Particelle elementari - liceo scientifico gaetano salvemini

March 21, 2018 | Author: Anonymous | Category: Scienza, Fisica, Quantum Physics
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Liceo Scientifico "G. Salvemini" - Sorrento a.s. 1996/97

Le particelle elementari

"Rotante primo sezionale" (A. Pomodoro)

Una breve esposizione a cura degli alunni: Alessandro Ercolano Maria Ferraro Alessandra Iaccarino Valentina Maglione Loredana Miccio Aniello Pica Giuseppe Russo della classe 5ª F

 Sommario La storia ………..……………………………………………………………………… pag 1 La classificazione ………………………………………………………………………. pag 5 Gli acceleratori di particelle ………………………………………………….……….. pag 9

Particelle elementari

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La storia di Maria Ferraro e Giuseppe Russo "Struttura luce" (C. Carlucci)

La ricerca dei costituenti ultimi e indivisibili della materia, iniziata dai filosofi ellenisti, continua ininterrotta da oltre venti secoli. La maggior parte degli studiosi infatti ancora oggi è convinta che ogni cosa esistente in natura si origina da un numero limitato di costituenti fondamentali; questi elementi, rappresentati dalle particelle elementari, dovrebbero esprimere le più piccole e più semplici unità di materia fisicamente concepite. Soffermandosi prima sull’aggettivo elementare possiamo dire che nel corso dei secoli, ogni volta che esso sembrava soddisfare le nostre conoscenze, nuove scoperte e nuove teorie hanno mostrato che l’oggetto ritenuto elementare era, in realtà, formato da qualche cosa di ancora più fondamentale e più semplice. Il termine elementare è dunque assai ambiguo poiché attualmente non disponiamo di un valido criterio che ci permetta di suddividere tutte le particelle della materia in elementari e complesse. In verità, neppure una delle particelle che sono state osservate, e che sono comunemente chiamate elementari, lo sono veramente nel significato rigoroso del termine. Ognuna di esse si trova, per un tempo più o meno lungo, in uno stato complesso nel quale si può, grosso modo, dire che sia composta da un numero indeterminato di altre particelle. Anche il concetto di particella, inteso come qualche cosa di indivisibile e non modificabile in senso democriteo deve essere completamente abbandonato: le particelle infatti possono trasformarsi l’una nell’altra e soprattutto possono essere create l’una dall’altra. Attualmente la fisica delle particelle si è rivelata una sorgente inesauribile di nuove conoscenze scientifiche. La ricerca di queste fondamentali unità indivisibili di cui è costituita la materia ha sempre rappresentato la parte più avanzata, e in un certo senso più affascinante, della scienza. La storia di questa ricerca dimostra che nell’aumentare delle nostre conoscenze quello che si era rivelato come elementare si è sempre rivelato essere composto, cosicché la classe degli oggetti definiti come elementari è andata sempre cambiando nel tempo. Fin dal 1700 a.C. i cinesi credevano che tutti i materiali esistenti fossero generati dalla combinazione di cinque corpi semplici, chiamati elementi : aria, acqua, terra, fuoco e metallo. I filosofi greci, a partire da Talete (ca 624 - 545 a.C. ) fecero delle ipotesi sulla struttura della materia. Secondo Aristotele ( ca. 384 - 322 a.C. ), tutti i corpi erano costituiti dalla combinazione di aria, acqua, terra, fuoco ed etere. Democrito ( ca. 470 - 370 a.C. ) chiamò atomo ( dal greco atomos, indivisibile ) la più piccola parte in cui poteva essere suddiviso un corpo senza che cambiassero le sue proprietà e ipotizzò che la materia fosse costituita dall’unione di questi atomi ; un atomo di un elemento, secondo Democrito, era differente da quello di un altro elemento per dimensioni e forma. L’ipotesi di Democrito, era molto vicina alla realtà, ma non fu accettata dagli altri filosofi che, per oltre duemila anni, si occuparono della materia anche su basi sperimentali, nonostante questa ipotesi fosse divulgata dal poeta latino Lucrezio ( ca. 98 - 55 a.C. ) nel poema filosofico De rerum Natura. Fino al sedicesimo secolo si credette negli elementi dei filosofi greci. La prima particella ipotizzata teoricamente e poi scoperta per via sperimentale è stata l’elettrone. L’ipotesi della sua esistenza fu avanzate per la prima volta da M.Faraday nel 1834, per spiegare le leggi dell’elettrolisi che portano il suo nome. La scoperta effettiva di questa particella fu fatta nel 1897 da J.J.Thomson, in una storica esperienza in cui determinò il rapporto e/m tra la carica e la massa dei raggi catodici, e ne concluse che il raggio catodico consisteva di particelle con massa molto più piccola di quelle degli

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ioni e con carica negativa. Egli li chiamò corpuscoli e chiamò elettrone la loro carica, che rappresentava un’unità fondamentale di carica elettrica. Più tardi tuttavia si chiamarono elettroni le particelle stesse. Era nata così la prima delle particelle elementari scoperte dall’uomo. Thomson propose per l’atomo il seguente modello : un atomo (elettricamente neutro ) è formato da un numero  di elettroni, ognuno con carica -e. Alla massa dell’atomo contribuisce praticamente la sola distribuzione di cariche positive. In seguito a perturbazioni, gli elettroni, che sono leggeri e perciò facilmente perturbabili, oscillano alle loro posizioni di equilibrio e pertanto emettono radiazioni. Successivamente, nel 1908, R.Millikan misurò la carica dell’elettrone e, servendosi del risultato di Thomson, ne ricavò anche la massa. Erano trascorsi solo pochi anni dalla scoperta della radioattività (H.Becquerel, 1896 ), fenomeno che provava l’esistenza di una struttura interna degli atomi. Comunque, il più importante progresso si ebbe nel 1911 con gli studi di Lord Rutherford sul passaggio di particelle alfa attraverso fogli sottili di materia. Egli propose l’ipotesi che le cariche positive di un atomo siano concentrate in una regione molto piccola. Si ebbe così il famoso modello di atomo di Rutherford, secondo il quale l’atomo è formato di un piccolo nucleo di carica +Ze, circondato da z di elettroni ; un anno più tardi questo modella ricevette una piena conferma sperimentale per opera di Geiger e Nordsen, allievi di Rutherford. La scoperta di Rutherford elettrizzò i fisici e i chimici di quei tempi, e in quest’atmosfera pervasa dall’eccitamento di nuove scoperte e nel presentimento di altre più fondamentali e unificanti, Bohr propose la sua famosa teoria dell’atomo di idrogeno. Nel 1901 Max Planck, studiando la teoria della radiazione del corpo nero, fece l’audace ipotesi che la radiazione elettromagnetica non possa essere emessa o assorbita se non in certe unità, o quanti, avendo ogni quanto un’energia h, ove  è la frequenza di radiazione e h è una costante universale, introdotta da Planck e più tardi chiamata col suo nome. Nel 1905 quest’idea venne raccolta, discussa e riformulata da Albert Einstein che ebbe una grande influenza nella formulazione della teoria dell’atomo di Bohr. Durante gli anni che seguirono il 1913 si fecero notevoli sforzi per giungere ad comprensione più completa dell’idea di quanto, ma l’apice dello sviluppo della meccanica quantistica fu raggiunto negli anni dal 1924 al 1927. Ricordiamo che Planck, Einstein e Bohr avevano inaugurato la concezione quantica del campo di radiazione, che classicamente era noto essere costituito di onde. Quest’aspetto corpuscolare delle onde fu confermato nel 1916 dagli esperimenti di Millikan sulla fotoelettricità, e di nuovo nel 1923 da A.H.Compton, il quale scoprì che i raggi X negli urti con gli elettroni si comportano esattamente come particelle per quanto riguarda il trasferimento di quantità di moto e di energia. Queste particelle che rappresentano i raggi X sono chiamate fotoni. In un lavoro del 1924 Louis de Broglie pose la seguente domanda : dato che le onde presentano un carattere corpuscolare, non dovrebbero le particelle presentare anche un carattere ondulatorio ? Egli suppose che le cose stessero effettivamente così pervenendo alla condizione quantistica di Bohr del 1913 ; nel 1926 l’idea di de Broglie fu sviluppata da Erwin Schrodinger e condusse alla famosa equazione di Schrodinger, uno dei pilastri della meccanica quantistica. Con lo sviluppo della meccanica quantistica la comprensione dei fenomeni atomici e molecolari raggiunse un livello quantitativo, completo e profondo. Sotto molti aspetti gli anni intorno al 1930 furono molto simili a quelli intorno al 1900 : questi rappresentarono l’inizio dell’era della fisica atomica, quelli l’inizio della fisica nucleare. La prima particella elementare scoperta in questa nuova era fu il neutrone. Nel 1932 Curie-Joliot e Joliot avevano scoperto che il berillio, in seguito a bombardamento con particelle provenienti da una sorgente di polonio, emetteva altre particelle neutre molto penetranti, e sembrò naturale supporre che fossero fotoni. Non appena questi risultati furono resi noti, James Chadwick riprese l’esperimento e mostrò che le particelle penetranti non erano prive di massa, ma avevano all’incirca la massa di un protone. Una siffatta particella neutra era stata effettivamente discussa nel 1926 da Rutherford ed era stata da lui chiamata neutrone. Si comprese poi che il neutrone doveva essere una particella instabile che doveva disintegrarsi in un elettrone e un protone, come nella radioattività beta, fenomeno questo conosciuto fin dal 1900. Tuttavia gli esperimenti di

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disintegrazione beta mostrarono l’esistenza di una nuova particella che fu chiamata da Enrico Fermi neutrino. Negli anni 1932 e 1933 fu scoperta una nuova particella, il positrone. Questa scoperta fu resa possibile dall’uso di un apparecchio estremamente ingegnoso, chiamato camera a nebbia, ideato e perfezionato da C.T.R.Wilson. In realtà l’esistenza del positrone era già stata predetta teoricamente durante gli anni 1930-31. La predizione era basata sull’elegante teoria dell’elettrone formulata da P.A.M.Dirac, che aveva portato al cosiddetto principio di invarianza rispetto alla coniugazione di carica. Una conseguenza di questo principio era che per ogni particella dovrebbe esistere un particella coniugata di carica, o antiparticella, avente la stessa massa e carica uguale ma di segno contrario. Il positrone scoperto da Anderson era l’antiparticella dell’elettrone. Nel 1935 il fisico Hideaki Yukawa sottolineò che le piccole dimensioni del nucleo implicano che il raggio d’azione delle forze nucleari sia piccolo, la qual cosa era da collegarsi al fatto che il campo trasporta una grande quantita di moto. Yukawa non sapeva che propri allora C.D.Anderson e S.H. Neddermeyer stavano effettuando estese ricerche sulla capacità delle particelle cariche dei raggi cosmici di attraversare la materia. Le ricerche furono molto laboriose, ma Anderson e Neddermeyer perseverarono e negli anni 1934, 1935 e 1936 pervennero, con indagini molto accurate, alla conclusione che nei raggi cosmici erano presenti nuovi tipi di particelle, cariche alcune positivamente, altre negativamente. Venne naturale concludere che esse erano le particelle di cui Yukawa aveva previsto l’esistenza ; esse furono dapprima chiamate mesotroni e più tardi mesoni. Tuttavia il travaglio per la nascita di queste nuove particelle non era ancora finito, poiché varie misurazioni della massa dei mesoni diedero risultati del tutto differenti. Si fecero grandi sforzi per misurare con maggior precisione la massa e per analizzare teoricamente con più cura i dati, ma la prima indicazione definitiva che si doveva trattare di qualcosa di più complesso venne dal lavoro di Marcello Conversi, Ettore Pancini ed Oreste Piccioni concernente l’interazione dei mesoni dei raggi cosmici e i nuclei atomici ( esperimento pubblicato nel 1947 ). Press’a poco in quel tempo a Bristol C.F.Powell e il suo gruppo classificarono i mesoni in mesoni primari  o pioni e mesoni secondari . Il mesone  è identificato col mesone di Yukawa e serve da intermediario per le forze nucleari, mentre il suo discendente, il mesone , è il mesone dei raggi cosmici osservato da Conversi, Pancini e Piccioni, che non interagisce fortemente con i nuclei atomici. Il tempestivo lavoro del gruppo di Powell, rivelando quest’imprevista gerarchia di mesoni, è un’ulteriore dimostrazione del fatto che i progressi della nostra conoscenza in fisica sono facilitati e di frequente resi possibili solo dallo sviluppo delle tecniche sperimentali. L’anno successivo (1948) si riuscì a produrre i pioni con il ciclotrone dell’università della California e tale avvenimento si può considerare il punto d’inizio per la fisica delle particelle o fisica delle alte energie. Nel 1949, sfruttando a fondo la tecnica delle lastre nucleari, Powell e Occhiolini scoprirono altre altre nuove particelle che, per avere una vita media molto lunga rispetto al valore relativamente alto della massa ( ca. 1000 masse elettroniche ), vennero dette particelle strane. Le nuove particelle furono chiamate particelle K, o mesoni K, o anche Kaoni. Tra il 1949 e il 1954 il numero di particelle strane si accrebbe fino a costituire quattro gruppi di particelle : i mesoni K, i barioni lambda (  ), i barioni csi (  ) e i barioni sigma (  ). Per tutte queste particelle sono state trovate le rispettive antiparticelle. Un’altra particelle strana fu poi scoperta nel 1964, la - ( omega meno ), nota solo nello stato di carica negativa. Acceleratori sempre più potenti facevano inoltre scoprire tutta una serie di particelle che non avevano una massa ben definita e che quindi avevano una vita medi estremamente breve : le risonanze. In ogni caso, il proliferare apparentemente incontrollato di particelle rendeva necessaria l’elaborazione di una teoria che riconducesse a uno schema semplice l’enorme numero di dati sperimentali. Nel 1963 H.Gell-Narn e G.Zweig proposero un fortunato schema di unificazioni ; in esso i mesoni e barioni erano considerati costituiti da tre tipi particelle chiamati quark. Ai quark venne dato il nome bizzarro di up ( simbolo u ), down ( simbolo d), strange ( simbolo s ).

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Naturalmente naturalmente per ogni quark fu considerato il corrispondente antiquark u, d, s, contrassegnato da un lineetta sopra il simbolo della particella. Il modello di quark è peroò ancora incompleto : la scoperta di un nuovo leptone e di un nuovo mesone pesante ( la particella  scoperta nel 1976 ) rende oggi necessaria l’ammissione di un quinto e un sesto quark e di nuove proprietà della materia ( una delle quali è stata pittorescamente chiamata da alcuni fisici europei “ bellezza” ). I quark si differenziano anche per una caratteristica alla quale è stato assegnato il nome di “colore”, ma che non ha niente a che vedere con il colore comunemente inteso. Per quanto riguarda l’interazione tra quark, si ammette l’esistenza di particelle prive di massa, i gluoni responsabili della forza che tiene insieme i quark negli atomi. Lo scambio di un gluone tra due quark implica il mutamento di un nucleone nell’altro. Nel 1983 Carlo Rubbia ha portato alla rivelazione un’altra particella con nome debolone ; questa particella, della cui esistenza si era già avuta conferma indiretta con la rivelazione delle cosiddette correnti deboli ( C.E.R.N. 1973 ), è quella che viene scambiata tra leptoni nelle interazioni deboli. Dopo quanto detto si capisce che non è facile fare delle previsioni : la fisica delle particelle si aggiorna continuamente con un susseguirsi di ricerche sempre più grandiose e dispendiose. Senza dubbio esistono molte problematiche, per così dire a spirale, in cui non si riesce a raggiungere la fine di un ciclo, molte zone buie e numerosi problemi aperti che la fantasia dei teorici cerca di chiarire con ipotesi più o meno valide in attesa che la fisica delle alte energie ( fisica delle particelle) compia, come forse sta accadendo in questi ultimi tempi, un decisivo passo avanti. Nel quadro che in questa tesina abbiamo disegnato mancano molti dettagli, ciò nonostante, si è avuta l’impressione di una costruzione grandiosa, ancora incompleta e oggi forse ancora fragile. Bibliografia 1. Caforio Ferilli - Physica - vol III, Le Monnier 2. Chen Nin Yang - La scoperta delle particele elementari - Boringhieri 3. G.Gamow - Trent’anni che sconvolsero la fisica - Zanichelli 4. G.E. 20 - Grande Enciclopedia - de Agostini

"Struttura" (C. Manuelli)

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La classificazione di Alessandra Iaccarino, Loredana Miccio

Collisioni di particelle

La fisica delle particelle elementari è anche chiamata, fisica delle alte energie, dato che essa studia le interazioni fra particelle a energia sempre più alta. Oggi le diverse particelle elementari hanno raggiunto un numero superiore al centinaio. Molte di esse hanno una vita molto breve che si esaurisce nel corso delle reazioni in cui sono coinvolte. Per effettuare una analisi più attenta delle particelle elementari, occorre classificarle.  BARIONI e

LEPTONI

I barioni sono particelle che interagiscono tramite un campo di forze noto come interazione forte che coinvolge le particelle leggere come gli elettroni (leptoni), mentre i leptoni interagiscono tramite un campo diverso, noto come interazione debole, che coinvolge le particelle pesanti come i neutroni e i protoni (adroni). I barioni sono caratterizzati anche da una massa più elevata di quella dei leptoni, esempio tipico sono il protone e il neutrone. Tipici leptoni sono l'elettrone e il neutrino. LEPTONI

Particella Elettrone Neutrino elettrone Muone Neutrino muone Tau Neutrino Tau

Simbolo e-

Carica -1 0

e  

Spin 1/2 1/2

-1 0

1/2 1/2

-1 0

1/2 1/2

BARIONI Particella Protone Neutrone

Simbolo p N

Carica +1 0

Spin 1/2 1/2

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Lambda Omega Delta Lambda charmato

 ++ c+

0 -1 +2 +1

1/2 3/2 3/2 1/2

 QUANTI DI INTERAZIONE

In base alla meccanica quantistica ad ogni campo di forze sono associate delle particelle o quanti: un esempio tipico è il fotone, detto anche particella , quanto elementare del campo elettromagnetico. Tali quanti possono avere una massa nulla, come il fotone, ed in tal caso dovranno viaggiare necessariamente alla velocità della luce. Per altro si potranno avere anche quanti dotati di massa, come i mesoni che sono i quanti dell'interazione forte. In questo caso la loro velocità dovrà essere sempre minore di quella della luce. MESONI Particella Pione Pione Kaone Kaone Rho Mesone D Psi Mesone B Upsilon

Simbolo  ° K+ K°  D+  B+ Y

Carica +1

Spin 0

0 +1 0 +1

0 0 0 1

+1 0 +1 0

0 1 0 1

 ADRONI

Tale famiglia è costituita da tutte quelle particelle (barioni e/o mesoni) capaci di interagire tra loro tramite l'interazione forte. I barioni e i mesoni non potrebbero essere considerati come particelle elementari. La caratteristica degli adroni è infatti quella di essere fabbricati da particelle ancora più elementari che sono i quarks.  QUARKS

Insieme ai leptoni costituirebbero le vere e proprie particelle elementari. La teoria prevede che esistano sei diversi tipi di quarks e di leptoni. Se i quarks debbono giustificare la costituzione del neutrone e del protone, dovranno esistere almeno due tipi diversi di quarks. Gli esperimenti hanno mostrato che gli adroni possono essere suddivisi in gruppi, in questo caso appare logico considerare tutti i gruppi come manifestazioni diverse di un'unica particella, che può esistere in un certo numero di stati quantici. Un caso tipico è offerto da protoni e neutroni che possono essere pensati come manifestazioni di un'unica particella: il NUCLEONE, che può esistere in due stati quantici, l'uno corrispondente al neutrone e l'altro al protone (spin isotopico o isospin). Lo spin è il valore del momento angolare proprio e secondo tale valore le particelle sono suddivise in BOSONI (il cui spin ha valore intero) e FERMIONI (il cui spin ha valore semi-intero).

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Particelle elementari

Un quarks sarà caratterizzato da un set di numeri quantici, ciascuno relativo ad una proprietà, tale che le diverse possibili combinazioni saranno in grado di giustificare la costituzione dei diversi adroni. Queste proprietà hanno ricevuto dei nomi fantasiosi: il loro complesso costituisce il profumo (flavor) del quarks, mentre le proprietà introdotte dalla teoria sono: il numero barionico, che traduce la conservazione, in una qualunque reazione governata dall'interazione forte del numero complessivo di neutroni e protoni; il fascino (charm), la stranezza (strangeness), la bellezza (beauty), lo spin isotopico e il sopra (top). I sei leptoni sono: l'elettrone, il mesone , il mesone  e i tre neutrini e.

BOSONI Particella Gravitone Bosone debole Bosone debole Photone Gluone

Simbolo W+, WZ°  g

Interazione gravitazionale Debole Debole Elettromagnetica Forte

Carica 0 +1, -1 0 0 0

Spin 2 1 1 1 1

QUARKS Flavor Up Down Charm Strange Top Beauty 

Simbolo u d c s t b

Carica + 2/3 - 1/3 + 2/3 - 1/3 + 2/3 - 1/3

Spin 1/2 1/2 1/2 1/2 1/2 1/2

ANTIPARTICELLE Il numero delle particelle elementari deve essere raddoppiato dato che per ciascuna di esse esiste la corrispondente antiparticella. Un antiparticella è caratterizzata dall'avere i numeri quantici che descrivono le varie grandezze fisiche esattamente opposti a quelli della corrispondente particella, sicché nell'incontro di una particella con una antiparticella si ha un processo di annichilazione: le particelle scompaiono, mentre l'energia complessiva viene liberata sotto forma di fotoni (quanti ). L'operazione matematica che fa passare da una particella alla corrispondente antiparticella è detta coniugazione di carica.

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Gli acceleratori di particelle di Valentina Maglione, Aniello Pica ed Alessandro Ercolano

Simulazione di collisione

La radioattività artificiale aveva dimostrato che per studiare la struttura del nucleo era necessario produrre delle reazioni nucleari bombardando il nucleo stesso. Per ottenere reazioni nucleari nuove e sempre più intense è necessario avere a disposizione fasci di particelle ad alta energia e ben collimate, cioè tutte con la stessa energia. A questo scopo sono stati costruiti gli acceleratori di particelle con i quali si tenta di raggiungere energie sempre maggiori e di realizzare fasci di particelle aventi energia quanto più possibile identica. Un acceleratore di particelle è un dispositivo che produce un fascio di particelle atomiche o subatomiche, cariche elettricamente. Il suo principio è semplice: per mezzo di intensi campi elettrici determinate particelle vengono accelerate; si aumenta cioè la velocità con cui si muovono all’interno dell’acceleratore e quindi si aumenta la loro energia. Le particelle così accelerate vanno a colpire una piccola lamina (bersaglio) della sostanza da esaminare, producendo reazioni nucleari di cui vengono studiati i prodotti. Per ciò che concerne la forma ed i principi di funzionamento, gli acceleratori di particelle possono essere divisi in acceleratori lineari o circolari; quelli lineari sono costituiti da una lunga fila di tubi metallici lungo i quali viaggia il fascio di particelle. Negli intervalli tra i tubi si trovano degli oscillatori perfettamente sincronizzati che accelerano progressivamente la particella ad ogni passaggio tra un tubo e l’altro. Questo tipo di acceleratore immette energia nel fascio di particelle per tutta la lunghezza della macchina: più lunga è la macchina, più alta sarà l’energia finale. Gli acceleratori circolari, invece, sono dispositivi in cui le particelle vengono costrette, grazie all’azione di campi magnetici, a percorrere una traiettoria circolare o a spirale, e ricevono ad ogni giro un impulso che ne provoca la progressiva accelerazione. Con d.d.p. relativamente basse si possono in tal modo raggiungere energie elevatissime. Maggiore è la velocità raggiunta dalle particelle, maggiore è la tendenza ad uscire dalla traiettoria dell’anello, proprio come automobili che percorrono una curva a tutta velocità. A questo gruppo appartengono le macchine acceleratrici più conosciute, quali il ciclotrone, il sincrociclotrone, il betatrone ed il sincrotrone. -Ciclotrone. Il ciclotrone è il capostipite delle macchine cicliche. Il suo principio di funzionamento è il seguente: tra due elettodi metallici aventi forma di scatole semicircolari vuote (il cui diametro varia dal mezzo metro ad alcuni metri) è applicata una d.d.p. alternata. I due elettrodi sono racchiusi in un contenitore dove è praticato il vuoto e posti tra le espansioni polari di un potente elettromagnete che genera un campo magnetico uniforme perpendicolare alla loro facce piane. Una particella carica emessa da una sorgente P posta in vicinanza del centro del contenitore viene spinta verso uno dei due elettrodi dalla d.d.p. esistente in un dato momento, con una certa velocità. Sotto l’influenza del campo magnetico, essa è costretta a percorrere un’orbita circolare all’interno di quest’elettrodo; quando ne fuoriesce, la d.d.p. si è invertita, cosicchè la particella è spinta verso l’altro elettrodo; all’interno di questo la particella percorre una nuova semicirconferenza di raggio maggiore della precedente, affacciandosi nuovamente nel momento in

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cui la d.d.p. si inverte, per cui essa è spinta ancora verso il primo elettrodo e così via. La particella descrive in tal modo una spirale di raggio crescente, aumentando ad ogni semigiro la propria velocità; infine, un opportuno campo elettrico ausiliario la fa uscire dal contenitore e colpire il bersaglio. Da quanto detto risulta evidente che, affinchè la macchina possa funzionare, l’inversione della d.d.p. applicata ai due elettrodi deve avvenire nel momento stesso in cui la particella fuoriesce da un elettrodo (condizione di risonanza). Il ciclotrone non può accelerare le particelle oltre certi limiti, in quanto l’energia massima che si può raggiungere dipende anche dalla massa delle particelle ed è nell’ordine dei 100 MeV per i protoni, di circa 40 MeV per le particelle alfa e di qualche millesimo di MeV per gli elettroni. -Sincrociclotrone. Il sincrociclotrone è, come dice la parola, un ciclotrone sincrono, nel quale cioè la frequenza della d.d.p. alternata non è costante, ma varia in sincronismo con l’aumento relativistico della massa delle particelle accelerate, così da realizzare la condizione di risonanza per qualsiesi valore della velocità. In questo modo le particelle possono essere accelerate fino a raggiungere energie nell’ordine delle centinaia di MeV. -Betatrone. Il betatrone serve ad accelerare solo gli elettroni fino ad energie molto superiori a quelle ottenibili con il ciclotrone o il sincrociclotrone, nei quali gli elettroni non possono raggiungere energie elevate data la piccolezza della loro massa. Il principio di funzionamento del betatrone è analogo a quello dei trasformatori statici: esso è costituito infatti essenzialmente da un grande elettromagnete, tra le cui espansioni polari si trova una “ciambella” vuota nella quale si iniettano gli elettroni. L’elettromagnete è alimentato con corrente alternata, per cui il campo magnetico variabile che esso produce viene ad assolvere a una doppia funzione: quella di curvare la traiettoria degli elettroni ed anche quella di generare, a causa della variazione del flusso che interessa l’orbita descritta dagli elettroni all’interno della ciambella, un campo elettrico indotto che agisce sugli elettroni stessi, accelerandoli. -Sincrotrone. Il sincrotrone è l’acceleratore più adatto per raggiungere altissime energie, sia con i protoni sia con gli elettroni. Esso unisce il principio del betatrone con quello del ciclotrone: come in quest’ultimo, infatti, le particelle vengono accelerate ad ogni giro da un campo elettrico “risonante”; come nel betatrone il campo magnetico non è costante. Esso non ha tuttavia una duplice funzione, ma soltanto quella di curvare la traiettoria delle particelle: il fatto che sia variabile, e non costante come nel ciclotrone, serve a far sì che la traiettoria stessa non sia una spirale, ma una circonferenza, per cui i due elettrodi possono assumere la forma di una “ciambellla” come nel caso del betatrone. L’energia raggiungibile nei sicrotroni più grandi, che hanno diametri di decine di metri, è di migliaia di MeV, cioè di alcuni gigaelettronvolt (1 GeV=10^9 ev). Gli acceleratori di particelle possono essere suddivisi a seconda dell’impiego in acceleratori per applicazioni tecnologiche immediate, acceleratori per lo studio del nucleo atomico, acceleratori per lo studio delle “nuove” particelle. Gli acceleratori più affascinanti appartengono a quest’ultima categoria; sono i più grandi e imponenti, ma anche i più costosi in quanto in essi le particelle devono raggiungere energie elevatissime e vengono utilizzati per la ricerca degli elementi fondamentali che costituiscono la materia. Dal punto di vista pratico, però, hanno maggiore importanza quelli della prima categoria. Essi possono infatti servire come potenti sorgenti di raggi x e sono quindi impiegati per eseguire “radiografie” dei pezzi meccanici o per curare i tumori, oppure possono essere sfruttati per feabbricare radioisotopi, cioè atomi radioattivi, impiegati in moltissimi campi scientifici in quanto la loro presenza può essere facilmente rilevata in tutti i processi in cui intervengono. Accanto alla loro funzione acceleratrice, queste macchine assumono anche funzione di collisori; facendo infatti collidere le particelle all’nterno degli acceleratori, oppure contro bersagli posti all’esterno degli acceleratori stessi, si producono nuove particelle. Attorno ai punti di collisione vengono quindi posti dei rivelatori i cui diversi strati misurano le diverse proprietà delle particelle nate dalla collisione. Il primo strato, quello più vicino al fascio, contiene i rivelatori di tracce, che servono a non perdere di vista le particelle subito dopo la collisione. Seguono gli strumenti di misura dell’energia, i calorimetri, e a questo livello gran parte delle particelle finisce il tragitto. Lo

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strato più esterno è fatto nuovamente di rivelatori di tracce, che servono ad identificare eventuali particelle arrivate fino a questo punto. Grazie ad un magnete all’interno dell’apparato, le particelle cariche seguono tracce curve nei rivelatori interni, e questo contribuisce a distinguere i diversi tipi di particelle. I più grandi acceleratori per lo studio delle particelle attualmente in funzione sono quelli del Fermi National Accelerator Laboratory di Batavia, nell’Illinois e del CERN di Ginevra, che accelerano all’energia di 400 GeV, cioè 400 miliardi di elettronvolt. Il più grande acceleratore del CERN , il LEP (Large Electron Positron collider, grande collisore di elettroni e positroni) è un anello di 27 chilometri, dove le curve sono minime; esso si trova in un tunnel ad un centinaio di metri sottoterra.

Lep

Si deve però sottolineare che in natura esiste una sorgente instancabile di particelle dotate di energia elevatissima: i raggi cosmici. Perchè allora tanta fatica e soprattutto tanti soldi per ottenere qualcosa che esiste già in natura? In realtà bisogna dire che le reazioni prodotte dai raggi cosmici sono casuali e pertanto possono essere studiate con molta difficoltà, mentre gli acceleratori di particelle hanno il vantaggio di permettere in laboratorio la ripetizione di fenomeni scoperti in altro modo o, addirittura, di permettere la creazione di esperimenti del tutto nuovi. Per inciso ricordiamo che con gli acceleratori non si è ancora riusciti ad ottenere le energie che sono presenti in alcuni fenomeni prodotti dai raggi cosmici. Lo studio dei raggi cosmici aveva infatti dimostrato che i fenomeni nucleari sono molto complicati e che tali complicazioni potevano essere rivelate soltanto impiegando energie molto elevate. D’altronde, l’equivalenza scoperta da Einstein tra massa ed energia sottolineava la possibilità di materializzare l’energia in forma di particelle e, ovviamente, maggiore era l’energia, maggiore era la possibilità che essa si materializzasse; in altre parole, maggiori sono le energie delle particelle-proiettili, maggiori sono i fenomeni provocati nei nuclei-bersaglio. Di qui la corsa ad acceleratori sempre più potenti per scoprire e studiare nuovi tipi di particelle instabili, che in condizioni normali non sono presenti nella materia ma che, una volta materializzate, permettono di chiarire molti dubbi sulla costituzione del nucleo.

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