II Edizione del Concorso Letterario

March 20, 2018 | Author: Anonymous | Category: Scienza, Astronomia
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L’Istituto d’Istruzione Superiore “Guido Nolfi” – Fano

con il contributo del Comune di Fano della Banca Carifano e della libreria “Fano libri”

indice la II edizione del Concorso di poesia e narrativa

“LA PAROLA INNAMORATA” aperto a tutti gli studenti dell’istituto

Scadenza: 15 marzo 2011

Fano, 15 novembre 2010 Il Coordinatore del Comitato organizzativo prof. Daniele Ricci

Regolamento del concorso Art. 1 – Il concorso si articola in due sezioni: Sezione A – Poesia: da tre a cinque liriche a tema libero in lingua italiana, inedite e dattiloscritte (per un massimo di 36 versi ciascuna). Sezione B – Narrativa: un racconto a tema libero in lingua italiana inedito (testo massimo di 7 cartelle dattiloscritte di 30 righe per 60 battute) Art. 2 – Possono partecipare tutti gli studenti attualmente iscritti ad uno dei corsi di studio dell’Istituto “G. Nolfi” (Liceo Classico, Liceo Linguistico e Liceo delle Scienze umane). Art. 3 – Gli elaborati, dattiloscritti o stampati in 5 copie e in forma anonima, raccolti in una busta chiusa (anonima anch’essa), dovranno essere imbucati nella scatola apposita (recante il titolo “Concorso di poesia e narrativa “La parola innamorata””) che sarà disposta nella hall di ciascuno dei due plessi dell’istituto a partire dal 1° dicembre 2010. Art. 4 – Gli elaborati dovranno essere accompagnati da una busta chiusa (una seconda busta più piccola da porre all’interno dell’altra) recante sul frontespizio il titolo del racconto o delle poesie; all’interno dovrà esservi un foglio con i dati anagrafici del concorrente, la classe e la scuola a cui è iscritto, l’indirizzo e un recapito telefonico. Art. 5 – Nella busta chiusa (quella più piccola da porre all’interno dell’altra) il concorrente dovrà anche allegare la seguente dichiarazione firmata: “Dichiaro che il testo da me presentato a codesto concorso è opera di mia creazione personale, inedita, non premiata in altri concorsi”. Art. 6 – Si può partecipare anche ad entrambe le sezioni, ma non si può presentare più di un elaborato per ogni sezione. Art. 7 – Gli elaborati dovranno pervenire a scuola (nella suddetta scatola) entro e non oltre il 15 marzo 2011. Art. 8 – La partecipazione al Concorso è completamente gratuita. Art. 9 – Il trattamento dei dati, ai sensi della Legge 196/2003 sulla tutela dei dati personali, di cui si garantisce la massima riservatezza, è effettuato esclusivamente ai fini inerenti il concorso.

Art. 10 – Ai vincitori del concorso verranno assegnati i seguenti premi: - 1° classificato di ogni sezione: € 200 (di cui una parte in libri e buoni sconto da spendere alla libreria di Fano “Fano libri”, Corso “G. Matteotti”, 41/43) più una pergamena con attestato di merito. - 2° classificato di ogni sezione: € 120 (di cui una parte in libri e buoni sconto da spendere alla libreria di Fano “Fano libri”, Corso “G. Matteotti, 41/43) più una pergamena con attestato di merito. - 3° classificato di ogni sezione: € 80 (di cui una parte in libri e buoni sconto da spendere alla libreria di Fano “Fano libri”, Corso “G. Matteotti”, 41/43) più una pergamena con attestato di merito. Art. 11 – Il giudizio della giuria esaminatrice, la cui composizione sarà resa nota all’atto della premiazione, è insindacabile. Art. 12 – La premiazione avrà luogo verosimilmente sabato 4 giugno 2011 presso l’Aula Magna del Lico Scientifico “G. Torelli”. Ai genitori dei premiati sarà data tempestiva comunicazione dell’esito del concorso, così da assicurare la loro presenza e quella dei figli alla cerimonia di premiazione. Art. 13 – La partecipazione al concorso implica la piena accettazione delle norme stabilite dal presente regolamento.

Per ulteriori informazioni rivolgersi a scuola al prof. Daniele Ricci (è possibile contattarlo anche telefonando al numero 3474703653).

Il Coordinatore del Comitato organizzativo prof. Daniele Ricci

II edizione del Concorso di poesia e narrativa

LA PAROLA INNAMORATA aperto a tutti gli studenti dell’istituto

Concorso letterario “La parola innamorata” – II edizione a. s. 2010-2011

Studenti premiati:

Sez. Poesia 1) BENCHEKROUN YASMINE (V C GINNASIO) 2) FRANCHI GIOVANNI (V A GINNASIO) 3) BOCCAROSSA GIULIA (V C GINNASIO)

Sez. Narrativa 1) VERZELLI PIETRO (II C LICEO CLASSICO) 2) PETRONI MARIA SOLE (III A LICEO CLASSICO) 3) NOTARANGELO FEDERICA (III A LICEO CLASSICO)

Istituto d’Istruz. Sup. “G. Nolfi”

“La parola innamorata” - II edizione: notizie ● Hanno partecipato al concorso 19 studenti: 11 per la poesia, 8 per la narrativa. POESIA P 1: Daniele Gardel – IV A Ginnasio (Liceo Classico) P 2: Giovanni Franchi – V A Ginnasio (Liceo Classico) (2° Classificato) P 3: Maria Grazia Giovanelli – IV A Ginnasio (Liceo Classico) P 4: Giulia Boccarossa - V C Ginnasio (Liceo Classico) (3° Classificata) P 5: Giacomo Pierpaoli – V A Ginnasio (Liceo Classico) P 6: Yasmine Benchekroun – V C Ginnasio (Liceo Classico) (1° Classificata) P 7: Matteo Lorenzo Pietrapiana – III B Liceo Classico P 8: Samantha Renzoni – III C Liceo Classico P 9: Michele Sinatti – II D Liceo Classico P 10: Jessica Fratini – I A Liceo Linguistico P 11: Grazia Pennetta – I A Liceo Linguistico NARRATIVA N 1: Joseph Mine – IV B Ginnasio (Liceo Classico) N 2: Elena Guidotti – IV B Ginnasio (Liceo Classico) N 3: Anna Tagliabue – II B Liceo Classico N 4: Luca De Angelis – III A Liceo Linguistico N 5: Maria Sole Petroni – III A Liceo Classico (2° Classificata) N 6: Pietro Verzelli – II C Liceo Classico (1° Classificato) N 7: Federica Notarangelo – III A Liceo Classico (3° Classificata) N 8: Matteo Lorenzo Pietrapiana – III B Liceo Classico  Organizzatore del concorso e coordinatore del comitato organizzativo è stato il prof. Daniele Ricci. Il comitato organizzativo era formato dai seguenti docenti del Dipartimento di Lettere della scuola: prof.ssa Elisabetta Catenacci, prof.ssa Giorgia Fattori, prof.ssa Greta Gaspari, prof.ssa Agnese Giacomoni, prof.ssa Daniela Gratani, prof.ssa Elena Magagnini, prof.ssa Debora Martini, prof.ssa Enza Patti, prof.ssa Barbara Piermattei, prof. Daniele Ricci, prof.ssa Cecilia Romano e prof.ssa Elisa Roscini.  La cerimonia di premiazione del concorso letterario si è svolta, come stabilito, sabato 4 giugno 2011, dalle ore 9.00 alle ore 10.30, presso l’aula magna del Liceo Scientifico “G. Torelli”. Erano presenti tutte le classi dell’istituto con almeno un concorrente: I A, III A Liceo Linguistico;

IV A, IV B, V A, V C Ginnasio; II B, II C, II D, III A, III B, III C Liceo Classico.  Ha presentato la prof.ssa Barbara Piermattei.  Studenti premiati: Sez. Poesia 1) BENCHEKROUN YASMINE (V C GINNASIO), per le poesie Muro, Natural destiny e Svolta; 2) FRANCHI GIOVANNI (V A GINNASIO), per la poesia Il tavolo; 3) BOCCAROSSA GIULIA (V C GINNASIO), per la poesia La musica del mondo. Sez. Narrativa 1) VERZELLI PIETRO (II C LICEO CLASSICO), con il racconto L’astronomo; 2) PETRONI MARIA SOLE (III A LICEO CLASSICO), con il racconto Engouement; 3) NOTARANGELO FEDERICA (III A LICEO CLASSICO), con il racconto La serra dei fiori neri.  Membri della giuria esaminatrice La Commissione valutatrice degli elaborati era composta da nove membri. - Presidente della Commissione: Dante Piermattei, romanziere e critico d’arte - Giurata esterna (all’Istituto “Nolfi”): 1) Franca Mancinelli, poetessa e critico letterario; - Giurati interni (all’Istituto “Nolfi”): 1) prof.ssa Elisabetta Catenacci; 2) prof.ssa Giorgia Fattori; 3) prof.ssa Greta Gaspari; 4) prof.ssa Agnese Giacomoni. 5) prof.ssa Daniela Gratani; 6) prof.ssa Elena Magagnini; 7) prof. Daniele Ricci  Le poesie e i racconti premiati sono stati letti da alcuni studenti del laboratorio teatrale dell’istituto (Modulab): Federico Aguzzi, Alberto Carbonari, Davide Conti, Tommaso Mazzanti, Sofia Minardi, Clara Maria Puglisi, Eleonora Polverari e Maria Vitiello. Le letture espressive sono state accompagnate da pezzi musicali eseguiti da Jacopo Cermaria (alle tastiere) e Marica Bartoccioni (al flauto). Lo spettacolo poetico-musicale è stato preparato e coordinato dalle proff.sse

Barbara Piermattei ed Enza Patti.  La manifestazione è stata possibile anche grazie al contributo della libreria Fano Libri (270 euro tra buoni sconto e libri), della Banca Carifano (250 euro) e dell’Assessorato ai Servizi Educativi (280 euro).

SEZIONE POESIA

1° classificata: Yasmine Benchekroun (V C ginnasio), Muro, Svolta, Natural destiny e Invisibile

C’è una sonorità forte e diffusa, una purezza compatta e laconica nei versi di Yasmine Benchekroun. Sono versi intensi, ricchi di emozioni, dalla forma netta e ben riconoscibile, anche se non privi di nobili ascendenze letterarie. È una poesia di inquietudini profonde, che si esprime in simboli concreti (“il muro”, “la farfalla”) di una sorprendente solidità anche nel lessico. La compostezza delle brevi strofe, l’asciuttezza del verso, fatto di espressioni limpide e sottili, la calma e la fermezza delle assonanze, delle rime e delle frequenti anafore, la costante linearità sintattica, tutto conferisce ai testi una musicalità densa e pacata, “orizzontale”, ed è di per sé un risultato rilevante capace di costituire un primo passo nel campo della ricerca espressiva. La rima fa baciare due versi, fa incontrare “due farfalle”: la geometria del canto fissa per sempre ciò che è stato nel segno dell’invenzione, proietta il dolore e la gioia in un’immagine del mondo che contrasta l’indifferenza del tempo. Daniele Ricci

Yasmine Benchekroun

Muro

Costruisco muri. Mattone dopo mattone, costruisco muri. Muri di sicurezza, muri di speranza, muri di protezione. Poi un colpo. Colpo di sussurrata parola, colpo che non perdona. Il muro traballa, scema la sicurezza. Cade il muro. Il muro che era certezza.

Svolta Cadere e rialzarsi. Sbagliare e correggersi. Tacere e rimanere muti. Per una volta vorrei cadere nel vuoto, vorrei non cercare un appiglio e cadere, solamente cadere. Per una volta mi piacerebbe lasciar correre, fare errori senza chiedermi scusa, voglio urlare a pieni polmoni. Vorrei vivere un’eternità di inconsistenza, portata dal vento come una parola che passa di bocca in bocca. Vorrei sbagliare per tutte le volte che non ho sbagliato e parlare per tutte le volte che ho taciuto. Ma sono ancora qui: cado e mi rialzo, sbaglio e chiedo scusa, taccio e rimango muta.

Natural destiny Per legge la prima farfalla si appropria del cielo. Colora il mondo, crea bellezza. La prima farfalla si posa su un fiore, la seconda la segue, sbatte le ali veloce. I colori spostano l’aria, ma non è abbastanza. La prima farfalla si posa su un fiore. La seconda è ferma: rimane a guardare.

Invisibile Chiudi gli occhi e vedrai l’invisibile agli occhi di chi vede. Invisibile è la gioia della voce; eppure c’è, evidente ma trascurabile. E’ il dolore che squarcia il petto. Ma è lì, crudele, che mozza il fiato. Nessuno ascolta la tua anima trafitta, oppure tutti la sentono ma nessuno vuole. Invisibile è la verità. Ma tutti sono alla sua ricerca. L’ idea di verità ci opprime, ci schiaccia, ci uccide. La verità per natura chiara e luminosa ci benda gli occhi. Ci confonde più di una menzogna. Invisibili sono le parole non dette che rimbombano nell’aria, prepotenti. Sono mute e per questo più udibili di qualunque altra. Occupano i tuoi pensieri di ingombrante vuoto. Dietro l’invisibile passiamo inosservati. Ma forse, chi vede veramente è colui che sa chiudere gli occhi.

2° Classificato: Giovanni Franchi (V A ginnasio), Il tavolo

Questa poesia testimonia uno sguardo attento alle cose e ai gesti quotidiani, nel tentativo di rintracciarvi un senso, di ritrovare nello spazio di ogni giorno qualcosa che parli della propria esistenza. La scena si apre su un tavolo vuoto sul quale iniziano ad accamparsi gli oggetti necessari al pasto, oggetti “sfarzosi” e colorati che tuttavia non riescono a riempirlo, a colmare quello spazio che si apre, sin dall’inizio come uno specchio nel quale il soggetto vede riflesse la propria forza, le proprie emozioni, e infine l’abisso che rimane, che si fa sentire proprio quando sembra che le cose trionfino, che non ci sia “più spazio per niente”. Franca Mancinelli

Giovanni Franchi

Il tavolo Apparecchio il tavolo. E’ un tavolo vuoto, misero quello che mi sta davanti. Sento in me la forza, l’odio, l’amore. Ho cambiato stoviglie al mio tavolo. Le ho scelte io. Sì, è vero, forse la tovaglia l’avrei potuta comprare rossa. Che importa, ho preso quella che mi hanno consigliato. Ora ho davanti a me una lunga e grande tavola apparecchiata, stoviglie orate, tovaglie sfarzose. Nella mia tavola non c’è più spazio per niente. Ma dentro c’è un abisso

3° Classificata: Giulia Boccarossa (V C ginnasio), La musica del mondo

La musica del mondo è una breve elegia in cui i sogni e i ricordi di Giulia Boccarossa si sciolgono in lacrime. Ma la malinconia si fa musica nel gioco allitterante delle liquide e la musica si fonde con la natura. La “luna”, le “stelle”,… echi del mondo uditi nella propria timidezza, frammenti di luce scampati dal vuoto: la poesia è un prodigio che conosce il “buio” che l’attornia, lo redime come se l’estasi fosse possibile. La più cruda realtà sembra allora confluire in una dolcissima, immensa poesia d’amore. Daniele Ricci

Giulia Boccarossa

La musica del mondo Sogni dal sapore immobile chiedono alla luna di esistere, pèrdono nella luce la reale consistenza e vivono paure d’inchiostro nero. Le stelle piccoli sonagli stanno a guardare e intonano canti soavi di vecchi ricordi; suona nell’eternità la musica del mondo sciogliendosi in mille emozioni; sento battere nel petto il direttore di quest’orchestra di suoni e falsità, mentre ricamate d’ombra le lacrime leggere mi inebriano il volto.

SEZIONE NARRATIVA

1° Classificato: Pietro Verzelli (II C liceo classico), L’astronomo

In una stringata favola moderna Verzelli riesce a restituire l'emozione, l'incanto, quasi il senso panico della nostra ricerca di appartenenza ad un universo e al mistero che lo connota segnandone i dati di un'elementare percezione perché oltre non è dato andare se non nell'immaginario. Ma al tetto buio della notte, forato dall'incommensurabile sfarfallìo puntiforme delle fievoli luci di mondi lontani, nel ciclo esatto giorno-notte, ecco alternarsi il Sole col suo splendore a prevalere sullo spaesamento della coscienza. L'astronomo desideroso di fare l'astronauta prende così coscienza di esserlo già, esploratore cosmico vivente di un corpo celeste ancora tutto da scoprire. Dante Piermattei

Pietro Verzelli

L’astronomo Alan Grant: Io ho una teoria, ci sono due tipi di ragazzi, quelli che vogliono diventare astronomi e quelli che vogliono diventare astronauti: l'astronomo, o il paleontologo, si mettono a studiare queste cose incredibili da una posizione totalmente sicura. Eric Kirby: Però così non vanno mai nello spazio! Jurassic Park III

Quando il sole fu tramontato, l'astronomo prese il suo telescopio e iniziò a scalare il colle. Non appena arrivò sulla cima, stanco, poggiò lo sgabello a terra e si sedette per riprendere fiato. Volse ancora una volta lo sguardo all’orizzonte scuro, forse sperando di rivedere il sole: ma era già stato masticato dalla dentatura delle montagne, sprofondando oltre il loro profilo ombroso. Ormai era notte, chissà ancora per quanto. Alzò gli occhi al cielo, soddisfatto nel vedere le stelle. Sopra di lui la tetra volta celeste diveniva lentamente uno stormo luminescente di miliardi di astri, ognuno con una particolare luce, ognuno stupendo. E l'astronomo sapeva che molti gli erano nascosti dalla sua stessa posizione nel pianeta, coperte dalla terra stessa, e che molti altri ancora erano troppo lontani per essere visti. Ma sopra di lui ne aveva abbastanza per spenderci più di una vita. Ognuno sarebbe potuto diventare la sua stella cometa. Prese il telescopio e puntò la lunga canna al cielo: avrebbe voluto che fosse un cannone in cui infilarsi per essere sparato tra le stelle, ma purtroppo solo il suo sguardo poteva entrarci. Le sue stelle erano davvero troppo lontane: talmente splendenti che la luce raggiungeva il suo occhio bramoso, ma così distanti da non poter essere raggiunte da lui. Non c'era modo di farlo. Si limitò a chiudere un occhio, avvicinando l'altro alla lente. Lo strumento proiettò il suo sguardo all'infinito. Gli consentì di scrutare le costellazioni, di vagare tra galassie immense ignorando il vuoto cosmico, sfrecciando nello spazio e nel tempo per sentirsi davvero in paradiso, tra le stelle. Ma dentro di lui sapeva che non le avrebbe mai toccate. Spostandosi, il suo sguardo incontrò la luna: come era bella, come splendeva. Il suo bagliore candido rendeva il suolo dorato, scacciava ogni stella dal suo sguardo e dal suo interesse. Ed era vicina, nitida. Ma d'improvviso il sorriso luminoso dell'astro svanì alla sua vista, il telescopio divenne buio. Inarcò le sopracciglia indispettito e alzò gli occhi al cielo per comprendere il problema. Fu naturale per lui storcere le labbra quando vide una grossa nube che copriva il satellite: non sapeva quanto a lungo sarebbe rimasta. Attese a lungo che si spostasse per vedere di nuovo la luna e sognare di raggiungerla. Ma nell'attesa il suo sguardo ricadde sul suolo: al prato su cui sedeva e al bosco sottostante, al sentiero di ghiaia che aveva percorso e al villaggio in cui abitava. E ricordò la luce del giorno, il suo calore. La luce candida della luna non era che effimera in confronto al sole che cercava. Tornò a scrutare il cielo, prolungando il suo sguardo nel telescopio. E mentre ricominciava a vagare nello spazio cosmico, saltando tra una stella e l'altra, venne abbagliato da una luce. Nuovamente estrasse lo sguardo dallo strumento, per

osservare cosa accadeva: di fronte a lui l'occhio incontrò un'alba che scacciava via la notte e le sue paura. Un sole nuovo, lucente. Ogni stella scomparve, uccisa da quelle lance di pura luce. C'era solo il sole nel cielo, solo una stella per tutto quel blu. Dal telescopio avrebbe potuto scorgere solo luce: le sue amate galassie non esistevano più in quel giorno illuminato. L'astronomo non si disperò, anzi un sorriso si dipinse sul suo volto assonnato e i suoi occhi brillarono per la gioia. Abbandonò il telescopio e corse giù dal colle, pronto a raggiungere quella stella, tanto luminosa e tanto vicina. L'astronomo ora è un astronauta.

2° Classificata: Maria Sole Petroni (III A liceo classico), Engouement

Un'attenta autoanalisi psicologica, attuata con esigente controllo verbale, sottende la falsariga di questa singolarissima composizione tra misurato approccio narrativo e slancio lirico. Un tornare indietro sul filo di immagini della memoria per ritrovare il senso del perduto, col rammarico dolceamaro per ciò che poteva essere e non è stato. Una recherche intessuta di attimi esaltanti, di piccoli e grandi pulsioni di sensi e del sentimento che vibra come la nota di fondo di un continuum armonico. Bella la spigliatezza del linguaggio ed esemplare il taglio comunicativo proprio dell'esperienza esistenziale giovanile nel rapporto affettivo con l'altro da sé. Dante Piermattei

Maria Sole Petroni

Engouement L’ultima volta che ti vidi eravamo in un caffè. C’erano tutti: Carlo, Nicola, Emma, Giulia. Non una parola fra noi, non uno sguardo: eravamo non solo come estranei, bensì come esseri perfettamente statici. Nel mezzo una spessa cortina di ferro che separava due binari. Io però ti vedo e tu? Quel giorno, il sabato in cui il corso finiva, vestivi una camicetta di lino bianco che con la luce del lampione e la brezza tipica di una qualunque sera di giugno, si appoggiava al tuo incarnato pallido con un’eleganza che rendeva la tua figura sofisticata. E poi i capelli. Il vento li faceva danzare. Lunghi e del colore del Marsala invecchiato. Li hai poi tagliati? Quella sera ti amavo. Bevevi una limonata e parlavi dei tuoi progetti per l’estate: la vacanza in barca a vela con tuo padre, il corso di fumettistica, Barcellona… Dovevamo andarci insieme a Barcellona. Era il nostro piano. Anzi no. Era il nostro viaggio. L’avremmo fatto con la mia macchina. Chissà chi pensavamo di essere: centinaia e centinaia Di chilometri con una “due cavalli” blu. Era sabato. Io portavo gli occhiali da sole, scuri, cosicché nessuno potesse vedere dove guardavo; intanto bevevo caffè amaro. Stavo studiando un volto che era stato mio, un volto che avevo modellato con le mie stesse mani; e poi giù,

scendevo alla spalla ossuta, al seno, ai fianchi, all’incavo delle tue cosce. Le tue caviglie. Così sottili da sembrare di cristallo. Era creta per me. Tu fingevi che io non ci fossi; ma io ti conosco, e so che lo facevi per compiacere il tuo orgoglio. Perché davvero sei di creta. Fuori e dentro. Il tuo cuore le armi non le possiede. L’ho sempre saputo io. Tutte le volte che mi dicevi: “Sono un leone”, ti si leggeva negli occhi che ti sentivi un coniglio. Bevevi una limonata. E poi ne hai ordinata un’altra. Avevi sete. Nell’attesa sigarette. Mai provato con il chinotto? A me quello disseta. A casa ne tengo una scorta personale sotto la scrivania, così nessuno me lo ruba. Si era fatto tardi, hai fatto per alzarti ma Emma ti ha trattenuto. D’altronde era l’ultima sera insieme. In quel momento ho sentito come un colpo. Una bacchettata in fronte, ma di quelle forti, come le dava il maestro Piero a quel povero somaro di Giovanni. Chissà che fine ha fatto Giovanni. Sapevo che se n’era andato a vivere in campagna ad allevare lumache. E’ sempre stato un po’ strano. A te non piacciono le lumache. A me sì. Sono morbide. Sono femminili.

Peccato la scia. Viene compensata dalle corna però. Limonata e chinotto. Giallo e marrone. Colori autunnali di bevande estive. Bello no? “Forse è meglio che da qui proseguo sola”. Un biglietto per andartene da me. E poi nessuna parola, o meglio, tante parole mai dette. Tante questioni irrisolte. Tanti interrogativi vaganti. Mi hai lasciato una grande paura, sai. Il tuo abbandono mi ha spaventato a tal punto da pensare di non riuscire ad innamorarmi di nuovo. E infatti mi sono lasciato andare fra le braccia di tante donne, anche bellissime, ma tutte un po’ così. Tempo un mese e via. Il tedio, la noia. Con te no. Confronto, lotta, riconciliazione, e subito sangue, lacrime e libertà. Ero pronto all’amore. Che poi cos’è l’amore se non salite e discese? E quando vai sul rettilineo? Quando puoi finalmente ingranare la quarta marcia… Che succede? Succede che sei felice. Di quella felicità che si insidia fino ai peli e che diffondi parlando. Ecco perché la gente vuole la felicità. Che brutta parola “volere”. La felicità non la cerchi, è lei che ti trova. Se scavi come un forsennato, è lì che sei fottuto. Io lo sapevo che anche i miei peli erano felici. Avevano accanto la loro idea di bello. Ti alzi. Ora hai finito anche il caffè; io sono passato alla crema catalana. Vedo le tue gambe. Lanugine bionda sui tuoi polpacci.

Dai un bacio ad ognuno. E poi, quando arrivi da me, fissandomi negli occhi, esordisci con uno scontato: “Ciao”. Non sei mai stata scontata tu. E dovevi esserlo proprio allora, al tempo del nostro addio? Forse quella è l’unica cosa che non ti ho mai perdonato. Avevi gli occhi lucidi. Ma tu non piangi. Sei una dicotomia, mia cara. Delicata e brutale. Umile e orgogliosa. Timida e feroce. Tenace e flessibile. Camminando sui tuoi tacchi, hai svoltato in via Carducci e sei scomparsa. Però ti sei voltata. Maledetta. Sono passati quindici anni. Ti ricordi il vecchio signore che abitava nel nostro piano e che usciva tutti i giorni con la borsetta da postino in ricordo dei bei tempi andati? È morto un mese dopo che te ne sei andata. Incredibile, ma al tempo ci aveva lasciato una vecchia macchina da scrivere. Era di sua moglie Palma. C’era un biglietto incastrato dentro con su scritto: “Ai miei affascinanti vicini”. L’ho buttata. Ho sbagliato, lo so. Ma tanto chi l’avrebbe usata se non tu? Io nel frattempo mi sono sposato. Si chiama Livia e le voglio bene. Si prende cura di me. Era una di quelle donne di cui ti ho parlato. Solo che a differenza delle altre ha i capelli come i tuoi e un neo alla base del collo come ce l’hai tu. Non l’avrai mica tolto? Ho due figlie: Greta e Anna. Sono alte e anche a loro piace la limonata.

So che vivi a Parigi adesso. Lo dicevi che era la tua città. Scrivi libri per bambini. Ne ho comprato uno. Bella la storia del trita-carta che sminuzza solo i fogli con brutti pensieri. Il tutto me lo ha detto Carlo. So anche che ti sei sposata con un cuoco di Lione. È più bravo di me? Può darsi… ma non credo. Quello che ho scritto non ti arriverà mai. Se lo farà, le macchie che vedi nel foglio bianco sono dovute al fatto che sto mangiando i biscotti al burro. E poi non scrivo bene. “periodi troppo brevi e frasi sconnesse”, diceva il solito maestro Piero. Però, ho imparato a parlare. Ti ho aspettato mentre lo facevo; esisto da anni e cammino sul filo come un trapezista. Non saranno le parole a fartelo capire, ma il fatto che il nesso logico qui c’è. È la mia logica. Adesso scappo. Vado a cucinarmi i pomodori fritti. Sì, sì,… tuoi preferiti.

3° Classificata: Federica Notarangelo (III A liceo classico), La serra dei fiori neri

La breve pulsante cronaca scritta con un lessico crudo, quasi brutale e quanto mai persuasivo, si svolge come una sorta di recita a soggetto. L'attore è un padre in un proscenio irreale che mette man mano a nudo un'atroce esperienza. Lo sfondo è pervaso dalla presenza-assenza delle protagoniste fantasmiche della vicenda: una figlia e la sua amica cresciute insieme fin da bambine. Qui la sofferta disamina critica confinata dapprima al riscontro, talora indulgente, dell'ambiente evolutivo della ragazza. A freddo poi si compie la tragedia che, come uno spietato epitaffio, pone fine alle sicurezze dell'innocenza precipitandole nell'amara consapevolezza delle zone oscure della vita. Dante Piermattei

Federica Notarangelo

La serra dei fiori neri - Quando aveva cinque anni mia figlia era voluta andare a scuola a tutti i costi; quando le barbie iniziavano ad essere troppo bionde e troppo silenziose, cominciò a credere che i compiti a casa fossero una specie di nuovo gioco spassosissimo. Ma anche la scuola fece la fine delle barbie; mia figlia si è sempre annoiata in fretta delle cose, e non solo. Edgar sorrise, ma sembrava un riso cinico, sembrava rassegnato. Guardava per terra, ipnotizzato da una mattonella, mentre le labbra si muovevano e lui continuava a raccontare di lei. - Era finita in questa classe di dieci piccole bambinette vanitose, tutte femmine fino al midollo. Mi raccontava che durante l'intervallo c'era un gruppo di femminucce, una sorta di giuria, che giudicava il resto delle ragazzine una ad una, a seconda di come sapevano fare le piroette, e che a volte si riunivano in bagno per decidere chi aveva la pancia più piatta e chi la più lardellosa. Si stava espandendo una macchia di rabbia nel suo volto, un odio per la società della perversione, e odio per se stesso. Un seme che attecchiva nel suo stomaco si era infiammato, era palese, ed era il seme del senso di colpa, ma continuava: - Quando era piccolina mia figlia era paffutella, e aveva due guanciotte piene di panini al tonno, ed era bellissima. Eppure credo avesse iniziato a soffrirne da quando frequentava la scuola. Per fortuna era diventata amica di una bambinotta un po' tozza e alta, e passava molto tempo con lei; forse quando erano insieme si sentivano in diritto di fregarsene alla grande di quei concorsi in stile reality show, e con lei stava meglio. Erano buffe, avevano entrambe questi occhioni che sembravano ridere sempre di gusto. Si chiamava Fleur, che in francese significa "fiore", forse perché il papà ha una serra di piante e fiori! Ricordo che una volta si erano nascoste in questa serra e si erano appiccicate i petali dei geranei in faccia, con la “vinavil”! La risata più grassa della mia vita!. Parlava di "grassa risata" e aveva gli occhi trafitti. Si spostò un po’ sulla sedia, e alzò lo sguardo dal pavimento al barattolo di penne sulla scrivania, e riprese: - Poi niente, mia figlia tornò all'asilo, e iniziò la scuola all'età adatta, in un'altra classe. Siamo sempre vissuti in un paesino, quindi continuò ad essere amica di Fleur, anche se crescendo le scuole diverse le allontanarono. Di tanto in tanto si incontravano, in particolare passavano molto tempo insieme quando nevicava. Poi le visite si limitarono a lunghe chiacchierate occasionali fuori dalla

cartolibreria o dal parrucchiere o al supermarket. Erano cresciute così belle e intelligenti... Stringendo pugni e denti, adesso Edgar parlava come parla un professore ad una classe annoiata; non si rivolgeva a nessuno, non parlava più per me, si convinceva che quello di cui stava per parlare non lo riguardasse. Taceva, si scaldava, sì calmava, e di nuovo arrabbiato, ripartì: - Niente, c’è poco da dire. L'estate scorsa mia figlia ha lavorato come baby-sitter, il mattino. Tornava sempre verso l’una, ma un giorno mi chiamò alle due: benzina finita, era rimasta a piedi sulla strada per casa. Infuriato prendo una tanica di benzina e la raggiungo in macchina. Infuriato scendo dalla macchina, e mi infurio ancora, perché se c'è una spia rossa per segnalare la riserva un motivo c'è. La aiuto a riempire il serbatoio, e mentre lo richiudo mia figlia alza la mano e saluta Fleur che sfreccia sullo scooterone del padre e tira dritto; di solito prende la macchina. Edgar parla sempre più veloce. - Mia figlia sale sul motorino, io salgo in macchina; lei parte, e io dietro, ma neanche un secondo e mi semina. E' che sono un tipo prudente. Ai cinquanta -scarsi- all'ora arrivo all'incrocio per entrare in paese, alzo lo sguardo. Edgar prende fiato. - Era venerdì due luglio duemiladieci. C'era un camion, sembrava un mostro. C'era un motorino a terra, un corpo, quasi un corpo, e un'ambulanza sulla strada. Giro prima, cambio percorso, ma la mia vita si è fermata. La bomba esplose: pianse, singhiozzò, non smise, non riuscì a controllarsi. Pianse per minuti ghiacciati, e da quando tentò di riprendere il racconto la sua voce tremò continuamente. - Sono arrivato a casa col cuore contratto, le scale erano troppo poche, poi ho aperto la porta ed ho urlato chiamando la mia bambina. Stava tremando, aveva le mani strette sulla fronte, usciva una specie di ruggito dai denti, era lì, grazie a Dio. Ruggiva, cercava di dire qualcosa, ripeteva parole come "la ruota", "la testa", "il cervello sulla strada", "le budella". Non stava piangendo, ruggiva. Era venerdì due luglio duemiladieci il giorno in cui è morta Fleur. Era venerdì due luglio duemiladieci il giorno in cui a Fenile è morta Silvia.

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