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March 20, 2018 | Author: Anonymous | Category: Scienza, Fisica, Quantum Physics
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Alcune Esperienze Introduttive alla Meccanica Quantistica L. Martina Dipartimento di Fisica - Università di Lecce e Sezione INFN - Lecce " The best experiments are simple and on a large scale, and their workings are obvious to the audience. The worst experiment is one in which something happens inside a box, and the audience is told that if a pointer moves, the lecturer has very cleverly produced a marvelous effect. Audiences love simple experiments and, strangely enough, it is often the advanced scientist who is most delighted by them."

Michael Faraday

Introduzione L’insegnamento

della

Fisica,

specialmente

nel

livello

secondario, e’ stato oggetto di numerose riflessioni, che originano da considerazioni e convinzioni di vario genere: dalla valenza culturale e formativa di base della disciplina, al significato tecnologico e sociale che la disciplina assume (il secolo appena trascorso è stato nel bene e nel male quello della Fisica!), dai modelli di apprendimento fondati

su osservazioni empiriche, alle considerazioni epistemologiche più generali. Ma per avere senso questa discussione va calata nella pratica concreta dell’insegnamento, con i condizionamenti culturali, materiali e umani che gli sono specifici. Allo stesso tempo tale pratica viene sopravanzata e messa in uno stato di disagio dalla stessa autonoma dinamica della scienza, che fa scorta di quanto già noto, non fosse altro per metterne in dubbio la sua validità. In più la dinamica sociale e tecnologica ha spostato, o ampliato, i campi di interesse propri della Fisica ad altri settori scientifici e tecnologici. Quindi accanto ai temi classici della Fisica, sempre maggiore importanza assumono nell’insegnamento i capitoli della Fisica moderna, in breve Meccanica Quantistica e Relatività, con tutto il loro bagaglio di paradossi e applicazioni. Ma molto spesso, questo interesse può risultare alquanto forzato se affrontato in modo libresco. Peggio ancora se questi temi vengono relegati in qualche capitolo finale di un curriculum tradizionale di Fisica. Quale senso ha aggiungere degli argomenti a un già troppo vasto programma? E’ chiaro che su questo dilemma ci si è dibattuti a lungo e con esiti contrastanti. Il presente contributo intende riassumere alcuni passaggi cruciali della Fisica moderna che, eventualmente affrontati con tecniche sperimentali accessibili anche a laboratori non troppo sofisticati, come quelli scolastici, possono mettere a contatto gli studenti con il mondo microscopico.

Lo sviluppo del mondo contemporaneo, molto spesso, è visto in termini di sviluppo tecnologico e di espansione delle capacità

umane di intervenire sul mondo circostante, sia nel bene che nel male. D’altro canto si tende a sottolineare come i contributi scientifici di Einstein tocchino aspetti al limite della realtà percepibili e, quindi, molto spesso collettivo quasi mitologico.

per noi appena

relegati in un immaginario

I fenomeni

analizzati da Einstein

rientrano allora nel novero delle curiosità intellettuali, lontane dall’ esperienza quotidiana. Poiché è vero il contrario, in questo scritto, accanto all’ introduzione dei concetti fondamentali della Fisica del mondo microscopico, si cercherà di indicare alcune esperienze, che non solo hanno segnato delle tappe negli sviluppi menzionati, ma che possano essere riproducibili

in ambito scolastico, consentendo ai

giovani di abbandonare lo studio libresco delle aule scolastiche, verso la concretezza del mondo, che la Scienza descrive con i suoi metodi e linguaggi. La pubblicazione nel 1905 degli articoli sul Moto Browniano (1), l’Elettrodinamica dei Corpi in Moto (2) (che poi diventerà la Relatività Speciale) e l’Effetto Fotoelettrico (3), ha aperto un modo nuovo di concepire e interpretare l’universo che ci circonda, sia sulle grandi che piccole, analogamente a quanto avvenne a Galilei quando, per primo, distinse le montagne della Luna e i satelliti Medicei. Con la differenza che all’epoca Einstein i dati osservativi erano già sotto gli occhi di tutti. Un universo totalmente nuovo si svelò ai nostri occhi, fino ad allora annebbiati dai pregiudizi . La domanda alla quale Einstein cercò di dare una risposta era quella di sempre: qual è il nostro posto nell’Universo. In particolare, ed è il tema del quale ci

occuperemo in questo contributo, qual è la relazione con il mondo microscopico e come noi possiamo descriverlo in modo coerente. Materia, Radiazione e Relatività Noi tutti ci accorgiamo che un diamante e un pezzo di metallo assumono con la luce un diverso aspetto, ma da dove nasce tanta differenza?

Quali sono i meccanismi di base che presiedono

all’influsso vitale del nostro Sole?. Perché le piante crescono e vivono e le macchine a vapore no? Per capirlo è plausibile che si debba andare ad indagare su che cosa avvenga alla scala più minuta della materia e come essa interagisca con la radiazione? Esatto, questa era la grande dicotomia della filosofia naturale di fine ‘800: radiazione e materia

apparivano

intrinsecamente

separate.

Non

soddisfacevano a leggi di comportamento distinte

solo

(i principi di

Newton la prima e le equazioni di Maxwell la seconda), ma per quanto la radiazione fosse stata modellata sulle leggi dei continui materiali, in ogni caso ne emergevano delle proprietà assolutamente inconciliabili. Si pensi alla impossibilità sperimentale e teorica di modificare la velocità della luce cambiando la velocità degli osservatori. Questo era

in totale disaccordo con il

principio di

inerzia, formulato da Galilei nei primi decenni del XVII secolo e inglobato, poi, nei principii newtoniani. L’equivalenza fisica tra lo stato di quiete e quello di moto uniforme

corrisponde a

all’osservazione di una differenza, costante, nella velocità dei moti e nulla più.

Ma sperimentalmente la velocità della luce risultava

sempre la stessa, indipendentemente dallo stato di moto relativo degli

osservatori. Inoltre

le equazioni di Maxwell, cioè le leggi della

propagazione della radiazione elettromagnetica, che fanno della luce un suo caso particolare, cambiano nella forma al cambiamento dello stato di moto relativo. Delle due l’una: sono più fondamentali le equazioni di Maxwell o le leggi di composizione delle velocità di Galilei? Come sappiamo la risposta di Einstein consistette nel salvare le equazioni dell’elettromagnetismo, anzi nel elevare l’invarianza di esse e della velocità della luce a principio costitutivo della Fisica. Il che dette avvio alla Relatività Speciale, con il conseguente cambiamento di prospettiva tra che cosa si dobba considerare inerente ai fenomeni fisici (le leggi della dinamica), rispetto alla descrizione cinematica. Tuttavia l’idea galileiana

che le cause dei fenomeni fisici siano

indipendenti dallo stato di moto uniforme relativo permaneva intatto. Molti anni più tardi Eistein stesso scrisse che il motivo della sua scoperta stava “nel fatto che ero, per ragioni di carattere generale, fermamente convinto che non esista il moto assoluto, e il mio unico problema era come ciò potesse conciliarsi con quello che sapevamo dell’elettrodinamica” (4).

Anche se va detto che molti fisici

preferiscono anteporre a base del ragionamento precedente le osservazioni di Michelson e Morley sull’assenza di Vento di Etere del 1881 (5). Questa però esperienza è molto delicata da eseguire anche oggi, ed esistono molte altre evidenze sperimentali della relatività speciale, quali il tempo di decadimento dei muoni o lo scarto degli

orologi montati su satelliti, che sono da collegarsi alla dilatazione dei tempi (6). Ma quali sono ora le conseguenze a livello di interazione tra luce e materia? E da cosa è costituita la materia? Oggi forse ogni ragazzo risponderebbe sicuro “Da atomi!!!”. Già, ma vale la pena ricordare che eminenti fisici e chimici di metà XIX avevano ancora dei dubbi sulla realtà degli atomi. Solo agli inizi del ‘900 il concetto di molecola era ormai generalmente accettata. Tale consapevolezza era collegata alla misura del

Numero di Avogadro NA (quante

molecole ci sono in una mole di sostanza) e al suo impressionante valore (oggi è stimato essere NA = significa che si prendono

6.02214 x 1023 (7)).

Il che

2.00 g di idrogeno molecolare, ogni

molecola deve pesare 3.32 x 10-24 g: qualcosa che sfugge alla nostra capacità di immaginazione nella comparazione tra masse. Esse sono racchiuse in volumi tipicamente di raggi dell’ordine di 10-10 m, anche queste del tutto sfuggenti alle nostre capacità intellettive. Non a caso la tesi di dottorato di Einstein riguardava proprio un metodo teorico per il calcolo di questo numero e dei raggi molecolari. Questi studi confluirono poi nell’interpretazione del cosiddetto moto browniano, che riguardava il moto delle particelle in sospensione. Applicando argomenti validi per le soluzioni e per i gas, Einstein stabilì una relazione esplicita che collegava il Numero di Avogadro con caratteristiche osservabili di tali sospensioni, grazie all’uso di microscopi, cronometri, termometri ed altre apparecchiature standard nei laboratori di Fisica dell’epoca. Anche se il metodo di Einstein

non venne usato fin da subito,

esso svolse tuttavia un ruolo

determinante nell’assicurare l’accettazione generale della realtà delle molecole e, da un punto di vista metodologico generale, svanivano anche i dubbi sull’interpretazione statistica delle leggi della termodinamica propugnata con grandi difficoltà da Boltzmann. Ad esempio, a livello scolastico a si possono realizzare varie esperienze concrete

sul

moto

browniamo,

anche

solo

semiquantitative,

consistenti nell’osservare al microscopio il moto delle particelle di fumo in aria o gocce di grasso nel latte diluito (8). Il Microcosmo E’ chiaro quindi che le particelle più fini costituenti la materia sono totalmente sfuggenti non solo ai nostri sensi, ma anche ai più raffinati strumenti di indagine. Si osservi che solo da pochi anni si è riusciti a dare delle “immagini” di singoli atomi, che spiccano in loro aggregati regolari. Di conseguenza l’insieme di leggi che presiedono al loro comportamento (la Meccanica Quantistica, o dei Quanti) non necessariamente deve seguire da quella di Newton. In effetti i concetti del Mondo dei Quanti non possono essere costruiti sulla sola osservazione e interpretazione dei fenomeni

e delle evidenze

sperimentali dirette (macroscopiche). Questo livello è indicato anche come classico, in quanto è descritto con sufficiente accuratezza dalle leggi dell’elettromagnetismo e dalle leggi della dinamica coerenti con la relatività speciale. Piuttosto i principi della Meccanica Quantistica seguono dall’analisi delle interazioni Radiazione – Materia a livello microscopico e dalla

richiesta teorica di

coerenza interna della

Fisica. E’ a questo stadio di elaborazione concettuale che interviene una forte revisione critica dei concetti della Fisica Classica. Ma alla luce di questo nuovo quadro interpretativo ecco che il mondo dei fenomeni fisici non è lo stesso di prima! Dobbiamo convenire che abituali e consolidate argomentazioni del pensiero umano riguardo al nostro modo di descrivere la Natura portano a conclusioni errate! Allora dov’è che più chiaramente fa la differenza tra macro- e microscopico? Ci sono due aspetti simultanei che danno la risposta completa . Il primo è l’esistenza della costante universale h = 6.626068 × 10-34 joule sec, detta quanto di azione o costante di Planck, in onore del fisico che la introdusse (9) ), che determina la granularità intrinseca della Natura.

Nel mondo classico il concetto di piccolo (o di grande)

riferito ad un sistema fisico aveva un carattere squisitamente relativo : i fenomeni in un laboratorio terrestre sono tipicamente piccoli (in relazione alle dimensioni spaziali, temporali, alle scale di energie, etc. … ) rispetto a quelli planetari. Questi sono piccoli rispetto a quelli che coinvolgono il sistema solare e, così via, con le galassie e il cosmo intero. Posso pensare di costruire un sistema planetario in miniatura, magari nel laboratorio di casa, o più piccolo ancora, diciamo di scala atomica, come il modello proposto a suo tempo da Rutherford.. Ma le leggi rimangono le stesse. In realtà non sembra che sia così. Ad un certo stadio di miniaturizzazione il processo si inceppa. La Natura incomincia a

riconoscere che il sistema in

questione è microscopico.

Ovvero, si può pensare che sia

la

sovrapposizione incoerente dei moti quantici di una miriade di sistemi microscopici, tipicamente dell’ordine del numero di Avogadro, che alla fine

produce il familiare comportamento macroscopico della

materia e le sue leggi. Infine c’è da osservare che la costante di Planck non è la prima, né la sola di siffatte scale che modellano l’Universo. Infatti si è già incontrata la velocità della luce, che essendo un limite invalicabile per un corpo materiale, discrimina tra un sistema veloce, da uno lento. Il secondo aspetto da introdurre sono le relazioni di Planck – Einstein – de Broglie

a ŸE= h ? , bŸp= h /? ,

(1)

le quali stabiliscono stabiliscono che i) l’energia particella è proporzionale, tramite h,

E di una

alla frequenza 

della

corrispondente onda., ii) la quantità di moto (o momento lineare) della stessa particella è analogamente proporzionale al numero d’onda k della suddetta onda. Ma di quale onda si sta parlando? Implicitamente si sta dicendo che ad ogni onda elettromagnetica monocromatica (quindi caratterizzata da una precisa

coppia ())

è possibile

associare una particella, con caratteristiche corpuscolari (E, p). Questa particella, che si chiama fotone, fu introdotta da Einstein nel suo lavoro sull’effetto fotoelettrico e nel seguito ne giustificheremo perché fu introdotta. D’altro canto, abbiamo anche a che fare con dei corpuscoli

(per esempio molecole, atomi o loro costituenti più

elementari), cioè con oggetti fisici con ben definita localizzazione e velocità, quindi anche di ben definita coppia (E, p). Per essi le relazioni precedenti postulano l’esistenza di una loro complementare descrizione in termini ondulatori. Che cosa rappresenti effettivamente questa onda è meno chiaro e, per lungo tempo, fu una questione aperta tra i fisici, che cercheremo di illustrare appresso. In entrambi i casi però l’esigenza di stabilire un legame tra aspetti ondulatori e corpuscolari, sia per la materia che per la radiazione, è il frutto dell’insufficienza in un unico schema teorico (corpuscolare oppure ondulatorio) di tutta la fenomenologia riguardante la radiazione e la materia. Da qui una visione”dualistica” della natura , nella quale si contemperano entrambi gli aspetti in maniera complementare. Nel senso che in alcuni esperimenti si mettono in evidenza le caratteristiche ondulatorie, in altri quello corpuscolare di uno stesso sistema (fotone, atomo, molecola, etc. …). La scoperta dell’elettrone Si è accennato all’esistenza di minute particelle di materia (molecole, atomi), i cui nomi riferiscono a concetti antichissimi (al greco Democrito del IV secolo a.C. ), che riferivano, più su un piano speculativo e filosofico, ad un supposto limite alla divisibilità della materia in parti semplici. Tuttavia non era per nulla chiaro se e come gli atomi, che si cercavano di descrivere nella seconda metà del XIX secolo, fossero indivisibili o meno, di quante specie ne esistessero, come si potessero combinare in aggregati più o meno grandi. Ma nel 1897, facendo deflettere raggi catodici in un campo magnetico noto,

J.J. Thomson scoprì che dal catodo di un tubo a vuoto venivano invariabilmente emesse delle particelle, delle quali determinò accuratamente il rapporto carica elettrica / massa. Tale rapporto è misurato oggi con grande precisione e/m = -1.758 820 12(15) x 1011 C kg-1. Ma già i valori ottenuti da Thomson consentivano di concudere che “nei raggi catodici noi abbiamo della materia in un nuovo stato, nel quale la suddivisione della materia è condotta ad un livello molto maggiore di quanto lo sia in un gas: uno stato in cui tutta la materia … è di un solo tipo; questa materia è la sostanza di cui sono fatti tutti gli elementi chimici.” (10). Quindi non solo si caratterizza per la prima volta una particella, ma che essa ha un carattere universale. Di conseguenza gli atomi non posseggono quell’indivisibilità, che speculazioni anteriori avevano ipotizzato. Inoltre era chiaro che le forze che svolgono un ruolo dominante negli atomi sono quelle elettriche. Pertanto Thomson chiamò questo “portatore di elettricità” elettrone, e cercò di studiare possibili modelli di atomi che li contenessero come costituenti. L’elettrone è quindi la prima particella elementare ad essere scoperta e caratterizzata. L’esperienza di Thomson è relativamente semplice da riprodurre in ambito scolastico e vi sono diversi dispositivi in commercio già predisposti per la sua realizzazione (11). Tuttavia va menzionato il fatto che tubi a raggi catodici, deflettori elettrostatici e magnetici sono sotto gli occhi di tutti, costituendo gli schermi televisivi, appunto, a raggi catodici.

La determinazione della carica dell’elettrone fu eseguita solo nel 1913 da Millikan (12),

usando goccioline di olio ionizzate,

sospese in aria e sottoposte all’azione di un campo elettrostatico. Per la sua eleganza, chiarezza concettuale ed accuratezza metodologica ha posto questa esperienza tra le più belle ed interessanti di tutta la storia della Fisica (13), ed è proposta in molti testi di didattica (14). Essa, oltre a dare una misura di e, posto oggi pari a e = 1.602 176 53(14) x 10-19 C, ci dice anche che la carica è quantizzata, cioè la carica elettrica compare solo come multiplo intero (positive o negative) di e. In molte situazioni concrete non ci accorgiamo di questa granularità, di questa ulteriore scala dell’Universo.

Ma tutta la Fisica e la Chimica si

poggiano su tale pilastro ed e` chiaro ora che ogni corrente elettrica può essere ora descritta come il flusso di un numero discreto di particelle di carica e (o –e, a seconda della natura dei portatori). L’effetto fotoelettrico Ma tra le varie modalità di produzione di una corrente elettrica quella legata all’Effetto Fotoelettrico, cioè tramite irraggiamento del catodo di un tubo a vuoto,

diede particolarmente da pensare ad

Einstein. Tale effetto fu osservato per la prima volta da Hertz nel 1887, studiato con accuratezza da Lenard e da altri all’inizio del ‘900 (15). Le caratteristiche salienti, che rendono questo fenomeno così interessante sono:

1)solo luce con frequenza maggiore di un certo valore di soglia , dipendente dal metallo costituente il catodo, può generare corrente, 2)la corrente è instaurata quasi istantaneamente, 3)la corrente è proporzionale all’intensità della radiazione incidente, 4)la corrente può essere ridotta applicando un controcampo, che la rende nulla per un valore della corrispondente differenza di potenziale (detto di arresto) proporzionale alla frequenza della radiazione incidente usata. Esistono

moltissime

proposte

didattiche

che

consentono

la

realizzazione di questo esperimento ((11) e (16)) Queste circostanze sono incompatibili con la teoria classica dell’interazione tra onde elettromagnetiche e cariche. In particolare questa teoria ci dice che se si irraggia per un tempo sufficientemete lungo un elettrone, con della radiazione di qualsivoglia frequenza (lunghezza d’onda), alla fine esso acquisterà abbastanza energia per eseguire qualunque moto gli si voglia far fare. Il che evidentemente non è per il punto 1) di sopra. La soluzione di Einstein a questo paradosso consistette nel riprendere il concetto di quanto d’azione sviluppato da Planck nel lavoro del 1900 (9). Esso era emerso in connessione con lo studio dell’emissione di radiazione, ora, all’equilibrio termico con un corpo (ideale) capace di assorbirla ed emetterla ad ogni frequenza. Un corpo siffatto è detto Corpo Nero ed erano state ottenute varie realizzazioni

concrete di questo corpo. Tuttavia l’andamento sperimentale della cosiddetta curva spettrale, cioè della densità di energia per unità di frequenza, mal si accordava con i calcoli effettuati sulla base della Fisica Classica, che anzi conduceva a degli assurdi (la cosiddetta catastrofe ultravioletta). Planck riuscì a spiegare la curva spettrale di un corpo nero assumendo che a) sia costituito da oscillatori di ogni frequenza  , b) ognuno di essi emetta, o assorba, non con continuità, ma radiazione in pacchetti (quanti), la cui energia sia un multiplo intero di una quantità base determinata dalla precedente relazione (1 a). Per chi voglia cimentarsi a livello scolastico con la curva spettrale di corpo nero e il suo legame con la costante di Planck si rimanda al lavoro (17). Per altro il miglior accordo tra l’espressione teorica di Planck e i dati osservativi si può citare il risultato ottenuto dall’osservazione della radiazione di fondo cosmico grazie all’uso del satellite della Nasa denominato COsmic Background Explorer (COBE) (18). La curva spettrale ottenuta corrisponde a quella di un corpo nero alla temperatura di 2.728

°K.

Le piccole deviazioni

osservate sulla scala 10-3 °K costituiscono una fonte di nuove indagini cosmologiche. Se la luce é costituita da pacchetti di energia, allora ognuno di essi potrà essere assorbito solo per intero da un elettrone confinato all’interno del metallo di cui è costituito il catodo. Se l’energia così acquistata e sufficiente a fargli superare la barriera di confinamento (detta anche funzione di lavoro W) , l’elettrone è libero di proseguire

il suo moto nel vuoto, con una energia cinetica Ec  h  - W, altrimenti rimane intrappolato. Agendo sulla differenza di potenziale tra catodo e anodo, si può misurare l’energia cinetica massima (in corrispondenza del potenziale di arresto Varr) con cui gli elettroni vengono estratti dal catodo. Tale energia deve eguagliare l’energia elettrostatica massima, che assumono gli elettroni alla fine della loro corsa e Varr . Evidentemente questa relazione è lineare in  , con costante di proporzionalità h/e. Questa in sostanza l’interpretazione di Einstein all’Effetto Fotoelettrico (3), che per altro fu sottoposta ad una severissima analisi verifica sperimentale da parte di Millikan e che durò un decennio (19). Ma la teoria ci dice anche che la relazione di dispersione  = c vale per un’onda elettromagnetica, la quale trasporta anche quantità di moto p = E/c. Combinando queste due equazioni si ottiene la 1.b). Sempre nell’ Annus Mirabilis Einstein dimostrò (20) la celebre formula E = m c2 che, combinata con la definizione relativistica di quantità di moto, produce la relazione invariante sotto trasformazioni di Lorentz E2 – p2 c4 = m02 c4, ... ... . . . .. . ... . .. .. . . . . . . . . . .... . dove m0 è la massa a riposo. Se in questa formula si sostituiscono le . . . . . . .. .. .. . . . . . . . . . . . . . .. .. . . . . . ..... ... . .. ... . . . . . . . .. . relazioni di Planck-Einstein si ottiene m0 = 0! Quindi i pacchetti di . . . . . . .. . . . . . . .... . . . ... . . . . . . . . .. . . . ... . . . . ..... . . .. . energia radiante emessi, o assorbiti, dalla materia non solo si ........ . . .. . . . . . . .. . . . .. . . . . muovono alla velocità della luce, hanno energia proporzionale alla . . . . . . . .. ... . . frequenza e quantità di moto inversamente proporzionale alla

.... . ..... . . ... . .. . ... . . . ...... . . . lunghezza d’onda, ma hanno massa a riposo nulla. Sono cioè a tutti gli . . . . .. . . . . . . . . . ... . . .. ... . . . .. . . .. . . . . . . . . . . .. . . . effetti delle particelle, i fotoni menzionati all’inizio, per altro molto . . . . . . . . . . peculiari. L’effetto Compton Per dare maggiore concretezza a queste particelle, tra i molti esperimenti effettuati allo scopo, accenniamo solo a quello effettuato da Compton nel 1922 (21), consistente nell’inviare dei raggi X, anche questi una radiazione elettromagnetica, contro degli elettroni praticamente liberi. I raggi X incidenti erano caratterizzati da una lunghezza d’onda abbastanza ben definita, da poter essere considerati in prima approssimazione monocromatici. D’altro canto l’analisi della radiazione diffusa evidenziava la presenza di componenti di lunghezza d’onda rispetto a quella incidente tanto maggiori quanto maggiore era l’angolo (di diffusione), al quale veniva osservata . La legge che stabilisce tale legame è in effetti di tipo trigonometrico ' ( { ? ?=

h 1 cos ? ¿ ) ed essa può venir ricavata usando i mel c

principi di conservazione dell’energia e la quantità di moto per un urto tra due particelle relativistiche con le caratteristiche del fotone e dell’elettrone. Questa era una conferma sperimentale simultanea della relatività speciale e della realtà della quantizzazione della radiazione in termini di fotoni, secondo le regole prescritte da Planck – Einstein. Compton giocava a biliardo (relativistico) lanciando contro bocceelettroni delle bocce- fotoni, che perdono parte della loro energia nell’urto e “si arrossano”.

Onde o particelle? A questo punto però come interpretare le equazioni d’onda di Maxwell in termini di fotoni. E’ indubbio che esse consentono di spiegare tutti quei fenomeni tipici del comportamento ondulatorio, quali l’interferenza e la diffrazione della luce. A questo stadio appare in tutta la sua problematicità il cosiddetto dualismo onda-corpuscolo. In altri termini se si lanciasse un fotone contro un schermo con una doppia fenditura, quello che si usò Young per dimostrare l’interferenza della luce nel 1802, il fotone si comporterà come un pallino da caccia (particella) o come un’ onda? Perche’

il

fotone

manifesti

una

natura

corpuscolare,

bisognerebbe dimostrare che esso non si suddivide attraversando lo schermo di Young. Allo stesso tempo deve però generare una figura di interferenza. Sono stati immaginati e realizzati moltissimi esperimenti in proposito e, invariabilmente, la conclusione è che la formazione di frange di interferenza è un effetto statistico sulla posizione di un gran numero di fotoni, che hanno l’alternativa

di percorrere cammini

differenti. Tuttavia, solo recentemente è stato possibile predisporre dei dispositivi abbastanza semplici, da essere alla portata di un laboratorio scolastico. Ad esempio nel lavoro (22) viene descritto un sistema per dimostrare gli effetti di interferenza su fotoni singoli costituito da una sorgete laser He-Ne, da un sistema di riduzione dell’intensità del fascio, da uno schermo a doppia fenditura e da una videocamera CCD per la raccolta dei fotoni. Il sistema di riduzione dell’intensità del

fascio è tale da ridurlo a densità di pochi fotoni per centimetro. La video camera è collegata ad un sistema elettronico di registrazione costituito da un oscilloscopio con memoria. In tal modo l’eccitazione di un singolo pixel viene memorizzata per un tempo sufficientemente lungo. Questo apparato consente di osservare come gli arrivi dei fotoni, siano singoli eventi ben localizzati. Infatti un solo pixel per volta viene eccitato. Ma dopo una lunga successione di arrivi sullo schermo fotosensibile si nota che essi non si distribuiscono in corrispondenza delle fenditure, ma formano degli addensamenti regolari e periodici: la figura di interferenza di Young, appunto. Esattamente quello che prevedeva la teoria ondulatoria della luce basata sulle equazioni di Maxwell: il campo generato nell’intorno di una delle fenditure si somma con quello generato attorno all’altra fenditura. Della somma di questi campi se ne calcola il modulo quadro, proporzionale all’intensità luminosa. Inoltre, poiché i campi così generati hanno cioè delle particolari relazioni (si dicono coerenti), essendo

in

definitiva

generati

da

un’unica

onda

incidente

(corrispondente all’unico fotone incidente), danno luogo a una intensità che presenta zone di massimo (luce) e di minimo (buio). Per il fotone questo corrisponde ad essere rivelato con grande probabilità nelle zone illuminate, mentre è improbabile trovarlo nelle zone buie (23). Ripetendo l’invio di tanti singoli fotoni sullo schermo con la doppia fenditura, ognuno di essi giungera’ sul rivelatore fotosensibile con la probabilita’

dettataci sopra, quindi progressivamente si

verranno a formare le familiari frange di interferenza.

Le Onde di Materia Ma ben prima degli esperimenti appena descritti, nel 1923 de Broglie (24) formulo’ l’ipotesi che ad ogni particella si puo’ associare un’onda. Essa e’ caratterizzata dalla coppia (, ) in termini di (E, p) in accordo con la (1) . E’ chiaro pero’ che la su menzionata legge di dispersione fissa un ulteriore legame per i fotoni. Per avere un simile legame per le particelle materiali bisogna attendere i lavori di Schrödinger e la sua celeberrima equazione (25) .

De Broglie

formulo’ la sua ipotesi sostanzialmente sulla base della teoria atomica di Bohr, che non discuteremo in questa sede per motivi di spazio. Ma una sua conferma sperimentale arrivo’ con il famoso esperimento di Davisson e Germer del 1927 (26), il quale consisteva nella diffrazione di elettroni da parte di un cristallo di nichel. Le figure di diffrazione ottenute sono in accordo con quelle generate usando raggi X su simili cristalli. Da allora sono stati prodotti non solo figure di interferenza (o di diffrazione) con elettroni, ma anche con neutroni e altre particelle elementari, atomi e molecole, anche di peso molare significativo come nel caso del C60 (27). Bibliografia (1)A. Einstein:” Die von der molekularkinetischen Theorie der Wärme geforderte Bewegung von in rubenden Flüssigkeiten suspendierten Teilchen” (Il moto richiesto dalla teoria cinetico-molecolare del calore per le particelle in sospensione nei fluidi in quiete), Annalen der Physik 17 (1905) 549.

(2)A. Einstein:” Zur Elektrodynamik bewegter Körper”, (Sull’elettrodinamica dei corpi in moto) Annalen der Physik 17 (1905) 891. (3)A. Einstein:” Über einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffenden heuristischen Gesichtspunkt” ( Emissione e trasmissione della luce da un punto di vista euristico), Annalen der Physik 17 (1905) 132. (4)A. Einstein, lettera a F.C. Davenport del 9/2/1954 citata da A. Pais in “ Subtle is the Lord”, Oxford University Press (Oxford 1982). (5)Per una descrizione semplificata dell’esperienza di Michelson e Morley e di altre simili, si veda, ad esempio, C. Kittel , W.D. Knight, M. A. Ruderman: “ La Fisica di Berkeley 1. Meccanica”, Zanichelli (Bologna, 1970). (6)E. Fabri: “Insegnare Relatività nel XXI secolo”, Quad. 16, La Fisica nella Scuola Vol XXXVIII (2005). (7)I valori numerici riportati in questo articolo sono desunti dal repertorio di costanti e unità del NIST, consultabile al sito ………………………………………………….. (8)AA.VV. :”La Fisica di Berkeley” Vol 3 “Onde e Oscillazioni “, Zanichelli (Bologna, 1972). S. Casadio , M. G. Iannello: “ Blu del cielo e realtà degli atomi”, La Fisica nella Scuola , XXXI n. 4 (1998) 200. Può essere utile osservare il filmato e seguire la procedura sperimentale indicata al sito http://www.microscopyuk.org.uk/dww/home/hombrown.htm

(9)M. Planck, Verh. Deutsch Phys. Ges. 2, 237 (1900) (10)J.J. Thomson, "Cathode Rays," The London Phil. Mag. J. Science, V (1897) . Ulteriori dettagli sulla scoperta si possono reperire in http://www.aip.org/history/electron/jjhome.htm

(11)Tra le tantissime proposte didattiche si può consultare il “Cuscino di Ottica” al sito http://web.uniud.it/cird/secif/. (12)R.A. Millikan:”On the elementary electrical charge and the Avogadro constant “, Physical Review , Vol II (1913) pag. 109. Ulteriori dettagli sulla scoperta si possono reperire in http://www.aip.org/history/gap/Millikan/Millikan.html. (13) R. P. Crease: “ The most beautiful experiment”, Physics World, September 2002. (14)PSSC: “Fisica “, Vol. 2 , Zanichelli (Bologna, 1963) (15)A. Garuccio, A. Laurora :” L’effetto fotoelettrico”, http://www.ba.infn.it/~garuccio/didattica/fotoelettrico/homepage.h tm (16)P. Scatturin, A. Sconza:” Misura della costante h/e mediante diodi LED”, La Fisica nella Scuola, XXXI n. 3 (1998), 162. Si può consultare anche la sezione “Elementi di crisi della Fisica Classica” al sito http://web.uniud.it/cird/secif/. (17)G. Pegna, P. Grosso :” Dalla luce di una lampadina la determinazione della costante di Planck”, Fisica nella Scuola XXXVIII n. 2 (2005) 193. (18)D.J. Fixens et al :” The cosmic microwave background spectrum from the full COBE FIRAS data” The Astrophysical Journal Vol 473 (1996) 576. (19)R.A. Millikan, Review Modern Physics 21 (1949) 343. . (20)A. Einstein:” Ist die Trägheit eines Körpers von seinem Energiehalt abhängig?” (L’inerzia di un corpo è dipendente dal suo contenuto di energia?) , Annalen der Physik 18 (1905) 639. (21)A. H. Compton:” A quantum theory of the scattering of the X-rays by light elements”, Physical Review 21 (1923) 483. Ulteriori dettagli

sulla scoperta si possono trovare consultando il sito http://www.aip.org/history/gap/Compton/Compton.html. (22)W. Rueckner, P. Titcomb:” A lecture demonstration of single photon interference”, American Journal of Physics 64 n. 2 (1996) 184. (23)Descrizioni dell’interferenza della luce si trovano a vari livelli su tutti i manuali di Fisica. L’autore predilige quella riportata su R.P. Feynman, R.B. Leighton, M. Sands “La fisica di Feynman” , Addison-Wesley Publ. Co., c1968-1970 ; Amsterdam : Inter European Editions, (1975). (24)L. De Broglie:” Waves and Quanta”, Nature 112 (1923) 540. (25)E. Schrödinger: “Der stetige ubergang von der mikro-zur makromekanik “. Naturwiss. 14 (1926) 664; E. . Schrödinger: “ Collected Papers on Wave Mechanics”, Chelsea (New York, 1977). (26)C. Davisson, L.H. Germer:” Diffraction of electrons by a crystal of nickel”, Physical Review 30 (1927) 705. (27)Per una discussione qualitative su questo tipo di esperimenti e il riferimento alla loro realizzazione puo’ essere utile consultare il volume A. Zeilinger :” IL velo di Einstein”, Einaudi (Torino, 2005).

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