prevalentemente di tipo B - 1-2% dei casi espressione di marcatori di linea T: si tratta di tumori spesso non coerenti anche con le altre caratteristiche molecolari di questo tumore. BSAP (B Specific Activator Protein)+: È una molecola molto espressa fin dalle fasi più precoci dello sviluppo degli elementi B. Si tratta infatti della prima molecola specifica espressa dai linfociti B, che si mantiene fino al livello di plasmacellule. Il 98% dei Lh di tipo comune esprime questa molecola nelle cellule tumorali diagnostiche. Dunque la maggior parte dei casi riconosce in questo modo una derivazione delle cellule neoplastiche dai linfociti B. Questo marcatore è importante perché invece, come si è visto, molto spesso il fenotipo per i marcatori di linea B o T è null, e per le diagnosi differenziali con gli altri tipi di tumori.

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Bcl6 – Oct-2, BOB1, PU1 -: manca il sistema trascrizionale tipico dei tumori a prevalenza linfocitaria. IRF4+ indicativo del fatto che le cellule neoplastiche derivano da elementi B che hanno già lasciato il centro germinativo.

Genotipo del LH di tipo comune Viene utilizzata nella maggior parte dei casi, la tecnica di isolamento delle cellule tumorali già menzionata per il LH a prevalenza linfocitaria.

La single PCR mostra che nella maggior parte dei casi sussistono riarrangiamneti clonali dei geni per le immunoglobuline il che conferma che il tumore tragga origine dalle Ig che hanno già attraversato il centro germinativo. Solamente nell’1-2% dei casi vi è un riarrangiamento dei geni per il TCR, il che conferma l’occasione derivazione degli elementi neoplastici dai linfociti T.

Cinetica cellulare La cinetica è connessa con lo studio della frequenza di proliferazione e di apoptosi di un dato tipo di cellule.

Le cellule neoplastiche del Lh di tipo comune presentano citocinesi inefficiente. Si ha che il 60-90% delle cellule neoplastiche esprime Ag legati alla proliferazione celllulare. Secondo questo dato, dunque le cellule neoplastiche dovrebbero rapidamente soverchiare le cellule reattive, ma ciò non avviene. Questo si spiega attraverso la dimostrazione del fatto che le cellule sono in ciclo, ma si trovano congelate in ciclo: solo una piccola parte arriva alla fase terminale del ciclo e dunque va incontro a reale moltiplicazione. In compenso si tratta di cellule molto protette dall’apoptosi, con basso indice apoptotico. Questo consente una loro, seppur modesta, crescita. Il fatto che la maggior parte delle cellule si trovi in ciclo, rende le cellule sensibili ai farmaci ciclo-specifici. Lo studio della cinetica cellulare prevede la valutazione dell’espressione di Bcl-2 ( che ha attinenza con la protezione dall’apoptosi) e di p53 ( che si collega ad una citocinesi inefficace, bloccando le cellule in un punto del ciclo). I casi che vedono espressione di p53 e contemporaneamente di Bcl-2 hanno comportamento più aggressivo: in questo modo questi elementi concorrono alla identificazione di un rischio individuale. 257

Connessione con EBV Il virus di Epstein-Barr si trova integrato nel menoma delle cellule neoplastiche in una quota notevole di casi: - 33% dei casi in forma SN - 40% dei casi in forma RL - 90% dei casi in forma CM Le cellule neoplastiche con integrazione di EBV esprimono le LMP (Late Membrane Protein) che, stimolando la produzione di NFK-β, sono in grado di indurre la proliferazione cellulare e proteggere le cell dall’apoptosi; sono dunque oncotrasformanti. Nei casi in cui EBV si trova ad essere integrato, dunque, esso viene a fare parte della linfomagenesi. Attualmente è in discussione l’utilità preventiva di una eventuale vaccinazione contro EBV per prevenire il linfoma di Hodgkin. L’associazione tra EBV ed il tumore è confermata da dati epidemiologici di conferma: - soggetti ce hanno contratto la mononucleosi infettiva hanno maggiore probabilità di ammalarsi di LH. - LH presenta spesso andamento stagionale, con maggiore insorgenza in primavera. Inoltre alla correlazione con EBV è stato riconosciuto un significato prognostico: a. EBV contratto in età giovanile: non vi è significato prognostico negativo. b. EBV contratto in età senile: fattore prognostico molto negativo.

Terapia È auspicabile che le tecniche di gene expression profiling consentiranno di fare un confronto tra le mutazioni genetiche presenti: - nei casi che rispondono alle terapie - nei casi che non rispondono alle terapie. Attualmente però il profilo di espressione genica è stato studiato su un numero di linee cellulari troppo limitato, che non rispecchia la varietà e la casistica dei linfomi di Hodgkin presenti in realtà. Per il momento questi studi, hanno dimostrato la notevole diversità dei linfomi a prevalenza linfocitaria, con i linfomi del tipo comune e questo porta ad avere dei dubbi sull’ attuale protocollo terapeutico, che prevede la somministrazione della medesima terapia ad entrambe le forme, dove quella a prevalenza linfocitaria è sicuramente meno aggressiva.

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Tumori dell’ipofisi Cenni strutturali: Organo dalla forma circa di un fagiolo. - Dimensioni: diametro 1cm. aumenta nel periodo gravidico - Peso: 0.5g. - Localizzazione: alla base del cranio, all’interno della sella turcica, nelle vicinanze del chiasma ottico e dei seni cavernosi. - Collegata all’ipotalamo attraverso il peduncolo ipofisario, che fuoriesce dalla sella turcica mediante un foro della dura madre. - Funzione: con l’ipotalamo regolazione delle altre ghiandole endocrine. Suddivisione dell’ipofisi: L’ipofisi è suddivisa in tre parti principali: 1. lobo anteriore o adenoipofisi: • parte distale: componente più importante • parte intermedia • parte tuberale: localizzata sulla spf del peduncolo ipofisario. 2. zona intermedia: residui cistici della tasca di Rathke 3. lobo posteriore o neuroipofisi: • infundibulo • peduncolo • lobo posteriore

Adenoipofisi Costituisce circa l’80% della ghiandola Deriva embriologicamente dalla tasca di Rathke (estroflessione della cavità orale, dalla quale viene separata dalla progressiva crescita dell’osso sferoidale) Dotata di un sistema vascolare di tipo portale che costituisce il mezzo di trasporto degli ormoni ipofisari, ma anche ipotalamici. Tipi cellulari dell’adenoipofisi

Classificazione su basi tintoriali - Cellule cromofobe (50%). Assumono pochi coloranti. Non producono ormoni o li -

producono, ma li rilasciano con eccessiva velocità. Cellule acidofile (40%). Assumono coloranti acidi. Cellule basofile (10%). Assumono coloranti basici.

È una classificazione desueta, poiché oggi si sa che l’affinità ai coloranti è espressione solo della loro funzionalità secretoria cioè dei granuli contenuti. Dunque la cellula cromofoba è semplicemente una cellula non secernente o secernente troppo in fretta, ma ciò non ha grossa rilevanza da un punto di vista clinico-patologico.

Classificazione funzionale È quella attualmente utilizzata: riflette la classificazione dei tumori.

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1. Cellule gonadotrope (10%) (FSH-LH): • sono cellule solitamente basofile • producono FSH → stimola la formazione dei follicoli ovarici • producono LH → induce l’ovulazione e la formazione del corpo luteo. 2. Cellule tireotrope (5%) (TSH) • Sono cellule solitamente debolmente basofile. • Producono TSH → ormone tireo-stimolante 3. Cellule somatotrope (50%) (GH) • Sono cellule solitamente acidofile. • Secernono GH → ormone della crescita 4. Cellule lattotrope (mammotrope) (20%) (PRL) • Sono cellule solitamente acidofile • Secernono prolattina → ruolo essenziale nella lattazione 5. Cellule corticotrope (15-20%) (ACTH) • Sono cellule solitamente basofile. • Secernono principalmente ACTH → ormone adenocorticotropo • Ma anche propiomelonocortina, MSH (ormone stimolante la crescita dei melanociti), endorfine, lipotropina.

Adenomi dell’ipofisi -

incidenza: 10-25% dei tumori intracranici età: soprattutto donne fra la 3° e la 6° decade di età; il tumore può insorgere anche correlato alla gravidanza ed è frequente data l’alterazione ormonale. Dopo gli 80 anni è colpito un 20% dei soggetti I sintomi clinici sono: cefalea, deficit visivo, incoscienza. Numero: meno dell’1% è dato da tumori multipli

La distinzione di questi tumori può essere fatta in base a tre caratteristiche: 1. dimensione del tumore: • Microadenomi: diametro < 1 cm. • Macroadenomi: diametro > 1 cm. 2. benignità o malignità: • Benigni: comportamento usuale • Maligni: forme molto rare che sono solitamente localizzate nello spazio subaracnoideo, e che possono dare metastasi a distanza. 3. invasività: • non invasive: localizzate all’interno della sella turcica • invasive: ƒ Generalmente di maggiori dimensioni ƒ Hanno maggiore probabilità di dare sintomatologia evidente ƒ Sono loco-regionali nell’esordio 260

ƒ ƒ ƒ

Successivamente infiltrano dura madre, pavimento della sella turcica, seno sferoidale, nervi, dunque interessano le varie strutture all’interno della sella. L’invasività determina una prognosi peggiore Il trattamento terapeutico è più complesso

4. funzionalità: • Adenomi ipofisari silenti: ƒ vi è dimostrazione immunoistochimica e/o ultrastrutturale della produzione ormonale solo a livello tissutale, senza sintomi clinici riferibili a iperproduzione ormonale. ƒ Sono i più voluminosi. ƒ Costituiscono un terzo dei tumori ipofisari operati. ƒ Possono rendersi clinicamente manifesti in una fase più tardiva rispetto a quelli con sintomi endocrini e per tale motivo si presentano più spesso come macroadenomi. • Adenomi ipofisari funzionanti: ƒ Associati ad aumentati livelli ormonali e conseguenti manifestazioni cliniche. ƒ Sono i più frequenti. • Adenomi ipofisari non secernenti o da disfunzione endocrina: ƒ Iperpituitarismo (70%) dei casi ƒ Ipopituitarismo (30%) dei casi o da distruzione o compressione della ghiandola o per interferenza con il rilascio di ormoni ipotalamici. Gli adenomi ipofisari sono generalmente costituiti da un singolo tipo cellulare e producono un singolo ormone predominante, sebbene vi siano eccezioni. Alcuni adenomi possono secernere due ormoni (GH e prolattina rappresentano l’associazione più frequente), più raramente si hanno adenomi a secrezione multipla.

Sintomi loco regionali -

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cefalea: • da stiramento della dura madre • da idrocefalo compromissione dei nevi intracranici: • disturbi visivi • oftalmoplegia • compressione 1° e 2° branca del trigemino compromissione del chiasma ottico: • emianopsia eteronima bitemporale: vengono compresse nel chiasma le porzioni nervose che portano il segnale dalla porzione esterna bilaterale del campo visivo rinorrea liquorale e/o meningi ricorrenti: • rare, da erosione della sella turcica.

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Aspetti macroscopici -

consistenza soffice forma irregolare: questo rende spesso difficile la completa escissione chirurgica.

Aspetti istologici Modalità (pattern) di crescita: - solido - alveolare - trabecolare - papillare (ACTH+): associato più frequentemente ad iperpituarismo - pseudoghiandolare (gonadotropo): associato più frequentemente ad iperpituarismo - fusiforme Mitosi scarse o assenti Calcificazioni (7%) e depositi ialini di tipo amiloide soprattutto nelle forme a PRL. Quseti depositi sono visibili anche con tecniche di imaging). Classificazione degli adenomi

Classificazione istologica tradizionale degli adenomi -

cromofobi acidofili basofili

Classificazione immunoistochimica ed ultrastrutturale Attualmente viene utilizzata questa classificazione funzionale che tiene conto delle alterazioni ormonali. - adenomi PRL • sparely granulated (26%) • densely granulated (1%) -

adenomi GH • sparely granulated (7%) • densely granulated (7%)

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adenomi misti GH e PRL (8%) adenoma funzionale corticotropo ACTH (14%) adenoma tireotropo (1%) adenoma gonadotropo (6%) adenoma null (26%) adenomi pluriormonali non classificati (4%)

La classificazione in densely granulated e sparely granulated è aggiuntiva, ma di scarsa rilevanza prognostica e non fondamentale da un punto di vista clinicopatologico. Si basa sulla presenza di granuli di tipo endocrino nelle cellule tumorali. 262

1. Forme densamente granulate: appaiono ricche di granuli voluminosi ripiene di prodotto ormonale e sono più intensamente cromofile. 2. Forme scarsamente colorate:granuli più piccoli, RER ben sviluppato, Golgi molto evidente, possibili aggregati di filamenti intermedi e/o ormoni. Sono spesso cromofobe.

Prolattinomi Rappresentano il tipo più frequente di adenoma ipofisario iperfunzionante. Costituiscono il 30% degli adenomi ipofisari diagnosticati clinicamente. Microscopicamente si dividono in: - prolattinomi a granuli sparsi (sono i più frequenti): cellule debolmente eosinofile o cromofobe. - Prolattinomi a granuli densi (rari): cellule fortemente eosinofile. Metodi immunoistochimici, cioè Ac anti-prolattina, mettono in evidenza accumuli di prolattina nei granuli di secrezione citoplasmatica. I prolattinomi vanno incontro a calcificazioni di tipo distrofico, che vanno da piccoli corpi psammomatosi (piccoli depositi di calcio) a estesi depositi calcifici che possono occupare l’intera massa tumorale. (calcoli ipofisari), fino alla deposizione di materiale ialino simil-amorfo o simil-amiloide. Ciò può realizzarsi spontaneamente o dopo trattamento del prolattinoma con bromocriptina (antagonista dei recettori per la dopamina che è in grado di indurre una diminuzione delle dimensioni del tumore). La secrezione di prolattina da un adenoma funzionante è un processo caratterizzata da: - Efficienza: può causare iperprolattemia - proporzionalità: secrezioni di prl proporzionali alle dimensioni dell’adenoma

Clinica Nella donna (20-40 anni): sindrome galattorrea- amenorrea: abbiamo un genizio attraverso i dotti galattofori, associato ad amenorrea (quadro simil-gravidico). I microadenomi incorrono in maggiore misura nell’età fertile. I macroadenomi sono più rari ed incorrono di più in età avanzata. Nell’uomo: galattorrea associata spesso all’impotenza C’è una maggiore frequenza di adenomi.

Adenomi somatotropi (GH-secernenti) Secondo tipo più frequente di adenomi funzionanti. Il 40% dei casi presentano un’alterazione genetica che si esprime in un deficit dell’attività GTPasica. 263

Possono raggiungere notevoli dimensioni, in quanto le alterazioni che da essi derivano progrediscono per decenni prima di essere diagnosticate. Microscopicamente si dividono in 2 sottogruppi: - A granuli sparsi: cellule cromofobe con notevole polimorfismo nucleare. Debole reattività immunoistochimica al GH. - A granuli densi: cellule uniformi ed acidofile. Forte reattività immunoistochimica al GH.

Clinica Nell’infanzia o nell’adolescenza (non si ancora completata la saldatura delle epifisi): - gigantismo: aumento generalizzato delle dimensioni corporee ed ossa di lunghezza sproporzionata. Nell’adulto (si è già completata la saldatura delle epifisi): - acromegalia: • Eccessiva crescita di cute, tessuti molli, visceri (tiroide, cuore, fegato, surreni), ossa di faccia, mani e piedi (dita grandi “a salsiccia”). • Iperostosi: maggiore densità ossea della colonna vertebrale • Prognatismo: aumento delle dimensioni della mandibola che protrude, con allungamento della parte inferiore della faccia. A volte vi sono forme miste, se prese in età tardo-adolescenziale. Sono più frequenti i macroadenomi con espansione soprasellare ce può portare ance a manifestazioni compressive nell’adulto (compressione del chiasma). La terapia mira a riportare i livelli di GH nella norma ed a ridurre i sintomi legati alla compressione da parte della massa, cercando di non provocare ipopituitarismo. Il tumore può essere rimosso chirurgicamente oppure distrutto attraverso terapia radiante, o ancora viene ridotta la secrezione di GH attraverso terapia farmacologica.

Adenomi corticotropi Sono adenomi generalmente funzionanti che al momento della diagnosi sono generalmente di piccole dimensioni (microadenomi). Microscopicamente si dividono in 2 sottogruppi: - A granuli sparsi: più occasionali - A granuli densi: più frequenti.

Clinica 1. Adenomi funzionanti: • sindrome di Cushing: iperproduzione surrenalica di cortisolo (stimolata dall’ACTH) • sindrome di Nelson: ƒ si tratta di adenomi deostruenti di grosse dimensioni 264

ƒ ƒ ƒ ƒ

generalmente insorgono dopo rimozione chirurgica delle surrenali a seguito del trattamento per la sindrome di Cushing. Si verifica dunque a seguito della perdita dell’effetto inibitorio esercitato dai corticosteroidi surrenalici su un microadenoma corticotropo pre-esistente. Non sono pz con ipercortisolismo, ma presentano un notevole effetto-massa da adenoma ipofisario Possono presentare iperpigmentazione cutanea a causa della stimolazione dei melanociti da parte dell’MSH.

2. Adenomi silenti: • si tratta di adenomi che pur producendo ACTH non lo liberano, che mancano dunque della fase escretoria. • L’ACTH rimane dunque a livello cellulare causando un accumulo ed un ingrossamento delle cellule secretorie. • Per questo motivo gli adenomi silenti tendono ad essere macroadenomi e ad andare incontro ad apoplessia, cioè necrosi massiva dovuta alla compressione esercitata dall’adenoma. • L’apoplessia comunque si verifichi ( si può verificare anche a seguito di alterazioni neoplastiche, o a seguito di emorragia ostetrica) è molto temibile e peggiora notevolmente la prognosi.

Adenomi gonadotropi Forme non molto frequenti. Forme di difficile identificazione poiché: - spesso non sono funzionanti (secrezione ormonale inefficace e variabile). - I prodotti secreti solitamente non provocano sintomatologia evidente.

Clinica Presenti soprattutto in uomini e donne di mezza età. Solitamente questi tumori causano ipopituitarismo, cioè deficit complessivo nella produzione di ormoni da parte dell’adenoipofisi. Ciò è dovuto alla compressione dell’ipofisi nella sede sellare e soprasellare da partesi un macroadenoma. Dunque i segni sono di tipo compressivo: allo slargamento della sella turcica ed alla compressione del chiasma segue una sintomatologia neurologica caratterizzata da: - disturbi della visione - cefalea - diplopia - a volte apoplessia ipofisaria da compressione In rari casi la sintomatologia con cui si presentano questi tumori è proprio dovuta al secondario deficit nella secrezione di gonadotropine. Per esempio un deficit nella secrezione dell’LH può portare: - negli uomini: diminuito testosterone→ diminuita forza fisica e libido - nelle donne in pre-menopausa → amenorrea

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Adenomi a cellule tireotrope Sono rari: 1% degli adenomi ipofisari Sono costituiti da cellule cromofobe o basofile Causa poco frequente di ipetiroidismo

Adenomi non funzionanti Comprendono: - adenomi funzionanti ma clinicamente silenti - adenomi non secernenti Costituiscono il 25% di tutte le neoplasie ipofisarie Non hanno evidenza immunoistochimica né clinico-laboratoristica di produzione ormonale. Età: soprattutto individui adulti. Sede: sellare o soprasellare Clinica: segni compressivi a volte associati ad ipopituitarismo (effetto-massa) In passato erano classificati come adenomi null a causa dell’impossibilità di dimostrare la presenza di un marker di differenziazione. In realtà le caratteristiche ultrastrutturali e biochimiche della maggior parte degli adenomi null permettono oggi la loro caratterizzazione come tumori gonadotropi silenti. I veri adenomi non secernenti sono rari.

Adenomi pluriormonali I più frequenti sono quelli con produzione mista di GH-PRL. Sono neoplasie più aggressive della media: si tratta di macroadenomi con proprietà invasive. Ci si può trovare di fronte a due tipi di situazioni: - tumori in cui un medesimo tipo cellulare genera più ormoni: • si tratta di tumori derivanti da progenitori pluripotenti e dunque ancora in grado di produrre tutti i tipi ormonali, delle cellule dell’adenoipofisi. • Sono neoplasie da precursori degli elementi maturi - tumori dati da una mescolanza di cellule che producono tipi ormonali differenti: • forma derivante da cellule mature. • Elementi citologici con diversa capacità funzionale.

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La tiroide Struttura normale Ghiandola endocrina, del peso di 15-25 gr. formata da due lobi laterali uniti da un istmo sottile. Frequentemente si ritrova anche un lobo piramidale al di sopra dell’istmi come residuo embriologico del dotto tireoglosso. Derivazione embriologica: estroflessione dell’abbozzo dell’epitelio faringeo, che dal forame cieco si porta in basso fino alla regione cervicale anteriore. Occasionalmente è possibile riscontrare tessuto tiroideo ectopico alla base della lingua (tiroide sublinguale) o in altre sedi comunque nella parte alta del collo. Raramente questo tessuto può subire una trasformazione neoplastica e divenire sede di carcinoma tiroideo primitivo. Irrorazione: da parte delle arterie tiroidee superiori (→ dalla carotide esterna) e delle arterie tiroidee inferiori (→ dalla succlavia). Struttura: suddivisione per mezzo di sottili setti fibrosi in lobuli, ognuno composto da 20-40 follicoli. I follicoli sono rivestiti da epitelio cuboidale o colonnare e sono ripieni di un materiale colloidale dato dalla tireoglobulina. Meccanismo di funzionamento della secrezione tiroidea: ipotalamo: produzione di TRH ↓ ipofisi: produzione di TSH (tireotropina) ↓ legame TSH-recettore a livello dell’epitelio follicolare ↓ incremento dei livelli intracellulari di cAMP nell’epitelio follicolare ↓ conversione tireoglobulina → tiroxina (T4) e triiodotironina (T3) da parte delle cellule dell’epitelio follicolare ↓ rilascio di T4 e T3 nel circolo sistemico (T4 prodotta in quantità molto maggiori), dove questi peptidi si legano in modo reversibile alle proteine plasmatiche (globulina legante la tiroxina e transtiretina) Il legame alle proteine plasmatiche è funzionale al mantenimento dei livelli di T3 e di T4 liberi entro limiti precisi ed ad assicurare una loro rapida disponibilità a livello dei tessuti. ↓ Nei tessuti periferici si ha conversione della maggior parte di T4 libero in T3, che rappresenta la forma attiva. ↓ Legame T3→recettori nucleari per gli ormoni tiroidei, con formazione di un complesso multiproteico ormone-recettore. ↓ Legame del complesso neoformato a specifici elementi di risposta all’ormone tiroideo, nei geni bersaglio, con conseguente regolazione della trascrizione. ↓ Complessivo aumento del metabolismo basale 267

L’ormone tiroideo svolge anche un importantissima funzione nello sviluppo cerebrale. L’ormone TSH prodotto dall’ipofisi stimola anche l’incremento di volume della ghiandola tiroidea. Il TSH, così come il TRH sono però inibiti da meccanismi a feedback negativo mediati dall’incremento dei livelli di T3 e di T4 nel sangue. Vengono perciò chiamate gozzigeni una serie di composti che agiscono a livello della tiroide determinando inibizione della sintesi di T3 e di T4, con conseguente aumento dei livelli di TSH, non più inibito a feedback e stimolazione abnorme della tiroide, con iperplasia della ghiandola. Ipertiroidismo La tireotossicosi è lo stato ipermetabolico che si viene a determinare in conseguenza degli elevati livelli ematici delle frazioni libere di T3 e di T4. La tireotossicosi può essere dovuta a: - Ipertiroidismo → la grandissima parte delle tireotossicosi - Tiroidite subacuta granulomatosa (dolorosa) → per abnorme liberazione di ormoni tiroidei preformati - Tiroidite subacuta linfocitaria (indolore) → per abnorme liberazione di ormoni tiroidei preformati - Ormoni tiroidei di origine extratiroidea (struma ovarico, tiretossicosi esogena, con apporto esterno di tiroxina) Dunque l’ipertiroidismo è la causa primaria di tireotossicosi. L’ipertiroidismo si suddivide in: - ipertiroidismo primario → causato da alterazioni intrinseche della tiroide - ipertiroidismo secondario → causato da processi extra-tiroidei Le patologie che comportano più frequentemente ipertiroidismo e di conseguenza anche tireotossicosi sono 3: -

iperplasia diffusa della tiroide o malattia di Graves- Basedow gozzo multinodulare iperfunzionante adenoma tiroideo iperfunzionante

Clinica Le manifestazioni cliniche sono molteplici e sono dovute 1. allo stato ipermetabolico 2. all’iperattività del sistema nervoso simpatico. Cute: - aumento del metabolismo basale che comporta aumento del flusso ematico e della vasodilatazione periferica; la cute e calda ed arrossata e frequentemente si ha intolleranza al caldo. Cuore: - aumento del fabbisogno di ossigeno periferico ed aumento della contrattilità cardiaca che comportano aumento della portata cardiaca - tachicardia, palpitazioni e cardiomegalia di comune riscontro - insufficienza cardiaca congestizia in particolare nei pz anziani, con cardiopatie preesistenti Sistema neuromuscolare: 268

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l’iperattività del sistema nervoso simpatico determina la comparsa di tremori, iperattività, instabilità emotiva, ansia, inacpacità di concentrazione, insonnia. - Frequentemente debolezza dei muscoli prossimali - Frequentemente riduzione della massa muscolare Alterazioni oculari - iperstimolazione simpatica del muscolo elevatore della palpebra superiore che comporta fissità dello sguardo e retrazione palpebrale. - Esoftalmo vero e proprio come caratteristica esclusiva del morbo di GravesBasedow Sistema gastrointestinale: - aumento della motilità intestinale con conseguente malassorbimento e diarrea Sistema scheletrico: - stimolazione del riassorbimento osseo con aumento della porosità e diminuzione di volume dell’osso → osteoporosi e maggior rischio di fratture A livello sistemico - perdita di peso nonostante l’aumento dell’appetito Crisi tireotossica: brusca insorgenza di un grave ipertiroidismo, che si presenta in genere in pazienti con malattia di Graves- Basedow in atto ed è probabilmente causata da improvviso aumento dei livelli di catecolamine, dovuto ad uno stress di qualsiasi genere. I pazienti presentano febbre e tachicardia molto forte. La crisi tireotossica viene a costituire un’emergenza medica Ipertiroidismo apatico: ipertiroidismo che insorge in soggetti anziani, nei quali l’età avanzata ed i processi metabolici concomitanti determinano attenuazione della sintomatologia. Diagnosi - Screening iniziale: determinazione dei livelli sierici di TSH che devono essere bassi (elevata inibizione a feedback negativo) - Test di conferma: determinazione del T4 e del T3 liberi. Solitamente è il T4 ad essere elevato ( è normalemente presente in concentrazioni maggiori). In rari casi il T4 è normale o ridotto e si ha aumento dei livelli di T3. Nei rari casi di ipertiroidismo secondario (dovuto ad alterazioni ipofisarie), i livelli di TSH sono normali o aumentati. - per determinare l’eziologia della tireotossicosi: determinazione della captazione dello iodio radioattivo da parte della tiroide. Possono essere riscontrati: ¬ aumento globale della captazione di iodio da parte dell’intera ghiandola (morbo di Graves-Basedow) ¬ aumento della captazione in un singolo nodulo (adenoma) ¬ ridotta captazione (tiroidite)

Ipotiroidismo Stato ipometabolico da insufficienza della ghiandola tiroide, con conseguenti bassi livelli ematici di T3 e di T4. Anch’esso può essere: - primario → anomalia intrinseca tiroidea. A sua volta può essere: • tireoprivo: dovuto ad assenza o perdita di tessuto tiroideo 269



associato a gozzo: dovuto alla mancata secrezione degli ormoni tiroidei, con continuo stimolo da parte del TSH,e conseguente ingrandimento della tiroide secondario → alterazioni ipofisarie terziario → alterazioni ipotalamiche

Le cause dell’ipotiroidismo primario, che è quello di gran lunga più frequente sono le seguenti: 1. apporto di iodio deficitario: non vi può essere organificazione dello iodio cioè legame dello iodio ossidato ai residui di tireoglobulina, passaggio fondamentale per la formazione degli ormoni tiroidei. 2. ablazione chirurgica o ablazione indotta da radioterapia del tessuto tiroideo 3. ipotiroidismo autoimmune: è la causa principale di ipotiroidismo associato a gozzo nelle regioni geografiche ad adeguato apporto di iodio. Nella maggior parte dei casi è dovuto a tiroidite di Hashimoto 4. farmaci, somministrati allo scopo di ridurre la secrezione tiroidea 5. difetti congeniti nel metabolismo tiroideo: sono una causa di ipotiroidismo non così diffusa. Possono coinvolgere uno qualsiasi dei passaggi della sintesi di ormoni tiroidei 6. sindrome di resistenza agli ormoni tiroidei: è molto rara e dovuta a mutazioni ereditarie dei recettori leganti gli ormoni tiroidei, che conseguentemente non possono esercitare la loro azione, pur essendo presenti in grandi quantità in circolo. La medesima resistenza si ha anche a livello dell’ipofisi, con conseguente mancata inibizione a feedback, cosicché anche i livelli di TSH tendono ad essere elevati.

Clinica Le mannifestazioni cliniche dipendono dall’età di insorgenza: - durante lo sviluppo fetale e nella prima infanzia → cretinismo - nelle età successive → mixedema CRETINISMO

Ritardo nello sviluppo fisico e mentale, inapparente alla nascita, si manifesta nelle prime settimane di vita o nei primi mesi. Il cretinismo può essere: - endemico → nelle aree con deficienza endemica di iodio. Era molto più diffuso in passato - sporadico → è dovuto ad errori congeniti dello sviluppo della tiroide o della biosintesi degli ormoni tiroidei Le caratteristiche cliniche del cretinismo comprendono: - cute rugosa e secca - ampia distanza interoculare - naso largo e piatto - lingua grossa, protrudente - bassa statura - ernia ombelicale - grave ritardo mentale Tutto ciò è dovuto al ruolo determinante degli ormoni tiroidei nello sviluppo scheletrico e del SNC. MIXEDEMA È l’ipotiroidismo che insorge nei bambini di età superiore e nell’adulto. 270

Nel bambino in particolare si hanno segni e sintomi intermedi tra cretinismo e mixedema adulto Nell’adulto l’esordio è progressivo ed insidioso: - progressivo rallentamento delle attività psicofisiche, con diminuita resistenza alla fatica, apatia, torpore mentale, intolleranza al freddo, calo dell’attenzione - la parola e le funzioni intellettuali divengono lente, si ha aumento del peso e diminuzione della sudorazione. - La cute appare fredda e pallida sempre più inspessita e secca - Con il passare del tempo si sviluppa edema periorbitale, e i lineamenti del volto si appesantiscono, divenendo più marcati con ingrossamento della lingua ed abbassamento del tono della voce - Mixedema del cuore → il cuore appare flaccido ed ingrossato, con le camere dilatate, a causa dell’edema interstiziale che provoca accumulo di liquido anche a livello del sacco periorbitale.

Diagnosi I livello di TSH risultano aumentati nell’ipertiroidismo primario per la perdita di inibizione a feedback. I livelli di T4 in ogni forma di ipotiroidismo vengono ad essere diminuiti.

Malattia di Graves-Basedow (iperplasia diffusa della tiroide) È la causa più comune di ipertiroidismo endogeno Incidenza massima fra i 20-40 anni con incidenza maggiore nelle donne rispetto agli uomini.

Patogenesi È una malattia autoimmune nella quale possono essere presenti nel siero una grande varietà di anticorpi diretti contro componenti della tiroide. Di questi i più importanti sembrano essere gli autoanticorpi anti-recettore per il TSH. Gli effetti di questi autoanticorpi sono differenti a seconda dell’epitopo verso cui sono rivolti: - Thyroid stimulating immunoglobulin (TSI) → IgG che si lega ai recettori del TSH stimolandone l’azione. È specifico per la malattia di Graves-Basedow. - Thyroid growth-stimulating immunoglobulin (TGI) → dirette contro i recettori del Tsh sembrano implicate soprattutto nella proliferazione dell’epitelio follicolare tiroideo. - TSH-binding inhibitor immunoglobuline (TBII) → impediscono il corretto legame TSH-recettore sulle cellule epiteliali. Per fare questo alcune forma mimano l’azione del TSH stimolando la funzione tiroidea, mentre altre effettivamente la inibiscono. Alla base della produzione di questi anticorpi vi è probabilmente la perdita della tolleranza da parte delle cellule Th nei cfr dei diversi componenti della tiroide, con conseguente produzione di autoanticorpi anti-TSH.

Morfologia Macroscopica: - iperplasia diffusa delle cellule follicolari della tiroide - capsula intatta

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Microscopica: - ipercellularità: cellule epieteliali follicolari ingrandite, alte e più affollate del solito, protrudono nel lume - colloide pallida, per il diffuso riassorbimento della stessa - infiltrati di linfociti (soprattutto cellule T) a livello interstiziale.

Clinica La malattia di Graves- Basedow è caratterizzata da una triade sintomatologica: - ipertiroidismo con ingrossamento diffuso della tiroide - oftalmopatia infiltrativa: è caratterizzata oltre che dal classico sguardo fisso e palpebre retratte (dovuto a iperreattività del simpatico) anche da protusione del bulbo oculare, dovuta ad una serie di cause: • notevole infiltrato infiammatorio in sede retro-orbitaria, da parte di cellule mononucleate (linfociti T) • edema infiammatorio con conseguente tumefazione • accumulo di componenti della matrice extracellulare • aumento del numero di adipociti - dermopatia infiltrativa o mixedema pretibiale: inspessimento del derma dovuto alla deposizione di glicosaminoglicani e all’infiltrato linfocitario. È presente solo in una piccola percentuale di pz.

Diagnosi Si riscontrano: - elevati livelli di T4 e di T3 liberi, con diminuzione dei livelli di TSH - aumento diffuso della capatazione di iodio radioattivo alla scintigrafia.

Gozzo diffuso e multinodulare Per gozzo si intende l’aumento di volume delle tiroide che è una delle manifestazioni più frequenti della patologia tiroidea, dovuto ad un inadeguata sinetsi romonale tiroidea, che comporta aumento compensatorio dei livelli di TSH, causa a sua volta dell’iperplasia e dell’ipertrofia delle cellule follicolari, con aumento volumetrico dell’organo. Solitamente l’aumento della massa contrasta da solo il deficit, portando ad uno stato metabolico eutirorideo. Se il difetto è grave può svilupparsi anche ipertiroidismo associato a gozzo GOZZO DIFFUSO non TOSSICO Si ha interessamento in modo diffuso di tutta la ghiandola, senza formazione di noduli. Può essere: 1. gozzo endemico → si sviluppa nelle aree dove terreno, acqua ed alimenti, presentano bassi livelli di iodio, con conseguente ridotta sintesi di ormoni tiroidei ed aumento del TSH compensatorio. Le differenze nella prevalenza di gozzo in regioni con uguale carenza iodica hanno portato all’ipotesi dell’esistenza di altri fattori causali, fra cui l’utilizzo di particolari sostanze alimentari dette gozzigene. 2. Gozzo sporadico → più raro nel gozzo endemico, con prevalenza nel sesso femminile e picco di incidenza alla pubertà. Nella maggior parte dei casi il fattore causale non è noto 272

Morfologia Nello sviluppo di un gozzo diffuso possono essere presenti due fasi: 1. fase iperplastica - tiroide omogeneamente e diffusamente ingrandita sebbene l’aumento sia piuttosto modesto - i follicoli sono rivestiti da cellule colonnari disposte fittamente 2. fase di involuzione colloidale: avviene solo se successivamente si verifica un aumento dell’apporto di iodio o se diminuisce la richiesta di ormone tiroideo. Vede: - involuzione dell’epitelio follicolare - la ghiandola rimane ingrandita e diviene ripiena di colloide

Clinica Solitamente asintomatico ( metabolismo eutiroideo) Talvola complicazioni dovute all’effetto massa. GOZZO MULTINODULARE Dovuto al ripetersi nel tempo di episodi di iperplasia ed involuzione del gozzo diffuso: per questa sua caratteristica la prevalenza è sempre maggiore nelle donne, ma tenderà a colpire individui più anziani. È un ingrossamento della tiroide maggiore, più irregolare, più spesso scambiato per una forma neoplastica.

Patogenesi Probabilmente insorge a causa di una diversa risposta agli stimoli ormonali ipofisari da parte delle cellule follicolari. Alcune cellule in un follicolo sviluppano un anomalia genetica (simile a quelle che costituiscono l’evento scatenante gli adenomi della tiroide) che le porta ad avere una maggiore crescita, con formazione di cloni di cellule a proliferazione spontanea e dunque di un nodulo. Dunque nel gozzo multinodulare possono coesistere noduli policlonali e monoclonali, ma il gozzo deve probabilmente avere acquisito un’alterazione genetica che lo predispone alla crescita. Iperplasia follicolare disomogenea + generazione di nuovi follicoli + accumulo disomogeneo di colloide ↓ Produzione di trazioni e stiramenti ↓ Rottura dei follicoli e dei vasi ↓ conseguente emorragia e cicatrizzazione, talvolta anche calcificazione ↓ la cicatrizzazione e le calcificazioni aumentano le trazioni. In questo ciclo viene favorita la comparsa di anomalie genetiche e la formazione di nuovi noduli.

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Morfologia Macroscopica - gozzi polilobulati, asimmetrici, enormemente ingranditi (peso fino a 2 kg.) - l’ingrandimento è del tutto imprevedibile ed un lobo può essere ingrandito molto più di un altro - si ha frequentemente compressione e dislocazione laterale delle strutture mediane (trachea ed esofago) - colloide bruna e gelatinosa presente in qunetità variabile nei noduli irregolari - alterazioni regressive in partciolare nei noduli più vecchi → emorragie, fibrosi, calcificazioni

Clinica Da un punto di vista metabolico la maggior parte dei oz è eutiroidea e solo una minoranza dei pz può sviluppare ipertiroidismo, dovuto alla presenza di noduli iperfunzionanti → in questo caso il gozzo viene detto tossico e la condizione clinica è detta sindrome di Plummer, e non è accompagnata né da oftalmopatia né da dermopatia.

Tiroiditi Le tiroiditi sono un gruppo di affezioni accomunate dall’infiammazione che interessa in modo variabile la ghiandola. Possono essere: - manifestazioni acute associate a notevole sintomatologia dolorosa - manifestazioni subacute in cui l’infiammazione è presente, ma relativamente ridotta e la malattia si manifesta principalmente con la compromissione delle funzioni ghiandolari TIROIDITE di HASHIMOTO È la causa più comune di ipotiroidismo in zone con adeguato apporto di iodio. È la causa principale di gozzo non endemico nei bambini È una malattia autoimmune e tra di esse è stata le prima ad essere riconosciuta e descritta e per questo ne costituisce il prototipo. Insorge prevalentemente tra i 45 ed i 65 anni e colpisce con frequenza >> il sesso femminile. Come in tutte le malattie autoimmuni anche nella tiroidite di hashimoto vi è una notevole componente genetica nella patogenesi, anche se non si tratta di un’ereditarietà di tipo mendeliano, poiché consiste nella sottile alterazione nelle funzioni di molti geni. Tuttavia alcuni ipotizzano un’ereditarietà autosomica dominante.

Patogenesi Il sistema immunitario reagisce contro antigeni tiroidei, probabilmente a causa di un difetto dei linfociti T soppressori tiroide-specifici, con conseguente sopravvivenza e dunque predominanza di linfociti T CD4+ specifici per Ag tiroidei, che coopererebbero con i linfociti B alla produzione di anticorpi. - anticorpi contro le perossidasi tiroidee (Ac anti-microsomiali) - anticorpi per la tireoglobulina - anticorpi per il recettore del TSH I meccanismi che provocano morte dei tireociti sono i sgeuenti: 274

1. morte cellulare mediata da linfociti T CD8+ 2. morte cellulare citochino mediata → linfociti T che producono citochine che mediano attivazione dei macrofagi con conseguente danno dei follicoli 3. legame degli anticorpi antitiroide seguito da citotossicità cellulo-mediata anticorpo dipendente

Morfologia Macroscopica: - tiroide diffusamente aumentata di volume - capsula integra Microscopica: - infiltrato infiammatorio mononucleato che interessa diffusamente il parenchima, formato da linfociti, da plasmacellule e da centri germinativi - follicoli atrofici con perdita progressiva delle cellule epiteliali follicolari, gradualmente sostituite da infiltrato infiammatorio e dunque da fibrosi - a volte i follicoli appaiono rivestiti da cellule epiteliali alterate dette cellule di Hurthle, che rappresentano una trasformazione metaplastica del normale epitelio follicolare cuboidale

Clinica Tumefazione non dolente e diffusa della ghiandola associata ad un certo grado di ipotiroidismo, che si sviluppa gradualmente. In una piccola parte dei casi l’ipotiroidismo è preceduto da una tireotossicosi transitoria, causata da distruzione dei follicoli tiroidei, con rilascio ormonale massivo (“ hashitossicosi”). Quando compare l’ipotiroidismo caratteristicamente alla diagnosi i pz presentano un diminuito livello di T3 e di T4, accompagnato da incremento di TSH. Come le altre malattie autoimmuni anche in questo caso i pz affetti hanno un maggiore rischio di sviluppare altre malattie autoimmuni, come il lupus, il diabete di tipo 1, la malattia di Graves.

Tiroidite subacuta (granulomatosa) Ha incidenza molto minore della tiroidite di hashimoto, pur colpendo sempre preferenzialmente il sesso femminile

Patogenesi Probabilmente in seguito a infezione virale o processo infiammatorio post-virale in grado di produrre, in seguito al danno tissuatale, l’esposizione di epitopi antigenici, prima nascosti, di origine tiroidea. Questo stimolerebbe in partciolare modo i linfociti TCD8+, responsabili del danno alle cellule follicolari. Il processo è autolimitante perché la risposta immunitaria indotta dal virus non si automantiene.

Morfologia Macroscopica - lieve aumento di volume - capsula normale - a volte lieve aderenza con le strutture circostanti 275

Microscopica: - fase iniziale → infiammazione attiva che comporta distruzione focale dei follicoli con ampio infiltrato neutrofilo a formare microascessi - fase successiva → alterazioni più specifiche: • aggregati di linfociti, istiociti e plasmacellule intorno ai follicoli danneggiati • presenza di cellule giganti multinucleate (tiroidite granulomatosa) - fasi avanzate: sostituzione con fibrosi riparativa

Clinica -

dolore in sede cerivicale che irradia a collo, mandibola, gola, orecchie ingrandimento variabile della tiroide sintomi di accompagnamento: febbre, affaticabilità, malessere, mialgie ad una fase iniziale di ipertiroidismo ( follicoli danneggiati che riversano il loro contenuto all’esterno), segue una fase successiva di ipotiroidismo, ma anche questo è transitorio e di solito va incontro a completa guarigione.

Tiroidite subacuta linfocitaria (indolore) È poco frequente, e si manifesta in adulti di mezza età, con prevalenza nelle donne, soprattutto nel postpartum. La patogenesi è sconosciuta, ma forse si tratta di un meccansimo autoimmune. La tiroide è lievemente ingrossata, con infiltrati di linfociti nel parenchima, distruzione del parenchima e follicoli tiroidei collassati. Non ci sono fibrosi né metaplasia Tipicamente la patologia si manifesta con ipertiroidismo, ed i suoi sintomi tipici, ma alcuni pz non presentano sintomatologia. Si hanno elevati livelli di T3 e T4 e bassi livelli di TSH.

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Neoplasie della corticale del surrene Nell’ambito dei tumori della corticale possiamo vedere: 1. neoplasie non funzionanti: generalmente di tratta di carcinomi. 2. neoplasie funzionanti: producono una serie di sindromi: • sindrome da iperaldosteroidismo: ƒ è causato quasi sempre da adenoma aldosterone-secernente ƒ colpisce prevalentemente individui di mezza età, specialmente donne ƒ provoca ritenzione di sodio→ ipertensione ƒ provoca perdita di potassio→ ipokaliemia • sindrome di Cushing (iperproduzione di cortisolo) ƒ generalmente provocata da adenoma ƒ Inizialmente ipertensione ed aumento ponderale. ƒ Con il tempo: distribuzione centrale del tessuto adiposo→ obesità del tronco, facies lunare, accumulo di tessuto adiposo sulla nuca e sul dorso (gibbo di bufalo). ƒ Atrofia selettiva delle fibre muscolari rapide→ debolezza muscolare, riduzione della massa muscolare. ƒ Induzione della gluconeogenesi, inibizone della captazione cellulare di glucosio→ glicemia, glicosuria, diabete secondario. ƒ Aumento del catabolismo proteico, perdita del collagene, riassorbimento del tessuto osseo→ cute sottile, fragile, tendenza all’ecchimosi, cicatrizzazione lenta, osteoporosi. ƒ Soppressione della risposta immunitaria→ aumento della suscettibilità alle infezioni. ƒ Disturbi mentali ƒ Irsutismo • sindrome adreno-genitale: ƒ la corteccia del surrene normalmente esprime de-idro-epiandrosterone ed androstenedione; questi precursori richiedono la conversione periferica in androsterone. ƒ Generalmente si tratta di una sindrome associata a carcinomi surrenalici ad eccessiva androgeno-secrezione. ƒ Comporta solitamente virilizzazione.

Adenoma (incidentaloma) È così chiamato perché si tratta di un tumore di reperto molto spesso incidentale: si tratta spesso di un riscontro casuale nel corso di indagini strumentali svolte per altra causa o in corso di autopsia. Generalmente il diametro è minore di 5cm. ed il peso è minore di 50 grammi. Nonostante le piccole dimensioni si tratta di una neoplasia benigna che espande la ghiandola surrenale. È un tumore molto ben delimitato, con capsula evidente. Lascia la corticale con uno spessore normale (non atrofica). 277

Alla sezione presenta una superficie liscia e compatta, colore giallo-zolfo, per la presenza di lipidi nelle cellule neoplastiche, non interessata da necrosi o emorragie.

Istologia All’esame istologico si rivela assolutamente benigno. Infatti le cellule neoplastiche rimangono differenziate e simili a quelle del normale surrene, riproducendo le caratteristiche della midollare, della fascicolata o di entrambe. I nuclei delle cellule tendono ad essere piuttosto piccoli, sebbene a volte vi sia un certo polimorfismo, con attività mitotica scarsa.

Diagnosi differenziale Gli adenomi devono essere assolutamente distinti dai carcinomi. Questa distinzione non può essere fatta solo sulla base del peso e delle dimensioni, che rimangono solo fattori indicativi. L’ipotesi diagnostica al microscopio va invece valicata con esami obiettivi, cioè mediante tecniche di immunoistochimica (vedi fenotipo).

Fenotipo Dal punto di vista immunoistochimico gli adenomi presentano: - forte positività per citocheratine a basso peso molecolare (le citocheratine sono filamenti intermedi che entrano a fare parte del citoscheletro;sono classificate sulla base del loro peso molecolare). - Debole espressione di vimentina (si tratta anche in questo caso di filamenti intermedi). - Negatività per EMA. - Negatività per gli isoantigeni del gruppo sanguigno Lewis. - Positività per gli ormoni steroidei.

Genotipo L’analisi del DNA rileva alterazioni della ploidia solo in un 20% dei casi.

Carcinoma Non ci sono predilezioni di sesso, ma l’età media di insorgenza è 50 anni. Si tratta di un tumore funzionante dunque con produzione di ormoni nel 50% dei casi: in questi casi è associato ad iper-cortico-surrenalismo. Le dimensioni sono molto maggiori della sua variante benigna e superano spesso i 20 cm. con peso maggiore di 100g. La loro grandezza fa sì che la struttura normale della ghiandola surrenalica non sia più distinguibile. 278

Al momento della diagnosi il 50% dei pz presenta già metastasi. Si tratta dunque di un tumore molto aggressivo, con tendenza alla diffusione per via ematica (tumore angio-invasivo) e dunque successivo interessamento secondario di fegato (60%), linfonodi, polmoni, ossa o cute. Alla sezione presenta una superficie mal definita, non compatta che contiene: - aree necrotiche, dovute alla nutrizione insufficiente rispetto alle necessità del tumore; la velocità della neoangiogenesi è inferiore alla velocità di crescita del tumore; - emorragie perché la struttura dei vasi neoformati è spesso fragile e sottoposta a notevoli pressioni meccaniche (crescita del tumore) e dovute all’invasione neoplastica dei vasi principali (vena cava inferiore e vena surrenalica). - molteplici noduli friabili e soffici.

Istologia Il tumore può essere costituito da cellule ben differenziate simili a quelle dell’adenoma (problemi di diagnosi differenziale con l’adenoma medesimo), così come da cellule con elevata atipia, giganti come quelle di un carcinoma che ha metastatizzato secondariamente nel surrene, o fusate, o con moderato grado di anaplasia.

Fenotipo -

negatività per citocheratine a basso peso molecolare positività per vicentina negatività per EMA ci può essere produzione di ormoni steroidei ma è molto più scarsa di quella dell’adenoma.

Genotipo L’analisi del DNA rileva alterazioni della ploidia in un 70% dei casi. Solitamente si ha perdita di omozigosi per p53 e per Rb. Recentemente si è osservata spesso anche una sovraespressione di TRF-1, molecola che ha attinenza con lo sviluppo dei telomeri.

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Neoplasie della midollare del surrene Generalità La midollare del surrene è composta da: a. cellule cromaffini: cellule specializzate della cresta neurale a funzione neuroendocrina. b. cellule sustentacolari: cellule di sostegno. Le cellule cromaffini presentano numerosi granuli citoplasmatici di deposito delle catecolamine. Sintetizzano e secernono catecolamine (adrenalina e noradrenalina) in risposta a segnali trasmessi da fibre pregangliari del sistema nervoso simpatico. - noradrenalina: funziona come neurotrasmettitore dei neuroni simpatico postgangliari. Raggiunge la circolazione in quota molto ridotta. - Adrenalina: funziona principalmente come ormone dunque è secreta in gran parte nella circolazione. La secrezione di queste molecole nella circolazione è facilitata dalla ricca vascolarizzazione dello stroma che circonda le cellule cromaffini. La funzione della midollare del surrene è dunque quella di essere la principale fonte di catecolamine, configurandosi così come un importante punto di regolazione di molte funzioni vitali. Cellule neuroendocrine del tutto simili alle cellule cromaffini sono ampiamente distribuite in un sistema extra-surrenalico composto da gruppi di cellule e noduli. Queste, con la midollare fanno parte del sistema paragangliare. Questi paragangli extra-surrenalici, strettamente connessi con il sistema nervoso autonomo sono distinti in tre gruppi, in base alla loro sede anatomica. 1. brachiomerico vicino alle arterie maggiori ed ai nervi cranici della testa e del collo ( soprattutto glomi carotidei). 2. intravagali distribuiti lungo il nervo vago. 3. aorticosimpatico soprattutto lungo l’aorta addominale e in posizione retroperitoneale.

Neuroblastoma E’ una patologia tipica dell’età pediatrica visto che si manifesta entro i 4 anni di età e fa parte delle così dette Small Blue Cell Tumor. ÆQuesto è un gruppo di tumori tipici dell’infanzia, accomunati da una derivazione di tipo blastico, dunque con cellule di aspetto primitivo: nuclei piccoli e rotondi, intensamente basofili, che occupano quasi interamente la cellula (simil-linfociti) E’ il secondo tumore solido maligno per frequenza nell’infanzia dopo quello cerebrale e rappresenta 7-10% di tutte le neoplasie pediatriche. 280

Nei lattanti la prognosi è migliore rispetto agli adulti. Si nota una possibile familiarità visto che si associa spesso a sindromi geneticamente trasmissibili. Circa il 30% di questi tumori origina nella midollare del surrene. I rimanenti compaiono nel sistema paragangliare aorticosimpatico:il 70% di questi tumori ha localizzazione retroperitoneale. Può accadere che abbia collocazione mediastinica anche un altro tumore a piccole cellule rotonde blu; si tratta di un linfoma a cellule T che rappresenta una grande causa di morte infantile. E’ una neoplasia che metastatizza facilmente: o Fegato: Sindrome di Pepper o Cranio: Sindrome di Hutchinson o Scheletro: Sindrome di Isser-Leury (Issernoidi?) o Linfonodi o Ovaio

Morfologia Sono tumori molto grandi che crescono rapidamente, si presentano come grosse masse di tessuto grigio-bruno cerebroide con estese zone di necrosi, emorragie, rammollimento, con occasionali focolai di calcificazioni puntiformi. Possono essere circoscritti da una capsula fibrosa o essere più infiltrativi invadendo le strutture circostanti come vena renale, vena cava, aorta, rene… Le cellule presentano contorni poco nitidi, volume ridotto, caratteristiche linfocitosimili (nucleo>>citoplasma) e crescita in tipiche lamine solide, dunque mantengono le caratteristiche di organogenesi della sede della neoplasia. Tipica è la presenza delle Rosette di Homer-Wright: le cell neoplastiche differenziano in senso neuritico e si organizzano attorno a del materiale amorfo formato dai neuriti stessi delle cell (neuropili) embricati tra loro. Il 90% di questi tumori produce un’ingente quantità di catecolamine che servono per la diagnosi insieme ai loro metabolici (VMA e HVA) nelle urine.

Fenotipo -

Neurofilamenti (filamenti intermedi degli elementi neuroendocrini) Sinaptofisina Enolasi neurono-specifiche Cromogranina VIP positività ad antigeni neurali associati

Clinica

Dunque in tutti i pz con diagnosi di neuroblastoma è necessario compiere una biopsia ostiomidollare di routine per verificare se c’è iniziale interessamento scheletrico. 281

Molto spesso questo tumore si accompagna a pancitopenia: anemia + piastrinopenia + leucopenia. In alcuni casi si accompagna anche a una violenta diarrea molto liquida dovuta al rilascio massivo di VIP.

Prognosi Vi è un 30% di sopravvivenza entro i tre anni. Positiva se: ™ Quasi triploidia ™ Diagnosi sotto i 2 anni ™ Presenza Cell di Schwann ™ Presenza di infiltrato linfoide NK come segno di reazione alla malattia ™ Presenza in sede extrasurrenalica ™ Diagnosi in stadi avanzati della malattia ™ Espressione di Trk-A (recettore per il fattore di crescita neuronale) Negativa se: ™ Quasi tetraploidia ™ Età maggiore dei 2-5 anni ™ Vi sono bassi VMA/HVA ™ Amplificazione di N-myc ™ Espressione di Bcl-2 ™ Espressione della proteina P: in particolare l’espressione della proteina P170 conferisce una multidrug resistance.

Patologie affini Vi sono delle patologie strettamente apparentate con il neuroblastoma ma che presentano solitamente una prognosi migliore. Questa maggiore positività dell’esito è dovuta alla presenza di cell più mature con aumentato volume e aumentato citoplasma riconducibili alle cell gangliari. Inoltre si riscontra spesso la comparsa di cell di Schwann in questi frangenti , come detto in precedenza, comportano un miglioramento della prognosi. Ganglioneuroblastoma -

Presenta una differenziazione in senso gangliare (grandi cellule, citoplasma più abbondante, grandi nuclei vescicolosi e prominente nucleolo) Si presenta in sede mediastinica o retroperitoneale. La malattia va in contro a maturazione in terapia.

Ganglioneuroma -

Si presenta sempre in sede extraperitoneale. Presenta cell gangliari mature senza residui simpatoblastici. 282

-

E’ una forma benigna che può evolvere in una forma sclerotica. Necessario valutare tutto il tumore per evidenziare eventuali zone immature riconducibili al neuroblastoma. Può andare in contro a resezione sclerotica.

Feocromocitoma Si tratta di un tumore raro, costituito da cellule cromaffini che sintetizzano e rilasciano catecolamine ed in alcuni casi ormoni peptidici. E’ chiamato “tumore del 10%” perché nel 10% dei casi… • E’ extrasurrenalico • Insorge in età pediatrica (tipico dell’età adulta) • E’ maligno • E’ extra-surrenalico, sviluppandosi lungo il tragitto dell’aorta, dove questo tumore assume il nome di paraganglioma della midollare del surrene • E’ in associazione con una sindrome familiare: entra spesso nell’ambito delle neoplasie endocrine multiple: MEN2A in cui è associato con il carcinoma.della tiroide e MEN2B in cui è associato con la neurofibromatosi. • Dei feocromocitomi surrenalici non familiari è bilaterale: questa percentuale può raggiungere il 70% nei casi familiari

Morfologia Le dimensioni vanno da un piccolo tumore circoscritto confinato al surrene ( peso minimo 1g.), a grandi masse che possono pesare fino a 4kg. Normalmente si presenta come una massa di grosse dimensioni formata da aggregati solidi, tralci fibrosi,vasi ed è ben delimitata da connettivo o dalla corticale o midollare medesima compresse. Nel complesso si può definire come una struttura organoide: le cellule neoplastiche cromaffini sono raggruppate a formare piccoli nidi o alveoli (→ nidi di zellballen), circondati da una rete trasecolare fibrosa, riccamente vascolarizzata, che produce una struttura globulare. La ricca vascolarizzazione e lo stretto contatto fra aggregati cellulari e vasi fa sì che le catecolamine vengano liberate facilmente nel sangue. In sezione la superficie dei feocromocitomi appare giallo-bruna, nelle lesioni voluminose anche interessata da aree di necrosi, di emorragia, o cistiche che fanno tendenzialmente scomparire il parenchima della ghiandola surrenale. Se si espone la superficie di sezione,a fresco, al reattivo di Zenker (bicromato di potassio), si ha viraggio del colore veso il bruno, per ossidazione delle catecolamine ( da qui il nome delle cellule cromaffini): questo rappresenta un prova efficace della presenza di granuli di catecolamine.

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Fenotipo -

Enolasi Catecolamine Neurofilamenti Cromogranina Sinaptofisina

Clinica La caratteristica clinica dominante è l’ipertensione: improvviso aumento della pressione arteriosa, associato a tachicardia, palpitazioni, sudorazione, mal di testa, tremori, a volte dolore addominale o toracico, nausea, vomito. In meno della metà dei pz esso produce veri e propri picchi, accessi ipertensivi intermittenti, scatenate anche da situazioni incidentali (stress emotivi, esercizi fisici, farmaci, interventi chirurgici, variazioni della postura, palpazione del tumore, pasti….). Producendo ingenti quantità di ormoni vasoattivi (catecolamine attive al contrario del neuroblastoma) può causare una accesso ipertensivo che può portare a morte. ÆQuesta produzione può essere influenzata da farmaci, gravidanza o intervento chirurgico: se durante un’operazione il chirurgo va a ledere involontariamente la massa tumorale può avvenire un rilascio massivo di catecolamine che porta a decesso il paziente. Nei rimanenti casi lo stato di ipertensione è continuo. In entrambi i casi comunque lo stato di ipertensione è provocato dall’improvviso rilascio di catecolamine, che può determinare anche scompenso cardiaco, edema polmonare, infarto acuto del miocardio. In alcuni, molto rari casi, i feocromocitomi secernono altri ormoni, come ACTH e somatostatina, e dunque provocano manifestazioni cliniche differenti.

Prognosi Non si può prevedere se la malattia è benigna o maligna, l’indice di malignità è dato dall’infiltrazione delle cell neoplastiche nei vasi che portano a metastasi e alla rapida diffusione sistemica delle catecolamine. Le metastasi hanno uno spiccato tropismo per lo scheletro, in questo caso la prognosi è infausta. Nel 10% dei casi con potenziale metastatico il tumore porta a morte in un anno. Paragangliomi Neoplasie del tutto analoghe al feocromocitoma che si sviluppano nei gangli simpatici e parasimpatici ( sede carotidea, mediastinica, giugulo temporale…)

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Neoplasie endocrine multiple MEN2A: paraganglioma + carcinoma midollare della tiroide È una patologia altamente aggressiva e rapidamente letale.

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Tumori neuroendocrini Generalmente si parla di tumori neuroendocrini riferendosi al tratto gastrointestinale, ma in realtà ci si potrebbe riferire ad ogni organo per la presenza di un sistema neuroendocrino diffuso. Il concetto di sistema neuroendocrino diffuso è stato rivisto e modificato negli anni. Fu definito per la prima volta circa 60 anni fa, come sistema formato da cellule in grado di captare amine e decarbossilarle, sistema APUD (Amine Precursor Uptake and Decarboxilation). Da ciò i tumori derivanti da queste cellule furono chiamati apudomi. Successivamente venne dimostrato che non tutte le cellule del gruppo esibivano questa funzione e dunque il termine è caduto in disuso. Attualmente le cellule appartenenti a questo sistema sono definite in base alle seguenti caratteristiche: • cellule capaci di produrre amine o peptidi ad azione ormonale o neurotrasmettitrice • cellule che possiedono vescicole simili alle vescicole sinaptiche o ai granuli neurosecretori • i loro prodotti di secrezione vengono liberati per esocitosi regolata in risposta a stimoli esterni Il gruppo di cellule neuroendocrine include: - sistema neuroroendocrino gastrointestinale: il più rilevante ed importante, formato da molti tipi di cellule che si trovano disperse nella mucosa dell’apparato gastrointestinale e del pancreas. Le cellule secernono ormoni che costituiscono un sistema bilanciato di antagonisti ed agonisti in grado di regolare e coordinare gran parte dell’attività gastrointestinale. Alcune di queste sostanze hanno azione endocrina, altre paracrina, altre agiscono come neurotrasmettitori del SNC. - Sistema endocrino respiratorio: nel tratto inferiore dell’albero bronchiale si trovano cellule endocrine diffuse secernenti amine e peptidi, probabilmente implicati nella regolazione locale ed in quella basata sul sistema nervoso autonomo delle funzioni respiratorie. - Sistema neuroendocrino diffuso urogenitale - Cellule formanti parti distinte di ghiandole endocrine: midollare del surrene, cellule C della tiroide, insule pancreatiche, cellule che producono ACTH e MSH dell’ipofisi - Cellule secernenti renina dell’apparato iuxta-glomerulare - Chemocettori del corpo carotideo - ….. Il sistema neuroendocrino diffuso è quindi un insieme di elementi cellulari endocrini, che hanno la medesima origine embriogenetica degli organi di cui fanno parte. Sono praticamente posizionati in ogni organo e tessuto. Una volta questi tumori erano definiti carcinoidi, per evidenziare un tipo di neoplasia simile al carcinoma, ma con decorso clinico più blando.

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Ora questo termine è in disuso e recentemente è stata introdotta una nuova classificazione dei tumori neuroendocrini, da parte di un professore dell’università di Pavia, che è molto più dinamica, e differenzia i tumori in: 1. tumori endocrini ben differenziati a. comportamento benigno b. indefiniti a comportamento benigno o potenzialmente maligno (border line) 2. carcinomi endocrini ben differenziati ( basso grado di malignità) 3. carcinomi endocrini scarsamente differenziati (alto grado di malignità) Questa classificazione si basa sulla valutazione di una serie di criteri diagnostici all’esame del tumore: -

-

-

• • • •

caratteristiche biologiche del tumore sede volume metastasi angioinvasione

caratteristiche funzionali del tumore secernente e funzionante → sono le forme di cui è più facile fare diagnosi perché in base al tipo di secrezione ormonale si può avere presenza di sindromi associate (insulinoma, gastrinoma) • secernente e non funzionante → la neoplasia produce sostanze che non hanno funzionalità o non hanno emivita sufficiente, dunque non danno simìntomatologia neuroendocrina • non secerenente e non funzionante → il comportamento di questi tumori è di solito quello che presenta il decorso più aggressivo •

sede del tumore

Questi criteri diagnostici in pratica permettono una differenziazione tra neoplasie benigne e maligne. Le principali differenze tra neoplasie benigne e maligne all’esame istologico sono le seguenti: Neoplasia benigna Struttura organoide: tendenza alla formazione di strutture pseudoghiandolari o pseudotubulari, simili a quelle dell’organo di appartenenza Citologia tipica della cellula endocrina ; la struttura della cellula assomiglia a quella della cellula d’origine, i nuclei sono omogenei e simili a quelli della cellula d’origine, dunque presentano: - cromatina granulare “sale e pepe” - abbondante citoplasma molto eosinofilo: grande attività sintetica

Neoplasia maligna Struttura solida

Citologia atipica: la struttura della cellula non assomiglia più a quella della cellula d’origine, ma a quella della stem-cell. Tutti i tumori in fase finale sono molto simili.

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Attività proliferativa scarsa Necrosi assente o focale p53 assente: non vi sono né mutazioni, né accumuli della p53. La proteina p53 wild type ha emivita molto breve (4-5h) e dunque non è visualizzabile con l’immunoistochimica. La presenza di p53 dunque rispecchia sicuramente una mutazione della stessa che può essere: - pre trascrizionale - post-trascrizionale: legame di polimeri e stabilizzazione

Attività proliferativa marcata Necrosi estesa perché la proliferazione supera le capacità di neo-angiogenesi. P53 spesso presente

Da un punto di vista di marcatori molecolari del tumore abbiamo: Neoplasia benigna Cromogranina A ++ → dosabile nel sangue NSE (neuro specific neurono specifica ++ → dosabile nel sangue Sinaptofisina ++

enolase)

Neoplasia maligna Cromogranina A – → la cromogranina tende a scomparire nelle forme indifferenziate enolasi NSE ++ Sinaptofisina ++

Con l’indagine al microscopio ottico dopo colorazione con ematossilina/eosina si può fare solo diagnosi di tumore neurosendocrino e si può dire se esso è poco o ben differenziato, la presenza di attività mitotica o la presenza di aree necrotiche. Dunque diviene necessario eseguire l’indagine immunoistochimica. Questa ci serve anche per valutare in modo più preciso la proliferazione cellulare di cui è marcatore la proteina Ki67, una proteina nucleare presente in tutte le fasi del ciclo cellulare eccetto la G0; nel carcinoma mammario la ricerca di questa proteina è necessaria e sufficiente a definire l’impostazione della terapia Il trattamento della neoplasia ben differenziata (tumore o carcinoma) di solito prevede: - escissione chirurgica → sempre, operata anche al fine di analizzare la neoplasia (qui non è possibile fare una microbiopsia per valutare l’intera neoplasia con precisione) - trattamento farmacologico con somatostatina ed IFN Il trattamento della neoplasia scarsamente differenziata è del tutto diverso e prevede: - escissione chirurgica soli in casi radicali ( solitamente la chirurgia è inutile) - trattamento chemioterapico e radioterapico aggressivo associato I tumori neuroendocrini che interessano il tratto gastrointestinale colpiscono in prevalenza: - appendice → sede di insorgenza più comune 288

- intestino tenue (ileo soprattutto e frequentemente ampolla del Vater) - retto - stomaco - colon I tumori neuroendocrini a partenza dall’appendice e dal retto raramente metastatizzano, persino nei casi con diffusa estensione locale. Al contrario il 90% dei tumori neuroendocrini dell’ileo, dello stomaco e del colon che abbiano già infiltrato per metà la tonaca muscolare, ha già coinvolto linfonodi regionali e sedi distanti con un particolare tropismo per il fegato. MORFOLOGIA

Macroscopica Nell’appendice insorgono frequentemente tumori dell’apice, spesso obliteranti il lume. Nelle altre porzioni dell’intestino formano masse sottomucose o intramurali che creano piccole rilevatezze generalmente di diametro inferiore ai 3 cm. La mucosa sovrastante può essere integra o ulcerata, mentre sul versante opposto può infiltrare la parete intestinale fino ad invadere il mesentere. Questi tumori sono estremamente duri, e quando coinvolgono il mesentere possono provocare in esso lesioni sclerosanti, dando luogo ad angolazioni o strozzature sufficienti a causare occlusioni intestinali.

Microscopica Le cellule neoplastiche possono formare isole, trabecole, ghiandole, oppure disporsi diffusamente a tappeto. Solitamente e soprattutto nei casi benigni le cellule tumorali sono monomorfe, con citoplasma scarso, intensamente eosinofilo e nucleo rotondo ed ovoidale con fini granuli di cromatina (aspetto “sale e pepe”) Nella maggior parte dei casi nel citoplasma si osservano granuli secretori con centro denso. CLINICA I tumori neuroendocrini dell’apparato gastrointestinale possono - essere asintomatici - provocare sintomi locali (molto raro) dovuti ad angolazione ed occlusione del tenue - produrre sindromi ed endocrinopatie se funzionanti in funzione del prodotto secreto. - Provocare una classica sindrome detta sindrome da carcinoide → si presenta nell’!% dei casi e sembra che molte delle manifestazioni di questa sindrome dipendano da un eccesso di serotonina nel sangue. Solitamente la serotonina è degradata dal fegato, che la trasforma in un prodotto inattivo. Di conseguenza si ha di solito questa sindrome nel momento in cui vi siano metastasi epatiche (la serotonina raggiunge il circolo sistemico sfuggendo alla degradazione epatica) o in caso di tumori neuroendocrini extra-intestinali (le sostanze prodotte da questi tumori sono rilasciate direttamente in circolo). CASO CLINICO I Il paziente all’ecografia presenta una massa nel fegato.

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Bisogna stabilire se il paziente è cirrotico, nel qual caso potrebbe trattarsi più facilmente di un epatocarcinoma primitivo del fegato, oppure non lo è, nel qual caso aumentano le probabilità di metastasi. Se è possibile dunque si fa biopsia epatica. Alla biopsia epatica si riscontra un quadro citologico compatibile con quello di un tumore endocrino ben differenziato. Questo significa al 99% dei casi che si tratta di metastasi di un tumore neuroendocrino a locazzazione primitiva intestinale. Per fare diagnosi definitiva tuttavia vado a ricercare marcatori specifici del tumore nel siero, dunque ricerco cromogranina A e NSE. Il tumore primitivo si localizza nel tratto gastrointestinale e risulta negativo per insulina, gastrina, glucagone, somatostatina e calcitonina. Dunque si tratta di un tumore non secernente e non funzionante. ⇒ tumore endocrino ben differenziato → probabile metastasi epatica di un carcinoma primario occulto. CASO CLINICO II Il sistema neuroendocrino deriva da cellule progenitrice che sono in grado di differenziarsi in senso endocrino così come in senso epiteliale: dunque il tumore divenendo indifferenziato può dare luogo a cellule progenitrici che possono differenziarsi anche in senso epiteliale. Nello stomaco le cellule neuroendocrine si ritrovano alla base delle cripte, fra cellule epiteliali e mbr basale. I tumori neuroendocrini ben differenziati dello stomaco possono essere: - del tutto benigni: • con diametro < 1cm • non angioinvasivi • si presentano come piccole rilevatezze della sottomucosa, delle dimensioni della capocchia di uno spillo • sono multifocali - border line • con diametro > 1 cm. • Possono essere angioinvasivi • Possono essere benigni ma anche potenzialmente maligni. Nel nostro caso si ha un maschio di 60 anni, che all’esofago-gastro-duodenoscopia presenta: - mucosa gastrica marezzata - lesioni polipoidi nel corpo Viene fatta una biopsia delle rilevatezze nodulari (polipi) e si vede un quadro istologico che mostra la proliferazione di elementi cellulari omogenei con nuclei monomorfi e dall’aspetto di cellule di origine endocrina. Il campione bioptico viene dunque analizzato con tecniche immunoistochimiche attraverso l’utilizzo di Ac anti-cromogranina A e si vede una grossa positività, una iperreattività. 290

⇒ Si tratta dunque di un tumore ben differenziato dello stomaco, a cellule ECL enterocromaffini, che molto spesso si inserisce nel contesto di una gastrite cronica atrofica del corpo (non fa pensare ad H. Pylori) e dunque di una ipergastrinemia. CASO CLINICO III e IV Si analizza l’ampolla del Vater. Il tumore più frequente in questo sito è l’adenocarcinoma che insorge sul polipo duodenale, a causa della mataplasia carcinomatosa displastica. Uno dei primi sintomi precoci della patologia dell’ampolla di Vater è l’ittero ostruttivo, che però è causato anche da altri tipi di patologie e da altri tipi di tumori come il tumore che colpisce la testa del pancreas. Nel nostro caso si ha una femmina di 60 anni, che presenta una sintomatologia con dolore epigastrico associata ad un quadro precedente di neurofibromatosi di tipo1 (patologia gentica caratterizzata dalla formazione di neurofibromi, gliomi del nervo ottico, noduli pigmentati dell’iride, macule cutanee iperpigmantate → malattia dell’elephant man). Alla colangiografia vediamo ostruzione delle vie rettali. Possiamo eseguire una serie di ulteriori indagini come i raggi x del tubo digerente, la ERCP (retrograda trans duodenoscopica), ma alla fine si deve eseguire ampillectomia, che è un intervento ampio ad alto rischio di mortalità. Al successivo esame istologico il tumore si presenta molto ghiandolare. Tuttavia non può trattarsi di un adenocarcinoma, poiché gli adenocarcinomi, anche se ben differenziati, presentano elevato indice mitotico, mentre questo tumore si presenta molto monomorfo con un Ki67 di solo il 2,2%. All’esame della cromogranina hai una reazione molto positiva. Si tratta dunque di un tumore ben differenziato ed a bassa aggressività. Inoltre il tumore è positivo alla somatostatina in modo diffuso. Nel secondo caso abbiamo invece un pz che presenta una sintomatologia con ittero ostruttivo e perdita di peso. Eseguendo tutti gli esami si vede che il tumore ha origine dall’ampolla del Vater e dunque viene eseguita ampillectomia. All’esame istologico si vede un tumore: - poco differenziato - con cellule piccole, con scarso citoplasma, disposte in cordoni - le cellule sono fortemente positive per l’ematossilina perché il rapporto nucleo/citoplasma è nettamente a favore del nucleo - le cellule presentano positività per sinaptofisina e NSE - le cellule presentano negatività per la cromogranina A Si tratta dunque di un carcinoma endocrino ben differenziato.

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Malattie vascolari del SNC Generalità Le malattie vascolari del SNC ed, in particolare dell’encefalo, rappresentano la terza causa di morte negli USA dopo le malattie cardiovascolari e i tumori arrivando a coprire il 50% delle lesioni neurologiche. A livello clinico si suddividono in 3 tipologie principali: ¾ Trombosi ¾ Embolia ¾ Emorragia Ictus (o Stroke) è la denominazione che si applica a questi fenomeni nel caso essi si manifestino in maniera acuta! A livello fisiopatologico possiamo dividere la malattia in 2 processi: ¾ Ipossia, ischemia e infarto causati da compromissione del flusso ematico e dell’ossigenazione del SNC ¾ Emorragia causata dalla rottura dei vasi del SNC

Ipossia, ischemia e infarto L’encefalo riceve il 15% della gittata cardiaca ed è responsabile del 20% del consumo corporeo totale dell’ossigeno. Il flusso corrisponde a 50ml/min X 100g di tessuto e rimane costante in certi intervalli di pressione arteriosa e intracranica grazie a un sistema di autoregolazione delle resistenze vascolari. Quando il flusso ematico a una zona si interrompe la sua sopravvivenza dipende da: • Disponibilità di circoli collaterali • Durata dell’ischemia • Entità e rapidità della riduzione del flusso Alla luce di questi criteri si distinguono due principali tipi di danno ischemico: ¾ Ischemia cerebrale globale: generale calo della per fusione cerebrale ¾ Ischemia cerebrale focale: calo della perfusione localizzato a una zona

Ischemia cerebrale globale Questa condizione si verifica in caso di arresto cardiaco, shock o ipotensione grave e l’entità del danno è correlata alla durata dell’insulto. Nei casi lievi si possono manifestare stati confusionali con recupero e assenza di danno. La ripetizione, però, di questi episodi in alcuni pz, a lungo andare, causa danno irreversibile. 292

Vi è una gerarchia dettata dalla sensibilità delle cell nervose all’insulto nella quale i neuroni si piazzano al primo posto come cell meno resistenti superando i già particolarmente vulnerabili astrociti e oligodendrociti (glia). Vi è, inoltre, all’interno dei neuroni, una vulnerabilità selettiva che distingue neuroni di diverse zone dell’encefalo in base all’entità del flusso ematico ricevuto e alle richieste metaboliche. Nell’ischemia cerebrale globale si verifica una morte neuronale diffusa indipendente dalla vulnerabilità regionale. I pazienti che sopravvivono a questi episodi cadono in stato vegetativo persistente (coma) che può giungere fino alla morte cerebrale contraddistinta principalmente da: • Danno corticale diffuso • EEG piatto • Mancanza di stimoli respiratori • Mancanza di stimolo di perfusione cerebrale Il pz è tenuto in vita con la respirazione artificiale mentre il suo cervello va incontro a un processo autolitico definito rammollimento.

Morfologia

L’encefalo si presenta rigonfio con circonvoluzioni allargate e solchi ristretti. Si osserva una scarsa demarcazione tra sostanza bianca e sostanza grigia. A livello istopatologico si osservano 3 modificazioni: ¾ Cambiamenti precoci: (12-24 ore dopo l’insulto) si assiste a una microvacuolizzazione dei neuroni e a una successiva eosinofilia in seguito a picnosi e carioressi del nucleo. In seguito eventi analoghi si presentano anche nella macroglia. Inizia infiltrazione di neutrofili. ¾ Cambiamenti subacuti: (24h – 2 settimane dopo l’insulto) necrosi del tessuto con comparsa di macrofagi, proliferazione vascolare e gliosi reattiva. ¾ Riparazione: (dopo 2 settimane dall’insulto) rimozione del tessuto necrotico con perdita della normale organizzazione parenchimale e gliosi. A seguito di questi fenomeni si verifica una distruzione asimmetrica della neocortex causata dal coinvolgimento non omogeneo di uno o più strati della stessa; questo fenomeno prende il nome di necrosi pseudolaminare. Gli infarti della zona di confine sono aree cuneiformi localizzate nei campi più distali dell’irrorazione arteriosa, si verificano di solito in seguito a episodi di ipotensione. Il così detto “cervello respiratorio” si presenta come materiale soffice e disgregato.

Ischemia cerebrale focale Causata dall’occlusione di un’arteria cerebrale e diffusa a tutta la zona che l’arteria stessa perfonde. Il danno e la sua entità dipendono dalla zona colpita e, soprattutto, dalla presenza o meno di circoli collaterali; a questo proposito il poligono di Willis è il principale punto che sopperisce il più possibile in questi casi. 293

Vi sono poi rinforzi parziali e incostanti per la superficie cefalica dovuti ad anastomosi cortico-leptomeningee; al contrario l’irrorazione delle strutture profonde (talamo, nuclei della base…) non può contare su circoli collaterali. ÆLa reazione all’ischemia delle cellule nervose comprende la massiva liberazione di neurotrasmettitori che possono causare la morte di cellule più o meno adiacenti intaccando la funzionalità dei loro canali ionici. L’ischemia cerebrale focale può essere causata da diversi fattori: ¾ Trombosi in situ ¾ Embolizzazione da una sorgente a distanza ¾ Vasculite infettiva ¾ Vasculiti non infettive ¾ Altre cause A questi fattori si aggiunge, ovviamente, una forte associazione della patologia con diabete e ipertensione. Trombosi E’ causata principalmente dall’aterosclerosi. Le sedi più comuni sono la biforcazione carotidea, l’origine della cerebrale media e ogni ramo terminale della basilare. Vasculite infettiva Negli anni passati si osservava spesso arterite associata a sifilide o tubercolosi; al giorno d’oggi si osservano spesso in quadri di immunosoppressione associati a infezioni opportunistiche da, per esempio, toxoplasma, aspergilo e CMV. Vasculite non infettiva La poliarterite nodosa è una collagenopatia in grado di causare infarti singoli o multipli all’encefalo. L’angioite primitiva del SNC è un disturbo infiammatorio che coinvolge specialmente i vasi subaracnoidei e parenchimali di piccolo calibro; è una flogosi cronica che porta alla distruzione della parete vasale. Altre cause ƒ Malattie ematologiche con stati di ipercoagulabilità ƒ Aneurisma dissecante dei vasi epiaortici ƒ Abuso di sostanze stupefacenti Arteropatia cerebrale autosomica dominante con infarti subcorticali e leucocefalopatia Forma ereditaria causata da mutazioni del gene Notch3. La malattia è caratterizzata da ictus ricorrenti e demenza.

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L’istologia ha messo in evidenza un ispessimento concentrico della media e dell’avventizia di alcuni vasi parenchimali e leptomeningei. Angiopatia amiloidea cerebrale Peptidi identici a quelli della malattia di Alzheimer si depositano nei vasi di piccolo e medio calibro della corticale e delle meningi. Ne deriva un indebolimento del vaso e una conseguente emorragia.

Embolia cerebrale La sorgente più comune sono i trombi parietali cardiaci che sono conseguenza di: ƒ Infarto del miocardio ƒ Malattia valvolare ƒ Fibrillazione atriale In ordine di importanza seguono i tromboembolismi arteriosi spesso a livello delle placche ateromasiche carotidee. Altre cause: ƒ Embolismo paradosso nei bambini con malformazioni cardiache ƒ Embolia associata a chirurgia cardiaca ƒ Embolia da materiale (grasso, tumore, aria..) Il distretto di vascolarizzazione della cerebrale media è il più interessato da emboli.

Morfologia L’infarto può essere di due tipi ¾ Rosso: in seguito a emorragie petecchiali diffuse che confluiscono; si associa spesso a un evento embolico e alla riperfusione, tramite circoli collaterali, dei vasi danneggiati dalla massa occludente, questo fenomeno causerebbe le emorragie diffuse. ¾ Pallido: si associa solitamente a trombosi.

Infarto emorragico (rosso) Ha caratteristiche simili a quelle dell’infarto ischemico con aggiunta di stravaso e riassorbimento ematico. Da notare come gli infarti venosi siano quasi sempre emorragici in seguito all’occlusione da parte di un trombo dei seni cerebrali.

Infarto non emorragico (pallido) E’ un infarto che si modifica nel tempo. • Dopo 48 ore dal danno irreversibile il tessuto diventa molle, pallido e tumefatto; la giunzione corticomidollare si fa indistinta. • Dopo 2-10 gg il parenchima si fa gelatinoso e friabile; la giunzione si fa ancora meno definita a causa dell’edema che circonda la tumefazione. 295



Fino alle 3 settimane dopo il tessuto si liquefa lasciando una cavità in espansione rivestita da tessuto scuro grigiastro.

Dal punto di vista tissutale si assiste alle seguenti modificazioni: • Fino a 12h: modificazioni neuronali ischemiche (neuroni rossi), edema vasogenico e citotossico, cell endoteliali e astrociti iniziano a gonfiarsi, le fibre mieliniche cominciano a disintegrarsi. • Fino a 48h: migrazione dei neutrofili ha un picco poi scema, i macrofagi derivanti dalla microglia e dai moniciti circolanti assumono un ruolo predominante fino alle 2-3 settimane. • Dopo 1 settimana: quando i macrofagi sono già al lavoro da un po’ si osservano i primi astrociti reattivi. • Dopo parecchi mesi: le dimensioni cell degli astrociti si riducono e i loro processi formano un denso agglomerato di fibre gliali frammiste a capillari e rare fibre di tessuto connettivo. Questi processi sono la testimonianza della riparazione in atto.

Clinica A seconda della localizzazione della patologia si può avere un pz asintomatico o presentante una vasta gamma di sintomi correlati alla zona colpita che possono evolvere fino a exitus.

Emorragia intracranica Le emorragie possono insorgere in qualsiasi sede del SNC. Possono essere un evento secondario a, per esempio, infarti dovuti a occlusione vascolare, o possono essere primitive tipicamente in conseguenza di traumi e si sviluppano nello spazio subdurale ed epidurale. Le emorragie a livello subaracnoideo, sebbene possano anch’esse essere causate da traumi, sono più spesso espressione di una malattia cerebrovascolare.

Emorragia intraparenchimale (intracerebrale) Queste patologie di origine spontanea (non traumatica) mostrano un picco nelle persone intorno ai 60 anni. L’ipertensione è la causa più comune coprendo il 50% dell’eziologia dell’emorragia intraparenchimale. Questo perché l’ipertensione causa: • Aterosclerosi accelerata delle arterie di grosso calibro • Aterosclerosi ialina dei capillari • Lesioni proliferative e necrosi nelle arteriose • Sviluppo dei microaneurimi di Charcot-Bouchard Æ siti di rottura?? Altri fattori che possono causare emorragia spontanea sono: ¾ Alterazioni della coagulazione ¾ Chirurgia a cuore aperto ¾ Neoplasie 296

¾ ¾ ¾ ¾

Angiopatie amiloidi Vasculiti Aneurismi fusiformi Malformazioni vascolari

Morfologia L’emorragia di origine ipertensiva origina al nel putamen (60%), talamo, ponte ed emisferi cerebellari (raro). Per le loro localizzazioni si dividono in e. gangliari ed e. lobari. Lo stravaso di sangue causa compressione parenchimale e, a lungo andare, si forma una cavità con bordo marrone pallido con edema periferico che va riassorbendosi; le osservazioni istologiche sono le medesime dell’infarto cerebrale.

Clinica Se colpisce vaste aree può essere fatale in poco tempo oppure può essere silente nel caso l’interessamento sia ridotto e circoscritto. L’ematoma va poi riassorbendosi con miglioramento clinico. La sintomatologia dipende dalla zona colpita.

Emorragia subarcanoidea e aneurismi sacculari La rottura di un aneurisma sacculare è la più frequente causa di emorragia subaracnoidea. Altre cause: ¾ Estensione di un ematoma traumatico ¾ Rottura di un’emorragia ipertensiva intracerebrale nel sistema ventricolare ¾ Malformazione vascolare ¾ Tumori ¾ Disturbi ematologici L’aneurisma sacculare è il tipo più comune di aneurisma intracranico, si riscontrano per la quasi totalità nella circolazione cerebrale anteriore in prossimità dei principali punti di ramificazione arteriosa.

Patogenesi degli aneurismi sacculari L’eziologia è sconosciuta! Alcuni studi li mettono in correlazione con alcuni disturbi genetici ereditari. Fumo e ipertensione sono statisticamente considerati fattori di rischio.

Morfologia Un aneurisma sacculare è un’estroflessione a parete sottile e traslucida in corrispondenza di punti di ramificazione lungo il circolo di Willis. Misurano 2-3 mm di diametro.

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La rottura del sacco avviene normalmente all’apice dell’estroflessione con stravaso di sangue in sede subaracnoidei e/o nella sostanza cerebrale. La parete del sacco è priva della parete muscolare e della lamina elastica ed è costituita da una parete ialina ispessita.

Clinica Più frequente nella 5° decade e leggermente più comune nelle donne. Maggiore sono le dimensioni dell’aneurisma maggiori sono i pericoli di sanguinamento. La rottura si ha a un aumento della pressione intracranica come durante attività sportiva o un rapporto sessuale; il pz manifesta una cefalea lancinante e sviene. Il 25-50% muore alla prima rottura, gli altri rinvengono in pochi minuti e migliorano. Le recidive sono imprevedibili e la loro ricorrenza aggrava la prognosi. Gli effetti possono essere: ¾ Acuti: a seguito entro poche ore del sanguinamento ¾ Tardivi: legati al processo di riparazione Uno dei pericoli della fase acuta è la diffusione di un vasospasmo che si può estendere a diversi vasi e causare ischemia nelle zone adiacenti. Tra gli effetti tardivi vi è l’alterato flusso di liquor dovuto alla formazione di cicatrici.

Malformazioni vascolari Classificabili in 4 gruppi: ¾ Arterovenose ¾ Angiomi cavernosi ¾ Teleangiectasie capillari ¾ Angiomi venosi Malformazioni arterovenose Sono le più comuni e interessano i vasi dello spazio subaracnoideo che si estendono nell’encefalo o in quelli esclusivamente all’interno dell’encefalo stesso. Assomigliano a una rete aggrovigliata di canali vascolari vermiformi con notevole shunt arterovenoso e notevole flusso ematico passante per la malformazione. Molti si presentano come vasi ispessiti e presentanti alterazioni della lamina elastica o sostituzione della media con connettivo ialinizzato. Angiomi cavernosi Canali vascolari bassamente organizzati, distesi, con pareti sottili e pive di tessuto nervoso! Di solito presenti nel cervelletto, ponte e nelle regioni subcorticali. 298

Teleangiectasie capillari Foci microscopici di canali vascolari a parete sottile, dilatati e separati da parenchima cerebrale. Angiomi venosi Aggregati di vasi venosi ectasici.

Clinica Maschi sono colpiti il doppio delle donne con picco trai 10 e i 30 anni presentandosi come disordine epilettico. La più colpita è la cerebrale media.

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Neoplasie del Sistema Nervoso Centrale Generalità Le neoplasie a carico del sistema nervoso centrale sono per ½-3/4 primitive, ovvero originano primariamente nel parenchima cellulare nervoso, la restante parte rappresenta le neoplasie di origine metastatica. Questi tumori arrivano a costituire fino al 20% di tutte le neoplasie pediatriche con un peculiare sviluppo nella fossa cranica posteriore in posizione sopratentoriale. Le neoplasie del SNC presentano due picchi di età: - 1° decade: raggiunge il 9%di frequenza - 6° decade: succede perché i tumori più comuni come, ad es, l’astrocitoma, generano verso i 40 anni ma, a causa della loro crescita lenta, vengono all’evidenza clinica solo nell’anziano. Questi tumori presentano caratteristiche peculiari: ¾ La distinzione tra forme maligne e forme benigne è meno marcata: - Vi sono neoplasie gliali a basso indice mitotico che sono altamente infiltrative. - Queste neoplasie sono di difficile eradicazione chirurgica. - Posso risultare fatali nonostante il loro istotipi a seconda della loro localizzazione. ¾ Sono formati da cell particolari e non vi è presenza di stroma connettivale. ¾ Danno solo raramente metastasi: - La barriera emato-encefalica viene solo in rari casi valicata da cell metastatizzanti - Lo spazio sub-aracnoideo è la via sfruttata dalle cell tumorali per metastatizzare a livello encefalico e midollare. Normalmente prevalgono a livello statistico le forme benigne ma, come già accennato, in questa classe di patologia conta maggiormente il rapporto della neoplasia, sia essa benigna o maligna, con l’ambiente circostante che l’istotipo stesso. ÆUn meningioma benigno, per esempio, può comprimere il bulbo causando morte per arresto respiratorio. ÆPiù in generale c’è da dire che questi tumori crescono in spazi ristretti e spesso causano compressione da cui spesso scaturisce un aumento della pressione del liquor (norm=20mmHg); da qui il più comune sintomo riconducibile spesso a queste malattie ovvero la cefalea. Le neoplasie del SNC possono derivare da tre tipi di cell: ¾ Neuroni: rari perché sono cell molto stabili.

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¾ Macroglia: - Astrociti: cell simili ai fibroblasti che possono formare cicatrici in condizioni particolari - Oligodendrociti - Cell ependimali: hanno caratteristiche comuni alle cell epiteliali, tappezzano i ventricoli e il canale vertebrale. ¾ Microglia: sono cell simili ai macrofagi che possono dare patologie diverse ma mai tumore

Le neoplasie della macroglia sono di gran lunga le più frequenti! ÆMeningiomi: tumori intracranici extra-parenchimali. Æ Vi sono ancora problemi nella classificazione a causa di forme che si presentano a componenti miste gliale-neuronale o due tipologie gliali. Oltre a questa classificazione questi tumori si possono dividere anche in base alla sede di interessamento: ¾ Sopratentoriale: tipico dell’adulto ¾ Sottotentoriale: tipico del bambino

Classificazione WHO dei tumori del sistema nervoso 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

T. neuroepiteliali T. dei nervi periferici T. delle meningi Linfomi e neoplasie ematopoietiche T. cellule germinali T. della sella turcica Æ esordio clinico per compressione T. metastatici Æ sono di difficile diagnosi visto che, per es, una metastasi di adenocarcinoma può essere confusa con un meningioma vista la natura a metà tra l’epiteliale e l’endoteliale delle cell meningee.

Diagnosi La diagnosi risulta spesso difficile viste le disparate varietà di tumore e la variabilità della sintomatologia manifesta. Anche l’immunoistochimica è di scarso aiuto in quanto possiamo evidenziare solo due marker: ¾ GFAP (proteina gliofibrillare acida): indica una derivazione gliale. ¾ Ig anti-sinaptofisina: indica una derivazione neuronale.

Problema dell’eradicazione chirurgica Vi sono neoplasie benigne che diventano di fatto maligne a causa dell’impossibilità di escissione chirurgica. Ciò non è dovuto a una difficoltà di accesso ma all’interessamento di una zona funzionale. 301

Clinica Come già detto la clinica è molto variabile e dipende principalmente dalla crescita e dalla sede di sviluppo. • • •

Cefalea: la massa tumorale ha effetto di aumentare la pressione endocranica. Epilessia: tumore che ha infiltrato la corteccia (gliomi) Falso segno focale: il tumore spinge masse cerebrali fino a farle erniare dai diversi fori e causando la compressione dei nervi in quella sede Vero segno focale: il tumore ernia comprimendo lui stesso il nervo Emorragia: segno evidente della crescita tumorale che porta con sé neoangiogenesi e, quindi, formazione di vasi non stabili. Idrocefalo: il tumore cresce dentro al canale cefalo-rachidiano obliterandolo e rendendo così impossibile il drenaggio del liquor dall’encefalo. Edema

• • • •

Tumori neuroepiteliali • • • • • • • • • •

Tumori astrocitici Tumori oligodendrogliali Gliomi misti Tumori ependimali Tumori del plesso coroideo Tumori gliali di origine incerta Tumori neuronali e misti neuronali-gliali Tumori neuroblastici Tumori del parenchima pineale Æ derivanti dal terzo occhio dei rettili e infatti presentano cell simili a quelle della retina Tumori embrionali

Tumori astrocitici ¾ Astrocitoma diffuso: • Fibrillare • Gemistocitico • Protoplasmatico ¾ Astrocitoma anaplastico ¾ Glioblastoma ¾ Astrocitoma pilocitico ¾ Xantoastrocitoma pleomorfo ¾ Astrocitoma subependimale a cell giganti Gli ultimi tre tipi di astrocitoma sono localizzati e perciò hanno una prognosi migliore.

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Al contrario gli astrocitomi diffusi, nonostante abbiano un più basso grado istologico, sono più infiltrativi e quindi più maligni; inoltre vengono diagnosticati tardivamente e, negli anni, possono passare dal basso grado fino a glioblastoma.

Grading E’ stata elaborata una nuova scala di valutazione che supera quella di St.Anne/Mayo. ¾ I: Astrocitoma pilocitico ¾ II: Astrocitoma di basso grado Æ proliferazione di astrociti che si mantengono quasi uguali ai normali con qualche atipia. Proliferazione lassa perciò non vedo mitosi. ¾ III: Astrocitoma anaplastico Æ elementi polimorfi + atipia + mitosi + neoangiogenesi ¾ IV: Glioblastoma Æ ….+ necrosi!! Æ questo tumore da aspettative di vita che non superano 1 anno nonostante eventuali interventi chirurgici, la giovane età del pz aumenta un poco le aspettative di vita; se attacca zone mute la chirurgia può essere più radicale ma recidiva spesso con differenziamento cellulare e anaplasia ripresentandosi più aggressivo.

Eziologia • • •

Radiazioni Sequenze DNA SV40 Eventi molecolari… Æ Nel passaggio da grado II a III, nell’ astrocitoma diffuso, si ha la perdita di alleli su 9q e su 13q e un’amplificazione su 12q. I geni coinvolti sono tutti regolatori del ciclo cell.

In sostanza vi è più di un fattore necessario allo sviluppo della patologia.

Fenotipo Grado II a III: perdita di allele 9p,13q,amplificazione12q (9p21 geni codificanti per p16 e p15 del ciclo cell)

Astrocitoma diffuso • • • • •

• • •

Elevata differenziazione cellulare, lenta crescita; Età: 30-40 Æ Questa neoplasia rappresenta l’80% dei tumori cerebrali dell’adulto! Sesso: maschi > femmine Grado: II Localizzazione: sopratentoriale, frontale e temporale; causa perciò sindrome prefrontale con aggressività, disinibizione e alterazioni caratteriali Macro: margini indistinti o massa gelatinosa a confini indefinibili Istopatologia: cellularità, rare atipie nucleari., mitosi assenti,GFAP+ Sopravvivenza: 6-8 anni 303

• •

Fattori prognostici: età, resezione chirurgica, mutazione TP53 – (variante gemistocitica) Clinica: convulsioni, cefalea e deficit neurologici

L’astrocitoma, dal punto di vista istopatologico, è suddiviso in 3 tipi: • Fibrillari: cell a stella • Gemistocitico: cell con citoplasma eosinofilo e fini processi, è la forma più aggressiva • Protoplasmatici: cell con piccolo corpo, scarsi e flaccidi processi simili a cell reattive, degenerazione mucide

Astrocitoma anaplastico • • • • • • • • • •

Anaplasia focale o diffusa; marcato potenziale proliferativo; progressione in glioblastoma Età: media 41 Sesso: maschi > femmine Grado: III Localizzazione: emisfero cerebrale Macro: indistinguibile dall’astrocitoma diffuso Istopatologia: cellularità + elevata, atipie nucleari, mitosi frequenti Genetica molecolare: mutazione TP53 Sopravvivenza: 3 anni Fattori prognostici: età, resezione chirurgica, presenza di oligodendrociti che rendono meno aggressivo il tumore.

Glioblastoma In seguito a uno differenziamento che può essere locale o diffuso avviene il seguente schema di trasformazione: astrocitoma fibrillareÆastrocitoma anaplastico- - ->glioblastoma Inoltre vi è anche la forma primaria. • • • • • • • •



Astrociti scarsamente differenziati, proliferazione vascolare, necrosi Vi può essere una progressione da grado III o insorgenza “de novo”; Età: media 45-70 (rare manifestazioni in utero); Incidenza: 12-15% SNC Sesso: maschi > femmine Grado: IV Localizzazione: sostanza bianca subcorticale dell’emisfero cerebrale (temporale, parietale, frontale) Macro: massa grigiastra mal definita, necrosi a palizzata, emorragie, unilaterale o bilaterale (a farfalla); inoltre proliferazione vascolare glomeruloide (per similitudine col glomerulo renale) che può dare emorragia con relativi sintomi. Diffusione: rapida, attraverso il corpo calloso, rare metastasi via liquor, rare metastasi via ematica e liquorale (iatrogena)

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• • •

• •

Istopatologia: astrociti poco differenziati., atipia nucleare, marcata attività mitotica con strano orientamento dei fusi mitotici, proliferazione microvascolare (aspetto glomeruloide), necrosi (a palizzata), strutture ghiandolari (dd con adenocarcinoma), cell giganti multinucleate (variabile – maligna), cell.lipidizzate, cell.granulari ICC: GFAP+ EM: variabilità morfologica, mitocondri degenerati, presenza filamenti dipende da differenziazione Genetica molecolare: - Mutazione TP53, LOH 17p Æ secondario (progressione da grado III) - LOH 10p, amplificazione EGFR Æ primario (GBM de novo) Sopravvivenza: femmine Grado: II Localizzazione: sostanza bianca emisferica (frontale) Clinica: convulsioni epilettiche, cefalea Macro: massa soffice, grigio-rosata o gelatinosa, calcificazioni Istopatologia: moderatamente cellulato, cell rotonde con citoplasma chiaro, microcalcificazioni, rete capillare, occasionali mitosi ICC: no markers specifici (S-100, Leu7, GFAP, Vim) EM: cellule rotonde, citoplasma estratto, nucleo regolare, microtubuli perinucleari, tozzi e corti microvilli, aggregati mitocondriali Genetica molecolare: perdita eterozigoti per 19q, 1p; forte espressione di EGFR Sopravvivenza: 3-5 anni Fattori prognostici: età, localizzazione frontale, resezione chirurgica

La variante anaplastica presenta all’EM un’aumentata densità cellulare con anaplasia nucleare, aumento delle mitosi e necrosi. In questo caso la prognosi è peggiore. Vista l’assenza di marker distintivi può essere confuso con l’ependimoma a cell chiare o con un neurocitoma (che può essere sinaptofisina – a causa del prolungato fissaggio). Per questo è molto importante la diagnosi differenziale.

Gliomi misti Oligoastrocitoma Oligoastrocitoma anaplastico

¾ ¾

Tumori ependimali ¾ • • • • ¾ ¾ ¾

Ependimoma Cellulare Papillare A cellule chiare Tanicitico Ependimoma anaplastico Ependimoma mixopapillare Subependimoma

Questo tipo di patologie insorgono spesso in prossimità del sistema ventricolare o del canale centrale visto che entrambi sono rivestiti da ependima.

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Ependimoma • • •

• • • • • •

ƒ ƒ ƒ ƒ ƒ

Cellule ependimali ben diff; lenta crescita; bambino e giovane adulto; parete dei ventricoli; Incidenza: 3-9% dei t. neuroepiteliali Età: - nel bambino è infratentoriale interessando 3° e 4° ventricolo - nell’adulto (30-40 anni) è spinale - bambino e adulto è sopratentoriale interessando i ventricoli laterali Sesso: non prevalenza Grado: II Localizzazione: fossa posteriore e midollo spinale; III,IV e ventricoli laterali Clinica: dipende dalla sede (sottotentoriali, idrocefalo; fossa post, atassia cerebellare; sopratentoriali, deficit neurologici, convulsioni) Macro: ben demarcato, soffice, grigiastro-rosa, cisti, foci di necrosi o emorragici Istopatologia: nuclei monomorfi (basso grado), pseudorosette perivascolari e rosette ependimali (tipiche del tessuto), mitosi rare o assenti, necrosi occasionale; GFAP, Vim., S-100, EMA, CK focali…può avere tre aspetti: - Cellulare con scarse rosette; - Papillare con papille ben formate - Cellule chiare che va in DD con oligodendroglioma e neurocitoma; EM diagnostica - Tanicitico con aspetto astrocitico EM: cellule fusate, filamenti gliali, giunzioni zipper-like, microrosette con microvilli e ciglia Genetica: correlato a NF2 (neurofibromatosi di tipo 2) Genetica molecolare: LOH 17p Sopravvivenza: 5-10 anni indipendente dal grado di resezione chirurgica Fattori prognostici: giovane età -, localizzazione (spinale, sovratentoriale, fossa) Æ se la malattia è localizzata a livello del 3-4 ventricolo, per la sua vicinanza ai centri bulbari e pontini è difficile la sua resecazione completa; nelle manifestazioni spinali, invece, la resecazione è spesso totale.

Ependimoma mixopapillare • • • • • • • • • • •

Si manifesta nel giovane adulto a livello del filum terminale della cauda presentando un pattern papillare Incidenza: rappresenta il 13% degli ependimomi ed è la neoplasia intramidollare più comune Età: media 36 Sesso: femmine>maschio Grado: I Localizzazione: cauda equina e, raramente, a livello emisferico Clinica: dolori alla schiena di lunga durata Macro: soffice, lobulato, grigiastro Istopatologia: pattern papillare con cell cuboidali, matrice mixoide, mitosi rare o assenti; ICC: GFAP, S-100, Vim EM: caratteristiche ependimali, lamina basale 307



Sopravvivenza: prognosi buona, 10 anni indipendente dal grado di resezione chirurgica; recidive rare

Papilloma dei plessi • • •

Età pediatrica Asse connettivale ricoperto da epitelio cuboidale a volte colonnare che riproduce fedelmente la struttura di un vero plesso corioideo. Idrocefalo (anche comunicante per iperproduzione)

Tumori neuronali e misti neuronali-gliali Gangliocitoma Astrocitoma infantile desmoplastico/ Ganglioglioma Tumore neuroepiteliale disembrioplastico (DNT) Ganglioglioma Ganglioglioma anaplastico Neurocitoma centrale Liponeurocitoma cerebellare Paraganglioma

¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾

Si presentano spesso come entità con più citotipi diversi prendendo, così, la denominazione di misti. Le varietà di questi tumori misti sono in numero molto elevato. La denominazione ganglioma distingue una famiglia di neoplasie derivanti dalle cell piramidali. La denominazione neurocitoma indica la proliferazione neoplastica di piccoli neuroni derivati dalle cell dei granuli interni del cervelletto che spesso si manifestano in posizione paraventricolare.

Neurocitoma centrale • • • • • • • • •

Cellule rotonde a diff neuronale; ventricolo laterale;giovane adulto; prognosi favorevole Incidenza: 0.25-0.5% SNC Età: media 29 anni Sesso: non prevalenza Grado: II Localizzazione: ventricoli laterali e III ventricolo Clinica: pressione intracranica, occasionali deficit visivi e mentali Macro: massa grigiastra, friabile, calcificazioni e occasionali emorragie Istopatologia: cellule rotonde, monomorfe, oligo-like; neuropilo (aree fibrillari); microvascolarizzazione con aspetti di arborizzazione; 308

• • •

• •

ICC : Sinaptofisina (falsi + o negatività) DD: oligodendroglioma, ependimoma a cell chiare, pineocitoma, DNT EM: cellule rotonde, nucleo monomorfo, microtubuli dispersi, granuli neuroendocrini, prolungamenti neuritici con microtubuli, strutture similsinaptiche Genetica molecolare: gain chr.7, isocromosoma 17 Sopravvivenza: prognosi favorevole, resezione completa; può avere aggressività istologica non influente sulla prognosi

Ganglioma • • • • • • • •

Gruppi irregolari di neuroni displastici, multipolari + componente gliale costituita da astrociti circondati da stroma reticolinico. Necrosi assente Incidenza: 0.4% SNC Età: media tra 8.5 e 25 anni Sesso: 1.1:1 Grado: I Localizzazione: cervello, cervelletto, midollo allungato, spinale, nervo ottico, ipofisi, gh. pineale Clinica: dipende dalla sede Macro: massa solida o cistica, occasionali calcificazioni

Tumori embrionari ¾ Medulloepitelioma ¾ Ependimoblastoma ¾ Medulloblastoma • Medulloblastoma desmoplastico • Medulloblastoma a grandi cellule • Medullomioblastoma • Medulloblastoma melanotico ¾ PNET • Neuroblastoma • Ganglioneuroblastoma ¾ T.rabdoide-teratoide atipico

Æ Tutti questi tumori esprimono pochi o nessun marcatore della cell mature del SNC, per questo sono detti embrionari o indifferenziati

Medulloblastoma •

• • • • •

Tumore invasivo, maligno embrionale del cervelletto; differenziazione prevalentemente neuronale; bambino; tendenza alla disseminazione mediante liquor …costituisce il 20% dei tumori cerebrali nei bambini. Incidenza: 0.5 x 100.000 Età: media 7 anni; nell’adulto, 21-40 anni Sesso: 65% nei maschi Grado: IV Localizzazione: verme del cervelletto; tendenza ad infiltrare il IV ventricolo 309

• • •

ƒ ƒ • • •

Clinica: atassia del tronco, disturbo del passo, ipertensione secondaria ad ostruzione del canale ependimale, cefalea, vomito mattutino Macro: consistenza variabile, emorragia massiva Istopatologia: - Medulloblastoma classico: cell.rotondo-ovali. Nucleo ipercromatico, scarso citoplasma, rosette neuroblastiche - Medulloblastoma desmoplastico: noduli a bassa cell. con nucleo monomorfo, circondati da aree intensamente cellulate e proliferanti - Medulloblastoma a grandi cellule: cell. grandi, nucleo pleomorfo, nucleoli prominenti, necrosi, elevata attività mitotica ICC: nestina, Vim, Sin, NF, GFAP, N-CAM EM: differenziazione neuroblastica con neuriti, granuli neuroendocrini, strutture simil-sinaptiche; aree di differenziazione gliale Genetica: associato a forme famigliari, sindrome di Turcot Genetica molecolare: amplificazione gene MYC; LOH 17p, 1q, 10q,5q (gene APC) Sopravvivenza: 50-70% a 5 anni - Fattori negativi: età20 mitosi x 10HPF

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Æ Varianti: Psammomatosa, angiomatoso, microcistico,secretorio, metaplastico

,cordoide (II), a cellule chiare (II) , papillare (III), rabdoide (III) ICC: EMA, VIM, S-100, CEA (secretorio) EM: desmosomi, prolungamenti citoplasmatici interdigitati, filamenti intermedi, nuclei con pseudoinclusioni. • Genetica: - Meningioma, grado I : LOH 22q, mutazioni NF2 - Meningioma atipico, grado II : LOH 1p, 6q, 10q, 18q; gain 1q, 9q, 12q, 15q, 17q, 20q. - Meningioma anaplastico, grado III: LOH 6q, 9p, 10 e 14 q, amplificazione 17q, mutazioni rare TP53, PTEN, delezioni rare CDKN2A • Prognosi: predizione di recidiva e di sopravvivenza (grado III); estensione della resezione, sede, età, grado, indici di proliferazione (MIB1), recettori per il progesterone. • •

Tumori metastatici Le metastasi, soprattutto di origine carcinomatosa, rappresentano fino alla metà delle neoplasie intracraniche. Le sedi di derivazione primaria principali sono: ƒ Polmone ƒ Mammella ƒ Cute (melanoma) ƒ Rene ƒ Tratto gastrointestinale Spesso le masse metastatiche si possono presentare come la prima manifestazione della neoplasia che le ha generate. Le masse intraparenchimali risultano ben delimitate, spesso al confine tra sostanza bianca e sostanza grigia e circondate da una zona edematosa. Alle volte le metastasi possono essere attorniate da gliosi reattiva.

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Neoplasie epiteliali della cute Epidermide normale Vi sono diversi tipi di cellule da ognuno dei quali può derivare un tumore.

Cheratinociti Cellule epiteliali suddivise in diversi strati. Mano a mano che dagli strati profondi si va verso gli strati superficiali, le cellule maturano, si differenziano ed assumono caratteristiche diverse. A partire dallo strato più interno, verso la superficie, si hanno: Strato basale: contiene cellule staminali della cute che rigenerano in continuazione. Essendo indifferenziate e proliferanti sono più sensibili allo sviluppo del tumore. Strato spinoso: hanno questo aspetto per la presenza di ponti fra cellula e cellula. Inoltre nel citoplasma cominciano ad accumularsi tonofibrille composte da citocheratina (proteina tipica delle cellule epiteliali). Le tonofibrille conferiscono resistenza e tono alle cellule. Strato granuloso: sulle tonofibrille che continuano ad accumularsi si va depositando un collante lipidico, che in questo strato forma dei granuli. Strato lucido; le tonofibrille ed il collante continuano ad accumularsi formando una massa amorfa. In questo strato già non è più visibile il nucleo. Si tratta dunque di cellule già morte Strato corneo: si tratta di cellule completamente differenziate e morte, che vanno incontro a desquamazione. Ognuno di questi tipi cellulari può andare incontro a proliferazione neoplastica.

La cellula neoplastica nella proliferazione tende a ricostituire una struttura uguale a quella di partenza, ma non riesce a garantire la funzionalità della medesima. A volte l’epitelio perde alcune delle sue caratteristiche proprio nella differenziazione. Ortocheratosi: normale differenziazione. Paracheratosi: differenziazione alterata. Nelle cellule degli starti superficiali si vede ancora il nucleo. La membrana basale è uno strtato che sottende ai cheratinociti. Fornisce appoggio meccanico alle cellule dell’epitelio garantendo la polarizzazione della differenziazione (è un processo orientato vettorialmente ). Inoltre è il mezzo di contatto tra epidermide e sottostante derma garantendo il signalling fra di essi. 312

Il fenotipo normale dei cheratinociti li vede fondamentalmente positivi per la citocheratina.

Melanociti Sono cellule che si ritrovano nella parte basale dell’epitelio. Derivano dalla cresta neurale, ma sono diverse dai cheratinociti. Si tratta di cellule dendritiche, dotate di numerosi prolungamenti e capaci di formare diramazioni. Producono melanina, un pigmento colore marrone scuro che ha la fnz di proteggere il DNA dai raggi UV nella cute esposta al sole. In risposta allo stimolo luminoso, i melanociti producono granuli di melanina, detti melenosomi, e li trasportano fino alla parte terminale dei loro dendriti, nello strato superiore: I cheratinociti dunque fagocitano la porzione terminale dei dendriti, contenente i melanosomi, acquisendo così la melanina che li protegge dai danni delle radiazioni. Il fenotipo normale dei melanociti li vede fondamentalmente positivi per la vimentina e negativi per la citocheratina. La vimentina è un marker delle cellule mesenchimali in genere.

Cellule di Langherans Sono cellule epidermiche dendritiche, APC professionali. Esse catturano e processano gli antigeni, presentandoli poi sulla loro superficie; dunque, grazie alla loro capacità di movimento discendono nell’epitelio ed attraversano la membrana basale, ponendosi così a contatto con gli elementi linfoidi. Fanno quindi parte del sistema immunitario: anche la cute in generale si può considerare come parte del compartimento innato del S.I. poiché costituisce una prima barriera fisica all’ingresso dei microbi Si ritrovano negli strati al di sopra di quello basale e non sono unite alle altre da alcuna giunzione specializzata. Anche queste cellule sono in grado di andare incontro ad una proliferazione neoplastica, dando luogo ad istiocitosi.

Il marker caratteristico di questo tipo di proliferazione neoplastica è l’identificazione ultrastrutturale di granuli di Birbeck, caratteristici delle cellule di Langhrans. Cellule di Merkel Si tratta di elementi neuroendocrini che contengono al loro interno granulazioni costituenti il neurosecreto. Si ritrovano nello strato basale dell’epidermide. Anche queste cellule sono in grado di andare incontro ad una proliferazione neoplastica, dando luogo a merkelosi, un tipo di tumore molto raro.

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Trasformazioni tumorali dei cheratinociti Secondo una progressione in senso di acquisizione di malignità, la trasformazione tumorale dei cheratinociti vede i seguenti stadi: 1. cheratosi attinica: è una situazione pre-cancerosa 2. carcinoma in situ 3. carcinoma invasivo Vi sono diversi fattori che possono portare ad una proliferazione anomala: - fattori ambientali: es. luce solare - infezioni virali da virus oncogeno. Es. papillomavirus La diagnosi differenziale è necessaria nei confronti di: - nevo epidermico - cheratosi seborroica - cheratoacantoma - carcinoma a cellule squamose - neoplasie poco differenziate (metastasi, carcinoma mesenchimale)

Acantoma a cellule chiare Si tratta di una neoplasia benigna a partire da cellule squamose epidermiche cheratinizzate, con citoplasma ricco di glicogeno. -

all’esame obiettivo si presenta come un erosione della superficie ha una localizzazione preferenziale agli arti inferiori colpisce prevalentemente adulti ed anziani, perché è dovuta all’accumulo di mutazioni in sede epiteliale. Le cellule sono chiare per la presenza di abbondanti quantità di glicogeno, che nella fissazione in paraffina o con formalina tende ad essere estratto. La diagnosi differenziale è molto importante perché all’esame obiettivo questo tipo di tumore si presenta come un’ulcera.

Cheratoacantoma È una neoplasia benigna derivante da cellule epidermiche dello strato corneo, già cheratinizzate. Ha una prevalenza nei maschi rispetto che nelle femmine, con un rapporto 3:1. Si presenta come un nodulo cupoliforme, di colore roseo, con una depressione centrale ripiena di cheratina (aspetto a cratere) circondata da un anello di proliferazione epiteliale neoplastica.

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Generalmente è un nodulo singolo localizzato prevalentemente nel viso, nel dorso e nelle mani (principalmente aree cutanee fotoesposte); solamente in condizioni di immunodepressione a volte ha uno sviluppo multiplo. Le sue dimensioni sono molto variabili: solitamente il nodulo ha un diametro di 1-2.5 cm., ma a volte raggiunge anche forme giganti con diametro > di 5cm., fino a 20cm. A differenza degli altri tumori benigni, che generalmente si sviluppano nel corso del tempo per accumulo di mutazioni, questa è una neoplasia a crescita rapida. È necessaria diagnosi differenziale nei confronti del carcinoma squamo-cellulare che a volte si presenta con una situazione macroscopica di tipo crateriforme

Istologia È una neoplasia, fortemente demarcata rispetto alla circostante cute, sia esofitica (cresce all’esterno) che endofitica (cresce all’interno). Presenta un cratere centrale ripieno di squame che vengono ad essere ortocheratosiche, ma comunque con una quantità maggiore di cheratina, che si presenta come laminata ed eosinofila. Nella zona marginale vi è iperplasia dell’epitelio, senza displasia del medesimo: le cellule epiteliali si estendono intorno ai margini del cratere in un numero aumentato di strati, come prolungamenti irregolari. Si tratta comunque di un tumore benigno dunque che può andare incontro a regressione spontanea, senza alcun tipo di trattamento. È privo di cheratosi attinica, in presenza della quale vi sarebbe paracheratosi.

Citologia Le cellule epiteliali sono di dimensioni aumentate, squamose, con abbondante glicogeno. Possono presentare atipie citologiche, che sono tuttavia di tipo reattivo e non displastico (il nucleo nelle cellule cheratinizzate non è presente, le alterazioni sono dovute unicamente all’iperplasia). Queste cellule hanno citoplasma eosinofilo caratteristico e cheratinizzano bruscamente ( senza presenza di un interposto strato granuloso). Le cellule periferiche che occupano lo strato basale, sono cellule basaliodi, che dunque assomigliano alle cellule dello strato basale, ma sono meno differenziate. Nella fase iniziale, di rapida proliferazione, la risposta infiammatoria è molto scarsa. Quando la lesione progredisce invece vi è notevole risposta infiammatoria che può portare alla formazione di micro-ascessi. Nel momento in cui il tumore va incontro a regressione e perde le cellule dello strato corneo, si ha produzione di fibrosi del derma, necessaria alla guarigione dal processo neoplastico.

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Diagnosi differenziale Dal carcinoma squamo-cellulare. Nel carcinoma squamo-cellulare: - si ha presenza dello strato granulare - si ha paracheratosi, dunque pedita del nucleo negli strati superficiali - si ha invasione del derma - la crescita è più lenta, ma non si ha mai regressione spontanea, anzi il tm tende all’invasione - si ha presenza di aree di necrosi: presenti in tutte le neoplasie maligne, poiché l’irrorazione sanguina e dunque il nutrimento è sempre insufficiente rispetto alle necessità della massa tumorale, in rapida crescita. - Si ha presenza di aree di emorragia, accanto alle aree di necrosi: l’emorragia è dovuta alla neoangiogenesi compensatoria che porta alla formazione di vasi con pareti immature che vanno incontro più facilmente a rottura. Il risultato è la formazione di aree necrotiche ricche di coaguli. Dalla cheratosi attinica (situazione pre-cancerosa) Nella cheratosi attinica: - si ha ugualmente crescita rapida - si ha presenza di dotti eccrini proliferanti e metaplastici che secernono un prodotto differente. - Si ha pseudoinvasione periferica: in realtà non si ha invasione ma solo una situazione di proliferazione di elementi atipici. Sembra di vedere la presenza di cordoni che penetrano nel derma, ma non è così. - La regressione è molto lenta ma comunque la prognosi è favorevole.

Cheratosi attinica È importante perché viene a costituire la modificazione displastica che precede la definitiva trasformazione cellulare cancerosa. È causata da una serie di agenti: - esposizione cronica al sole - radiazioni ionizzanti: può essere un problema che insorge post-radioterapia - idrocarburi ed arsenicati: possono essere sostanze che inducono mutazioni. Insorge prevalentemente nell’adulto/anziano (accumulo di mutazioni) Fra i fattori predisponenti vi è la pelle di carnagione chiara, che è più delicata avendo meno melanociti. Le lesioni hanno generalmente diametrodi 5 mm.), che possono insorgere sotto forma di centinaia di lesioni sulla superficie neoplastica. Il melanoma può formarsi: 3) de novo 4) da nevo melanocitico congenito o acquisito pre-esistente 5) da un nevo blu: nevo superficiale ma che interessa anche il derma tanto da avere un colorito molto intenso, bluastro Le cause della formazione del melanoma vengono principalmente ad essere: - esposizione intensa e saltuaria ai raggi UV (in particolare quelli con lunghezza d’onda di 290-320nm.) - fattori predisponesti genetici - fattori predisponesti razziali: I maschi sono sempre più colpiti delle femmine, ed in essi la mortalità è maggiore. Il melanoma ha una presentazione clinica precoce, come nevo alterato. Infatti mentre qualsiasi nevo, acquisito o congenito, viene a costituire una neoplasia benigna a partire dai melanociti, il melanoma viene invece ad essere sempre maligno. Per evidenziare un nevo che abbia subito trasformazione in senso maligno si utilizza la regola dell’ABCDE. A→ asimmetria: il nevo dunque cambia forma e da regolare diviene asimmetrico. B→ bordo: il margine diviene irregolare C→colore: la pigmentazione diviene irregolare ed a volte vi sono anche delle apigmentosi D→diametro: assume un diametro maggiore di 5mm. E→elevation: assume maggiore rilevatezza, il che testimonia un passaggio dagli strati superficiali a quelli profondi. Nel termine melanoma sono incluse diverse entità clinico-patologiche, cioè diverse lesioni con caratteristiche cliniche e fisiologiche che si differenziano dalle altre. In senso generale il melanoma viene a presentare sempre due fasi di crescita: a. fase a crescita radiale: lesione proliferativi in situ e limitata all’epidermide. A volte può essere associata ad una microinvasione del derma. Questa è la prima fase, meno aggressiva del tm, da cui il tm può 323

anche regredire. Successivamente alla regressione, tuttavia il tm può recidivare e ripresentarsi, già in fase di crescita verticale b. fase a crescita verticale: invasiva, verso la profondità del derma. Può metastatizzare.

Fase a crescita radiale Crescita indolente, ma progressiva Non si può avere metastatizzazione, ma al massimo microinvasione, cioè invasione locale del derma papillare ( strato del derma più superficiale, lasso e popolato da cellule; confina con il sottostante derma reticolare, più denso e fibroso, separato da esso da vasi sanguigni). L’iperproliferazione tra le cellule del derma papillare, se presente è anche detta melanosi pre-cancerosa o iperplasia aplastica atipica. In questa fase il tm può regredire, dando luogo alla formazione di cicatrici fibrose nelle aree di regressione, oppure può andare incontro a progressione verso la fase a crescita verticale.

Istologia Si hanno melanociti chiari, singoli o in piccoli gruppi, che tendono ad essere presenti in tutti gli strati dell’epidermide, fino allo strato corneo. I melanociti, che normalmente sono cellule dendritiche, divengono: - cellule epitelioidi: perdono la loro conformazione specifica e vengono ad assomigliare morfologicamente sempre di più alle cellule dell’epitelio - cellule con atipica uniforme: solitamente si hanno cellule più grandi, con nucleo irregolare e polimorfo, ipercromatismo, dovuto all’addensamento della cromatina alla prf della mbr nucleare, mitosi rare nell’epidermide, ma presenti in un terzo dei casi nel derma, segno di un iniziale passaggio alla fase verticale. L’epidermide si presenta irregolarmente ispessita. Si ha sempre infiltrato infiammatorio, che si dispone a bande: questa presenza testimonia la reazione dell’organismo, che può portare anche a regressione del tumore È necessaria la DD con il nevo displastico che però presenta - atipia casuale: non tutte le cellule sono uniformemente atipiche - regolare allungamento delle papille - infiltrato infiammatorio “pathly” e solitamente piuttosto scarso - assenza di regressione (fibrosi) e mitosi. Fase a crescita verticale Il tm acquisisce la capacità di proliferazione ed invasione del derma: si ha discesa delle cellule neoplastiche e loro attraversamento della mbr basale.

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La neoplasia può estendersi verso l’esterno, provocando una lesione nodulare, rilevata ( melanoma nodulare, che è una delle entità clinico-patologiche e che nasce già nello stato di crescita verticale, senza passare la fase radiale). Si possono avere possibili metastasi a distanza Il nodulo che si viene a formare può: - essere pigmentato o amelanotico ( condizione di più difficile diagnosi) - può ulcerare e sanguinare: questo è un segno da tenere in grossa considerazione Vi possono essere metastasi: - cutanee nella zona intorno al linfonodo(satellitosi) - nei linfonodi regionali - a distanza (SNC)

Istologia e citologia Le cellule vengono ad essere epiteiliodi o fusate, simili a cellule mesenchimali (DD con sarcoma). Le atipie cellulari coinvolgono soprattutto il nucleo e sono costanti ed evidenti: - mitosi aberranti, molto frequenti per la proliferazione esasperata delle cellule - pseudoinclusioni nucleari: i nuclei sono a tale punto alterati e polimorfi, che nella sezione può sembrare che all’interno del nucleo vi siano aree di citoplasma.

Fenotipo Questo tipo di tumore presenta: a. marker aspecifici: vimentina ( marker delle cellule mesenchimali), S-100, marker delle cellule di derivazione dalla cresta neurale. b. marker specifici : HMB45 e MART-1. Questi marker possono essere a volte poco positivi e dunque l’immunofenotipizzazione può essere poco utile. A questo punto è necessario fare ricorso al microscopio elettronico: infatti nelle cellule neoplastiche di derivazione melanocitica, nonostante tutte le alterazioni è sempre identificabile e presente nel citoplasma il melanosoma, organulo tipico dei melanociti. Tuttavia nelle neoplasie molto indifferenziate anche il melnosoma diviene atipico.

Melanoma: stadiazione Questa è di enorme rilievo per stabilire l’approccio terapeutico più opportuno. La stadiazione tiene conto di diversi fattori: a. spessore: quanto discende volumetricamente il tm a partire dallo strato granuloso oppure a quale strato della cute giunge. Criterio di fondamentale importanza per il patologo 325

b. invasione linfonodale: rilevata mediante la tecnica del linfonodo sentinella c. ulcerazione d. sede delle metastasi: satellitosi, linfonodi regionali, o metastasi a distanza e. valori della DHL: lattico-deidrogenasi

Melanoma: entità clinico-patologiche a. b. c. d.

lentigo maligna lentigo maligna melanoma melanoma maligno a crescita superficiale melanoma maligno acrale lentigginoso melanoma nodulare

Lentigo maligna Lesione pigmentata, soprattutto nella cute dell’anziano (60-70 anni) danneggiata cronicamente da raggi UV. Si localizza soprattutto sulle tempie e sulla fronte Ha crescita estremamente lenta: impiega 10-15 anni prima dello sviluppo della lesione aggressiva Non ha capacità metastatica e rimane in situ.

Morfologia. È una macula piatta, a margini irregolari, gradualmente in estensione, variamente pigmentata, ma spesso con aree di depigmentazione che possono corrispondere alle aree di regressione

Istologia. Caratterizzata da melanociti: - displastici: soprattutto nello strato basale - atipici: che però continuano a mantenere la forma dendritica - con organizzazione a palizzata - che possono coinvolgere l’epitelio degli annessi cutanei ( tutti gli epiteli contengono melanociti) Questo tipo di neoplasia può insorgere primitivamente anche nel tratto gastrointestinale, nel SNC, a partire da cellule indifferenziate, ma derivanti comunque dalla cresta neurale. L’epidermide interessata risulta atrofica, con presenza spesso di elastosi solare.

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Lentigo maligna melanoma Le cellule sono assolutamente atipiche ed anomale. Il tm ha acquisito capacità invasiva del derma, che può esplicarsi in diversi punti ( invasione multifocale).

Melanoma maligno a crescita superficiale È l’entità clinico-patologica di più comune riscontro. Insorge pressoché in uguale misura nei maschi e nelle femmine, ma con diversa localizzazione: nei maschi con localizzazione prevalente al dorso, nelle femmine agli arti inferiori.

Morfologia.

Macula o placca piatta, desquamata, con tendenza ad assumere aspetto nodulare ( il nodulo rappresenta il passaggio alla fase di crescita nodulare). La forma è irregolare e la pigmentazione variabile. Può dare problemi di DD con il carcinoma basocellulare, con il carcinoma spinocellulare e con neoplasie non maligne: un criterio di differenziazione utile può risiedere nel ricordare la regola dell’ABCDE, ed il fatto che queste alterazioni insorgono de novo, o a causa di un nevo pre-esistente. Ci sono varianti amelanotiche o ipopigmentate, con aree edematose Istologia Le cellule sono fortemente atipiche: - epitelioidi: indifferenziate a tale punto da avere perso ogni prolungamento ( a differenza della lentigo-maligna) e da assomigliare alle cellule epiteliali. - Citoplasma abbondante - Nucleo pleomorfo e vescicoloso - Nucleoli prominenti ( abbondante proliferazione) - Numerose mitosi Le cellule non riangono singole, ma si raggruppano in nidi. Nella prima fase questi nidi cellulari invadono tutto lo spessore dell’epidermide Nella seconda fase questi nidi cellulari discendono verticalmente verso il derma, con conseguenza presenza di mitosi nel derma medesimo. Si ha acantosi: notevole proliferazione ed ispessimento dello strato malpighiano Si ha appiattimento della rete epidermica delle creste.

Melanoma maligno acrale lentigginoso Denominato: 327

-

-

acrale: perché si localizza prevalentemente alle estremità. Cresce a livello della pianta del piede o nel dorso delle mani. Le lesioni sono più aggressive in queste zone del corpo perché: • in queste regioni la cute e più sottile e dunque c’è una maggiore vicinanza dei melanociti alla vascolarizzazione • in queste regioni vi è un’irritazione meccanica, uno sfregamento continuo, che induce la continua rigenerazione epiteliale • in queste regioni un’ispezione è più difficile lentigginoso: perché cresce come la lentiggine, per estensione in modo parallelo all’epidermide.

Si tratta di un’iperplasia dell’epidermide, con tendenza all’invasione del derma da parte delle cellule neoplastiche, formanti nidi giunzionali. Le cellule neoplastiche sono melanociti atipici, dendritici o epitelioidi, a volte giganti, localizzati nella regione basale dell’epidermide. Si ha invasione a cellule fusate con desmoplasia: dunque nel momento in cui penetrano nel derma le cellule divengono simil mesenchimali e si ha associazione della presenza di cellule neoplastiche con aumento dello stroma connettivale- collagenico. Si ha acantosi.

Melanoma maligno nodulare Questo melanoma è caratteristico per mancare della fase di crescita radiale: esso nasce nella fase di crescita verticale e questo rende la sua prognosi più infausta. È più frequente nei maschi che nelle femmine con un rapporto 2:1 Insorge in età adulta-anziana: 50-60 anni, prevalentemente al tronco e agli arti.

Morfologia. Aspetto nodulare o polipoide, profondo nel derma. Molto vascolarizzato e spesso ulcerato. Può essere anche amelanotico Questo insieme di caratteristiche pone il problema della DD con una neoplasia vascolare. Non essendoci la fase di crescita radiale non vi sono cellule neoplastiche a livello dell’epidermide. Istologia Vi sono diversi possibili tipi cellulari in questo tipo di melanoma: -

cellule epitelioidi: • di dimensioni maggiori • rotonde • con pigmentazione variabile 328

• • •

con nucleo vescicoloso ed altamente polimorfo ( presenza di pseudoinclusioni) nucleolo prominente (elevata proliferazione) mitosi atipiche

-

cellule fusate • ovalari • con processi citoplasmatici • simili alle cellule mesenchiamali del tutto indifferenziate

-

cellule giganti • sono le cellule con massimo grado di indifferenziazione e conseguente perdita di fnz, che costituiscono forse la tappa comune di tutte le neoplasie più maligne. Dunque in questo caso causano il problema di una DD con metastasi, sarcoma, linfoma anaplastico.

L’infiltrato infiammatorio accompagna sempre il tumore

Diagnosi La dg è particolarmente difficile perché spesso si hanno forme così indifferenziate che vengono perse le caratteristiche fenotipiche ed a volte la cellula neoplastica esprime antigeni per i quali non è positiva. Il campione viene dunque esaminato con diverse modalità fra cui, di fondamentale rilevanza clinica, risulta quella ultrastrutturale al microscopio elettronico, poiché, come si è già cisto, anche al massimo grado di indifferenziazione queste cellule contengono melanosomi, anche se talvolta alterati (melanosomi granulari per esempio). La diagnosi si fa più difficile: - in caso di lesione apigmentata - se si fa diagnosi delle metastasi secondarie del melanosoma orbita • cavità nasale ed orale • vulva, vagina, uretra, regione anale • raramente: meninge, esofago, stomaco, mammella, bronchi, surrenale •

in questi casi inoltre la prognosi è sempre infausta perché il tumore ha già metastatizzato in aree altamente vascolarizzate, dove può svilupparsi con maggiore aggressività.

Fattori prognostici -

diagnosi istologica; per stabilire di quale entità clinico-patologica stiamo parlando fase di crescita (radiale o verticale) spessore: deve essere quantificato esattamente livello di invasione: a quale strato è giunto il tumore 329

-

-

mitosi: quantifica la capacità proliferativi del tumore presenza o assenza di regressione che generalmente si trova associata alla presenza di infiltrato infiammatorio apoptosi: rappresenta un segno di autolimitazione del tumore: un tumore con una mutazione di p53 andrà incontro ad apoptosi con molta maggiore difficoltà e dunque sarà più aggressivo EGFR: recettore per EGF (Epidermal Grow Factor). Molti tumori iperesprimono EGFR anche in assenza di segnale trascrizionale oppure addirittura hanno amplificazione del gene che codifica per EGFR. EGFR viene dunque ad essere più presente e viene ad essere attivato cosituzionalmente, senza bisogno di un ligando, con conseguente attivazione di una casacta di segnali che porta anche alla produzione di oncogeni.

N.B. esistono farmaci di nuova generazione, inibitori delle Tyr chinasi, come EGFR, che vengono utilizzati (es. nel carcinoma polmonare) ed agiscono selettivamente solo sulle cellule neoplastiche, senza molti degli effetti collaterali dei farmaci di vecchia generazione.

Livelli di invasione (classificazone di Clark) Lo spessore del tm viene quantificato in base allo strato che raggiunge: -

livello 1: melanoma maligno in situ livello 2: raggiungimento del derma papillare con cellule singole livello 3: invasione dell’interfaccia dermica, cioè dell’area del plesso capillare, tra derma papillare e reticolare livello 4: invasione del derma reticolare livello 5: invasione del tessuto adiposo sottocutaneo: qui vi è massima invasività perché vi sono i vasi di maggiore calibro e le strutture nervose

Volume della neoplasia (classificazione di Breslow) È il fattore diagnostico singolo della classificazione del melanoma a crescita verticale. Si misura dallo strato granuloso superficiale al più profondo punto di invasione del derma -

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