La Conferenza Organizzativa di metà mandato è uno dei

March 20, 2018 | Author: Anonymous | Category: Scienze sociali, Sociologia
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MICHELE RIZZI Vice Presidente nazionale Acli

RELAZIONE INTRODUTTIVA

Davanti allo specchio. Osservare le Acli. La Conferenza Organizzativa di metà mandato è uno dei momenti più importanti della vita associativa. Le Acli sono un’associazione che vive di momenti come questo, momenti che richiedono insieme rigore e passione, un binomio molto caro al nostro Presidente Nazionale Andrea Olivero.

Guardarsi allo specchio

La Cop ha senso solo quando è un momento di confronto e di discussione. Un momento in cui le Acli si mettono davanti allo specchio e si valutano criticandosi sinceramente (l’autocritica del resto è una delle forme della libertà), nel senso più vero della parola, quello cioè di riandare alle radici del nostro essere associazione di promozione sociale, di dire le cose come stanno. La Cop è infatti un guardarsi allo specchio, e ciò comporta sempre dei rischi. C’è chi ha uno sguardo troppo severo su se stesso che gli impedisce di essere oggettivo. Il rischio di questo sguardo è l’anoressia o la bulimia. C’è chi evita di guardarsi e preferisce fissare lo sguardo sullo sfondo. E’ lo sguardo di chi è incapace di affrontare le proprie debolezze e preferisce fuggire da se stesso piuttosto che affrontare con coraggio le proprie responsabilità. Questo è lo sguardo del codardo. C’è chi invece guardandosi non smette di staccare gli occhi dalla propria figura, anzi se ne compiace narcisisticamente, come la strega nella fiaba di

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Biancaneve, credendosi il “più bello del reame”. E’ lo sguardo del Narciso che si abbaglia della sua immagine e non si accorge di ciò che accade attorno a lui.

Incidere nella realtà

Scegliere di essere né anoressici, né codardi, né narcisi mi sembra debba essere la prima conquista di questa nostra Cop. Il nostro sguardo dev’essere ben fisso sulla nostra realtà associativa, ma al tempo stesso sul mondo e sul periodo storico che stiamo vivendo. Non possiamo permetterci uno sguardo autoreferenziale perché il nostro essere una buona associazione, la nostra forza, si misura nella capacità che abbiamo di incidere profondamente nella realtà che ci troviamo a vivere, e non in un’altra, sapendo che il nostro metro di giudizio sarà proprio quello di valutarci sulla nostra capacità di lasciare il segno qui ed ora. E’ l’essere cristiani che ci spinge a questo. L’esperienza cristiana è profondamente incarnata nella storia.

“Perché state a guardare il cielo?”

Il libro che narra le origini del cristianesimo sono gli Atti degli Apostoli (il cui titolo in greco suona “Pràxeis apostolòn”). Pràxeis… La prassi appunto, le azioni, l’impegno concreto di uomini che sotto l’azione dello Spirito Santo sono in grado di cambiare il corso della storia. “Uomini di Galilea, perché state a guardare il Cielo?” (At 1-11): queste sono le parole che vengono rivolte agli Apostoli dopo l’ascensione di Gesù Cristo. Parole forti che richiamano all’azione concreta, all’impegno assiduo di testimonianza che ognuno di noi è chiamato a portare. Ciò non vuol dire abbandonare la nostra dimensione di idealità. Significa che in questa Cop siamo chiamati ad immergerci nel nostro mondo, a comprenderlo e a fare di tutto per cambiarlo.

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Questo e solo questo dev’essere il metro d’analisi del nostro operato.

Uno sfondo confuso e complesso

Guardandoci allo specchio vediamo la nostra immagine a fuoco. Le Acli ci sono, ci sono da oltre 60 anni, sono una realtà presente e visibile. Quello che è confuso è lo sfondo, che appare sfuocato e pieno di complicazioni. Il tempo in cui viviamo è difficile da decifrare, difficile da mettere a fuoco. E’ un mondo molto più complesso di quello di trenta, quaranta anni fa. Non dobbiamo quindi spaventarci di fronte a nuove ed impreviste difficoltà, oggi il mondo è molto difficile, molto complicato.

Rappresentazio ne sociale e rappresentanza

Viviamo una duplice crisi: una crisi della “rappresentazione” sociale che porta ad una crisi della rappresentanza. Mi spiego meglio: non siamo più capaci di dare un volto a tutte quelle categorie o inadeguatamente interpretate o addirittura manipolate. Quest’incapacità rende impossibile la rappresentanza di queste realtà che rimangono così prive di voce. Un esempio evidente credo sia quello che riguarda i Pacs. Come dimostrano anche le cronache delle ultime ore, nella nostra società, nel Parlamento, sui mezzi di comunicazione di massa è ben presente e pressante il dibattito sulle coppie di fatto, ma chi si preoccupa di quei due milioni di famiglie monoparentali (quattro volte tanto le coppie di fatto), madri sole che tirano su i figli spesso senza l’aiuto di nessuno? Gli stessi sindacati sono in difficoltà nel rappresentare i lavoratori nella loro totalità, soprattutto quelli assunti con contratti precari, ancora privi di tutele e garanzie. Anche il civile organizzato spesso non riesce ad incidere con forza nei luoghi della politica dove si prendono le decisioni. Questi luoghi oggi sono dominati soprattutto dai poteri economici e finanziari che detengono il controllo, che muovono effettivamente le leve della politica!

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Declino della società civile?

Mi ha colpito in un recente articolo di Ilvo Diamanti (“Repubblica” del 19 Novembre 2006) vedere citati tra i soggetti della rappresentanza solo i partiti, i sindacati e la Confindustria. E non vedere citata la società civile. Questo significa il declino della società civile o una rivincita delle forme tradizionali di rappresentanza? D’altra parte non bisogna dimenticare che proprio alla capacità istituente della società civile, alla sua capacità di generare dal basso la democrazia e le sue istituzioni, veniva assegnato, nella crisi della prima Repubblica, un importante compito rigenerativo della politica. Precisamente qui sta il senso della presenza nelle Acli di un Dipartimento Istituzioni del quale per altro ho la responsabilità. Se non ci può essere rappresentanza senza rappresentazione sociale, il nostro compito è innanzitutto quello di far emergere dall’invisibilità tutti quei soggetti che ancora non hanno voce e vivono sommersi nell’anonimato. Lo diceva Honorè de Balzac a chi gli chiedeva quale fosse il suo ruolo di scrittore: “Io sono solo uno che gira con uno specchio in mano”. Forse questo è il compito nuovo della società civile e di noi aclisti.

Crisi della sintesi politica

Il fatto è che oggi lo specchio che abbiamo in mano sembra caduto in frantumi. (Se così fosse chi è superstizioso si prepari ad almeno 7 anni di sfortune!). Il nostro periodo storico vive di frammentazioni. I rapporti umani, le relazioni interpersonali che costruiamo sono sempre più deboli, incapaci di durare nel tempo. Questo fenomeno colpisce anche i soggetti e gli attori politici. Oggi è in atto ed è sotto gli occhi di tutti una crisi della mediazione e della sintesi politica. I partiti non intercettano più i bisogni dei cittadini.

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Ma non intercettano più nemmeno le istanze dei corpi intermedi e dei territori. Lo scollamento è evidente, come è evidente la difficoltà di comunicazione tra tutti questi soggetti. Eppure la nostra Costituzione su questo è chiara e dice all’articolo 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. I cittadini, iscrivendosi ai partiti dovrebbero poter determinare la politica nazionale! Oggi siamo decisamente lontani da quanto propone la nostra Carta Costituzionale. Ogni soggetto sociale, politico, istituzionale, sembra interessato a tutelare principalmente

Una nuova rifeudaliz zazione?

interessi particolari senza domandarsi nemmeno quale sia il bene generale del Paese. Lo Stato litiga con le Regioni, le Regioni con lo Stato, i Comuni con l’uno e le altre. Sembra quasi di assistere alle prove generali di una nuova rifeudalizzazione! Le associazioni di categoria mirano a fare di tutto perché i propri associati non perdano i privilegi acquisiti, lobby di ogni natura difendono interessi di pochi, conquistati negli anni delle vacche grasse. Si direbbe che non c’è più nessuna parzialità in grado di pensarsi dentro un contesto totale. Questo è il Paese in cui siamo chiamati ad operare con l’ottimismo della volontà, ma anche con quello della ragione.

Un Paese bloccato

E ancora. Quanto può reggere un Paese in cui in molte zone la maggior parte dei commercianti sono costretti a versare alla malavita organizzata il pizzo? E quanto può reggere un Paese che fa della raccomandazione il suo sistema principale di selezione? Il nostro è un Paese bloccato. Vi è una necessità enorme di ricambio generazionale in tutti i settori, da quello della politica a quello dell’economia, da quello dell’impresa a quello dell’università. Il ricambio

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generazionale però non basta se non si affronta il tema spinoso ma centrale della mobilità sociale. Il nostro è un Paese immobile. Non solo per i giovani è difficilissimo inserirsi con successo nella vita attiva ma è ancor più difficile, se non impossibile, il passaggio da una classe all’altra della nostra società. In parole semplici: un giovane figlio di una famiglia povera anche se con grandi capacità non ha le stesse possibilità di un figlio di una famiglia benestante. Solo con estrema difficoltà riuscirà ad affrancarsi dalla propria condizione originaria. E’ la novità di questi ultimi anni rispetto ai decenni della storia italiana dalla ricostruzione a tutti gli anni Ottanta. Questa è la spia più evidente di un Paese incapace di vero dinamismo.

L’emergenza educativa

Non possiamo nasconderci dietro un dito. In Italia sta emergendo con prepotenza una grande questione educativa. Una questione che coinvolge le scuole e le famiglie, ed in generale tutte le agenzie educative del nostro Paese. Non possiamo non notare il disagio delle giovani generazioni, sempre più sole, e spesso anche più violente. Queste generazioni spesso crescono nell’assenza di valori e di punti di riferimento. L’emergenza educativa non sta solo nella riforma della scuola come istituzione, ma anche nel renderci conto che l’educazione dei nostri ragazzi passa attraverso qualcuno che li sappia ascoltare. Robert Nozick, grande filosofo del Novecento, morto qualche anno fa, chiude uno dei suoi libri (“La vita pensata”, ed. Rizzoli) con un piccolo racconto autobiografico. Ricorda come, da adolescente, amasse girare portando sotto il braccio la “Repubblica” di Platone augurandosi sempre di trovare qualche adulto che gliene chiedesse la ragione. Cosa che puntualmente non avveniva. Insomma, il discorso educativo non è una questione moralistica. Lo stesso governatore della Banca d’Italia Mario Draghi sottolinea come la questione

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dell’istruzione e dell’educazione sia in realtà strategica per la crescita e lo sviluppo economico del nostro Paese: “Nel secolo scorso la scuola e l’università italiane - dice Draghi - hanno sostenuto la crescita economica e civile del Paese; sono divenute meno elitarie, si sono progressivamente aperte alla società; educando milioni di cittadini che ne erano prima esclusi, hanno ridotto le disuguaglianze, ma hanno reso allo stesso tempo più difficile conseguire un elevato standard qualitativo”.

Un deficit di istruzione

Prendiamo atto che il nostro Paese vive un preoccupante deficit di istruzione rispetto agli altri. Un Paese poco istruito è destinato a non essere competitivo, è destinato alla povertà, è destinato al declino. Ecco un’altra terra di missione per le Acli.

Lavorare con fatica

La nostra è anche una società in cui si vogliono ottenere risultati senza fare fatica. Una società che ha dimenticato la distanza che c’è tra il lavoro, il sacrificio e l’ottenimento di un risultato. Chi ha la passione di camminare in montagna impara subito il rapporto tra fatica e risultato, tra gestione delle proprie energie e raggiungimento della vetta. Oggi si vogliono fare bambini senza fare l’amore, si vogliono raggiungere posti visibili e prestigiosi senza alcuna esperienza. Si preferiscono, pur di raggiungere il risultato, le scorciatoie alla strada normale. Le varie, “opoli”, da calciopoli a vallettopoli lo dimostrano ampiamente. E anche le ultime elezioni sono frutto di questa mentalità. Il sistema elettorale con cui si è votato, non solo ha fatto in modo che poche persone, nelle segreterie dei partiti, scegliessero a tavolino praticamente tutti i futuri parlamentari, ma ha permesso anche che questi lo diventassero senza fare quasi alcuna campagna elettorale. Questo non vale

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certo per i nostri parlamentari che la campagna elettorale l’hanno fatta eccome, avendo alle spalle una grande esperienza sul territorio e molti anni di impegno sociale. Li salutiamo tutti affettuosamente. Il senatore Luigi Bobba, già Presidente nazionale delle ACLI, l’On. Mimmo Lucà, l’On. Franco Narducci e il senatore Eduardo Pollastri. Questo rifiuto della fatica è un tratto fondamentale della nostra società a cui non possiamo aderire, perché l’impegno che porta al buon risultato è connaturato al Dna originario delle Acli. Fin da quando, con fatica, appunto, e dedizione, i nostri padri fondatori si impegnavano a distribuire i generi alimentari di prima di necessità e nell’aiutare a ricostruire le case rase al suolo dalla guerra.

Chiamati ad essere scomodi

Serve una nostra presenza nella storia che sia scomoda. Scomoda perché le nostre proposte devono avere la caratteristica della libertà e del coraggio. La scomodità nasce dal fatto che le Acli hanno delle idee ed hanno il coraggio di dirle, di farle sentire, a voce alta se necessario. Siamo chiamati ad essere scomodi innanzitutto da un punto di vista politico e culturale. Richiamare con forza la necessità di legami responsabili e duraturi, in grado di essere il collante della nostra società, è già un mettersi di traverso, contrastare una società che incoraggia la debolezza e l’insignificanza delle relazioni. Per essere veramente sale della terra dobbiamo continuare ad essere presenza critica in questa società. A far sentire tutto il peso delle nostre proposte al mondo della politica senza essere subalterni a nessun partito in particolare. La nostra scomodità nasce dalla nostra autonomia, dalla fedeltà alla nostra storia e alle nostre idee. Così abbiamo fatto in occasione del referendum sulla legge 40.

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Scomodi significa, ad esempio, dire a chiare lettere che alcune scelte di questo governo non ci convincono, come la recente iniziativa della ministro Livia Turco sulla droga, scomodi significa aver fatto sentire le nostre ragioni per ribadire la bontà del 5 per mille, oppure per la realizzazione di una legge seria sulla formazione professionale.

Responsabilità Vogliamo avere una presenza liberamente autentica anche all’interno della e autenticità Chiesa sapendo che, come diceva il nostro padre fondatore Achille Grandi, “le minoranze di oggi possono diventare maggioranze domani, purché dimostrino di essere convinte, addestrate e capaci”. Una presenza responsabilmente autentica perché nella Chiesa di oggi c’è più che mai bisogno di autenticità e responsabilità. Dobbiamo continuare ad essere il lievito dentro la pasta, e la nostra pasta è la nostra Chiesa. Questo spazio per una presenza laicale attiva e responsabile è uscito ben chiaro dal recente convegno ecclesiale di Verona. Le Acli devono essere autentiche nel declinare una laicità responsabile ed obbediente. Obbediente nel portare il proprio contributo sempre all’interno della Chiesa, sempre essendone parte integrante.

Liberi e obbedienti

Non vogliamo essere clericali, non lo siamo mai stati ma non vogliamo essere nemmeno disobbedienti. Del resto non era né l’uno né l’altro Achille Grandi. La fedeltà alla Chiesa sta proprio tra queste due opzioni. E’ la fedeltà di San Francesco che avrebbe potuto dar vita ad un’altra delle numerose eresie presenti nel suo tempo, mentre scelse di riparare la Chiesa del suo Signore, dal di dentro, portandone sulle spalle i limiti e i pregi. Ci sono esempi ancor più vicini a noi: Don Primo Mazzolari, Don Lorenzo Milani, padre David Maria Turoldo.

Tutti

spesso

superficialmente

presi

come

bandiera

della

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disobbedienza nei confronti della struttura temporale della Chiesa, invece di essere riconosciuti per quello che erano realmente: persone innamorate della loro Chiesa che hanno fatto dell’obbedienza e della libertà il loro stile, la loro missione.

Attraverso lo specchio. Interpretare le Acli. Ora è infatti il momento di concentrarci sulla salute delle nostre Acli. Lo farò ponendomi delle domande, sapendo già che, come dice Oscar Wilde, se si trovano tutte le risposte vuol dire che le domande erano sbagliate. Come sono cambiate le Acli negli ultimi anni?

Non bastano i numeri

Inizio col dirvi che sono state celebrate 99 Cop provinciali e 21 regionali. Anche da questo possiamo capire che le Acli ci sono, e sono presenti e diffuse capillarmente in tutto il nostro Paese. Le Acli sono sicuramente molto cresciute. E i risultati credo siano un po’ sotto gli occhi di tutti. E’ aumentato il tesseramento (il nostro sistema è vicino alla soglia del milione di iscritti, le Acli sono arrivate ad oltre 430.000 iscritti, quasi tutte le nostre associazioni specifiche hanno visto negli ultimi anni incrementi significativi e continui, l’U.S. ha raggiunto quota 311.000 iscritti, la Fap 60.000). Numeri importanti, numeri che contano nella società italiana. Ma possiamo appagarci solamente con i numeri? Il fatto che in questa Cop abbiamo messo a tema i legami e l’azione volontaria dimostra quanto diamo importanza alla qualità della nostra vita associativa.

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La crescita numerica della nostra associazione però non è solo una questione quantitativa, ma anche di progettazione organizzativa. E su questo voglio citare la mozione finale della Cop pugliese che ha sottolineato un passaggio fondamentale: “Il governo del movimento ha una parola d’ordine su cui fondarsi: integrazione. Le diverse articolazioni del sistema sono ricchezze spesso separate che vanno connesse soprattutto attraverso la circolazione delle informazioni, la condivisione della progettualità sociale, la formazione della classe dirigente”. In questi anni abbiamo tentato di fare questo. Abbiamo sperimentato nuove funzioni (pensiamo al coordinatore regionale del Welfare e ai responsabili locali di Ente accreditato per il servizio civile nazionale), e rivisitato alcune di quelle tradizionali (la funzione dello sviluppo associativo a livello regionale e provinciale).

Il processo della Governance

Abbiamo dedicato i nostri sforzi al tema della governance, da un lato spinti dai recenti cambiamenti istituzionali (la riforma del titolo V della nostra Costituzione), dall’altro credendo fermamente che il processo della governance a livello regionale, provinciale e locale rappresentasse un importante punto di snodo e di coordinamento per la nostra associazione. Il processo di governance nelle Acli è diretto a costruire tra le diverse parti del sistema dei confini chiari e flessibili allo stesso tempo, delle regole che consentano di coinvolgere tutte le varie parti del nostro sistema.

Governance e formazione

Il compito della governance è anche culturale e formativo. Abbiamo voluto sviluppare conoscenza attorno a temi prioritari per la nostra associazione come quelli della famiglia, della bioetica, del lavoro, dell’immigrazione,

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della dimensione ecclesiale della parrocchia e dello sviluppo di una sensibilità ecumenica.

Il servizio civile volontario

Per quanto riguarda la governance a livello provinciale il principale processo organizzativo che abbiamo avviato è stato quello di individuare una nuova funzione, quella dello sviluppo associativo, che raccogliesse l’eredità della funzione organizzazione e la sviluppasse in senso qualitativo. Ma un’altra figura importante è nata in questi anni: quella del Responsabile Locale di Ente Accreditato per il Servizio Civile Nazionale, che lavora assieme agli altri Operatori locali di Progetto, ed ha un compito fondamentale, sia organizzativo sia educativo, per fare in modo che i ragazzi che svolgono il servizio civile da noi siano accolti e coinvolti pienamente dalle nostre proposte.

Pensarsi come sistema

Abbiamo messo in atto una notevole riorganizzazione del livello nazionale. Abbiamo articolato e definito la struttura e la funzione dei dipartimenti, e li abbiamo connessi alle strutture dei servizi e delle imprese di riferimento. Questo ha permesso e permetterà di pensarci sempre più come sistema, di connettere e sviluppare la nostra presenza dando unità d’intenti e di strategia politica alla varietà delle nostre proposte. I nostri servizi, le nostre imprese, le nostre associazioni specifiche godono di una rinnovata credibilità e presenza. Certo non mancano i problemi che voi tutti ben conoscete, a partire dalla situazione dell’Enaip, servizio che per motivi legati a pesanti eredità del passato e, soprattutto, ad una politica spesso miope, si trova oggi ad un bivio drammatico: cambiare strategia o scomparire. La formazione professionale viene infatti indicata da ogni parte

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come elemento fondamentale per lo sviluppo del nostro Paese e come potente strumento contro la dispersione e l’insuccesso scolastico, ma alla prova dei fatti viene regolarmente relegata al ruolo di

parente povera

dell’istruzione scolastica, condannata alla precarietà e talvolta anche a morte ignominiosa. L’Enaip sta quindi combattendo la sua battaglia più difficile ed ha bisogno di avere al suo fianco le Acli, con tutte le idee e le energie di cui dispongono. Nel complesso comunque l’associazione ha più risorse che nel passato, e questo non può che essere un fatto positivo. Abbiamo visto in questi ultimi anni lo sviluppo e la crescita del nostro Caf, del nostro Patronato, di Acliterra, della Fap, l’introduzione del 5 per mille e una progettualità capace di portare nuove risorse al nostro sistema. Ma chiediamoci: il fatto di avere più risorse di prima rischia di alterare la natura della nostra associazione? Anche in questo caso dobbiamo chiederci: possono i numeri appagarci totalmente?

Risorse e ragioni

In una situazione del genere il rischio di dimenticare le motivazioni e le ragioni dell’esistenza delle Acli è reale. Come è reale il rischio di immaginarci come un’organizzazione il cui obiettivo principale è quello di fare impresa e di fare della redditività del nostro sistema l’unico criterio di valutazione del nostro stato di salute. Oggi abbiamo il dovere di “attraversare lo specchio”, esattamente come

Osare il nuovo

accadeva ad Alice nel famoso libro di Lewis Carrol. Attraversare lo specchio è avere il coraggio di osare qualcosa di nuovo, è entrare in una dimensione diversa. Non significa necessariamente fare cose straordinarie, piuttosto cambiare la nostra prospettiva nel guardare le cose. Cambiare punto di osservazione. D’altronde è quello che Paolo VI diceva dovevano essere i cristiani: degli

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“scompaginatori della stagnazione”, (potente affermazione!) persone capaci

La presenza di GA

di portare un vento nuovo. E’ indubbio che questa capacità ha a che fare anche con la nostra condizione anagrafica. Ed è in questo senso che la presenza dei Giovani delle Acli e una crescente presenza di giovani nella classe dirigente possono garantirci circa questa costante prospettiva di dinamismo. E allora ripercorro alcuni punti nodali della nostra esperienza associativa, che sono imprescindibili e assodati, ma che hanno bisogno di essere guardati “attraverso lo specchio”.

Radicamento territoriale

Le Acli hanno una loro appartenenza originaria al territorio. L’Italia è il Paese dei comuni e dei piccoli borghi e le Acli sono cresciute in questo radicamento territoriale. Ma, finita l’epoca delle culture popolari, cosa significa abitare il territorio oggi in una cultura di massa e in epoca di globalizzazione?

Centralità delle persone

C’è un altro tratto identitario del nostro essere associazione: la centralità delle persone. E uso il plurale intenzionalmente. Non mi riferisco al valore astratto della persona ma alla concretezza di ciascuna storia, di ciascun percorso associativo. L’aumento del tesseramento non è un punto di forza se non abbiamo ben chiaro che dietro ogni tessera c’è una persona. Una persona con una storia ben precisa, un’esperienza particolare. Uomini e donne nella loro concretezza. Ha descritto bene questo concetto un passaggio della mozione finale della Cop della Toscana: “L’associazione va intesa non solo come “tessere” ma come tesserati consapevoli della scelta effettuata al momento dell’adesione. C’è la

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necessità di riaccendere il senso di appartenenza e di fidelizzazione all’associazione e ai suoi valori”.

Quella scintilla originaria

Questo è un punto centrale. Per restare fedeli alle persone dobbiamo chiederci in che modo siamo entrati nelle Acli. Qual è stata quell’esperienza che ci ha spinto a deciderci a farne parte e poi ad associarci. Ognuno avrà un’esperienza diversa dall’altro. Ma sicuramente ognuno ha vissuto quel momento come una scintilla. Ho avuto modo di verificare la bontà di questa metafora in un appassionante confronto con le donne delle Acli riunite nell’Assemblea dei coordinamenti lo scorso 25 novembre. I loro racconti così diversi e ricchi mi hanno convinto che è proprio così: ci si “innamora” delle Acli, magari anche lentamente, e non a prima vista, ma sempre in un modo, per così dire, improvviso. Quella scintilla può essere una persona, (qualcuno che ci ha parlato delle Acli o che ci ha testimoniato la proposta aclista), una parola, una testimonianza, un libro, un evento particolare, una circostanza esterna, spesso del tutto fortuita, “un caso a cui il cuore ha creduto” come diceva Jean Guitton. Quella scintilla però è la ragione originaria del nostro essere aclisti. E quella scintilla va ricordata, va ripensata ogni giorno per mantenere acceso il fuoco della nostra appartenenza associativa. Dobbiamo partire da questo per costruire le Acli del futuro.

Autenticità e creatività

Dobbiamo recuperare la nostra capacità di essere creativi. Non credo di puntare troppo in alto quando dico che oggi non siamo chiamati ad inventare, ma a creare. L’inventore (la parola “invenio” da cui deriva lo dice chiaramente), mette in un ordine particolare cose che già esistono. La creatività invece è qualcosa che nasce dalla nostra autenticità, dalla capacità di essere compiutamente e ripetutamente noi stessi. L’autenticità,

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infatti, non è solo una virtù morale, ma anche politica. Siamo capaci noi, oggi, di creare qualcosa che abbia questi presupposti? Io credo di sì…

Pensiero e azione

Ma c’è un altro tratto identitario che non possiamo non avere presente. La fedeltà a quell’intreccio originario di pensiero e azione che è caratteristico delle Acli. Sappiamo che non esiste un pensiero che viene prima dell’azione, come non esiste un’azione che viene prima del pensiero. Così il nostro essere aclisti deve vivere della feconda commistione tra pensiero ed azione. Tutti questi punti fermi hanno bisogno di essere declinati concretamente.

Cura e formazione dei dirigenti

Dobbiamo partire dalla formazione dei nostri dirigenti che sono la testimonianza più visibile della qualità delle Acli, sono il volto, l’immagine che la nostra associazione comunica all’esterno. La cura nella scelta e nella formazione dei dirigenti è il primo gradino che dobbiamo salire per ripensare adeguatamente la nostra struttura organizzativa. Dobbiamo tenere presente innanzitutto la distinzione che c’è tra dirigenti politici e dirigenti tecnici dei servizi, i nostri manager. Se non abbiamo ben chiara questa distinzione il rischio che si creino dei cortocircuiti al nostro interno è molto alto. Ma vi è un’altra questione che va detta chiaramente: la formazione di tutti i nostri dirigenti, tecnici e politici, non può essere solo specifica. La nostra formazione deve avere al centro un pensiero associativo condiviso sia sul versante sociale sia ecclesiale. L’integrazione di sistema passa anche di qui. Una formazione che sia in grado di far comprendere che, oltre alle competenze tecniche, ai nostri dirigenti è richiesto un surplus di passione e

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testimonianza. La prima condizione per far diventare le Acli una macchina che produce scintille di partecipazione. Per questo i nostri dirigenti non sono chiamati ad avere solo competenze tecniche e neppure solo visione politica.

Il bene e il bello

Ma ad avere anche uno spiccata cura per il bello. Perché le Acli non solo devono fare le cose bene, ma devono anche renderle belle, in grado cioè di appassionare e coinvolgere. Sappiamo tutti come per il mondo ebraico, ma anche per la stessa cultura greca e per il pensiero teologico medievale, il concetto di bene e bello vadano di pari passo, siano la stessa cosa… Il buon pastore della parabola evangelica (Gv 10,11), stando al testo originale, non è semplicemente buono, ma anche bello, perché le due cose sono coessenziali.

Azione volontaria e gratuità

Ora ci dobbiamo chiedere: come valorizzare l’esperienza di volontariato nelle Acli? Abbiamo ben chiaro che anche dalla risposta a questa domanda dipende il nostro futuro. Le Acli crescono veramente nella qualità solo se accanto ai servizi e alle imprese abbiamo la forza di promuovere un’associazione che abbia il suo perno nell’esperienza volontaria. D’altra parte abbiamo tutti presente la crisi del volontariato che colpisce anche il nostro Paese. La gratuità ha bisogno di proposte forti e appassionanti. E poi, diciamolo sinceramente, puntare sull’azione volontaria e sulla gratuità significa impegnarci a contrastare una cultura dominante in cui prevalgono il profitto e l’interesse individuale.

Oltre lo specchio. Scommettere sulle Acli

Uno spazio organizzato di libertà

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Possiamo immaginare a questo punto qualche sfida, qualche linea da fare nostra nei prossimi anni. Ci si deve assumere qualche rischio nell’immaginare il nostro futuro e questo lo possiamo fare amando “l’avventura” senza per questo essere “avventurieri”. Ha espresso bene questi valori un passaggio della mozione conclusiva della Cop della Valle d’Aosta: “Quando la vita associativa vive uno spazio organizzato di libertà e insieme di responsabilità genera quel legame sociale di cui la società ha estremo bisogno”. E questo legame sociale va costruito tenendo presente quelli che già ci sono apparsi come i caratteri costitutivi del fare associazione: il coraggio, l’autonomia, la libertà e la creatività.

La lezione di Tommaso Moro

Vale per tutti noi l’esperienza di vita coraggiosa e illuminata di Tommaso Moro che per difendere la propria libertà di pensiero e i propri valori cristiani, da cancelliere del Regno si oppone ad Enrico VIII Re d’Inghilterra, ed accetta la prigionia e poi il martirio. Un uomo che, rinchiuso in una torre in attesa della morte, per aver difeso il proprio essere cristiano, scrive pagine bellissime come il “Dialogo del conforto nella tribolazione”. Un uomo coraggioso Tommaso, autonomo, libero. Proprio come dovrebbero essere le nostre care Acli.

Ancora sull’integrazio ne di sistema

La nostra prima sfida è al tempo stesso interna ed esterna. In questi anni abbiamo fatto un buon lavoro di integrazione di sistema. Abbiamo voluto lavorare perché i nostri servizi fossero maggiormente integrati. E ce l’abbiamo fatta. Oggi, è sotto gli occhi di tutti, i meccanismi dei nostri servizi sono più dinamici, comunicano meglio tra di loro. Oggi si apre la fase due dell’integrazione di sistema. Un sistema è veramente integrato solo

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quando chi entra in contatto con una sua parte si accorge di aver conosciuto il tutto. Le Acli sono come un prisma, ognuno può venire a contatto con un lato diverso, che ha le proprie caratteristiche specifiche, ma insieme una sua coerenza. Questo è un obiettivo chiaro su cui lavorare nei prossimi anni.

Curare l’immagine

La nostra seconda sfida è direttamente conseguente alla prima. Dobbiamo saper curare bene la nostra immagine, ciò che si percepisce di noi. E’ una sfida importante soprattutto oggi, nella società della comunicazione, dei media. Ed è importante che l’immagine che si percepisce di noi sia lo specchio di ciò che siamo realmente. Un’immagine veritiera, forte e completa. Ma il problema dell’immagine, che non vuol dire solo apparenza, deve interessare ogni aclista. Ognuno deve porsi la domanda: come mi devo comportare perché si capisca che io appartengo alle Acli? E’ qualcosa che interpella tutti noi, dai dirigenti nazionali a quelli locali, dagli operatori del Patronato al semplice iscritto di un circolo.

Giovani competenti e appassionati

Una terza sfida. Siamo riusciti in questi anni a proiettarci verso il futuro rinnovando in maniera evidente la nostra classe dirigente, anche in senso generazionale. Questo non ci deve però appagare. La questione del ricambio generazionale è ancora all’ordine del giorno, ed è ancora una delle priorità delle Acli anche per i prossimi anni. Non basta però pensare a delle Acli più giovani, dobbiamo anche intervenire sui criteri di scelta dei giovani dirigenti, cercando in loro non solo la competenza e la professionalità ma anche la passione associativa.

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Protagonisti nelle reti del sociale

Una quarta sfida. Le Acli hanno contribuito in questi anni a far nascere e crescere numerose esperienze di reti associative. Siamo al centro, e spesso ne siamo il motore, di un tessuto di soggetti della società civile ed ecclesiale (dal Forum del terzo settore a Retinopera, dal Forum delle Famiglie al Forum nazionale dei giovani). Queste reti dovranno essere ancor più presenti nei prossimi anni nel panorama del nostro Paese. Il futuro ci vede impegnati, dunque, a renderle più forti, e ad essere protagonisti di questo processo.

Politica e valori

Vi è infine una quinta sfida. Le Acli hanno la forza e la vocazione per pensare a delle “scuole di formazione politica” senza complessi di minorità? C’è l’esigenza per noi laici cristiani di tornare ad occuparci senza paura di politica. La nostra azione deve mirare a coinvolgere e rendere sensibili ai nostri valori il mondo della cultura, delle università e dell’economia, in modo tale da poter trasmettere i nostri contenuti in tutti quegli ambiti che, a vario titolo, contribuiscono al rinnovamento del nostro Paese. Siamo arrivati alla conclusione, cari amici e care amiche. Queste sono solo alcune delle tante sfide che siamo chiamati ad affrontare e che sabato pomeriggio il Presidente tratteggerà in modo molto più approfondito di quanto io abbia fatto. Tutto ciò che ci siamo detti fin qui è una cornice all’interno della quale io spero si animerà un ricco confronto. Un tentativo di proporre una visione della nostra associazione il più possibile realistica e, al tempo stesso, piena di speranza. Una visione incarnata nella storia, che non dimentichi, però, che quella nostra speranza travalica i confini della storia.

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Le sfide che abbiamo di fronte testimoniano che l’Italia ha bisogno di noi, del nostro coraggio, della nostra autenticità, della nostra passione e della nostra creatività. Il vento che spira oggi nel nostro Paese dice chiaramente che c’è bisogno di Acli. Per questo, cari amici, care amiche, dobbiamo fare le Acli. Meglio e di più. “Avanti con le Acli!”.

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