Registro Tumori del Veneto
DOCUMENTO DI CONSENSO DEL GRUPPO REGIONALE PATOLOGI SCREENING MAMMOGRAFICO
Versione marzo 2012
A cura di: Capitolo 1 Antonio Rizzo (U.O. Anatomia Patologica, Azienda ULSS n° 8 Asolo, coordinatore Gruppo regionale patologi screening mammografico) Francesca Caumo (U.O. Radiologia, Centro Prevenzione Senologica – Marzana, Azienda ULSS n° 20 Verona, coordinatore Gruppo regionale radiologi screening mammografico) Duilio Della Libera (U.O. Anatomia Patologica, Azienda ULSS n° 2 Feltre ‐ BL) Licia Laurino (U.O. Anatomia Patologica, Azienda ULSS n° 9 Treviso) Capitolo 2 Quirino Piubello (U.O.C. Anatomia Patologica d.O., Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona) Antonio Rizzo (U.O. Anatomia Patologica, Azienda ULSS n° 8 Asolo, coordinatore Gruppo regionale patologi screening mammografico) Capitolo 3 Enrico Orvieto (U.O. Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera Padova) Capitolo 4 Licia Laurino (U.O. Anatomia Patologica, Azienda ULSS n° 9 Treviso) Capitolo 5 Stefania Dante (U.O. Anatomia Patologica, ULSS 6 Vicenza) Ida Pavon (U.O. Anatomia Patologica, ULSS 13 Mirano) Coordinamento: Antonio Rizzo (U.O. Anatomia Patologica, Azienda ULSS n° 8 Asolo, coordinatore Gruppo regionale patologi screening mammografico) Coordinamento editoriale: Carla Cogo Alessandra Greco Manuel Zorzi Registro Tumori del Veneto Registro Tumori del Veneto Passaggio Gaudenzio, 1 – 35131 Padova Tel. 049 8215605 Fax 049 8215983
[email protected] www.registrotumoriveneto.it Documento elaborato e distribuito al Gruppo regionale patologi e radiologi screening mammografico nel novembre 2011 Revisione prevista: 2016
INDICE Introduzione CAPITOLO 1 ‐ PROCEDURE DIAGNOSTICHE CITO‐ISTOLOGICHE PRE‐OPERATORIE
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1 – Introduzione 2 – Uso delle tecniche diagnostiche preoperatorie 3 – Scelta della tecnica di campionamento 4 – Diagnostica istologica: refertazione delle agobiopsie (14 gauge) e agobiopsie vacuum‐assisted 4.1 – Categorie diagnostiche 4.2 – Problemi e limiti diagnostici 4.3 – Lesioni rare 4.4 – Fattori prognostici 5 – Diagnostica citologica 5.1 – Uso dell’esame citologico (FNA) 5.2 – Modalità di prelievo 5.3 – Allestimento 5.4 – Informazioni cliniche 5.5 – Criteri citologici generali di benignità e malignità 5.6 – Refertazione 5.7 – Limiti 5.7.1 – Falsi positivi 5.7.2 – Falsi negativi 5.7.3 – Diagnosi di carcinoma duttale in situ (DCIS) 5.7.4 – Lesioni rare 6 – Bibliografia diagnostica cito‐istologica pre‐operatoria 7 – Controllo di qualità 8 – Bibliografia controllo di qualità Allegato 1 – Richiesta di esame agobioptico (NCB) Allegato 2 – Richiesta di esame citologico (FNA) CAPITOLO 2 – PROCEDURE DIAGNOSTICHE DEL CAMPIONE OPERATORIO
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1 – Esame macroscopico e campionamento del materiale chirurgico della mammella 2 – Invio del materiale chirurgico 2.1 – Fissazione in formalina 2.2 – Richiesta di esame istologico 2.3 – Integrità/Orientamento del campione 3 – Esame macroscopico del campione chirurgico 3.1 – Esame “esterno” del campione
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3.2 – Marcatura dei margini chirurgici con inchiostro di china o tempere acriliche 3.3 – Sezionamento del pezzo e suo esame interno 3.4 – Esame radiologico del materiale chirurgico 3.5 – Campionamento 3.6 – Considerazioni generali 3.7 – Raccomandazioni specifiche in relazione ai differenti tipi di campione chirurgico 3.7.1 – Nodulectomie o Biopsie chirurgiche “diagnostiche” o ampie escissioni terapeutiche/quadrantectomie (chirurgia mammaria conservativa) 3.7.2 – Allargamenti (Ri‐Escissioni) 3.8 – Mastectomia 3.8.1 – Mastectomia “Nipple Sparing” 4 – Esame microscopico e diagnosi finale 5 – Bibliografia Allegato 1 – Richiesta esame istologico campione operatorio Allegato 2 ‐ Marcatura dei margini e macro predefinita Allegato 3 – Campionamento pezzo operatorio Allegato 4 – Campionamento linfonodi ascellari Allegato 5 – Check list refertazione Allegato 6 – Diagnosi e refertazione delle lesioni mammarie 1 – Diagnosi e refertazione delle lesioni epiteliali proliferative 2 – Diagnosi e refertazione dei CDIS/DIN 3 – Carcinoma microinvasivo 4 – Diagnosi e refertazione del carcinoma invasivo 5 – Valutazione e refertazione dei dati prognostici/predittivi Allegato 7 ‐ Stadiazione Anatomo‐patologica (TNM) CAPITOLO 3 – LINFONODO SENTINELLA
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Raccomandazioni per il management e la diagnosi anatomo‐patologica 1 – Modalità di esecuzione 1.1 – Esame intraoperatorio 1.2 – Esame esclusivo in paraffina 1.3 – Esame ibrido (Criostato, Immunocitochimica e Paraffina) 2 – Refertazione 3 – Commenti aggiuntivi 4 ‐ Bibliografia Allegato 1 – Procedura esame del linfonodo sentinella CAPITOLO 4 – TECNICHE SPECIALI
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1 – Introduzione 2 – Fase preanalitica
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2.1 – Tissue handling 2.2 – Tipo di fissazione 2.3 – Durata della fissazione 2.4 – Antigen retrival 3 – Recettori steroidei (ER, PR) 3.1 – Fase analitica 3.1.1 – Scelta del clone 3.1.2 – Controlli di reazione 3.2 – Fase postanalitica 3.2.1 – Interpretazione dei risultati 3.2.2 – Refertazione 4 – Marcatore di proliferazione Ki‐67 4.1 – Fase analitica 4.1.1 – Scelta del clone 4.1.2 – Controlli di reazione 4.2 – Fase postanalitica 4.2.1 – Interpretazione dei risultati 4.2.2 – Refertazione 5 – HER2 5.1 – Fase analitica 5.1.1 – Scelta del clone 5.1.2 – Controlli di reazione 5.2 – Fase postanalitica 5.2.1 – Interpretazione dei risultati 5.2.2 – Refertazione 6 – Tecniche di ibridazione in SITU: FISH, CISH, SISH 6.1 – FISH 6.2 – CISH 6.3 – SISH 6.4 – Polisomia del cromosoma 17 7 – Controllo di qualità 7.1 – Controllo positivi interni 7.2 – Controlli positivi esterni 8 – Bibliografia CAPITOLO 5 – PROCEDURE DIAGNOSTICHE DEL CAMPIONE OPERATORIO DOPO CHEMIOTERAPIA NEOADIUVANTE
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1 – Diagnostica pretrattamento chemioterapico primario 1.1 – Valutazione del tumore 1.1.1 – Modalità di prelievo 1.1.2 – Valutazione della cute 1.2 – Valutazione dello stato dei linfonodi 1.3 – Marcatura del tumore 1.4 – Valutazione istologica del campione bioptico
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2 – Diagnostica dopo chemioterapia primaria 2.1 – Notizie cliniche 2.2 – Esame macroscopico 2.3 – Campionamento del pezzo operatorio 2.4 – Campionamento del cavo ascellare 2.5 – Esame microscopico 2.5.1 – Valutazione istologica della mammella 2.5.2 – Valutazione istologica dei linfonodi 2.5.3 – Valutazione dei fattori prognostici predittivi 2.5.4 – Recettori ormonali 2.5.5 – Espressione della proteina HER2 2.5.6 – Espressione di Mib1/Ki‐67 2.5.7 – Quantificazione della regressione tumorale 3 – Risposta tumorale 4 – Risposta linfonodale 5 – Stadiazione ypTNM 6 – Bibliografia
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Introduzione Il Gruppo regionale veneto dei patologi dello screening mammografico nasce nel 2004 su iniziativa del Registro Tumori del Veneto, col supporto finanziario della Regione Veneto, allo scopo di uniformare le procedure diagnostiche e di promuovere il miglioramento continuo della qualità. In questi anni il Gruppo ha intrapreso e realizzato diverse linee di lavoro: • linee guida screening mammografico (1a edizione 2006); • 5 confronti interistituzionali tra tutte le ULSS della Regione su casistica citologica, istologica su vetrino virtuale e sull’analisi dei parametri immunoistochimici di predittività di risposta alla terapia, con un progetto di formazione a distanza; • promozione di momenti formativi altamente qualificanti, quali lo slide seminar su casistica di patologia mammaria complessa; • valutazione degli standard e dei parametri di qualità del percorso diagnostico preoperatorio; • partecipazione a gruppi di lavoro multidisciplinari per la definizione di un percorso diagnostico‐terapeutico regionale; • spazio web all’interno del sito del Registro Tumori del Veneto, con la disponibilità di documenti, linee guida di riferimento, relazioni dei corsi organizzati e con una pagina di bibliografia ragionata. (http://www.registrotumoriveneto.it/screening/gpv/home.asp?p=home) La seconda edizione del documento che qui presentiamo è il risultato dell’impegno profuso dai patologi e segno tangibile di un interesse partecipativo collegiale che tali problematiche richiedono. Nella miriade di linee guida, documenti di riferimento e protocolli diagnostici pubblicati in letteratura, questo lavoro rappresenta una sintesi condivisa a livello regionale, tenendo conto anche delle peculiarità organizzative della nostra realtà sanitaria. Nel documento abbiamo voluto anche promuovere un lavoro di collaborazione con il Gruppo regionale dei radiologi dello screening, in un’ottica sempre più multidisciplinare. Questo per giungere ad un percorso diagnostico integrato delle lesioni mammarie screen‐detected, attraverso l’indicazione della metodica di approfondimento più idonea rispetto al quadro radiologico osservato (capitolo primo “Procedure diagnostiche cito‐istologiche pre‐operatorie”). Tale approccio affianca e concretizza il modello organizzativo del percorso diagnostico‐terapeutico, su cui stanno lavorando le ULSS della nostra Regione, proponendo un riferimento in termini di appropriatezza e di corretta gestione delle sempre più modeste risorse. Inoltre, sulla scia della auspicata istituzione delle Breast Units, intese come strumento strategico finalizzato all’approccio multidisciplinare, questo documento rappresenta un possibile modello cui riferirsi per tutte le pazienti con lesioni mammarie, a prescindere dalle modalità di accesso (screening, spontaneo o clinico). Il tutto nell’ottica di un’offerta sanitaria unitaria, complessiva ed altamente qualificata. In questa edizione sono stati rivisti e modificati anche gli altri capitoli delle linee guida, alla luce degli ultimi dati della letteratura e ponendo come centrale il momento multidisciplinare nelle decisioni diagnostico‐terapeutiche più complesse: 1
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nel capitolo secondo “Procedure diagnostiche del campione operatorio” è stata approfondita la problematica dei margini, in particolare per alcuni tipi di intervento chirurgico (ad esempio nipple sparing mastectomy), che si sono affermati negli ultimi anni; il capitolo terzo “Linfonodo Sentinella” è stato profondamente rivisitato, prendendo come riferimento il protocollo della Regione Emilia‐Romagna e precisando limiti e vantaggi delle varie opzioni disponibili (esame intraoperatorio e/o su tessuto fissato); il capitolo quarto “Tecniche speciali” è del tutto rielaborato rispetto al precedente, sia nel titolo, in quanto è stata inserita la sezione relativa alla ibridazione in situ (FISH, CISH, SISH), sia nei contenuti, alla luce dei documenti di consenso dell’ASCO/CAP; visto il progressivo affermarsi della terapia neoadiuvante, molto sentita è stata l’esigenza di elaborare un protocollo standardizzato per l’esame e la stadiazione del campione operatorio in tali pazienti (capitolo quinto). Anche in questo caso, la collaborazione con le altre discipline è fondamentale per la qualità dell’output.
Il lavoro finora svolto dal Gruppo regionale dei patologi dello screening mammografico è segno di maturità in considerazione degli obiettivi raggiunti e di sicuro auspicio per la prosecuzione di tale impegno. Siamo quindi fiduciosi che questo documento possa rappresentare un punto di riferimento per tutti i patologi della nostra Regione e diventare terreno di confronto con omologhi gruppi di altre realtà territoriali e di altre discipline, nell’ottica del miglioramento continuo della qualità. Antonio Rizzo Coordinatore Gruppo regionale patologi screening mammografico
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CAPITOLO 1 Procedure diagnostiche cito‐istologiche pre‐operatorie Revisione a cura di: Francesca Caumo (U.O. Radiologia, Centro Prevenzione Senologica – Marzana, Azienda ULSS n° 20 Verona, coordinatore Gruppo regionale radiologi screening mammografico) Duilio Della Libera (U.O. Anatomia Patologica, Azienda ULSS n° 2 Feltre ‐ BL) Licia Laurino (U.O. Anatomia Patologica, Azienda ULSS n° 9 Treviso) Antonio Rizzo (U.O. Anatomia Patologica, Azienda ULSS n° 8 Asolo, coordinatore Gruppo regionale patologi screening mammografico)
1. INTRODUZIONE In patologia mammaria la diagnosi patologica eseguita con procedure non operatorie consente in generale di pervenire ad un corretto inquadramento diagnostico necessario per programmare un adeguato trattamento terapeutico. Fino a qualche anno fa l’agoaspirato con ago sottile (FNA), coadiuvato da un adeguato supporto clinico e radiologico strumentale, costituiva una procedura di semplice e di rapida esecuzione, ben tollerata dalla paziente, a basso costo che permetteva una diagnosi accurata nella grande maggioranza dei casi di lesioni mammarie “sintomatiche“. L’introduzione e la diffusione delle metodiche di screening, unitamente alla definizione di un nuovo spettro di lesioni mammarie screen detected, ha introdotto nuove metodiche di indagine bioptica minimamente invasiva (Minimal Invasive Biopsy/MIB) basate sull’utilizzo di aghi di maggior diametro (Needle Core Biopsy/NCB), talora supportati da procedure automatizzate e informatizzate (Vacuum Assisted Needle Core Biopsy/VANCB/VAB). L’utilizzo delle metodiche MIB ha comportato negli anni il passaggio dalla citologia alla microistologia con un incremento della specificità e sensibilità diagnostica. Tali metodiche infatti hanno permesso di ridurre gli esami inadeguati, di definire in modo conclusivo la natura benigna di molte lesioni proliferative mammarie, di chiarire il significato biologico delle microcalcificazioni e, nell’ambito delle neoplasie maligne, la distinzione fra forme preinvasive e invasive con particolare interesse per le neoplasie lobulari, talora con il ricorso a metodiche ancillari immunoistochimiche e di ibridazione in situ (FISH/CISH), utili e necessarie a stabilire profili immunofenotipici necessari a trattamenti chemioterapeutici adiuvanti. 2. USO DELLE TECNICHE DIAGNOSTICHE PREOPERATORIE L’utilizzo delle tecniche di MIB in patologia mammaria richiede un processo continuo di controllo della qualità diagnostica che si ottiene con un approccio multidisciplinare e la condivisione dell’orientamento e delle criticità diagnostiche. In questa visione si è reso necessario definire protocolli operativi per il trattamento dei campioni bioptici e operatori con l’adozione di definite checklist per i report clinico‐patologici che garantiscano un numero adeguato e sufficiente di elementi diagnostici (minimal data set), la conoscenza dell’inquadramento strumentale radiologico e l’utilizzo di un sistema diagnostico con categorie definite secondo le indicazioni europee. Auspicabile la correlazione fra i dati strumentali radiologici, patologici e, nel caso di intervento, operatori. In generale l’approccio multidisciplinare dovrebbe costituire la regola in caso di lesioni screen detected al fine di incrementare la sensibilità diagnostica, riducendo di pari passo inadeguati e falsi negativi. La conoscenza della categoria diagnostica radiologica ed ecotomografica infatti è in grado, correlando il dato morfologico atteso con il quadro istologico del campione microistologico in esame, di verificarne l’adeguatezza e la rappresentatività. Ogni campione ottenuto con metodiche cito‐istologiche dovrebbe essere corredato dai dati clinico‐ strumentali, anamnesi personale, dati radiologici ed ecotomografici compreso il tipo della lesione (massa, addensamento parenchimale, distorsione parenchimale, microcalcificazioni), inquadramento topografia della biopsia (lateralità e quadrante mammario ), tecnica utilizzata, numero di campioni ottenuti, presenza di microcalcificazioni in base alla radiografia dei frustoli da MIB (vedi allegati 1 e 2). 4
Nei casi in cui non si raggiunga un consenso unanime dopo discussione multidisciplinare, è auspicabile la ripetizione della MIB o procedere ad una biopsia chirurgica escissionale (1). 3. SCELTA DELLA TECNICA DI CAMPIONAMENTO Nella valutazione diagnostica preoperatoria di una lesione mammaria clinicamente evidente o screen detected assume fondamentale importanza la scelta della tecnica di campionamento. In generale il ricorso alla citologia agoaspirativa mediante ago sottile (FNA) va riservato alle lesioni mammarie formanti massa, che siano clinicamente o ecograficamente evidenti. Il prelievo può presentare incertezze interpretative nei confronti delle neoplasie lobulari e delle lesioni proliferative mammarie con atipia. In questi casi è utile rivalutare il caso in sede multidisciplinare e procedere di comune accordo alla rivalutazione istologica. Figura 1: Flow chart percorso diagnostico preoperatorio per lesioni formanti massa/opacità
In generale l’accuratezza del prelievo con ago sottile dipende dalla adeguatezza e rappresentatività della lesione indagata, da un adeguato allestimento (striscio, fissazione e colorazione) e da una corretta interpretazione diagnostica. In caso di preparati a bassa cellularità per sclerosi (fibroadenoma con sclerosi o adenosi sclerosante) o di neoplasie a cellule disperse (carcinoma lobulare), la FNA può portare ad un tasso di inadeguati del 10‐15% (6, 7, 8, 9, 10, 11). La metodica talora tende a fornire preparati in cui le cellule presenti sono isolate dal contesto complessivo architetturale del tessuto e pertanto richiedono un’interpretazione che non può prescindere dalla conoscenza istologica delle lesioni mammarie e quindi di un’adeguata preparazione professionale e di conseguenti controlli di 5
qualità. Per questo motivo presenta maggiori problemi rispetto alla microistologia a correlarsi al quadro radiologico, alla difficoltà diagnostica tra lesioni benigne proliferanti e carcinomi ben differenziati (11, 12, 13, 14) portando talora ad un certo grado di incertezza procedurale con la necessità di ulteriori richiami radiologici e conseguentemente a costi complessivamente superiori all’agobiopsia (10). La Biopsia percutanea preoperatoria rappresenta la metodica diagnostica maggiormente utilizzata in campo senologico per la buona tollerabilità della metodica, l’elevata sensibilità e specificità. Permette un’adeguata programmazione terapeutica consentendo nella maggioranza dei casi la diagnosi della natura della lesione. In questi casi evita di inviare al chirurgo lesioni mammarie benigne anche complesse per la possibilità di effettuare panel diagnostici immunoistochimici e molecolari. In caso di malignità consente, oltre a caratterizzare al meglio la malignità della neoplasia in termini di istotipo, grading e fattori prognostici anche biologici utili in caso di terapia adiuvante (status dei recettori ormonali e di HER2, indici di proliferazione cellulare), di evitare il ricorso a esami intraoperatori e intraprendere una corretta programmazione terapeutica. In generale il ricorso alla Needle Core Biopsy (NBC) si riserva a lesioni formanti massa, aree di opacità e addensamenti parenchimali o grossi cluster di microcalcificazioni. Cluster di microcalcificazioni sospette, classificate come R4, o aree di distorsione parenchimale vengono generalmente avviate all’agobiopsia con aspirazione automatica (VANCB/VAB) che consente l’asportazione stereotassica di un’ampia area tessutale sede della lesione (15, 16). La Needle Core Biopsy (NBC) viene eseguita con dispositivi automatici mediante aghi di 12‐18 gauge di diametro. Il più comunemente usato, anche per la buona quantità di tessuto che si ottiene, è il 14 G. L’esame di cinque agobiopsie per lesioni formanti massa e dieci per microcalcificazioni sono il numero che presenta la più alta concordanza con la biopsia a cielo aperto (16a, 17). Figura 2: Flow chart percorso diagnostico preoperatorio per lesioni formanti massa/opacità/distorsione
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L’interpretazione del materiale agobioptico richiede una consolidata esperienza e conoscenza della complessità delle lesioni mammarie. Inoltre, la diagnosi su agobiopsia, analogamente a quanto richiesto per la FNA, dovrebbe essere parte integrante dell’approccio multidisciplinare clinico‐ radiologico come da schema allegato. Figura 3: Flow chart percorso diagnostico preoperatorio per micro calcificazioni ad alto sospetto radiologico La tecnica della MIB mediante agobiopsia vacuum assisted (VANCB/VAB) trova l’indicazione elettiva nei casi con clusters di microcalcificazioni sospette o dubbie (classificazione R4) talora di piccole dimensioni, ove è richiesta l’asportazione di una maggior quantità di tessuto mammario per una diagnosi accurata e nei casi in cui la NCB abbia fallito.
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Figura 4: Flow chart percorso diagnostico preoperatorio per micro calcificazioni con sospetto radiologico basso‐moderato La metodica può essere impiegata anche per la valutazione di aree mammarie con aspetti di distorsione parenchimale. La tecnica del prelievo prevede l’utilizzo di una guida bioptica (probe), posizionata e centrata con controllo mammografico stereotassico sull’area lesionale. La guida bioptica incorpora un canale che è in grado, effettuando una rotazione di 360° all’interno della lesione in pressione negativa, di eseguire un campionamento multiplo (da 6 a 24) su aree contigue asportando mediamente un cilindro di parenchima mammario in cui è compresa, seppur frazionata, la lesione. Generalmente vengono effettuati 12 prelievi, condotti su preordinate direttrici topografiche, idealmente riconducibili al quadrante di un orologio: sei prelievi in corrispondenza delle ore pari e sei prelievi in corrispondenza delle ore dispari. In presenza di microcalcificazioni, i frustoli vengono radiografati ed immediatamente posti in formalina tamponata al 10%. La metodica consente inoltre il posizionamento di una clip radio‐opaca amagnetica come repere chirurgico per eventuali successivi interventi. La VANCB/VAB presenta una notevole accuratezza diagnostica, in particolare nelle lesioni duttali in situ, aumentando la sensibilità nelle forme microinvasive associate al carcinoma duttale in situ DCIS (21). La diagnosi di DCIS su agobiopsie stereotassiche eseguite su cluster di microcalcificazioni sottende nel 20% dei casi (18, 21) un carcinoma invasivo nel successivo campione chirurgico.
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4. DIAGNOSTICA ISTOLOGICA: REFERTAZIONE DELLE AGOBIOPSIE (14 GAUGE) E AGOBIOPSIE VACUUM‐ASSISTED Una corretta interpretazione del materiale ottenuto mediante agobiopsia richiede la conoscenza dei dettagli clinici e strumentali (mammografia/ecografia) attraverso un opportuno schema di richiesta (allegati 1 e 2) in cui siano indicati: • L'unità operativa da cui proviene il materiale • La lateralità, indicata per esteso evitando contrazioni o abbreviazioni • Il quadrante • La categoria di classificazione radiologica sec. BIRADS (R/U) • L'aspetto radiologico • La tecnica di localizzazione • Il numero delle biopsie • La presenza di calcificazioni Le biopsie eseguite per microcalcificazioni devono essere necessariamente radiografate affinché si abbia la conferma radiologica della adeguatezza del prelievo. La lastra deve accompagnare i campioni bioptici. Le modalità di fissazione del tessuto devono basarsi su procedure standard evitando fissativi in grado di dissolvere le calcificazioni. Le biopsie vanno fissate immediatamente dopo la radiografia. Si raccomanda di mettere al massimo 4 agobiopsie da 14 gauge per cassetta e 2 da vacuum assisted per cassetta. Per ogni blocchetto così ottenuto, nel caso di microcalcificazioni, viene allestito un preparato istologico (vetrino) con tre sezioni in E.E. (ematossilina‐eosina) a tre diversi livelli separati da 40 micron. Se nel preparato istologico non si evidenziano le microcalcificazioni, il blocchetto viene seriato. È opportuno ricordare come le microcalcificazioni di ossalato di calcio non sono generalmente visibili con la colorazione ematossilina eosina; si consiglia in questi casi la visione senza condensatore e a diaframma chiuso o in luce polarizzata, prima della seriatura del blocchetto. 4.1 Categorie Diagnostiche L’analisi dei frammenti agobioptici può comportare alcune difficoltà interpretative legate in parte alle caratteristiche della lesione mammaria, in parte alla metodica di campionamento e all’allestimento dei frustoli microistologici. Il campionamento con prelievi multipli tende a frammentare la lesione e a creare una sorta di discontinuità morfologica sulle diverse parti tessutali. Tale problema si accentua in caso di lesioni complesse e composte da più componenti proliferative. In entrambi i casi è di aiuto il supporto radiologico che fornisce un’immagine lesionale a cui far riferimento e la possibilità di approfondimenti morfofunzionali con le indagini immunoistochimiche. Il campionamento inoltre, soprattutto in caso di NCB, può riguardare una parte dell’intera lesione e quindi sottostimarne la reale natura e estensione. È di comune osservazione il riscontro di un carcinoma infiltrante associato a focolai di DCIS con micro calcificazioni nel 20% dei casi. 9
In quest’ottica è di aiuto la correlazione radiologico‐patologica. Nei casi di lesione formanti massa, distorsioni o asimmetrie parenchimali il dato atteso in base al sospetto radiologico valutato con la classificazione BIRADS può aiutare nell’interpretazione del dato istologico. Della stessa importanza appare l’inquadramento radiologico delle calcificazioni rispetto al quadro morfologico e all’associazione con quadri ben definiti di patologia mammaria. Dal punto di vista radiologico le calcificazioni sono classificate in base alle loro dimensioni, forma, distribuzione, topografia e numero. Dal punto di vista patologico assume particolare interesse la loro composizione fisico‐chimica e affinità tintoriale correlate alla loro eziopatogenesi, alla forma, alla dimensione e localizzazione. In generale le calcificazioni mammarie derivano dalla deposizione di sali di calcio su secreti ghiandolari o materiale cellulare necrotico. Sono descritte due tipologie di calcificazioni. Il tipo 1, il meno frequente, è costituito da materiale cristallino di ossalato di calcio che forma cristalli trasparenti non facilmente visibili in ematossilina eosina se non con esame in luce polarizzata o ricorrendo all’artifizio di esaminare il preparato chiudendo il diaframma del microscopio senza il condensatore. Questo tipo di calcificazione non si associa generalmente al carcinoma mammario nelle sue forme intraduttali e infiltranti e tende a localizzarsi nei piccoli dotti terminali delle unità duttulo‐lobulari mammarie o nelle cisti apocrine. Le calcificazioni di tipo 2 sono costituite da cristalli di fosfato di calcio che, a differenza delle precedenti, sono facilmente visibili al microscopio ottico come depositi intensamente ematossilinofili di differente forma e dimensione e sono associate ad un’ampia gamma di lesioni mammarie benigne e maligne. La prima distinzione fra le varie calcificazioni mammarie viene fatta in base alle dimensioni. Si definiscono infatti macrocalcificazioni sopra i 2 mm e microcalcificazioni sotto 1 mm di diametro. Per quanto riguarda la correlazione con i relativi quadri morfologici le macrocalcificazioni sono generalmente associate ad alterazioni benigne per lo più correlate a fenomeni di liponecrosi o a fibroadenomi di vecchia data. Per quanto riguarda le microcalcificazioni, pur associandosi ad un’ampia gamma di lesioni mammarie, in circa 1/3 dei casi sono correlate al carcinoma mammario. La classificazione BIRADS di queste microcalcificazioni suddivide le diverse forme in tre categorie, tipicamente benigne, tipicamente maligne e intermedie o amorfe. Il riscontro nel materiale da MIB di microcalcificazioni tipicamente benigne rappresenta un evento eccezionale in quanto le alterazioni benigne associate a tali alterazioni non costituiscono generalmente oggetto di indagine senologica. Il più delle volte si riscontrano in vecchi fibroadenomi a forma di popcorn, con il caratteristico aspetto a guscio d’uovo nelle aree pseudocistiche legate a fenomeni di liponecrosi, di forma bastoncellare nelle ectasie duttali o più frequentemente di aspetto puntiforme a sede lobulare. Le microcalcificazioni tipicamente maligne sono generalmente più piccole di 0.5 mm e vengono descritte in tre tipologie: 1. Lineari, tipicamente associate a necrosi di tipo comedonico nel DCIS di alto grado 2. Pleiomorfe, variabili in forma e dimensione e associate a necrosi di tipo comedonico nel DCIS di alto grado o intermedio; meno frequentemente nei fibroadenomi e nelle aree di liponecrosi 3. Granulari, seppur meno specifiche delle precedenti, sono associate a necrosi di tipo comedonico nel DCIS di alto grado o intermedio e, per quanto riguarda le alterazioni non neoplastiche, alle ectasie duttulari nella condizione fibrocistica e a certe lesioni a cellule colonnari come la blunt duct adenosis 10
Le microcalcificazioni amorfe o di tipo intermedio sono generalmente di forma variabile dal rotondo al flocculare sono le meno specifiche. Tendono ad associarsi a forme di DCIS di grado intermedio/basso di malignità o in lesioni adenosiche (adenosi sclerosante), a cellule colonnari (con o senza atipia) e meno frequentemente nelle forme di iperplasia duttale. Le microcalcificazioni descritte spesso sono presenti in cluster o ammassi parenchimali che sottendono lesioni con caratteri morfologici non sempre univoci. Un ulteriore elemento di giudizio risulta costituito dalla sede delle calcificazioni rispetto all’albero dotto‐duttulo‐lobulare: 1. Microcalcificazioni lobulari di frequente riscontro nelle lesioni mammarie di natura benigna di tipo adenosico (microcistica, blunt duct, sclerosante), nel fibroadenoma e nei processi di involuzione lobulare. In tutti questi casi le microcalcificazioni sono rappresentate da particelle lamellate di fosfato di calcio su base secretoria la cui forma dipende dalla lesione lobulare interessata. Piccole e puntiformi, regolari nell’involuzione lobulare; a virgola o lineari nell’adenosi sclerosante. Una seconda tipologia di calcificazione lobulare è definita impropriamente di tipo ossificante perché richiama morfologicamente la matrice di un nodulo ossificante. Di forma irregolare, basofila, spesso lamellare e circondata da una matrice eosinofila. Si associano a lesioni colonnari di varia natura fino al carcinoma clinging a cellule colonnari. Spesso in seguito a fenomeni di atrofia vengono estruse nel circostante stroma e divengono interstiziali 2. Microcalcificazioni duttali tendono a formarsi nelle diramazioni dell’albero duttale mammario con un pattern irregolare, lineare tubuli forme o granulare e ad associarsi a forme di DCIS. Una ulteriore tipologia di calcificazioni si colloca centralmente nei grossi dotti sede di ectasia duttale e spesso di mastite periduttale. Le lesioni papillari infine si associano spesso a microcalcificazioni duttali sia nei papillomi, sia nelle forme di carcinoma papillare. 3. Microcalcificazioni duttulo‐lobulari 4. Microcalcificazioni interstiziali. Escluse le forme cutanee, da corpo estraneo, vascolari non oggetto di MIB le forme interstiziali sono correlate a fenomeni di tipo liponercrotico/lipogranulomatoso o a lesioni mucocele‐like/carcinoma mucinoso. L’intervento agobioptico soprattutto in caso di VANCB induce delle alterazioni parenchimali in grado di creare problemi interpretativi nell’esame istologico del pezzo operatorio conseguente alla diagnosi microistologica. L’asportazione dell’intera area lesionale in corso di MIB, la comparsa di sclerosi cicatriziale o di un’ampia area emorragico‐lipogranulomatosa conseguente alla biopsia, l’infarto della lesione e la possibile disseminazione di elementi epiteliali lungo il tragitto della sonda bioptica sono fra gli eventi più comunemente descritti. Inoltre la stima delle dimensioni di un tumore, soprattutto nei casi sottoposti a VANCB, può sottostimarne il reale valore se valutato solo sulla neoplasia residua dopo la procedura agoaspirativa. In questi casi è consigliata una valutazione comparativa fra le dimensioni tumorali nell’imaging diagnostico, nel campione operatorio all’esame macroscopico e nella sezione istologica (64). L'esame istologico dei campioni ottenuti con metodiche di MIB deve portare ad una accurata diagnosi in cui accanto alla descrizione morfologica, eventualmente corredata da dati ancillari di immunoistochimica, sia presente una adeguata conclusione diagnostica con il riferimento al sistema 11
di refertazione adottato è quello proposto dalle Linee Guida Europee (59, 60) e dall’AFIP (65). Tale sistema, al fine di uniformare le formulazioni diagnostiche in cinque categorie correlate in modo univoco a condotte terapeutiche standardizzate. Le categorie diagnostiche sono puramente morfologiche. La correlazione con il dato radiologico viene demandata ad una valutazione multidisciplinare tra radiologo e patologo. B1 ‐ Tessuto normale / Inadeguato Rientrano in questa categoria frustoli costituiti unicamente da tessuto fibroadiposo costituiti da tessuto mammario normale (lobuli ghiandolari e tessuto stromale) senza lesioni istologicamente apprezzabili, frustoli costituiti da tessuto mammario in cui, nonostante la seriazione del materiale, non sono presenti le microcalcificazioni che hanno costituito l’indicazione alla biopsia oppure materiale fibrino‐ematico. In ogni caso è particolarmente importante e decisiva la valutazione multidisciplinare per stabilire se il quadro istologico osservato sia realmente rappresentativo della lesione radiologicamente sospetta o se il prelievo sia da ritenersi non rappresentativo e quindi inadeguato. Campionare ad esempio un amartoma mammario porta ad un tessuto mammario organoide che pur rappresentativo della lesione sembra non rispondere ai requisiti dell’adeguatezza a meno di non correlare adeguatamente il dato morfologico agli aspetti radiologici e ecotomografici. B2 ‐ Lesione benigna Questa categoria diagnostica comprende tutte le lesioni benigne della mammella, dal fibroadenoma all’adenosi sclerosante sino all’epiteliosi florida, alle alterazioni fibro‐cistiche e alla steatonecrosi. Anche in questo caso la valutazione multidisciplinare risulta fondamentale per stabilire la corrispondenza dell’aspetto istologico al quadro clinico‐mammografico. B3 ‐ Lesioni ad incerto potenziale di malignità Rientrano in questa categoria una serie di lesioni mammarie che pur avendo il connotato morfologico della benignità, per la parzialità e la frammentazione dei campioni, la potenziale eterogeneità delle lesioni mammarie richiedono un approccio chirurgico per lo più conservativo che unisca alla valenza terapeutica quella diagnostica. Nella categoria B3 sono comprese lesioni proliferative epiteliali papillari, sclerosanti, il tumore fillode, le lesioni mucocele‐like e una serie di lesioni con incrementato rischio di progressione neoplastica (proliferazioni intraduttali atipiche, l’atipia epiteliale piatta/DIN 1a e la neoplasia lobulare intraepiteliale/LIN). Globalmente le lesioni mammarie classificate come B3 presentano un valore predittivo positivo nei confronti del carcinoma mammario del 25%. 1. Lesioni papillari costituiscono un gruppo eterogeneo di lesioni a fisionomia papillare che nella maggioranza dei casi rientrano nella categoria B3 ad incerto potenziale di malignità. In rare occasioni se la lesione è di piccole dimensioni e si ritiene che sia stata completamente escissa una classificazione come lesione benigna categoria B2 può essere considerata. Viceversa, soprattutto in caso di un campionamento esiguo e in presenza di un’atipia fortemente sospetta per malignità l’attribuzione alla categoria B4 appare più opportuna. Lesioni papillari senza atipie citoarchitetturali (dopo conferma con opportuni marcatori immunoistochimici) possono, visto il basso rischio di lesione maligna all’escissione, essere candidate al VANCB come indicazione terapeutica e successivo follow‐up (61, 62). 12
2. Lesione focale scleroelastotica/epiteliosi infiltrativa caratterizzata dal dato radiologico della distorsione parenchimale che si traduce nella maggioranza dei casi in cicatrici sclero‐elastotiche o di epiteliosi infiltrativa in cui la frammentazione dei campioni non consente una valutazione unitaria della struttura lesionale e della completezza della sua escissione. 3. Neoplasia lobulare intraepiteliale (LIN). La neoplasia lobulare intraepiteliale rappresenta un gruppo eterogeneo di lesioni lobulari che raggruppa le forme di iperplasia lobulare atipica (ALH) e le forme di carcinoma lobulare in situ (LCIS tipo A, tipo B). Costituisce spesso un reperto accidentale in corso di MIB condotto per alterazioni radiologiche di altra natura e può presentare rischi di malattia differente a seconda sia diagnosticato in frustoli agobioptici o in campioni operatori di maggiori dimensioni (31). In alcuni casi la morfologia di una LIN si pone in diagnosi differenziale con forme solide di DCIS magari con aspetti di cancerizzazione lobulare. In questi appare utile il ricorso all’immunoistochimica con lo studio dell’espressione della E‐caderina (32). Il carcinoma lobulare in situ pleomorfo, spesso associato ad aspetti di necrosi comedonica e a microcalcificazioni che simulano il quadro radiologico del DCIS va classificato come B5. 4. Flat atypia e proliferazione epiteliale atipica di tipo duttale. In questo gruppo vanno incluse le forme di lesioni a cellule colonnari con atipia o FEA (Flat Epithelial Atypia; atipia epiteliale piatta) e le proliferazioni epiteliali atipiche di tipo duttale (iperplasia duttale atipica). Tale termine va preferito rispetto a quello d’iperplasia duttale atipica che, per definizione, richiede per la sua definizione diagnostica criteri morfologici e dimensionali che vanno valutati sul pezzo operatorio definitivo. Il ricorso all’immunoistochimica con utilizzo di marcatori quali la citocheratina 5, 14 e recettori per estrogeno può aiutare nella diagnosi differenziale con l’epiteliosi (iperplasia duttale florida di tipo usuale – UDH). In caso di FEA dopo VABB su focolaio di micro calcificazioni di piccole dimensioni (R3) è possibile, dopo discussione multidisciplinare, evitare l’intervento chirurgico (follow‐up da discutere in sede multidisciplinare) (61, 63). 5. Tumore Fillode. Lesioni fibroepiteliali caratterizzate da uno stroma riccamente cellulato con aspetti di “overgrowth” rispetto alla componente epiteliale (presenza all’osservazione microscopica a 10x di uno o più campi privi di componente epiteliale) talora con un incremento dell’attività mitotica. Diagnosi differenziale con varianti di fibroadenoma. I casi classificati come B3 dovrebbero essere oggetto di valutazione multidisciplinare con una stretta correlazione fra dato patologico e radiologico. La maggior parte di questi casi in generale si associa a microcalcificazioni di aspetto benigno o comunque a basso rischio radiologico. In caso di FEA dopo VABB su focolaio di micro calcificazioni di piccole dimensioni (R3) è possibile, dopo discussione multidisciplinare, evitare l’intervento chirurgico, mentre casi B3 in pazienti con proliferazione epiteliale atipica di tipo duttale o microcalcificazioni a elevato rischio radiologico dovrebbero indurre a successivi approfondimenti diagnostici chirurgici. Complessivamente, in un quarto dei casi di B3 all’escissione chirurgica si osservano lesioni maligne (Valore Predittivo Positivo del 25%). B4 ‐ Lesione sospetta per malignità La categoria comprende casi in cui, seppure sia presente un forte sospetto di malignità (Valore Predittivo Positivo superiore all’80%), la diagnosi di neoplasia non può essere fatta o per l’esiguità del 13
campione bioptico o per la presenza di alterazioni o artefatti che ne limitino e impediscano l’interpretazione morfologica (distorsione meccanica, crush, elevata componente emorragica). Le lesioni diagnosticate nelle categorie B3 e B4 non devono essere avviate alla soluzione chirurgica con valenza terapeutica se non, nel caso delle lesioni B3 dopo una valutazione multidisciplinare e nel caso delle lesioni B4 dopo una rivalutazione istologica dell’area lesionale con biopsia escissionale. B5 ‐ Lesione neoplastica maligna Rientrano in questa categoria le diverse forme di carcinoma in situ, di carcinoma invasivo e il carcinoma lobulare in situ pleomorfo (LIN 3). Altre neoplasie di meno frequente riscontro (linfomi, sarcomi, etc) possono rientrare nella categoria. È consigliabile classificare il carcinoma duttale in situ in tre gradi di differenziazione, specificando nella diagnosi il numero di frustoli o la percentuale in cui la lesione neoplastica è presente. Per la loro classificazione inoltre è consigliato di utilizzare anche la terminologia DIN (Neoplasia Intraepiteliale Duttale) come proposto dallo IARC 2003, AFIP 2009 e AJCC 2010 proponendo per ogni caso la doppia terminologia. Si raccomanda di riservare la diagnosi di DIN3 alle forme di neoplasie intraduttali comedoniche e di graduare anche le forme intraduttali papillari per la loro tendenza ad estendersi oltre il limite definito dall’estensione delle microcalcificazioni. Infine nel 20% dei casi classificati come carcinomi intraduttali nei campioni da MIB si riscontra all’esame del campione operatorio una componente infiltrante contigua a quella in situ (21). Nel caso di neoplasie infiltranti è consigliato indicare l’istotipo prevalente. Il riscontro di focolai di microinfiltrazione stromale, eventualmente corredata dai dati dello studio immunoistochimico, è opportuno da riportare in diagnosi come dato accessorio. La classificazione della neoplasia come carcinoma microinvasivo per definizione necessita l’esame dell’intero campione operatorio. Il materiale bioptico da MIB risulta infine idoneo allo studio immunoistochimico dell’espressione recettoriale, della cinetica proliferativa e dello status di HER2 tenendo conto di una possibile sottostima dei dati ottenuti. 4.2 PROBLEMI E LIMITI DIAGNOSTICI Pur con meno frequenza rispetto alla citologia agoaspirativa, alcune lesioni mammarie possono presentare anche all’esame istologico dei campioni da MIB alcune difficoltà interpretative. Alterazioni minori Minime distorsioni architetturali viste mammograficamente possono derivare da fenomeni di fibrosi stromale o di involuzione asimmetrica del tessuto ghiandolare mammario e possono rientrare nella categoria B1. Amartoma e lipoma Il riscontro di parenchima ghiandolare normale e di tessuto adiposo possono essere indice di errato campionamento (campione inadeguato) o di lesione amartomatosa o lipomatosa. In questi casi la diagnosi patologica deve essere supportata dal dato clinico radiologico. 14
Iperplasia pseudoangiomatosa stromale (PASH) Lesione caratterizzata da spazi e fessure pseudovascolari positive all’immunoreazione per CD34; clinicamente può presentarsi come alterazione diffusa (reperto incidentale) o come nodulo indistinguibile radiologicamente da un fibroadenoma. Iperplasia duttale usuale (UDH) Nel materiale da MIB è di comune riscontro l’iperplasia duttale tipica o usuale (UDH) ed altre forme di iperplasia benigna come la forma ginecomastoide che può presentare un’architettura micropapillare che talora mima il DCIS. In questi casi utile il ricorso all’immunoreazione con citocheratina 5 o 14 (37). L’iperplasia duttale tipica o usuale costituisce generalmente un riscontro incidentale, non si associa quasi mai a microcalcificazioni. Atipia epiteliale nell’unità terminale duttulo‐lobulare (TDLU) L’atipia lieve dell’epitelio dell’unità terminale duttulo‐lobulare è uno dei problemi più comuni riscontrati nei campioni agobioptici. Bisogna porre molta attenzione nel non enfatizzare minimi gradi di atipia che possono rappresentare UDH o metaplasia apocrina da classificare nella categoria B1. Gradi severi di atipia possono rappresentare la cancerizzazione del lobulo da parte di un DCIS di alto grado. Alterazioni a cellule colonnari con o senza atipia epiteliale piana (flat atipia: WHO, 2003) Alterazioni a cellule colonnari rappresentano uno spettro di lesioni che hanno in comune la presenza di cellule epiteliali colonnari che bordano unità terminali duttulo‐lobulari dilatate (38, 39). Tali alterazioni sono state chiamate “lobuli cistici atipici”, “metaplasia a cellule colonnari”, “iperplasia a cellule colonnari”, “alterazioni a cellule colonnari con prominenti snouts apicali e secrezioni (CAPSS)”. Nell’edizione del 2003 della classificazione del WHO esse sono state definite come “lesioni epiteliali piane con atipia di basso grado” (40). L’interesse per le lesioni a cellule colonnari in patologia mammaria, strettamente correlate alla somministrazione di prodotti estrogenici, è legato alla presenza di microcalcificazioni granulari o di tipo psammomatoso entro lobuli dilatati che mammograficamente risultano come cluster di microcalcificazioni a basso rischio radiologico. Costituiscono un gruppo eterogeneo di lesioni che spaziano da forme di iperplasia a cellule colonnari senza atipia(assenza di atipie citologiche e di tufting) classificate come B2, di iperplasia a cellule colonnari con atipia (cellule atipiche con tufting focale e pluristratificazioni cellulari) classificate come B3 fino a giungere al DCIS di basso grado che comprende forme come il cribriforme ed il micropapillare classificate come B5. Atipia apocrina e DCIS apocrino L’atipia apocrina soprattutto se associata a lesione sclerosante può essere di difficile interpretazione su materiale agobioptico: nuclei larghi con nucleoli vistosi possono essere interpretati come DCIS soprattutto se associati anche a pleomorfismo. Il DCIS apocrino puro è relativamente raro: in questi casi aspetti quali la fibrosi periduttale, l'infiltrato linfocitario, le mitosi e la necrosi comedonica possono essere di supporto nella diagnosi (41). Proliferazioni apocrine con aspetti atipici in un dotto dovrebbero essere classificati come B3. La metaplasia apocrina papillare va invece considerata un B2. 15
Alterazioni tipo allattamento Tali alterazioni possono essere presenti nell’intero arco della vita di una donna anche in donne non allattanti né in gravidanza e perfino in postmenopausa. Il riconoscimento del pattern lobulare, dei vacuoli citoplasmatici e l'architettura tipicamente hobnail aiutano nel corretto inquadramento nosografico. Lesioni sclerosanti / carcinoma tubulare È la lesione più insidiosa su materiale agobiotico. Vi è un rischio di fare diagnosi di carcinoma invasivo soprattutto se il frammento agobiotico cade al centro della lesione sclero‐elastotica. L'immunoistochimica per marcatori di cellule mioepiteliali (p63, calponina, citocheratina 14) può essere di aiuto nel dirimere il dubbio. Bisogna tuttavia sottolineare come talora i tubuli all'interno del centro elastotico di una radial scar possono non esprimere mioepitelio perché in atrofia: quindi nei casi dubbi è consigliabile una classificazione B3. Adenosi microghiandolare Nell'adenosi microghiandolare, lo strato di cellule mioepiteliali è assente; i tubuli appaiono regolari, rotondi con lume aperto ma il citoplasma è chiaro ed esprimono S100, mentre sono negativi sia EMA sia i recettori ormonali (42). Proliferazioni stromali e lesioni a cellule fusate Talora uno stroma fibroblastico può essere presente in pazienti che abbiano subito una precedente FNA o agobiopsia ed appare difficilmente distinguibile da una fibromatosi o un miofibroblastoma. In questi casi è preferibile classificare come B3. Tumori fibroepiteliali Come già discusso la diagnosi differenziale tra un tumore filloide benigno o di basso grado ed un fibroadenoma può essere complessa: nei casi dubbi è corretta una diagnosi di B3. Modificazioni da radiazioni La radioterapia può indurre modificazioni di difficile interpretazione. Anche in questi casi si suggerisce una diagnosi di B3 (43, 44). Carcinoma lobulare infiltrante Piccoli foci di carcinoma lobulare invasivo possono essere confusi con un infiltrato linfocitario perilobulare (45) comune, spesso associata a sclerosi nella mastopatia diabetica. L'immunoistochimica con citocheratina aiuta a distinguere l’infiltrato linfocitario dalla componente carcinomatosa a cellule disperse del carcinoma lobulare. Nelle forme tubulo‐lobulari (variante tubulare del carcinoma lobulare) può risultare utile l’associazione con un marcatore di mioepitelio. Lesioni mucocele‐like È opportuno classificarle come B3 perché possono essere associate a ADH, DCIS e a forme di carcinoma invasivo.
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4.3 LESIONI RARE Linfoma Il linfoma N.H di basso grado può essere di difficile inquadramento su materiale agobioptico. In questi casi si suggerisce di classificare come B4 la lesione. I linfomi ad alto grado vanno classificati come B5. Metastasi Vanno classificate come B5. Sarcomi Sono lesioni rare. Particolare attenzione per lesioni mesenchimali di basso grado che possono essere difficilmente differenziate su agobiopsia. In tali casi si suggerisce di inquadrarle come B3 o B4. 4.4 FATTORI PROGNOSTICI Il grading (35, 36) ed i marcatori immunoistochimici prognostici (ER, PgR, Ki‐67, HER2) (46, 47) possono essere eseguiti su materiale agobioptico ma andrebbero limitati ai pazienti candidati a chemioterapia neoadiuvante. Infatti è preferibile eseguire tali determinazioni su materiale chirurgico. 5. DIAGNOSTICA CITOLOGICA 5.1 Uso dell’esame citologico (FNA) Lo scopo di questa metodica è quello di ottenere un campione rappresentativo di lesioni palpabili e non palpabili della mammella identificate con la mammografia o con l’ecografia. L’uso dell’FNA contribuisce a ridurre le biopsie mammarie benigne, ovvero è capace di selezionare il 50% dei dubbi radiologici (Quality Assurance Guidelines for Radiologists del NSH Breast Screening Programme). L’approccio clinico‐mammografico e citologico può raggiungere un’accuratezza diagnostica del 99% su lesioni palpabili; ma anche per lesioni non palpabili la sensibilità della metodica è più che accettabile. È importante ricordare che il dato citologico delle lesioni non palpabili non deve essere mai preso in considerazione da solo: l’esperienza ha confermato che i migliori risultati si hanno quando radiologia e citologia si sovrappongono. È inevitabile che inadeguati e falsi negativi siano più frequenti per le lesioni non palpabili. In questi casi se il sospetto radiologico permane è consigliato affidarsi ad altre metodiche bioptiche (core biopsy, core biopsy vacuum assisted, escissione chirurgica). Ed è altrettanto vero il contrario e cioè che reperti citologici sospetti per malignità con radiologia negativa necessitano di altre metodiche per definire la lesione. Vantaggi: • test semplice e sicuro che permette sovente di pianificare l’intervento chirurgico • poco costoso e rapido rispetto alla biopsia. • può essere utilizzato anche per valutare lo stato dei linfonodi ascellari. Svantaggi: • la scarsa cellularità di alcune lesioni comporta un elevato tasso di inadeguati. • la diagnosi si basa sulla valutazione delle caratteristiche morfologiche degli elementi cellulari e della modalità di aggregazione, in assenza di un dato architetturale delle lesione. Con questo 17
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presupposto è spesso difficile distinguere tra lesioni maligne ben differenziate e lesioni benigne. La correlazione del dato citologico con quello radiografico è spesso impossibile (tranne che per cisti, linfonodi intramammari e fibroadenomi tipici). necessità di personale addestrato e qualificato.
5.2 Modalità di prelievo Lesioni palpabili: il nodulo da aspirare va immobilizzato tra le dita per evitarne lo scivolamento e per ridurre l’afflusso ematico. Non è necessaria l’anestesia. Si utilizzano aghi da 22 o 23 Gauge con o senza aspirazione. Con aspirazione: si usa una siringa da 20 m che può essere collegata all’ago direttamente o tramite una cannula. Nel primo caso è utile utilizzare un portasiringhe. All’introduzione dell’ago il pistone della siringa deve essere abbassato e quindi senza aria. Una volta centrato il nodulo si dà inizio alla manovra di aspirazione avendo cura di muovere l’ago avanti e indietro con varie inclinazioni in modo da passare più volte attraverso la lesione. L’aspirazione può terminare quando si ha la sensazione di una risalita di materiale nel cono dell’ago. In ogni caso la manovra non deve durare più di 10‐12 secondi. A questo punto si rilascia il pistone e si estrae l’ago dal nodulo. La manovra va ripetuta se si ritiene che il materiale ricavato non sia idoneo. Senza aspirazione: è possibile eseguire il prelievo senza aspirazione (sfruttando il principio della risalita del materiale nell’ago per capillarità) con le stesse modalità sopradescritte avendo cura di imprimere all’ago oltre che il movimento avanti indietro anche quello di rotazione. Lesioni non palpabili: il campione viene prelevato sotto guida ecografia o stereotassica. Le modalità aspirative sono quelle summenzionate mediante siringa e portasiringa utilizzando aghi della lunghezza necessaria a coprire la distanza tra guida ecografica o stereotassica e lesione. È utile effettuare 2 o 3 volte la manovra aspirativa per essere certi di ottenere materiale diagnostico. Per verificare l’adeguatezza dei preparati si può procedere con una colorazione rapida del preparato citologico con il Diff‐Quik (colorazione modificata di Wright) o più semplicemente con il blu di metilene. Complicanze: ematomi nel caso si punga un piccolo vaso; pneumotorace in pazienti con seno piccolo o in caso di lesioni mediali o ascellari. 5.3 Allestimento Preparazione degli strisci: preparare prima dell’inizio della manovra dei vetrini portaoggetti con il nome e cognome della paziente sulla banda smerigliata. Il materiale agoaspirato va deposto nella parte alta del vetrino e strisciato con la parte molata di un altro vetrino premendo delicatamente verso il basso con un’inclinazione di 25‐30°. La tecnica di striscio mediante apposizione dei vetrini è sconsigliata perché da numerosi artefatti da schiacciamento. Fissazione: I metodi di fissazione sono in relazione al tipo di colorazione che si vorrà effettuare sul preparato. • fissazione all’aria: lo striscio deve essere particolarmente sottile e poco ematico per consentire una rapida asciugatura al fine di non creare artefatti cellulari. A questo tipo di fissazione segue la colorazione MGG. • fissazione umida: si può fare utilizzando alcool o metanolo (per immersione) o il classico spray. A questo tipo di fissazione può seguire la colorazione di Papanicolau o ematossilina‐eosina. 18
Colorazione: non ci sono particolari colorazioni consigliate. 5.4 Informazioni cliniche Una buona qualità del preparato va correlata ad adeguate notizie cliniche: • centro di prelievo, specificando il medico che ha eseguito l’indagine • sede della lesione • tipo di lesione : nodulo solido, cisti • tecnica di localizzazione e di agoaspirazione: lesione palpabile o non palpabile • caratteristiche radiografiche ed ecografiche della lesione (vedi allegato 2). 5.5 Criteri citologici generali di benignità e malignità CRITERIO BENIGNITÀ MALIGNITÀ cellularità scarsa o moderata di solito elevata coesione cellulare buona, con lembi digitiformi a scarsa, con perdita della margini netti e disposizione coesione, ordinata delle cellule in piccoli gruppi cellulari, monostrato disposizione disordinata delle cellule, in aggregato cellule isolate rarissime frequenti tipi cellulari elementi epiteliali, mioepiteliali popolazione cellulare solitamente uniforme e altre cellule frammiste a stroma nuclei nudi bipolari presenti, spesso numerosi rari o assenti sfondo pulito,tranne in presenza di sporco, per la presenza di detriti flogosi cellulari e calcificazioni, linfociti e macrofagi Caratteristiche nucleari taglia (in relazione alle emazie) piccola variabile, spesso grossa, dipende dal tipo di tumore pleomorfismo raro frequente membrana nucleare liscia irregolare, indentata (colorazione PAP) nucleoli (colorazione PAP) indistinti o piccoli e singoli variabili ma possono essere prominenti, grossi e multipli cromatina (colorazione PAP) fine e omogenea addensata, a zolle altre caratteristiche metaplasia apocrina, istiociti mucina, lumi schiumosi intracitoplasmatici, calcificazioni 19
5.6 Refertazione Il ruolo della diagnosi citologica è quello di distinguere tra processo benigno e maligno con la finalità di: • ridurre le procedure chirurgiche sulle lesioni benigne • ridurre le procedure chirurgiche diagnostiche e programmare una unica sessione di chirurgia terapeutica e di stadiazione. Categorie diagnostiche Non sempre è possibile differenziare lesioni benigne da quelle maligne. Oltre alla qualità dei preparati e alla rappresentatività della lesione, un indubbio ruolo è giocato dall’esperienza del citopatologo. Si ritiene che il laboratorio di Citodiagnostica debba confrontarsi con almeno 200 agoaspirati/anno per migliorare l’efficienza delle diagnosi e/o partecipare attivamente e continuativamente a programmi di controllo di qualità. C1 ‐ Inadeguato / non rappresentativo La designazione di inadeguato è sicuramente in certa misura soggettiva e può dipendere dall’esperienza dell’aspiratore e del citopatologo. Il giudizio finale sulla rappresentatività del materiale deve comunque derivare dal confronto e dalla coerenza con il dato radiografico e citologico. Esistono tuttavia delle condizioni oggettive di inadeguatezza/non rappresentatività che sono date da: • campione privo di elementi cellulari organo‐specifici o acellulare • campione paucicellulare (parametro quantitativo suggerito: meno di 5 gruppi di cellule epiteliali non atipiche) • allestimento non ottimale per artefatti da schiacciamento • essiccamento per ritardata fissazione • essiccamento troppo lento (se fissazione all’aria) • eccessivo spessore dello striscio • eccesso di sangue • eccesso di fluido edematoso In questi casi è opportuno descrivere le caratteristiche del campione, commentare sulle cause di inadeguatezza/non rappresentatività e registrare e monitorare le cause di tale inadeguatezza al fine di poter programmare manovre correttive. Aspirati da lesioni particolari quali cisti, processi infiammatori, liponecrosi e campioni di secreto del capezzolo possono non contenere elementi epiteliali ma non devono essere classificati come inadeguati. C2 ‐ Benigno • Indica un campione adeguato senza evidenza di atipia o malignità • L’aspirato in questa situazione è da poco a moderatamente cellulato e costituito prevalentemente da cellule epiteliali duttali regolari organizzate in lembi monostrato con caratteristiche citonucleari di benignità. Lo sfondo di solito presenta nuclei nudi bipolari mioepiteliali dispersi in quantità variabile. Nel caso di una componente cistica della lesione si possono osservare istiociti schiumosi e elementi duttali apocrini. Frammenti di tessuto fibroso o fibroadiposo sono frequenti.
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In particolari condizioni è possibile una diagnosi specifica. Il fibroadenoma, la liponecrosi, la mastite granulomatosa, l’ascesso mammario, un linfonodo intramammario sono condizioni per le quali le caratteristiche citologiche sono sufficientemente specifiche per formularne la diagnosi congiuntamente al dato radiografico e ecografico e alla clinica.
C3 ‐ Atipia in lesione probabilmente benigna L’aspirato è adeguato con le caratteristiche descritte per C2 ma sono presenti una o più delle seguenti caratteristiche: • pleomorfismo dei nuclei • tendenza alla perdita di coesione • caratteristiche nucleari e citoplasmatiche dovute a modificazioni proliferative, a fenomeni di involuzione, a modificazioni cellulari in corso di gravidanza (vedi pitfalls). • elevata cellularità accompagnata dalle caratteristiche summenzionate (12). Il parametro di ipercellularità non è di per sé sufficiente a collocare una lesione in C3. Le lesioni benigne più frequentemente collocate in C3 sono: fibroadenoma, mastopatia fibrocistica, lesione scleroelastotica, papilloma. Le lesioni maligne più frequentemente collocate in C3 sono: carcinoma duttale grado 1, carcinoma tubulare, carcinoma cribriforme, carcinoma lobulare, carcinoma misto (duttale e lobulare) e CDIS di basso grado. C4 ‐ Sospetto per malignità o carcinoma probabile Designa un aspirato con caratteristiche altamente atipiche suggestive ma non diagnostiche di malignità. Ci sono almeno tre condizioni che motivano questa collocazione: • il campione è ipocellulato o con artefatti da fissazione/ allestimento • il campione presenta caratteristiche di malignità non inequivocabili • cellule con caratteristiche di malignità coesistono con una componente benigna costituita da lembi coesivi e nuclei nudi nello sfondo. Alcune lesioni benigne possono presentare caratteristiche suggestive ma non diagnostiche di malignità. Si raccomanda cautela quando, oltre alle anomalie cellulare, si riconoscono caratteristiche riferibili a fibroadenoma, mastopatia fibrocistica, lesione scleroelastotica, papilloma, mastite, liponecrosi e adenosi sclerosante. Le lesioni maligne più frequentemente collocate in C4 sono il carcinoma duttale G1‐G2, il carcinoma tubulare, il carcinoma lobulare, il carcinoma misto (duttale e lobulare), il carcinoma cribriforme e il CDIS G1‐G2. C5 ‐ Maligno o carcinoma o altre neoplasie Designa un agoaspirato adeguato comprendente cellule con caratteristiche inequivocabili di malignità (carcinoma o altre neoplasie). • la diagnosi deve essere effettuata non su un singolo criterio di malignità ma sulla combinazione di più criteri citologici • in un contesto multidisciplinare, la concordanza tra diagnosi citologica e quadro mammografico può essere sufficientemente indicativa di una lesione infiltrante. 21
5.7 Limiti 5.7.1 Falsi positivi • Fibroadenoma: negli strisci da fibroadenoma ci possono essere aspetti di marcata anisonucleosi e perdita della coesione, soprattutto in lesioni in fase di crescita attiva. Il clue per la corretta diagnosi è dato dalla presenza di nuclei nudi bipolari in uno sfondo pulito. Anche strisci da lesioni maligne possono dar luogo a nuclei nudi ma questi ultimi hanno le medesime caratteristiche delle cellule maligne degli aggregati. • Papilloma: gli agoaspirati da lesioni papillomatose danno luogo a aggregati cellulari “ a corna di cervo” simili a quelli del fibroadenoma a piccolo ingrandimento; tuttavia con una più attenta osservazione si nota una certa tridimensionalità dei gruppi cellulari e talora la presenza di uno stroma connettivale centrale. Lo sfondo può essere cistico con presenza di macrofagi e i nuclei bipolari sono meno frequenti rispetto al fibroadeoma. Variazioni della morfologia cellulare sono dovute alla presenza di cellule colonnari, cuboidali o piatte e alle modificazioni apocrife associate. Il carcinoma papillare intracistico è caratterizzato da monomorfismo cellulare con elementi colonnari o plasmocitoidi ipercromici organizzati in cluster ben definiti o filiere. • Cellule apocrine: le cellule apocrine si presentano come elementi pleomorfi frequentemente dissociati e degenerati. È importante riconoscere le caratteristiche cistiche della lesione. Il carcinoma apocrino è una lesione solida e ha caratteristiche radiologiche di malignità. • Liponecrosi: lo striscio può essere ipercellulato e i gruppi di istiociti con attività lipofagocitaria possono essere scambiati per cellule neoplastiche. • Linfonodo intramammario: non causa problemi diagnostici qualora si riconosca la natura linfocitaria degli elementi esaminati. • Modificazioni postradioterapia: possono causare erronee diagnosi di malignità per le alterazioni morfologiche causate dalla radioterapia, quali pleomorfismo e perdita della coesione; solitamente gli strisci sono ipocellulati. • Artefatti da striscio e fissazione: un eccesso di pressione applicata durante la manovra di striscio può determinare una dissociazione forzata degli elementi cellulari che simulanodiscoesione. • Mastite granulomatosa: gli istiociti epitelioidi possono mimare le cellule maligne; lo striscio è generalmente ipercellulato e il riconoscimento di macrofagi multinucleati e lo sfondo infiammatorio aiutano a porre la diagnosi corretta. • Tumore a cellule granulose (mioblastoma): lo striscio è costituito da elementi altamente dissociati anche con pleomorfismo cellulare; caratteristico è l’ampio citoplasma eosinofilo e granuloso con il PAP o in EE. • Lesioni adenomioepitelali: possono mostrare caratteristiche di malignità per l’elevata dissociazione di elementi pleomorfi; la commistione di elementi chiaramente duttali, cellule apocrine e differenziazione squamosa orientano per una diagnosi corretta. • Sferulosi collagena: nello striscio si repertano globuli debolmente eosinofili circondati da cellule fusate; la diagnosi differenziale si pone con il carcinoma adenoide cistico (48, 49). È opportuno in questa rara condizione consigliare la biopsia. • Adenosi microghiandolare: non si repertano nuclei nudi nello sfondo e la diagnosi differenziale è con il carcinoma tubulare (42). Anche per questa lesione è consigliata la biopsia. • Modificazioni legate all’allattamento: si osserva la presenza di una discreta perdita della coesione in uno striscio peraltro composto da elementi cellulari con caratteristiche di 22
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benignità. Le cellule dissociate solitamente hanno un citoplasma ampio con presenza di piccoli vacuoli lipidici. Lesioni similmucocele (MML): la presenza di mucina extracellulare in lesioni benigne non è un reperto frequente. Oltre che nella lesione descritta Rosen (MML) (50) si osserva talora in associazione con modificazioni fibrocistiche, iperplasia duttale, adenosi, papilloma intraduttale e fibroadenoma. Il riconoscimento di una citologia francamente benigna e scarsa orienta per la corretta diagnosi. I carcinomi muco cellulari si distinguono per una cellularità francamente atipica. I considerazione dell’associazione frequente di MML con ADH e DCIS è utile consigliare la biopsia in questi casi ponendo la diagnosi nella categoria C3 o C4 (51, 52, 53).
5.7.2 Falsi negativi La maggior parte dei falsi negativi è dovuta ad un agoaspirato non rappresentativo della lesione. Tuttavia ci sono dei carcinomi che per loro natura possono produrre una diagnosi di falsa negatività (11). • Carcinoma tubulare/carcinoma duttale G1 (54): si tratta di strisci solitamente poco cellulati, con buona coesione cellulare, monomorfismo cellulare e assenza di atipie. Il dato radiografico, unitamente all’assenza di nuclei nudi, alla presenza di piccoli cluster in atteggiamento microacinare e alle irregolarità della membrana nucleare, sono punti a favore di una diagnosi di neoplasia. La presenza di materiale calcifico proveniente da una associata componente di DCIS contribuisce a formularne la diagnosi. • Carcinoma lobulare invasivo (11, 55): gli aspirati da questa lesione sono di difficile interpretazione; i pattern osservabili sono diversi e vanno da uno striscio poco cellulato con caratteri di benignità per l’uniformità delle cellule a strisci ipercellulati non dissimili a quelli del carcinoma duttale. La marcata dissociazione cellulare e la presenza di cellule ad anello con castone con lumi intracitoplasmatici sono indicativi di carcinoma lobulare ma non specifici. Anche la presenza di irregolarità del contorno nucleare è a favore di un carcinoma lobulare. • Carcinoma con estesa fibroelastosi: da luogo ad uno striscio poco cellulato che rende difficile, se non impossibile, la diagnosi. 5.7.3 Diagnosi di carcinoma duttale in situ (DCIS) Il carcinoma duttale in situ e il carcinoma duttale invasivo non possono essere distinti con la sola citologia. Alcune caratteristiche citologiche possono suggerire un DCIS e possono essere utilmente segnalate nel referto citologico come indicazione della presenza di una componente DCIS. Le caratteristiche variano a seconda dei diversi tipi di DCIS. • DCIS ad alto grado (comedonico): la necrosi è l’aspetto più peculiare dello striscio con presenza di materiale granulare e di lembi coesivi di elementi con pleomorfismo nucleare e caratteristiche simil‐apocrine. • DCIS di grado intermedio e basso (cribriforme/micropapillare): aggregati coesi di cellule ipercromiche con calcificazioni in uno sfondo pulito con rari o assenti nuclei nudi. • Carcinoma papillare intracistico: striscio ipercellulato con aggregati, lembi e filiere di elementi ipercromici, relativamente monomorfi, in uno sfondo pulito con rari macrofagi. 23
5.7.4 Lesioni rare • Granulomi da silicone, da olio di soia o paraffina: lo striscio è caratterizzato da elementi scarsamente coesivi ma il riconoscimento di cellule multinucleate e di gocce di olio o silicone intracitoplasmatiche orientano la diagnosi. Le notizie cliniche sono di aiuto. • Lesioni stromali: vengono sottoposte ad agoaspirato sulla base del riscontro mammografico o palpatorio di lesione sospetta. La fibromatosi e la fascite nodulare sono le lesioni più frequenti e citologicamente caratterizzate da scarsi lembi di elementi fusati con nuclei regolari. • Carcinoma apocrino: lo striscio è solitamente ipercellulato e la difficoltà diagnostica nasce dalle caratteristiche delle cellule neoplastiche che assomigliano alle cellule apocrine benigne. Si osservano aggregati e formazioni papillari come nei casi benigni. L’uniformità della popolazione cellulare maligna e le atipie nucleari congiuntamente alla necrosi sono criteri per la diagnosi. Va ricordato che il carcinoma apocrino si presenta come una lesione solida. • Tumore fillode: le varianti benigne sono molto simili al fibroadenoma. La presenza di cellule stremali con atipie nucleari e la presenza di frammenti di connettivo mucoide possono indirizzare la diagnosi. I fillodi maligni mostrano un pattern di aggregati epiteliali benigni frammisti a elementi fusati con caratteristiche nucleari di malignità. • Tumori metastatici (56): vanno presi in considerazione quando si osserva un pattern non usuale per il carcinoma mammario. Il melanoma e il carcinoma indifferenziato a piccole cellule sono i più frequenti. Nel melanoma sono di aiuto la presenza di pigmento e la presenza di grossolane inclusioni nucleari. Le metastasi di carcinoma ovarico hanno le caratteristiche di una lesione papillare: la presenza di corpi psammomatosi può aiutare a diagnosi. Cellule con ampio citoplasma chiaro possono suggerire la possibilità di un carcinoma renale. Il carcinoma squamoso è facilmente diagnosticabile e può essere sia primitivo che metastatico. • Linfoma: la diagnosi si pone sulla base dello spettro di elementi linfoidi presenti. Qualora si sospetti tale possibilità è utile effettuare la biopsia per tipizzare la lesione. • Tumori stromali maligni: il più comune è l’angiosarcoma, soprattutto se in un contesto di pregressa terapia radiante. Qualora si sospetti un sarcoma, sulla base delle atipie citonucleari degli elementi fusati e/o pleomorfi, è necessario effettuare la biopsia al fine di porre diagnosi tra sarcoma, carcinoma metaplastico e fillode maligno.
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28
7. CONTROLLO DI QUALITA’ Definizione I controlli di qualità, come di seguito illustrati, sono da intendersi non come una valutazione della qualità del laboratorio ma come valutazione clinica dell’efficacia della FNA o della core biopsy. FNA inadeguate (C1) e biopsie normali (B1) vengono pertanto conteggiate negli standard di qualità. Sensibilità assoluta Numero di carcinomi (C5 o B5) espresso come % del totale dei carcinomi verificati Sensibilità completa
Numero di carcinomi non C1, C2 e B1,B2 espresso come % del totale dei carcinomi verificati
Specificità
Numero di lesioni benigne correttamente identificate (numero di C2 o B2 meno i falsi negativi) espresso come % del totale delle lesioni benigne campionate
Valore predittivo positivo di C5/B5
Numero di carcinomi correttamente identificati (numero di C5 o B5 meno i falsi positivi) espresso come % del totale dei C5 oB5
Valore predittivo positivo di C4/B4
Numero di carcinomi identificati come sospetti (numero di C4 o B4 meno i falsi sospetti) espresso come %ale del totale dei C4 oB4
Valore predittivo positivo di C3/B3
Numero di carcinomi identificati come C3 o B3 meno il numero di C3 o B3 benigni espresso come % del totale dei C3 o B3
Falsi negativi
Caso diagnosticato C2 o B2 che nell’arco di 3 anni si dimostra essere un carcinoma (qs parametro include necessariamente alcuni casi dove è stata campionata un’area diversa da quella che svilupperà in seguito il cancro che in questo caso può essere definito “cancro intervallo”
Falsi positivi
Caso diagnosticato come positivo (C5 o B5) che alla chirurgia risulta una lesione benigna (compresa l’iperplasia atipica)
Tasso di falsi negativi
Numero di fasi negativi espresso come % del totale dei carcinomi campionati
Tasso di falsi positivi
Numero di falsi positivi espresso come % del totale dei carcinomi campionati
Tasso di inadeguati Numero di inadeguati (C1 o B1) espresso come % del totale dei casi campionati
29
Modalità di calcolo dei parametri di Qualità Il calcolo dei dati può essere fatto sia per l’agoaspirato che per la biopsia (CQA e BQA). Esiste inoltre un ulteriore calcolo che combina i due parametri dando la sensibilità e la specificità non‐ operatorie. Si considera la diagnosi peggiore (il numero più elevato di C o B) delle due metodiche quando entrambe sono state effettuate sulla medesima paziente e si vanno a calcolare gli stessi parametri che si utilizzano per il CQA e il CQB. Ciascuna cella deve contenere il numero delle diagnosi citologiche (o bioptiche) per categoria C (o B) abbinato alla peggiore diagnosi istopatologica corrispondente. ISTOLOGIA
C5/B5
C4/B4
C3/B3
C2/B2
C1/B1
Totale
Tot. maligni
Cella1
Cella2
Cella3
Cella4
Cella5
Cella6
Infiltranti
Cella7
Cella8
Cella9
Cella10
Cella11
Cella12
Non inf.
Cella13
Cella14
Cella15
Cella16
Cella17
Cella18
Tot. benigni
Cella 19
Cella20
Cella21
Cella22
Cella23
Cella24
No istologia
Cella25
Cella26
Cella27
Cella28
Cella29
Cella30
Totale
Cella31
Cella32
Cella33
Cella34
Cella35
Cella36
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Dalla tavola citata nella pagina precedente si procede al calcolo della sensibilità e specificità in % utilizzando le formule seguenti in cui i numeri corrispondono al numero della cella SENSIBILITA’ ASSOLUTA (1+25) x 100 (6+25) SENSIBILITA’ COMPLETA SPECIFICITA’ (solo biopsie)
(1+2+3+25) x 100 6+25
22 x 100 24
SPECIFICITA’COMPLETA
(22+28) x 100 24+27+28+29
VALORE POSITIVO PREDITTIVO (C5/B5)
(31‐19) x 100 31
VALORE PREDITTIVO POSITIVO (C4/B4)
2 x 100 (32‐26)
VALORE PREDITTIVO POSITIVO (C3/B3)
3 x100 33
VALORE PREDITTIVO NEGATIVO (C2/B2)
(34‐4) x 100 34
TASSO DI FALSI NEGATIVI (escluso inadeguati)
4 x 100 (6+25)
TASSO DI FALSI POSITIVI
19 x 100 (6+25)
TASSO DI INADEGUATI
35 x 100 36
TASSO DI INADEGUATI con diagnosi di carcinoma
5 x 100 (6+25)
TASSO DI C3/B3
33 x 100 36
TASSO DI C4/B4
32 x 100 36
TASSO DI SOSPETTI (C3+C4)(B3+B4)
(32+33) x 100 36
31
INDICATORI E MINIMI STANDARD SUGGERITI per la citologia Minimo
Desiderato
Media (NHSBSP‐UK)
SENSIBILITA’ ASSOLUTA
>60%
>70%
57.1%
SENSIBILITA’ COMPLETA
>80%
>90%
81.1%
SPECIFICITA’(inclusi casi non biopsiati)
>55%
>65%
58.4%
VALORE PREDITTIVO POSITIVO
>98%
>995
99.6%
TASSO DI FALSI NEGATIVI
/=2 o numero di copie HER2>6 o cluster) anche se inferiore al 10%. La FISH, pur restando la tecnica di riferimento per la predittività di risposta al trattamento con trastuzumab, presenta alcune criticità, quali la necessità di attrezzature costose, specifiche e dedicate e di personale esperto e dedicato. Ulteriori svantaggi sono rappresentati dal fatto che i preparati non possono essere conservati per lungo tempo, pena il decadimento del fluorocromo e pertanto, ove possibile, è consigliato acquisire immagini digitalizzate dei preparati; infine, la mancanza di dettaglio morfologico non consente una correlazione con il dato dell’immunoistochimica. Per ovviare ad alcune di queste problematiche, sono state introdotte la CISH e la SISH, metodiche di ibridazione in situ in campo chiaro, che consentono l’utilizzo del comune microscopio ottico garantendo una migliore correlazione tra aspetti morfologici e risultato della reazione. 6.2 CISH L’ibridazione in situ cromogenica (CISH) è la metodica di elezione per preparati citologici o in monostrato di lesioni metastatiche. Rappresenta una valida alternativa alla FISH con livelli di concordanza riportati in letteratura superiori al 95%. Il segnale è sotto forma di precipitati puntiformi o aggregati di cromogeno. La sezione va inizialmente esaminata a basso ingrandimento per valutare la omogeneità o meno della distribuzione del segnale. Nel caso in cui si rilevi omogeneità di segnale, vanno selezionati almeno 2 campi sui quali valutare ad alto ingrandimento il segnale. I preparati citologici vanno esaminati interamente. È opportuno valutare il preparato della CISH sulla base della reattività dell’IIC. Nel caso di tecniche con una sola sonda specifica per il gene HER2, il campione si definisce amplificato quando si contano >6 segnali/nucleo o grandi cluster, mentre non è amplificato quando i segnali sono di 10 o cluster) o non amplificati (segnali/=2 o >2,2 tra numero di copie del gene HER2 e i segnali del centromero del cromosoma 17 (CEP17); i tumori con un aumento del numero di segnali sia per il gene HER2 sia per il CEP17, ma con ratio /0 30% dei nuclei contati. Recentemente Marchiò et al (31), utilizzando la tecnica microarray‐comparative genomic hybridization (aCGH) ha suggerito che la polisomia vera potrebbe essere un evento molto raro; dallo studio è emerso che quanto definito inizialmente polisemico con la FISH dual color ha corrisposto a un aumento (gain) o a un’amplificazione della sola zona del centromero e non ad un vero aumento del numero dei cromosomi 17. Il 20% delle pazienti di questo studio con carcinoma considerato polisomico alla FISH con ratio HER2/CEP17 6 segnali HER2 per cellula indipendentemente dal numero dei segnali CEP17. Il referto deve includere la dizione “non amplificato” o “amplificato” e la giustificazione (ratio>/=2 per i casi disomici o >6 copie del gene o cluster di HER2 nei casi apparentemente polisomici).
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7. CONTROLLO DI QUALITA’ 7.1 Controlli positivi interni Per ER, PR e ki‐67 valutare la coerenza della positività dei controlli interni come già precedentemente definito 7.2 Controlli positivi esterni Utilizzare sezioni tissutali ad immunoreattività nota per ciascuna sessione di immunoistochimica (ER, PR, HER2). È opportuno utilizzare controlli positivi esterni di reazione periodicamente e, comunque, a ogni cambio del kit per FISH/CISH/SISH. È opportuna l’implementazione di programmi VEQ per ER, PR, ki‐67 e FISH/CISH/SISH su base regionale, nazionale e sovranazionale
76
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CAPITOLO 5 Procedure diagnostiche del campione operatorio dopo chemioterapia neoadiuvante
Revisione a cura di: Stefania Dante (U.O. Anatomia Patologica, ULSS 6 Vicenza) Ida Pavon (U.O. Anatomia Patologica, ULSS 13 Mirano)
La terapia neoadiuvante o primaria, intesa come somministrazione sistemica di farmaci che precede l’atto chirurgico, sta assumendo un ruolo sempre più importante nella cura della paziente con carcinoma della mammella. Negli ultimi anni sono apparsi molteplici studi che utilizzano più cicli di polichemioterapia neoadiuvante (in genere 4‐6), più frequentemente con antracicline e taxani, in associazione o meno con trastuzumab, in pazienti, con marker predittivi di risposta, che presentano, al momento della diagnosi, una malattia localmente avanzata o una malattia di dimensioni ridotte ma con fattori prognostici negativi. Gli scopi principali sono la riduzione del volume tumorale al fine di poter eseguire una chirurgia conservativa, la regressione delle metastasi linfonodali, la valutazione in vivo della chemiosensibilità della neoplasia e la prevenzione di eventuali localizzazioni a distanza. I dati della letteratura indicano che tali regimi sono risultati efficaci sulla riduzione della massa neoplastica e che la risposta patologica alla chemioterapia neoadiuvante, sia sul tumore sia sui linfonodi, è correlata con una prognosi migliore sia in termini di sopravvivenza globale sia di intervallo libero da malattia.
1. DIAGNOSTICA PRETRATTAMENTO CHEMIOTERAPICO PRIMARIO Lo studio del tumore prima del trattamento primario deve essere estremamente accurato sia nella clinica (cT e cN) e dell’imaging (plurifocalità, micro calcificazioni, stato degli N), sia nella parte patologica. 1.1 Valutazione del tumore 1.1.1 Modalità di Prelievo Trucut multipli (almeno 5) con ago da 14‐16 gauge su ogni focolaio sospetto. Devono essere il più rappresentativi possibile della lesione, quindi i prelievi con abbondante necrosi e/o sclerosi dovrebbero essere ripetuti. Biopsia a cielo aperto: tale opzione è da prendere in considerazione come seconda istanza, in quanto a rischio di complicanze, che potrebbero procrastinare l’inizio della terapia, o influire sulla valutazione della risposta alla terapia, se la biopsia chirurgica asporta una abbondante porzione della malattia. 1.1.2 Valutazione della cute La biopsia della cute dovrebbe essere obbligatoria in presenza di aspetti di edema e/o peau d’orange, (cT4 = pT4b), in quanto la presenza o meno di infiltrazione carcinomatosa dei vasi linfatici e/o del derma influenza i successivi trattamenti chirurgico e radioterapico. Se si è in presenza di ulcerazione cutanea e/o satellitosi è sufficiente una documentazione fotografica da parte del clinico da allegare alla cartella della paziente. 1.2 Valutazione dello stato dei linfonodi La dissezione linfonodale del cavo ascellare deve essere sempre eseguita indipendentemente dal T clinico post‐terapia, contemporaneamente alla terapia chirurgica conservativa o alla mastectomia. Sono in corso studi clinici di fattibilità e adeguatezza del linfonodo sentinella sia in fase diagnostica che in fase di trattamento definitivo per pazienti con T candidabile a tale metodica. La stadiazione linfonodale si avvale, a seconda dei centri, dell’esame obbiettivo, dell’ecografia, dell’RMN, della TAC e della PET‐TAC . 81
Utile per una più accurata stadiazione eseguire: A. Per pazienti con linfonodi clinicamente/radiologicamente positivi: agoaspirato con citologia per conferma di metastasi B. Per pazienti con linfonodi clinicamente/radiologicamente dubbi: agoaspirato con ampio campionamento del linfonodo, per conferma di eventuale metastasi. C. Per pazienti con linfonodi clinicamente/radiologicamente negativi o dubbi con citologia negativa: si potrebbe ipotizzare lo studio del linfonodo sentinella 1.3 Marcatura del tumore In caso di regressione completa della neoplasia può essere difficoltoso individuarne macroscopicamente l’area nel pezzo operatorio, si rende quindi necessario il posizionamento di un repere (clip, tracciante ecc) nel tumore al momento della biopsia. In alcuni centri è in uso anche il tatuaggio sulla proiezione cutanea della neoplasia per l’individuazione al momento della chirurgia. 1.4 Valutazione istologica del campione bioptico La richiesta di esame istologico deve essere corredata da: 1. dati della paziente 2. sede e dimensioni della lesione 3. dati clinico‐strumentali (stato della cute e dei linfonodi, presenza di microcalcificazioni e plurifocalità) 4. tecnica del prelievo (guida strumentale o manuale) 5. richiesta di esecuzione dei recettori ormonali, Ki‐67 ed HER2 Nel referto devono essere riportati i seguenti parametri secondo i protocolli adottati dal laboratorio afferente: A. presenza di carcinoma infiltrante, istotipo, grading e eventuale percentuale sul totale dell’agobiopsia B. presenza di componente carcinomatosa in situ (in percentuale), suo istotipo e grading C. presenza di microcalcificazioni D. presenza di invasione vascolare E. espressione dei recettori ormonali, dell’indice proliferativo e dell’HER2 In presenza di biopsia cutanea: A. dimensioni B. presenza di infiltrazione del derma e di eventuale ulcerazione dell’epidermide C. presenza di infiltrazione vascolare. L’eventuale biopsia linfonodale sarà processata secondo il protocollo del laboratorio afferente. 2. DIAGNOSTICA DOPO CHEMIOTERAPIA PRIMARIA In base alla risposta valutata con metodiche clinico‐strumentali, le pazienti dopo chemioterapia neoadiuvante vengono sottoposte a chirurgia della mammella (demolitiva o conservativa), associata a chirurgia sul cavo ascellare. Scopo della chemioterapia primaria è ottenere una risposta patologica completa della malattia sia sul tumore che sui linfonodi metastatici; questo avviene, a seconda delle casistiche, nel 15‐40% dei 82
casi. In caso contrario vi può essere una risposta patologica parziale, con riduzione in percentuali variabili della malattia, o nessuna risposta. Non sempre ad una completa risposta patologica del tumore primitivo si associa una risposta patologica completa sulle metastasi linfonodali. È dimostrato che le dimensioni e le caratteristiche del tumore residuo e lo stato dei linfonodi dopo terapia neoadiuvante sono un fattore prognostico di intervallo libero da malattia. La valutazione patologica di risposta deve quindi riportare la quantità di tumore residuo, le sue caratteristiche morfologiche e biologiche e lo stato dei linfonodi. La presenza di componente carcinomatosa in situ residua non sembra influenzare la sopravvivenza libera da malattia e la sopravvivenza globale, pertanto deve essere descritta ma non deve essere considerata nella valutazione del grado di risposta alla terapia. La gradazione di risposta va eseguita esclusivamente sulla componente infiltrante. 2.1 Notizie cliniche La richiesta di esame istologico deve riportare: 1. dati identificativi della paziente 2. tipo di chemioterapia 3. stadiazione prima del trattamento su T ed N 4. tipo di procedura diagnostica precedente 5. presenza di reperi nel T 6. presenza di plurifocalità 7. presenza di microcalcificazioni 8. risposta clinico/radiologica alla terapia (completa, parziale, minima) 9. tipo di chirurgia ed indicazione dei vari reperi di orientamento del pezzo operatorio 2.2 Esame Macroscopico Il materiale inviato, orientato, deve essere adeguatamente fissato e processato secondo i protocolli in uso. L’esame macroscopico dei campioni di escissione o di mastectomia post‐ chemioterapia deve essere eseguito secondo le linee guida correnti e i margini inchiostrati secondo protocollo. Vi sono però alcune indicazioni specifiche riguardanti i casi sottoposti a trattamento neoadiuvante. 2.3 Campionamento del pezzo operatorio Valutazione macroscopica del tumore residuo A. Nei casi con risposta patologica completa l’identificazione del letto tumorale può essere difficoltosa, di solito non si riconoscono noduli, ma piuttosto un’area a contorni mal definiti centralmente di aspetto edematoso e/o fibroso. È quindi necessario il campionamento di tutta l’area individuata, con sezioni contigue di 3‐5 mm. In caso di posizionamento del repere va analogamente prelevata tutta l’area adiacente a esso. Utile ricordare che le microcalcificazioni associate alla neoplasia non scompaiono dopo chemioterapia, pertanto anche la radiografia del pezzo operatorio può facilitare il riconoscimento dell’area da campionare. È sempre consigliabile effettuare la valutazione con l’ausilio di radiogrammi e/o dati RNM pre‐post‐terapia. B. Nei casi con risposta patologica parziale il residuo di malattia può apparire nodulare, parzialmente sclerotico, o a focolai multipli che contornano un’area edematosa e/o sclerotica. Vanno descritte, misurate e campionate tutte le lesioni evidenti, se il residuo è inferiore a cm 3 va incluso in toto, se superiore a cm 3 viene consigliato ampio campionamento (possibilmente con l’inclusione in toto dell’area sospetta). 83
Per lesioni multifocali la procedura del campionamento deve essere eseguita su tutte le aree individuate. In ogni caso vanno prelevati i margini tra lesione residua ed il parenchima adiacente ad essa. Vanno inoltre campionati: 1. I margini di exeresi orientati del pezzo operatorio 2. Il piano cutaneo, con prelievi multipli per i cT4b 3. il capezzolo e l’areola 4. Il parenchima a distanza 2.4 Campionamento del cavo ascellare I linfonodi del cavo ascellare vanno prelevati e inclusi in toto in maniera analoga a quanto eseguito nei casi non preceduti da chemioterapia, insieme alle aree di addensamento fibroso presenti. È stata segnalata una possibile riduzione del numero dei linfonodi isolati post chemio‐terapia, rispetto a quanto si rinviene normalmente. L’eventuale ricerca del linfonodo sentinella in fase di stadiazione pre‐trattamento, creando una fibrosi cicatriziale, può rendere più difficile la ricerca linfonodale. 2.5 Esame microscopico 2.5.1 Valutazione istologica della mammella Nella valutazione istologica bisogna tenere conto, che indipendentemente dal tipo di chemioterapico usato: a. il tumore presenta nella maggioranza dei casi riduzione di volume di grado variabile, con fibrosi sostitutiva delle aree regredite. Il letto tumorale si presenta istologicamente come un’area di stroma vascolare jalino, con depositi di macrofagi schiumosi, linfociti ed emosiderofagi e assenza delle normali strutture duttali e lobulari. Possono essere presenti edema e necrosi. b. per lo più la cellularità e l’indice mitotico appaiono ridotti. c. la chemioterapia può indurre delle alterazioni regressive citologiche nelle cellule neoplastiche della componente infiltrante quali: ‐ anisocitosi‐vacuolizzazione citoplasmatica e nucleare ‐ necrobiosi del citoplasma che assume aspetto “laccato”‐ aumento di volume dei nuclei con addensamento della cromatina e scomparsa dei nucleoli‐ picnosi nucleare. Le cellule neoplastiche residue conservano in ogni caso l’immunoreattività per le citocheratine (AE1‐3, MNF116). Tali alterazioni possono inficiare la valutazione del grading, l’espressione dei recettori ormonali, del Ki‐67 e di HER2. d. Fenomeni di atrofia e di sclerosi possono essere presenti anche nelle unità dutto‐lobulari normali nel parenchima adiacente, più raramente queste presentano atipie cito‐nucleari, che devono essere poste in diagnosi differenziale con il carcinoma in situ. e. La componente di carcinoma in situ dimostra nella maggioranza dei casi scarsa risposta alla chemioterapia. Si possono notare atipie cito‐nucleari chemioindotte da tener in considerazione specie nella diagnosi differenziale tra LCIS e DCIS f. gli emboli neoplastici endovascolari sembrano rispondere poco alla chemioterapia e possono andare incontro alle modificazioni cito‐nucleari su descritte. 84
2.5.2 Valutazione istologica dei linfonodi Analogamente al tumore primitivo le metastasi linfonodali possono regredire parzialmente o totalmente. Le aree regredite si presentano con fibrosi, con depositi di macrofagi schiumosi e o emosiderofagi. Il residuo di malattia può presentare alterazioni morfologiche analoghe a quanto sopra descritto. In alcuni casi può essere necessaria la valutazione immunoistochimica con citocheratine per residui minimi di malattia metastatica. 2.5.3 Valutazione dei fattori prognostici predittivi Esistono discrepanze sul significato della rivalutazione dei fattori predittivi della malattia residua, quali positività per recettori estrogenici (ER), progestinici (PR) ed HER2. Infatti la loro espressione è notevolmente variabile a seconda delle casistiche. Inoltre gli stessi parametri possono essere di difficile valutazione sulla biopsia pre‐chemioterapia. In ogni caso è importante ripetere sempre la valutazione sulla malattia residua e confrontare i risultati con quanto rilevato nella biopsia pre‐terapia neoadiuvante. 2.5.4 Recettori ormonali La componente neoplastica residua può mostrare assetto recettoriale analogo a quello della neoplasia iniziale. Discrepanze possono essere ricondotte a deficit di campionamento dell’agobiopsia (eterogeneità della neoplasia) o a modificazioni chemioindotte con selezione di cloni con espressione diversa. 2.5.5 Espressione della proteina HER2 In alcuni studi non sono stati segnalati rilevanti cambiamenti di espressione di HER2. Modificazioni dell’espressione possono essere dovute a deficit del campionamento bioptico, a eterogeneità del tumore, ma anche ad una down regolazione o selezione di cellule che non l’esprimono dopo trattamento con trastuzumab. 2.5.6 Espressione di Mib1/Ki‐67 Viene modificato in modo statisticamente significativo dopo chemioterapia neoadiuvante. Di solito si assiste ad un marcato decremento della sua espressione. È stato proposto che tale parametro possa essere indicatore di risposta alla terapia ma non c’è accordo sul significato prognostico di tale decremento. 2.5.7 Quantificazione della regressione tumorale Molteplici sono le proposte in letteratura per graduare il residuo neoplastico dopo chemioterapia, ma nessuna di esse sembra accogliere un consenso unanime. I sistemi che quantificano la risposta sia sul tumore primitivo che sui linfonodi sembrano essere più attendibili nel predire l’outcome. In ogni caso la valutazione del grado di risposta alla terapia deve essere sempre riportata nella diagnosi. Il sistema elaborato da Pinder sembra quello più facilmente riproducibile e che suscita maggior consenso nella comunità scientifica:
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3. RISPOSTA TUMORALE 1. risposta patologica completa (CR): suddivisa in: A. assenza di carcinoma residuo B. assenza di carcinoma infiltrante residuo ma presenza di carcinoma in situ 2. risposta patologica parziale (PR): presenza di risposta parziale alla terapia suddivisa in: A. minima malattia residua (inferiore del 10% della totale area neoplastica) B. presenza di residuo di neoplasia tra 10‐50% C. residuo di malattia superiore al 50% 3. nessuna evidenza di risposta alla terapia: malattia stabile (SD) 4. RISPOSTA LINFONODALE 1. Non evidenza di metastasi né di modificazioni a carico del parenchima linfonodale 2. Non evidenza di metastasi con presenza di segni di risposta (fibrosi, etc) che indicano un down‐ staging legato alla chemioterapia neoadiuvante 3. Presenza di metastasi associate a segni di risposta 4. Presenza di metastasi senza segni di risposta 5. STADIAZIONE ypTNM La misurazione del tumore infiltrante residuo è molto discussa, specie se presenti focolai multipli attorno o nel contesto dell’area di regressione. Secondo la stadiazione ypT in presenza di focolai multipli residui di carcinoma infiltrante viene misurato il focolaio tumorale maggiore, escludendo circostanti aree di fibrosi e indicando la presenza di focolai multipli. La definizione ypT rimane comunque controversa. All’indicazione ypT dovrebbe essere sempre associato il grado di regressione. La misurazione del T residuo è discussa, oltre che nei casi in cui residuano focolai multipli, in presenza di malattia residua costituita da isolate cellule tumorali nell’area di sclerosi o in presenza di aspetti di angioinvasione con regressione completa del carcinoma infiltrante. È stato proposto di classificare questi casi come ypTX, associando il grado di regressione tumorale. Analoga valutazione andrebbe fatta sui linfonodi classificando come ypN0 linfonodi esenti da metastasi e assenti segni di risposta; ypN0 (CR) linfonodi esenti da metastasi ma con segni di risposta; ypN (1, 2, 3) (PR) linfonodi con metastasi e segni di risposta e come ypN (1, 2, 3) (SD) linfonodi con metastasi senza segni di risposta . In conclusione nella diagnosi istologica devono essere riportati i seguenti parametri: 1. presenza di carcinoma infiltrante, con dimensioni, modificazioni morfologiche, istotipo e grading 2. presenza di carcinoma in situ con dimensioni, modificazioni morfologiche istotipo e grading 3. presenza di regressione tumorale (fibrosi) e sue dimensioni 4. presenza di multifocalità 5. presenza di angioinvasione 6. presenza di necrosi, infiltrato infiammatorio 7. grado di regressione del tumore 86
8. numero di linfonodi repertati, numero dei linfonodi metastatici con/senza segni di regressione 9. stato dei margini 10. stato della cute 11. ypTNM
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6. BIBLIOGRAFIA 1. AJCC Cancer Staging Manual, 7th Ed. 2010 2. European guidelines for quality assurance in breast cancer screening and diagnosis, Fourth Edition. Editors: Perry N, Broeders M, de Wolf C, Törnberg S, Holland R, von Karsa L, Puthaar E. 2006 – XVI, 416 pp. 3. Protocol for the examination of specimens from patients with invasive carcinoma of the breast, College of American Pathologist (CAP); 2009 4. Thresholds for therapies: highlights of the St Gallen International Expert Consensus on the Primary Therapy of Early Breast Cancer. Goldhirsch A, Jngle G N, Gelber R D, Coates A S, Thurlimann B, Senn H‐J, Panel Members. Annals of Oncology 2009; 20: 1319‐1329 5. Pinder S E, Provenzano E, Earl H, Ellis I O. Laboratory handling and histology reporting of breast specimens from patients who have received neoadjuvant chemotherapy. Histopathology 2007; 50: 409‐417 6. Sunati S., Lester S. Pathology of Breast Carcinomas after Neoadjuvant Chemotherapy: an overview with Recommendations on Specimen Processing and Reporting. Archives of Pathology and Laboratory Medicine 2008; 133(4): 633‐642 7. Rakha E A, Ellis I O. An overview of assessment of prognostic and predictive factors in breast cancer needle core biopsy specimens. J Clin. Pathol 2007; 60: 1300‐1306 8. Yeh E, Slanetz P, Kopans DB, Rafferty E, Georgian‐Smith D, Moy L, Halpern E, Moore R, Kuter I, Taghian A. Prospective comparison of mammography, sonography, and MRI in patients undergoing neoadjuvant chemotherapy for palpable breast cancer. Am J Roentgenol 2005; 184(3):868‐877 9. Muna M Baslaim, Osama A Al Malik, Saif S Al‐Sobhi, Ezzeldin Ibrahim, Adnan Ezzatc, Dahish Ajarim, Asma Tulbah, Mohammad A Chaudhary, Ralph A Sorbris. Decreased axillary lymphonode retrieval in patients after neoadjuvant chemotherapy. Am, J Surg 2002; 184, 299‐ 301 10. Kaufmann M., Minckwitz G, Bear HD, Budzar A. Recommendations from an International expert panel on the use of neoadjuvant (primary) systemic treatment of operable breast cancer: new perspective 2006. Annals of Oncology 2007; 18(12): 1927‐1934 11. Gralow JR, Burstein HJ, Wood W, Hortobagyi GN, Gianni L, von Minckwitz G, Buzdar AU, Smith IE, Symmans WF, Singh B, Winer EP. Preoperative Therapy in invasive breast cancer: pathologic assessment and systemic therapy issues in operable disease. Journal of Clinical Oncology 2007; 26(5): 814‐819 12. Newman LA, Pernik NL, Adsay v, Carolin KA. Histopathology evidence of tumour regression in the axillary lymphonodes of patients treated with chemotherapy correlates with breast cancer outcome. Ann Surg Oncol 2004; 10(7): 713‐715
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