Premessa - E.Divini

March 20, 2018 | Author: Anonymous | Category: Scienza, Biologia, Neuroscienze
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Premessa Ho trovato del materiale utile a sostenere il progresso dell’ipotesi naturalistica di Freud e della scuola a cui egli in sostanza ha sempre aderito (almeno da quanto si capisce dalla tua tesi, io non sono un conoscitore di Freud). Di Crick (quello che scoprì la doppia elica con Watson nel 1953, quando ancora qualcuno pensava che la trasmissione dei caratteri ereditari fosse legata a cause trascendentali e religiose e che non si sarebbe mai potuta comprendere) avevo anche il libro “The astonishing hypotesis”, cioè “l’ipotesi sorprendente” nel quale Crick, nonostante l’età avanzata, illustra la sua missione, le sue idee, e le evidenze sperimentali alla base dell’ipotesi che la coscienza visiva sia descrivibile come uno stato della rete di neuroni di una rilevante parte del cervello, così come il modo in cui siamo fatti, cresciamo e ci sviluppiamo con i nostri organi al loro posto, derivano da sequenze di molecole ATGC nel nostro DNA. È evidente che la missione indicata da Crick va nella direzione di spiegare nello stesso modo gli stati coscienti generali dell’uomo, ovvero, perché abbiamo una consapevolezza del tutto che ci circonda e anche di noi stessi? La ricerca fa ben sperare che la scienza impiegherà poco tempo per dare una risposta sperimentale a questo interrogativo, al di là delle beghe e dei pregiudizi sul materialismo-antimaterialismo. Eccoti dunque del materiale che sarai libera di organizzare. 6. Integrazione cerebrale e coscienza. Gli studi sperimentali sulla organizzazione del sistema nervoso centrale sono stati portati avanti principalmente da Roger W. Sperry (1913). Subito dopo il dottorato in zoologia, ottenuto con P.A. Weiss, Sperry si interessò agli effetti sulla coordinazione motoria di alterazioni delle connessioni neuromuscolari e connessioni fra nervi ed organi terminali provocate da interventi chirurgici. Si poteva osservare che attraverso una serie di sostituzioni nelle funzioni svolte da alcuni nervi la coordinazione motoria rimaneva inalterata, permettendo riadattamenti rieducativi. In studi di laboratorio Sperry cercò di individuare quali meccanismi nervosi centrali permettevano questo riadattamento, ma non riuscì a riprodurre il fenomeno perché i trapianti di muscoli e di nervi in ratti e scimmie provocavano profondi e persistenti disturbi motori e sensoriali. Nel 1945 Sperry svolse un’analisi approfondita di questi risultati che lo spinse a rifiutare le teorie generalmente accettate sulla plasticità del sistema nervoso centrale. I risultati sperimentali dimostravano infatti una stretta specificità funzionale dei circuiti fondamentali del cervello dei vertebrati. Contrariamente alla ipotesi della totale plasticità, che rende il sistema nervoso per definizione inaccessibile alla sperimentazione, l’ipotesi di una specificità funzionale apriva un nuovo dominio sperimentale. È possibile infatti costruire circuiti basati su questa specializzazione e controllarli mediante metodi neurofisiologici. In alcuni invertebrati, come nelle rane e nei rospi, era possibile ottenere costantemente delle reintegrazioni funzionali, nonostante drastiche modificazioni delle connessioni nervose. Per risolvere questo problema Sperry iniziò una sperimentazione sistematica sulla crescita selettiva delle connessioni nervose durante lo sviluppo e la rigenerazione. In questo ambito dimostrò, nel 1941, l’esistenza di una stretta correlazione fra percezione visiva e disposizione anatomica delle connessioni del nervo ottico. Una visione dal basso all’alto, una visione con relazioni invertite fra davanti e dietro e varie combinazioni fra questi due tipi potevano essere direttamente collegate all’orientamento dato chirurgicamente all’occhio e alla distribuzione delle fibre nervose che collegano l’occhio al cervello. Dopo il 1945 Sperry si dedicò allo studio dell’integrazione nervosa a livello della corteccia cerebrale nei mammiferi, con l’applicazione delle stesse tecniche microchirurgiche utilizzate sino ad allora sugli anfibi, mediante sezionamenti a diversi piani della corteccia e l’inserimento di elementi dielettrici o conduttori nelle varie parti della corteccia in modo da

escludere selettivamente campi elettrici e collegamenti. All’inizio degli anni Cinquanta Sperry si occupò particolarmente del corpo calloso, per il quale precedenti risultati sperimentali sembravano dimostrare che l’interruzione di questo grande fascio di fibre nervose nel cervello non provocava alcuna disfunzione evidente. Questa era naturalmente una evidenza contraria alle teorie sulla specificità e Sperry, insieme a R. Meyers, utilizzando le tecniche microchirurgiche e l’attento studio dei comportamenti, riuscì a dimostrare nei gatti una chiara dissociazione delle funzioni visive in seguito alla interruzione dei collegamenti fra i due emisferi cerebrali (split-brain). Se si controlla l’afflusso di informazione nel cervello separatamente per i due emisferi si trova che «ciascuno di essi ha in tali condizioni una sua propria sfera mentale o sistema cognitivo, cioè processi percettivi, di apprendimento, di memoria e altri processi mentali propri e indipendenti ... è come se gli animali avessero due cervelli separati» (1968). In genere uno dei due emisferi è fortemente dominante e svolge le attività di livello superiore, mentre l’altro emisfero contribuisce ad una funzione generalizzata di base. La vita vegetativa richiede una unità dei centri inferiori, mentre i centri superiori possono agire anche in aperto contrasto oppure più spesso produrre una integrazione fra due diverse strutture, che mantengono la specificità delle relative competenze e della «storia» di ognuna. Nel cervello non esiste quindi solo una divisione del lavoro, che è molto flessibile, dato che tutte le funzioni sono generalizzate o generalizzabii, ma una complessa organizzazione gerarchica, all’interno di ogni emisfero e tra i due emisferi. Negli anni successivi Sperry ha sviluppato ricerche su soggetti umani che erano stati sottoposti alla separazione chirurgica dei due emisferi per ragioni terapeutiche. I risultati sperimentali mostravano che solo l’emisfero dominante, che nel 98% dei casi è il sinistro, contenente i centri del linguaggio, mostra una attività autocosciente, mentre l’emisfero minore è paragonabile al cervello di un animale superiore. Dopo il recupero parziale e mediato dell’idea della localizzazione dei processi cerebrali, si è diffusa l’idea di una corrispondenza logica fra forma percepita e una forma che si instaura nel cervello. Il modello che riflette la realtà non è solo uno schema interpretativo, ma sembra corrispondere ad urla effettiva organizzazione all’interno del cervello, corrispondenza non elemento per elemento, ma topologica, qualitativa. Nel cervello è quindi possibile individuare aree differenziali, che non sono tuttavia completamente separate, ma dispongono di circuiti di integrazione a diversi livelli. Anche qui, per tornare al piano del dibattito teorico (come nel caso della morfogenesi) la dicotomia fra specificità e plasticità poté venire superata, considerando i diversi livelli a cui si svolgono i fenomeni: da una parte la indeterminazione dei processi microscopici, dall’altra la presenza di un campo, che limita tale indeterminazione subordinandoia ad un «piano», ad un programma. Questi metodi sono stati applicati ai due gruppi in cui è possibile schematicamente suddividere il complesso delle attività nervose e che vengono chiamati da John C. Eccles «outer sense» (senso esterno) e «inner sense » (senso interno) (1974). Il primo comprende i fenomeni percettivi del mondo esterno (luce, colore, suono ecc.) e i dati sullo stato fisiologico dell’organismo; il secondo è costituito dalle attività psichiche, non direttamente collegate ai dati percettivi, ma provenienti dall’attività autonoma del cervello: il pensiero, la memoria, i sogni, l’immaginazione, ecc. 7. La visione e la memoria. Una particolare attenzione è stata dedicata a partire dagli anni ‘70 allo studio del processo percettivo legato alla visione, anche perché più facilmente soggetta ad una analisi sperimentale. In tale processo, meglio che nelle altre attività sensorie, era possibile

individuare il ruolo di modelli nel cervello e delle attività di selezione attiva degli stimoli luminosi. In questo ambito si sono anche sviluppati programmi integrati fra psicologia, neuroscienze e cibernetica ed informatica per cercare di simulare il funzionamento del cervello biologico. I sistemi visivi, come era risultato in linea generale dalle indagini neurofisiologiche già a partire dalla fine degli anni Venti, usano una gerarchia di rappresentazioni che sviluppano l’informazione visiva in molti stadi intermedi in modo da riempire la distanza esistente fra i segnali in ingresso ed i simboli cognitivi. L’esistenza di diversi sistemi di elaborazione visiva ha fatto avanzare l’idea che i segnali vengano trattati in modo parallelo in certi casi e sequenziale in altri, a seconda della natura e dell’importanza delle cose da discriminare visivamente. La visione deve infatti analizzare dati visivi variabili nel tempo in tutta la loro complessità ed in tempo reale. Inoltre i sistemi biologici usano elementi di processo neurale che sono di sei ordini di grandezza più lenti dei componenti al silicio, utilizzati nei calcolatori elettronici. Nonostante ciò il cervello è in grado di rispondere agli stimoli visuali in poche centinaia di millisecondi. Il principio fondamentale di costruzione dell’informazione visiva è dunque quello di rappresentazione gerarchica dei processi percettivi e cognitivi. Questa gerarchia può essere ritrovata a livello morfologico in aree cerebrali distinte dedicate alla attività visuale, ognuna delle quali può essere considerata una « mappa » grossolana di una parte del mondo visuale. Ai livelli superiori della gerarchia queste mappe divengono molto più diffuse e i neuroni rispondono a caratteri più complessi e diverse aree corticali sono in grado di rispondere a caratteri diversi, come il colore e il movimento. Nonostante questa grande frammentazione dei modi di risposta, una immagine è un tutto unitario; devono quindi esistere meccanismi di integrazione. Nella seconda metà degli anni Settanta A. Treismann e i suoi collaboratori hanno realizzato una serie di esperimenti nei quali si presentavano a dei soggetti forme colorate da riconoscere con tempi molto rapidi ed in presenza di vari « distrattori ». Se si chiede di riconoscere una 5 in mezzo a un insieme casuale di lettere X verdi o I marroni, la risposta è molto rapida. Tuttavia se si chiede di individuare una T verde, il che richiede di riconoscere al tempo stesso una data forma ed un dato colore, il processo richiede molto più tempo. Per spiegare questo fenomeno è stata introdotta l’ipotesi che il cervello analizzi gli oggetti in serie, spostandosi su un oggetto dopo l’altro, con una velòcità calcolata in 70 millisecondi per ogni passo. Il processo èstato equiparato per analogia a quello della illuminazione con un riflettore in un ambiente poco illuminato di un oggetto alla volta. Treisman ha proposto che questo meccanismo funzioni attraverso la formazione di « giunzioni » temporanee. di neuroni. Nel 1981 von der Malsburg ha proposto che questo avvenga per mezzo del rafforzamento di sinapsi esistenti, in modo da poter creare in tempi brevissimi una nuova linea nervosa. In questo modo si introduce una distinzione fra alterazioni di lungo termine dovuto all’apprendimento e alterazioni transienti che avverrebbero durante l’atto della percezione. Nel 1981 F.H.C. Crick, con il consueto ed innovativo rigore teorico, ha sviluppato queste idee, affermando che l’ipotesi di von der Malsburg rappresenta una rottura con le concezioni tradizionali sulle reti di neuroni1, basate sul fatto che le sinapsi hanno caratteri costanti Le reti neurali sono dei programmi per l’autoapprendimento dei computer. In tali programmi esiste una serie di “automi”, o “cellule” virtuali, capaci di ricevere inviare stimoli (1 o 0) a secondo del loro particolare stato. Le cellule sono divise in diversi strati, di cui il più esterno è quello che riceve gli stimoli provenienti dall’ambiente (come quando scriviamo una domanda alla tastiera, o l’occhio della telecamera); gli strati interni elaborano in maniera apparentemente casuale tali stimoli, propagandoli orizzontalmente e verticalmente, fino ad arrivare allo strato più interno che produce dei segnali di risposta (es. una risposta a una domanda, o una traduzione di una frase, o un nome viene assegnato all’immagine di input) da inviare all’esterno. Le prime “risposte” fornite dalla rete neurale sono completamente assurde. L’insegnante (può essere un’altra macchina che ha in memoria le risposte esatte, per questioni di rapidità) fornisce delle valutazioni alle risposte date dalla rete neurale. Queste 1

mentre sono in funzione, e possono variare solo durante un processo di apprendimento, mentre le sinapsi ipotizzate da von der Malsburg si devono modificare. Analizzando la struttura del talamo e del complesso reticolare che vi è collegato e le differenti azioni inibitorie od eccitatorie, nel 1984 F.H.C. Crick ha introdotto alcune ipotesi per spiegare questo fenomeno: 1) il «proiettore »è controllato dai complesso reticolare del talamo; 2) l’espressione del proiettore è la produzione di scariche rapide in un sottoinsieme dei neuroni talamici attivi; 3) le congiunzioni prodotte dal proiettore sono mediate da «sinapsi di von der Malsburg». Dato che un neurone si può scaricare per effetto di un numero molto elevato di possibili combinazioni degli stimoli differenti ai quali è sottoposto e quindi la sua risposta è aspecifica e non può essere direttamente legata ad un dato stimolo, era una idea tradizionale della neurofisiologia che questa ambiguità venisse rimossa prendendo in considerazione gruppi di cellule. L’alternativa che ogni neurone abbia la sua specificità sarebbe infatti molto meno « economica». Questo insieme di cellule erano state definite ma bisognerebbe concordare tutto con «insieme » « reti associative » e molto lavoro sperimentale è stato fatto su di esse. Queste reti sono costituite da neuroni dello stesso tipo e vengono perciò definite, da Crick, aggregazioni orizzontali. L’idea di von der Malsburg permette tuttavia un altro tipo di aggregazione, verticale, tra diversi livelli di integrazione dei neuroni, associazioni temporanee che permettono di collegare fra di loro i diversi aspetti di un oggetto. Così, un neurone di livello superiore capace di indicare l’idea generale di « viso » potrebbe associarsi con neuroni di livello inferiore, che indicano parti del viso od alcuni caratteri particolari. Di qui una quarta ipotesi introdotta da Crick e cioè che « le congiunzioni sono espresse da aggregazioni cellulari, aggregazioni specialmente tra cellule di differenti regioni corticali». Esiste quindi una interrelazione fra la precisione di molte connessioni nervose e l’esistenza di reti associative, la cui importanza relativa cambia a seconda de] grado di organizzazione dei sistemi viventi. Nel caso di Caenorhabditis elegans, studiato da Brenner, i 279 neuroni di questo organismo elementare sono collegati sempre esattamente nella stessa maniera. Negli organismi superiori queste connessioni sono molto meno precise, ma non casuali e la forza di queste associazioni dipende dall’«esperienza». Per assicurare la percezione il cervello utilizza due strategie: mappature successive e multiple basate su connessioni precise e l’esistenza di reti associative all’interno di piccole regioni in cui tutto è collegato con tutto. All’inizio del trattamento dei segnali, uno acustico ed uno visivo ad esempio, questi non sono collegati fra loro. Ma presto nel passaggio da una mappa a quella di livello superiore si crea una integrazione sempre maggiore. Il cervello quindi non è una immensa rete, ma un insieme di reti locali, alcune in parallelo, altre arrangiate serialmente. Questo problema esemplifica in modo significativo le linee di ricerca che si sono sviluppate a partire dagli anni ‘70. In esse si è stabilita una stretta interazione fra ricerche di tipo molto diverso: l’indagine anatomico-morfologica, quella molecolare, quella psicologica. Questa convergenza multidisciplinare indica anche la centralità che lo studio del sistema nervoso e dei cervello ha acquisito negli ultimi decenni. In un articolo del 1979 Crick ha paragonato lo stato problematico della neurobio]ogia alla fine degli anni ‘70 a quello della risposte, positive o negative, innestano una retroazione che stimola il cambiamento delle “regole” con cui le singole cellule rispondono agli stimoli in funzione dello stato in cui si trovano (ma non modificano le connessioni di ogni cellula con le cellule vicine come avviene nel cervello). Questi cambiamenti sono completamente casuali, ma interessano maggiormente quelle cellule che hanno portato a generare errori nella risposta finale e stabilizzano quelle che hanno generato risposte corrette. Dopo molti tentativi ed errori il sistema riesce a incrementare i punteggi medi che riceve dall’insegnante, vale a dire inizia a dare risposte sempre più corrette, ovvero apprende. Una volta finita la parte dell’addestramento, ottimizzate e fissate tutte le regole di comunicazione tra le cellule, il sistema è pronto per rispondere a domande (chiaramente sullo stesso settore in cui è stato “addestrato”) anche senza voti, premi o punizioni. Ciò corrisponde più o meno quanto fa il traduttore di Google.

genetica e della biochimica alla fine degli anni ‘40, prima della rivoluzione molecolare: «ciò che chiaramente manca è una ampia struttura di idee con la quale integrare i differenti modi di affrontare il problema». Ciò che manca, allora, è una « teoria generale del cervello) », basata sulle analisi di tipo anatomico-morfologico, psicologico, biochimico e biofisico e sulla teoria matematica della comunicazione. La speranza è quella di trovare per la neurobiologia ciò che la doppia elica era stata per la genetica, un meccanismo semplice alla base della complessa macchina « barocca » del sistema nervoso.

Fonte: da La Neurobiologia, di Bernardino Fantini, in Storia della Scienza, a cura di Paolo Rossi, vol. 8, gruppo editoriale l’Espresso, 2006. La nota sulle reti neurali, le evidenziazioni e la premessa sono mie (a.t.)

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